Qual è oggi il ruolo della scienza nella nostra società? Perché, proprio mentre le nuove tecnologie dominano in maniera incontrastata nella vita di tutti i giorni, sembra aumentare la diffidenza dell’opinione pubblica verso la scienza? A testimonianza di quanto abbiamo appena sostenuto possiamo, ad esempio, citare la campagna antivaccinazione che da poco pare essere la preoccupazione più evidente, alimentata dalla paura di un complotto delle case farmaceutiche.
Che sia solo un problema di cattiva comunicazione da parte degli scienziati? Di questo abbiamo parlato con Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e scrittore, in occasione di quest’intervista realizzata subito dopo la presentazione dei cinque libri finalisti del Premio Galileo per la divulgazione scientifica per il quale Crepet è presidente di giuria, che per l’edizione 2016 ha scelto testi che affrontano argomenti di stringente attualità.
I numeri, il cibo bio e gli OGM, le macchine e la realtà virtuale, un Universo ancora tutto da scoprire e il tempo inteso come “orologio biologico”. Paolo Crepet ha sottolineato il cambiamento della percezione spazio-temporale in atto nella società contemporanea, nella quale globalizzazione e frammentazione sociale hanno avviato processi di cambiamento della percezione spazio-temporale che condurranno, secondo Crepet, alla definizione di un nuovo tipo di comunità con meno vincoli temporali.
Il Premio Galileo è un esempio unico, in Italia, di tentativo di coniugare letteratura e scienza riportando l’attenzione sulla divulgazione scientifica. Perché secondo lei si registra questo scarso interesse generale verso nozioni e informazioni che sono, comunque, di interesse pubblico?
Perché siamo un Paese in cui la cultura scientifica è scarsa. Abbiamo avuto pochi premi Nobel e quei pochi che ci sono stati, come Fermi e Levi Montalcini, sono persone che hanno potuto lavorare negli Stati Uniti. Nelle scuole italiane, la matematica si insegna poco e male. Poi c’è anche una responsabilità da parte degli scienziati stessi, per il loro modo di comunicare che è sempre stato molto poco attento alla divulgazione.
Nell’era dell’informazione globale, dell’enciclopedia libera e della comunicazione di massa sembra crescere sempre più il rischio di una disinformazione diffusa e confusa. Perché ciò accade proprio quando si hanno a disposizione strumenti e mezzi che consentirebbero un elevato grado di precisione e correttezza?
Perché la diffusione attraverso i social e altri strumenti a cui lei allude è quanto di più lontano dalla scienza si possa immaginare. È una sorta di democratizzazione dell’informazione nel senso più becero. Tutti possono parlare e dire la propria opinione. Ciò è, ovviamente, sbagliato. Il parere, con tutto il rispetto, di un barista non può essere sullo stesso livello di quello di un immunologo.
Una delle finalità del Premio Galileo è quella di avvicinare i giovani alla scienza, e in tutte le edizioni si è registrato sempre un notevole interesse da parte dei ragazzi. La lontananza dalla corretta informazione scientifica non sembrerebbe quindi dipendere da loro. Qual è la sua opinione in merito?
C’è un eccesso di utilizzazione dei media per cose che non hanno nulla di scientifico. Nella scuola oggi c’è forse un interesse eccessivo per la parte umanistica e uno molto ridotto per la parte scientifica.
Ricorre anche quest’anno tra i temi dei libri finalisti quello dell’alimentazione, o meglio della corretta conoscenza della produzione alimentare. Qual è il rapporto dei giovani con il cibo e soprattutto con quello definito “sano”?
Credo che lentamente si stia andando verso la giusta direzione. Si inizia a parlare, anche in maniera più critica, di certi alimenti molto diffusi nelle nostre famiglie. Alimenti ad altissimo contenuto calorico o di grassi e che alla lunga, ovviamente, fanno male. Da questo punto di vista questa maggiore attenzione, che non è comunque ubiquitaria, può in qualche modo essere stata aiutata dal movimento dei vegetariani.
Con Che ora fai? invece si affronta il tema del tempo, focalizzandosi sul concetto di “orologio biologico”. Secondo lei quanto incidono sulla libertà personale di ognuno le “costrizioni temporali” della società?
Molto, soprattutto sull’umore e sulle nostre relazioni affettive. Ora che ci stiamo avvicinando verso una società che avrà meno vincoli temporali le cose miglioreranno.
Un Universo ancora tutto da scoprire nel libro di Lucia Votano ma soprattutto l’interesse rivolto alla vita dei fisici che lo studiano chiusi in laboratori sotterranei, in luoghi estremi come ghiacciai o profondità marine. Nella nostra società non è l’Universo il vero fantasma bensì loro. Perché secondo lei la gran parte degli scienziati si preferisce “dimenticarli”?
Beh, questo è proprio uno dei meriti del Premio Galileo, ovvero l’avvicinare i ragazzi in maniera curiosa a persone molto profonde, a volte anche un po’ bizzarre perché fuori da tante etichette. Avvicinare non solo la scienza ma gli scienziati è un qualcosa di grande impatto culturale. Fuori da questa realtà c’è poco, per una responsabilità dei media ma anche degli stessi scienziati che sono molto restii a farsi conoscere. Invece ritengo che sarebbe molto ricco il panorama culturale se ci fosse l’opinione di uno scienziato e non solo quella dei politici o dei giornalisti.
Al centro del libro di Paolo Gallina ci sono le macchine e la loro “anima”. Siamo veramente dipendenti dalle macchine? Perché gli uomini sono così attratti dalla realtà virtuale?
Siamo attratti dalla realtà virtuale perché è più facile, ci offre con molta più comodità un mondo che sarebbe molto più complicato da raggiungere fisicamente. La realtà virtuale sta vincendo proprio per questa sua capacità di essere ovunque, di costare poco e di essere facile da utilizzare.
I numeri, invece, sono i protagonisti del libro di Umberto Bottazzini. Quale significato sociologico possiamo dare ai numeri e alla matematica?
La matematica dovrebbe essere trattata come la filosofia, è un modo di pensare non solo un campo applicativo. Proporre un libro, interessarsi ai numeri e alla matematica serve anche, in qualche modo, ad avvicinare i ragazzi, gli studenti a un modo di vedere le cose e non considerarlo più un mero strumento scientifico.
http://www.sulromanzo.it/blog/comunicazione-e-scienza-un-difficile-incontro-intervista-a-paolo-crepet
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