Il libro Grande Raccordo Criminale di Pietro Orsatti e Floriana Bulfon è uscito quest’anno, edito da Imprimatur, con la prefazione di Giulio Cavalli. Quella che i due giornalisti compiono è un’attenta e accurata analisi della criminalità, organizzata e non, che opera su tutto il territorio italiano e in numerosi altri Paesi, dove ha messo radici ed è proliferata esattamente come nel luogo in d’origine, e che è presente anche a Roma. Facendo riferimento alle testimonianze dei pentiti, alle trascrizioni degli atti processuali, alle dichiarazioni di cittadini nonché all’esperienza sul campo, Orsatti e Bulfon regalano al lettore un quadro completo della situazione attuale. I riferimenti sono al passato, ma soprattutto al presente, preludio a un disastroso futuro se non si prende coscienza che il fenomeno esiste ed è reale, che non conduce da nessuna parte il volerlo relegare a piaga sociale lontana e distaccata dalla quotidianità, dalla politica, dalla cultura, dal costume e dall’istruzione. Non ha alcun senso illudersi che la criminalità sia lontana dalle persone che criminali non si ritengono, dagli ambienti che collusi non vogliono essere etichettati, come non ha senso continuare a ribadire che a Roma la criminalità organizzata non esiste.
«Non un’infiltrazione, ma un sistema. Mafie s.p.a. è diventato potere reale e condizionante di tutto quel che avviene sotto il Cupolone, dalle borgate ai palazzi di potere, da Ostia a Oltretevere.Un potere che dalla Capitale si espande, in un grande raccordo criminale». Bisogna, inoltre, prendere coscienza una volta per tutte di quelli che sono i veri mali della società in cui viviamo, delle correlazioni tra i crimini e il potere in tutte le sue forme, tra i crimini e la ricchezza ma anche tra i crimini e la povertà. «Non è solo effetto della crisi economica. È strategia di sfruttamento criminale della miseria. Chi governa il territorio non ha solo consentito l’arrivo di questo esercito di disperati ma lo ha favorito per poi, davanti ai numeri impressionanti di persone travolte dal disagio, fare soldi».
Gli autori, Pietro Orsatti e Floriana Bulfon, hanno risposto volentieri alle domande su Grande Raccordo Criminale, spiegando alcuni passaggi principali del testo, nonché aspetti salienti della società capitolina e di quella italiana in generale.
Alcuni anni fa andava molto di moda definire la criminalità organizzata, soprattutto di stampo mafioso, come “la piovra” e si diceva che partiva tutto da “la Cupola”, dove era accentrato il potere. Leggendo Grande Raccordo Criminale si ha come l’impressione che negli anni questa piovra non abbia fatto che crescere e che di piovre in realtà ce ne sono diverse, operanti non solo nei territori dove hanno avuto origine ma anche nel resto d’Italia e con radicate diramazioni in altri Paesi europei e americani. A farne le spese però sembrano essere rimasti sempre gli stessi.
Floriana Bulfon: Le mafie, dalle stragi del 1992-1993 hanno deciso di assumere un profilo militarmente basso e intanto di spartirsi aree e interessi, di investire nell’economia reale e, anzi, di diventare soggetto economico direttamente, senza intermediari. Roma è emblema e simbolo di come le mafie abbiano operato in concorso fra loro. Una holding capace di costruire rapporti con pezzi dell’economia, della politica e dello Stato. Da decenni si sono mimetizzate sotto la copertura di attività legali, riciclando denaro sporco. Non è un’infiltrazione, ma un sistema che è diventato potere condizionante. E intanto, da decenni, si arricchiscono, condizionano il potere economico e politico, e si mettono a servizio di chi, per interessi innominabili, mira a destabilizzare la nostra già fragile democrazia. Quello che colpisce a Roma è la poca consapevolezza. La mafia ufficialmente a Roma non è mai esistita se non come fenomeno passeggero, derubricato a criminalità comune. Quasi un incidente di percorso. Ma è un incidente di percorso che contagia la nazione. Lo scriviamo con molta chiarezza nel libro, senza temere smentite. Non esiste una Roma criminale, esiste un’Italia criminale di cui Roma è semplicemente la capitale.
I campi rom, quelli dei senzatetto, dei diseredati e dei disadattati diventano egualmente fonte di guadagno per chi non si ferma di fronte a nulla. Le va di parlarcene?
