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La minaccia islamica, tra Isis e Iran. Intervista a Fiamma Nirenstein

A ottobre è uscito per Mondadori Il Califfo e l’Ayatollah di Fiamma Nirenstein, un libro che osserva «quello che abbiamo di fronte con gli occhiali dell’analisi e non con quelli dell’illusione» per cercare di capire cosa in realtà sia il terrorismo internazionale.

Il terrorismo si presenta agli occhi degli occidentali come un enigma, una sfinge, al punto che siamo stati persino «incapaci di darne una definizione sancita dall’Onu tanto alligna in noi l’incertezza sia sulla sua ragionevolezza sia su come combatterlo». Una situazione, quella medio-orientale, complessa e di difficile interpretazione per cui facilmente si cade nell’inganno del fraintendimento, come nel caso delle rivolte della Primavera araba, le quali mostrarono molti segnali della loro vera natura «che noi abbiamo ignorato del tutto nel nostro infinito egocentrismo».

Eppure sarà proprio da uno scenario tanto tragico quanto lo scontro fra sunniti e sciiti «che può nascere la speranza di una nuova stabilità». È questo il messaggio che vuol lanciare Fiamma Nirenstein con il suo libro, scritto per dimostrare che gli errori occidentali (sfruttamento, opportunismo legato al mercato petrolifero, colonialismo) comunque non legittimano il terrorismo né tantomeno ne sono la causa. Ne abbiamo parlato nell’intervista che, gentilmente, ci ha concesso.

La minaccia islamica, tra Isis e Iran. Intervista a Fiamma Nirenstein

L’immagine che più colpisce all’interno del suo libro è quella dell’Occidente accerchiato da una tenaglia a due ganasce: l’ISIS sunnita e la Repubblica Islamica Iraniana di stampo sciita, entrambe accomunate però da un’aspirazione universalistica in nome dell’Islam. Al di là delle divergenze teologiche, cosa li accomuna?

Li accomuna il progetto di conquista del mondo intero e la volontà di convertirlo alla loro dottrina, l’Islam, anche se uno è sunnita e l’altro sciita.

Li accomuna poi la maniera con cui cercano di portare a compimento il progetto. L’assoluta mancanza di rispetto per i diritti umani che, come descrivo nel libro, si riscontra nelle azioni dell’Isis ma anche nella Repubblica Islamica Iraniana dove vige la shari’a.

Le azioni dell’Isis sono più visibili e più terrificanti ai nostri occhi ma la situazione è da film dell’orrore anche in tutto il mondo iraniano.

Entrambi inoltre hanno ambizioni imperialistiche. L’Iran ormai controlla il Libano, parte della Siria tramite l’assistenza ad al-Assad con l’aiuto degli Hezbollah, lo Yemen, l’Iraq… la sua aspirazione possiamo convenire che sia diventata, almeno in parte, una realtà. Mentre l’Isis ha fondato lo Stato Islamico che comprende una parte della Siria e una dell’Iraq, che tende a espandersi.

L’Isis lo fa in maniera più evidente, dichiarando di voler combattere contro l’Occidente e sottometterlo ai capi e all’ideologia islamista.

È lecito pensare a una futura alleanza tra Isis e Iran o almeno a un accordo, oppure prevarranno la controversia religiosa e l’impossibilità della convivenza tra due universalismi islamici che hanno la loro base in Medio Oriente?

Il terrorismo ha consentito già molte alleanze ai danni dell’Occidente. Basti pensare che si dice che Osama Bin-Laden, sunnita e fondatore di Al-Qaeda, si è nascosto a Teheran per un periodo. Hamas, sunnita, si è appoggiata per molto tempo all’Iran e parte dei suoi capi vivevano a Damasco.

Gli esempi da poter fare sono molti… Ora l’elemento guerra è più forte tra sunniti e sciiti perché c’è il campo di battaglia siriano che spinge in questa direzione. Ma sì, è relativamente realistico pensare a possibili alleanze.

La minaccia islamica, tra Isis e Iran. Intervista a Fiamma Nirenstein

Restiamo un attimo in Medio Oriente. Nell’epigrafe del libro, ringraziando Bernard Lewis, lei afferma che occorrono coraggio e sapienza per comprenderlo. Perché?

È evidente nell’odio irragionevole che caratterizza una parte dell’opinione pubblica, anche occidentale, nei confronti di Israele. Molto spesso si cercano delle scappatoie, la mente rifugge dal vedere le cose come stanno veramente. Inoltre ci vuole molto anticonformismo e tanto buonsenso, come quello che ci ha insegnato il professor Lewis, per non indulgere in fantasie che vedono l’Occidente colpevole e responsabile di chissà cosa nei confronti del Medio Oriente. Ciò non fa che allontanarci dalla comprensione della realtà, la quale è comunque molto complessa e di ardua interpretazione.