È una strategia di sfruttamento criminale della miseria, perché anche dalla miseria si può trarre profitto. Un esercito di disperati su cui le mafie fanno soldi. Un paio d’euro per dormire in mezzo al fango, storditi da alcool a buon mercato e la mattina andare in cerca di uno “smorzo” che ti dia lavoro, per avere un angolo dove buttare un cartone a terra, piazzare una roulotte, prenderti uno spicchio di cemento sgombro fra i calcinacci in un cantiere, vendere in un mercato abusivo. Disperati che pagano per dividere un monolocale in venti o vivere in un sottoscala per lavorare giorno e notte. Pagano il pizzo ai connazionali e agli italiani. Pagano semplicemente per sopravvivere. Un euro qui, dieci lì e alla fine hai una montagna di denaro facile, ottenuto con il mezzo più semplice: la paura. A guadagnarci sono tutti, le piccole e grandi mafie straniere e gli italiani che hanno dato in concessione pezzi del proprio territorio in cambio di un comodo business. Il business della schiavitù. Merce da sfruttare e scarto da seppellire fra i rifiuti quando non è più produttivo. Una catena dello sfruttamento che parte dal connazionale, passa per il piccolo boss che verifica che nessuno sgarri e arriva al “padrone” italiano che, a distanza e senza sporcarsi le mani, controlla che tutto fili liscio, compresa la ricettazione di piccoli furti e borseggi.
Grande Raccordo Criminale rappresenta anche un viaggio nelle periferie e nelle borgate della capitale ma con un’ottica diversa rispetto al passato. Si legge: «…quarant’anni dopo Pasolini e la consapevolezza che non è più la borgata a imborghesirsi, ma la borghesia a imborgatarsi. Un contagio». Si tratta di contagio o di fusione?
A Roma i codici e gli stili della borgata hanno contagiato tutti. Borgate e centro si sono mischiate in un’indifferenziata poltiglia. Un giorno, a San Basilio, quartiere a ridosso del Grande Raccordo Criminale, fortino dello spaccio con le sentinelle che controllano a vista chi entra e esce, uno spacciatore, seduto al bar di una vecchia latteria con la videosorveglianza, sosteneva che coi soldi ripuliti della cocaina ormai in Italia si potesse fare tutto, entrare nel giro grosso delle operazioni finanziarie. Sembrava un personaggio deIl Contagio, il romanzo di Walter Siti. Parlo di contagio perché non vi è più distinzione. Perché il pratone di sport e peccati a Centocelle, raccontato in Petrolio, il Pigneto di Accattone, la Ostia di Pier Paolo Pasolini non sono diversi dal centro e dai quartieri bene.
Grande Raccordo Criminale è un’analisi a 360 gradi del crimine che attanaglia la capitale ma non solo. Nel testo, che è un resoconto dettagliato di quanto accaduto negli ultimi 50 anni di storia italiana, si evincono tutti i collegamenti tra i vari gruppi operanti in diverse zone del Paese ma anche i legami tra le varie cosche. Come nasce un libro del genere e perché?
Pietro Orsatti: Abbiamo scritto Grande Raccordo Criminale perché era necessario. Era arrivato il momento di lanciare un allarme sulle mafie a Roma e quello che sta succedendo nella capitale ci sta dando ragione. Mentre era evidente che a Roma la situazione stava precipitando, con un’escalation impressionante di fatti violenti – omicidi, attentati, intimidazioni –, sia la stampa sia la politica cercavano di minimizzare in tutti i modi, di archiviare fatti di chiarissima matrice mafiosa come episodi isolati riconducibili a regolamenti di conti tra bande locali. Cronaca nera da pubblicare di taglio basso. La parola “mafia” a Roma non si poteva pronunciare, figuriamoci scriverla. Mentre le mafie, e parlo di tutte le organizzazioni nazionali presenti non attraverso “infiltrazioni” ma come strutture ormai radicate in tutta la città da più di trent’anni, di fatto si erano già spartite affari e territorio e rapporti con pezzi della politica e della finanza e di apparati dello Stato, agendo come una sorta di associazione temporanea d’impresa. Con in più l’intrecciarsi di rapporti e interessi con aree riconducibili a vecchi ma non estinti gruppi criminali locali, come la banda della Magliana, e con pezzi di servizi deviati, massoneria e elementi dell’eversione nera. E non sto parlando di fatti relativi solo agli anni ’70 e ’80, ma di rapporti stabili e tuttora in vigore. Non è una suggestione quella che offriamo nel libro, ma il frutto di un lavoro sul campo e sui documenti. La nostra non è solo un’inchiesta sull’attualità criminale romana, ma anche un’analisi storica che spiega l’attuale situazione e che collega tuttora mafie e corruzione con gli ambienti che contribuirono agli orrori degli anni della strategia della tensione. Chiaramente non solo a livello locale ma nazionale. Dopo tutto, come si fa a illudersi che la capitale d’Italia non sia anche la capitale delle mafie?
Il più delle volte anche quella che solitamente viene chiamata micro-criminalità alla fin fine è correlata e dipendente dalle grandi organizzazioni mafiose con un gioco di “appari e scompari” che sembra quello delle scatole cinesi ma anche un circolo vizioso. Si prendono i pesci piccoli, che sono fra l’altro facilmente sostituibili, e quelli grossi restano ai loro posti, sempre gli stessi, a fare sempre lo stesso male… a una società che necessità di un cambiamento radicale. È interessante il ruolo che svolgono le banche.