Troppe ancora sono le immagini stereotipate. Pensiamo alla figura di Yasser Arafat, da molti visto come un eroe che si è battuto per la libertà del popolo palestinese quando in realtà non è che l’inventore del terrorismo internazionale.

Troppe le cose che in fondo si finge di non capire, come il fraintendimento della Rivoluzione Islamica Iraniana considerata una rivoluzione sociale dovuta alle terribili condizioni in cui era stato ridotto l’Iran. Nessuno era in grado di leggere i testi di Khomeini, in cui si spiegava chiaramente quale era il disegno perseguito, ovvero la creazione di uno Stato Islamico Integralista. Soltanto Bernard Lewis, che conosceva il persiano e che aveva letto quei testi, sapeva con precisione cosa stava accadendo.

Occorrono conoscenza, pazienza, capacità di discernimento, intento e buona volontà per sbrogliare la Storia dai nostri pregiudizi.

«Il Medio Oriente e l’Africa si prendono la loro vendetta per essere stati tanto incompresi». Si tratta solo d’incomprensione o è anche il frutto di politiche occidentali non proprio attente alle conseguenze?

Certamente ci sono state delle politiche occidentali di sfruttamento, di opportunismo legato al mercato petrolifero, di colonialismo… guai a dimenticarsene. Ma ciò di certo non legittima il terrorismo.

L’intento del mio libro è proprio dimostrare questo, cercare di spiegare i motivi di quanto accaduto a Parigi, attentati non legati al fatto che l’Occidente è o è stato colonialista, bensì motivati dall’intento imperialista che il terrorismo nutre a sua volta. E non sono animati né da ragioni sociali né da ragioni storiche, solo da una spinta ideologica. I terroristi sono mossi da una volontà religiosa di dominio.

In Israele accade la stessa cosa. Il terrorismo che c’è nello Stato non ha nulla a che vedere con lo scontro territoriale, altrimenti si sarebbe già giunti a un accordo. Una proposta che prevede due Stati per due popoli fatta decine di volte, a cui io personalmente sono favorevole. Ma gli estremisti hanno un’altra idea, ovvero che Israele deve appartenere solo alla umma musulmana e che gli ebrei se ne devono andare.

Cosa significa oggi per il Medio Oriente trovarsi in balia dell’Isis e della minaccia atomica dell’Iran? Si tratta davvero di un conflitto interno al mondo mediorientale, come ritengono alcuni, oppure l’intervento dell’Occidente è ineludibile e necessario?

L’Occidente non deve combattere solo per intervenire nello scontro tra sunniti e sciiti, ora più evidente che mai, ma deve farlo soprattutto per difendersi.

Siccome il disegno di entrambe le fazioni è imperialista e il mezzo che hanno deciso di impiegare è il terrorismo, è chiaro che noi o restiamo vittime del terrorismo oppure dobbiamo difenderci. Se ciò si tradurrà poi nello andare boots on the ground, come si dice “con gli stivali sul terreno”,o meno è solo una questione tattica non strategica. Una cosa è certa: c’è da combattere e da difendersi.

Si tratta di fare una guerra difensiva, di necessità, senza alcun carattere imperialista. Noi occidentali, siccome abbiamo avuto le terribili esperienze delle guerre mondiali, siamo molto restii a questo, giustamente. Rimane sempre un dubbio, un sospetto sulle intenzioni… la paura del riaffacciarsi delle guerre di conquista. Ma ora non si tratta di questo.

Il mondo è punteggiato, in maniera sempre più virulenta, da attentati terroristici che ormai coprono tutta la carta geografica e l’intenzione viene dichiarata continuamente dall’Isis. Da parte dell’Iran è meno esplicita ma tutti gli studi e tutta l’esperienza confermano la minaccia.

La minaccia islamica, tra Isis e Iran. Intervista a Fiamma Nirenstein

Banche, pozzi petroliferi, finanziatori stranieri, acquisto di armi dall’Occidente, una casa di produzione (Al-Itisaam establishment for the Media Production), una casa cinematografica (Al-Hayat Media Center) e una società di comunicazione (Al-Furqan): più che un gruppo terroristico, l’Isis sembra una holding della guerra santa. Le sembra esagerata una tale lettura?