Partiamo da questi ultimi anni di gravissima crisi economica. Le banche, sia sul piano del credito sia della loro trasformazione in soggetti speculativi – basti pensare ai cosiddetti prodotti derivati e alle ricadute che hanno provocato sul sistema italiano e mondiale – hanno lasciato moltissimi imprenditori e commercianti nelle mani delle mafie. Chi ha liquidità immediata? Le mafie, che dispongono di fondi illimitati di denaro da investire. Chi concede prestiti? Le mafie, che controllano capillarmente il fenomeno dell’usura. E chi chiede prestiti in breve tempo viene scalzato dalla sua attività o viene ridotto al ruolo di semplice prestanome. Ma non c’è solo questo aspetto del ruolo che hanno giocato le banche nel creare le condizioni che hanno permesso il radicamento delle organizzazioni criminali nell’economia e nella società a Roma e in Italia. Faccio un esempio. Nei primi anni ’70 Cosa nostra siciliana – che è all’epoca già presente nella capitale – fa un salto di qualità inviando il capo del mandamento di Porta Nuova Pippo Calò – forse il più importante di Palermo – a Roma. In pochissimo tempo Calò stringe rapporti con la P2, con la nascente banda della Magliana, con faccendieri e speculatori, con ambienti del terrorismo nero di cui si serve come braccio armato e poi tranquillamente, con false identità, ottiene l’apertura di conti e di linee di credito illimitate in alcuni istituti bancari della capitale senza presentare alcuna garanzia. Senza parlare poi del ruolo che ha giocato sull’economia italiana la banca di Sindona che per anni è stata la seconda banca privata in Italia e la quindicesima negli Stati Uniti e che con la mafia e con il grande business del traffico dell’eroina ha giocato il ruolo di cassa e di struttura di riciclaggio.
La banda della Magliana e la Chiesa cattolica. Due istituzioni con sede a Roma. Una criminale e una religiosa. Nell’immaginario collettivo si pensa e si presume non si incontreranno mai. Si pensa e si presume, però…
Non si presume nulla. I rapporti della banda della Magliana con alcuni ambienti vaticani, e in particolare con lo Ior, sono storicamente provati e in alcuni casi, anche se solo marginalmente, lo sono pure sul piano giudiziario. E tutto questo senza doversi affidare alle suggestioni dell’ancora irrisolto caso della scomparsa di Emanuela Orlandi e dell’anomala sepoltura di “Renatino” De Pedis. Bisogna capire bene la natura stessa della banda della Magliana, di quella che è stata e di quella che, anche se in pochi la definiscono così, è ancora. La banda che non è composta da soli uomini della mala romana che si organizzano, ma anche da terroristi delle organizzazioni dell’estrema destra, con agganci impressionanti, con speculatori immobiliari e finanziari, con entrate nella politica, rapporti con ambiti della P2 e dei servizi segreti deviati, oltre allo storico rapporto con Pippo Calò e Cosa nostra. Tanto per fare un esempio, parliamo del cassiere della banda, EnricoNicoletti. Nicoletti ha sempre entrature in Vaticano, anche se giura di non avere mai avuto un conto allo Ior. Era sua Villa Osio, disegnata alla fine degli anni Trenta da un allievo del Piacentini, a viale di Porta Ardeatina. Acquistata, per una cifra irrisoria se confrontata con le quotazioni di mercato dell’epoca, dalla Pia Unione degli Oblati della Madonna, con tanto di presunto benestare del vicariato. Il medesimo vicariato guidato dal cardinal Ugo Poletti, lo stesso che nel 1990 firmerà il nulla osta per la sepoltura di Enrico De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare. Lo stesso Nicoletti che riciclava soldi non solo per la banda ma anche per la camorra napoletana e i casalesi. Dove? A Roma. E proprio a Roma, in determinati ambienti, si dice: «Perché andare fino alle Bahamas per riciclare denaro sporco quando hai un paradiso fiscale dietro casa che ci vai in autobus?» Certo, le nuove regole imposte dal nuovo papa per lo Ior cambiano molto gli scenari attuali e futuri. Ma per il passato?
Grande Raccordo Criminale di Pietro Orsatti e Floriana Bulfon è un libro che racchiude oltre mezzo secolo di storia criminale italiana: racconta fatti, delitti, crimini, collegamenti, persone e personaggi che hanno determinato la situazione che oggi è. Grande Raccordo Criminale è, fuor di dubbio, una lettura interessante, per certi versi necessaria per conoscere, per capire, per riflettere, per decidere anche come agire… perché alcune cose non cambieranno mai se si continuerà a fingere di non sapere e non capire.
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