No, lei dice benissimo. Le cifre di cui l’Isis gode, per finanziare il proprio progetto, sono enormi. Centinaia di migliaia di dollari di budget. Questa è infatti una grande differenza rispetto ad altre organizzazioni, quali Hamas. L’Isis non dipende da donazioni, ha dato vita a un sistema di guadagno che va dalle rapine alle richieste di riscatto, al commercio di opere d’arte, occupa territori dove ci sono pozzi petroliferi importanti e vende petrolio.

In Iran, d’altra parte, proprio mentre noi parliamo cadono le sanzioni, daranno al Paese centinaia di migliaia di dollari e non abbiamo alcuna garanzia che tutto questo denaro non venga poi impiegato per progetti antagonisti innanzitutto a Stati Uniti e Israele, indicati come il grande e il piccolo Satana. Definizione mai smentita, anzi più volte ribadita da Khamenei sia durante che al termine dellaTrattativa 5+1.

Inoltre una Commissione apposita istituita dagli americani, di cui sono stati pubblicati i risultati pochi giorni fa, ci dimostra che tutte le condizioni dell’Accordo ancora non sono state poste in essere. L’Iran doveva mantenere solo 3000 centrifughe di vecchia costruzione e invece ha ancora centrali di ultima generazione che in breve possono produrre uranio arricchito necessario per una bomba, non ha ancora liquidato le sue riverse di uranio, non ha distrutto le fabbriche di plutonio arricchito… e l’elenco è ancora lungo, lo si trova facilmente anche nel mio libro.

Lei sostiene che dobbiamo guardare all’Isis «come all’affacciarsi su di noi di un’apocalisse in senso tecnico», con gli attentati che rispondono a una strategia ben precisa che lega insieme terrorismo e propaganda. Insomma, una guerra vera e propria?

Sì, la si può considerare una guerra non convenzionale vera e propria. C’è un uso spietato dei civili, l’impiego dei mezzi di comunicazione di massa contemporanei, come i social network, sia per diffondere informazioni che per trovare adesioni.

Purtroppo funziona. Basti guardare ai giovani foreign fighter che scelgono di arruolarsi tra le loro fila, non per motivi sociali, molti di loro hanno studiato, hanno famiglie che li amano, hanno un lavoro… sono mobilitati, vittime di malattie ideologiche esattamente come noi occidentali lo siamo stati nel secolo scorso, pensiamo al Nazismo, al Comunismo…

Dobbiamo ammettere di trovarci di fronte a una malattia ideologica e affrontarla come tale, oltre che con le armi, altrimenti non riusciremo a vincere.

Un esempio molto importante è quello palestinese. Si parla sempre della loro volontà di creare un proprio Stato, se ciò fosse vero l’avrebbero fatto da tempo. Tante volte gli è stata offerta questa possibilità. Ciò che li spinge, come si vede anche durante l’ultimaIntifada definita dei coltelli, è un’incredibile macchina della propaganda. Consiglio di visionare il materiale che si trova sul sito Palestinian Media Watch per vedere tutto quello che viene trasmesso dai media palestinesi, altrimenti non si comprende questa macchina dell’odio che spinge tanti giovani ad accoltellare, a investire con le automobili…

La minaccia islamica, tra Isis e Iran. Intervista a Fiamma Nirenstein

Nel suo libro, c’è un’altra immagine che colpisce molto, quando paragona la paura del Vecchio Continente a quella «avvertita quando l’immortale Impero romano ha cominciato a sgretolarsi». Fino a che punto possiamo parlare di sgretolamento del Vecchio Continente?

Possiamo far cominciare lo sgretolamento del Vecchio Continente, ma in realtà di tutto l’Occidente, da quando l’Onu ha cambiato completamente la sua natura.

All’interno delle Organizzazioni Unite si sono formate delle maggioranze legate prima all’Unione Sovietica, quella dei Paesi denominati “non allineati” e dei Paesi arabi e musulmani in generale, che hanno completamente rovesciato l’idea originaria dell’Onu. Nata in seguito agli orrori della seconda guerra mondiale avrebbe dovuto combattere per la difesa della libertà, per la promozione dei deboli e delle donne, per l’uguaglianza dei cittadini e per la diffusione di tutte le idee, indipendentemente da chi appartenessero. È accaduto l’esatto contrario. Tutti i nostri valori sono stati minati da un’organizzazione internazionale che ha cominciato palesemente a combatterli.

Da presenza compatta e morale in difesa della libertà e della democrazia siamo diventati una comunità incerta e impaurita, con un fortissimo senso di colpa legato al continuo fraintendimento e stravolgimento delle proprie idee da parte avversa.

http://www.sulromanzo.it/blog/la-minaccia-islamica-tra-isis-e-iran-intervista-a-fiamma-nirenstein

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