È uscito a febbraio di quest’anno con Rizzoli I giorni della Cagna. La presa di Roma del giornalista investigativo Daniele Autieri.
Un romanzo che racconta del momento in cui piccole e grandi organizzazioni criminali hanno stretto un patto: unirsi e diventare «la Bestia più feroce che l’Italia abbia mai conosciuto». Nasce così la Cagna, «il patto segreto che in questi ultimi dieci anni mafia autoctona, mafia siciliana, camorra e ‘ndrangheta hanno siglato per prendersi Roma. E lo Stato».
Un libro intense, quello di Autieri, che trasforma la cronaca nera in fiction perché convinto sia l’unico modo per non perdere il contatto con la realtà, per mantenere viva la capacità della letteratura di esplorare l’animo umano. Un libro che spiega e aiuta a comprendere meglio i meccanismi che muovono la grande macchina del crimine attraverso le azioni quotidiane degli attori e delle comparse, dei burattini e dei burattinai e dello Stato, nella sua componente buona, che è costretto a diventare invisibile per combattere la malavita, perché i tentacoli neri di quest’ultima arrivano davvero dove sarebbe inimmaginabile anche solo pensarli.
Daniele Autieri è autore anche di Professione Lolita (Chiarelettere, 2015). Sua è l’inchiesta sullo scandalo delle baby squillo dei Parioli. Attualmente si interessa degli sviluppi di Mafia Capitale.
Abbiamo parlato con Autieri de I giorni della Cagna, della criminalità organizzata che opera a Roma e anche degli effetti di Mafia Capitale nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.
Come in Professione Lolita anche ne I giorni della cagna lei trasforma tristi vicende di cronaca in storie romanzate. Quali sono i motivi della scelta di questo registro narrativo? Perché preferisce la fiction al reportage?
Rimanere aggrappati alla vita. Questo per me è il romanzo, la narrativa. La possibilità di raccontare la realtà in modo differente. Se perdiamo il contatto con la realtà, rendiamo orfana la letteratura della sua incredibile capacità di affondare nell’animo umano. La realtà ci aiuta a capire, la letteratura a sognare. Insieme ci permettono di vivere.
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La “Cagna” ha unito tutti i malavitosi nella brama di raggiungere il comune obiettivo: trasformare l’Italia in uno Stato criminale. La Storia della criminalità organizzata quanto è intrecciata a quella della capitale e dell’Italia intera?
La Roma di oggi è un esperimento criminale, il luogo dove camorra, ‘ndrangheta, mafia e mafie autoctone hanno stretto un patto di conquista. Per prendersi la città. E da lì prendersi lo Stato. Negli ultimi anni gli uomini delle mafie hanno messo le mani nelle aziende pubbliche, tantissime inchieste giudiziarie lo dimostrano. Ma soprattutto c’è un filo rosso che unisce alcuni degli scandali industriali degli ultimi anni, facendo pensare che dietro molti fatti accaduti ci sia un’unica organizzazione.
“La Cagna”, che si ispira alla Lupa di Dante, è il simbolo di tutto questo e nasce proprio dal patto siglato tra le organizzazioni criminali.
A Roma tutto è stato fatto in “silenzio”. Perché qui i criminali tendono a diventare invisibili più che altrove?
Perché si confondono con la gente per bene. È questo l’inganno eterno di questa città. Il ferro, il piombo entrano in gioco solo quando tutte le altre mediazioni falliscono. E così i criminali si vestono da persone comuni, si confondono, frequentano i migliori ristoranti e condividono amicizie influenti.
Gli ideali e le ideologie non sembrano sopravvivere a lungo, avidità di soldi e potere sì. I criminali si stanno trasformando in uomini di affari e viceversa?
Alle spalle di tutto c’è il denaro, l’avidità. Ed ecco che si ritorna a Dante. I criminali moderni, quelli più pericolosi, hanno capito che il denaro non si fa solo trafficando cocaina, ma anche controllando lo Stato, le sue aziende, i suoi appalti, le sue poltrone. Meglio quindi indossare un abito scuro, vestirsi da uomini d’affari e ottenere uno strapuntino dal quale è più facile mettere le mani sulla cassaforte.
Per sfamare la Cagna vengono preferite teste di legno, facili da comandare e indirizzare. Vale lo stesso per la politica?
Negli ultimi anni a Roma, ma in tutto il resto dell’Italia, sono state costituite migliaia di società di comodo necessarie solo per ottenere commesse dalle aziende pubbliche e per stornare una buona percentuale di tangenti a chi quelle commesse le aveva assegnate. La testa di legno classica si è evoluta e anche alcune istituzioni “malate” hanno cominciato a beneficiarne.
A Roma non si spara perché ci sono i figli di tutti. In base a quali accordi riescono a convivere nello stesso territorio camorra, ’ndrangheta, mafia siciliana, criminalità albanese, rom, russa e delinquenti di varie nazionalità?
Gli accordi sono di due tipi. A livello più basso, quello legato al traffico di droga e all’usura, la divisione è territoriale. Gli albanesi controllano alcune zone di Ponte Milvio in accordo con gli uomini di Mafia Capitale; la camorra ha messo le mani su Tor Bella Monaca e altre periferie, e di tanto in tanto si serve di alcune famiglie rom per fare il lavoro sporco; la ‘ndrangheta si occupa prevalentemente del narcotraffico e gestisce i locali del centro.
A livello più alto, il patto viene siglato tra le famiglie mafiose più importanti, quelle che possono mettere sul tavolo i loro legami con politici e manager. Nulla di teorico, anzi. Di tanto in tanto questi uomini si incontrano in uno studio prestigioso di qualche noto avvocato o commercialista romano. Sono riunioni riservatissime e servono per stabilire la linea di comportamento per il futuro. E soprattutto per spartirsi gli affari che contano.
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Quanti “fighetti” come Max Sanna e Claudio Accardi, in bilico tra il bianco e il nero, ci sono in giro per Roma?
Il grigio è il colore dominante. Claudio Accardi, uno dei protagonisti del libro, lo indossa alla perfezione. È un uomo qualunque, che senza aver mai preso una pistola in mano è stato capace di entrare nelle confidenze dei principali boss della Capitale. Lo ha fatto perché aveva un talento: andare per mare e trasportare centinaia di chili di polvere bianca.
Come lui, in tanti camminano in bilico lungo questa zona grigia: notai, avvocati, commercialisti, prestati agli interessi e agli affari del crimine. Questi uomini oggi rappresentano l’anello tra il mondo criminale e le persone comuni.
Il personaggio di Vento invece, spietato, che fa combattimenti clandestini e anche il sicario per guadagnare denaro ma è al contempo un padre attento e premuroso, che sogna per la figlia una vita diversa, migliore della sua vuole indicare che la strada della delinquenza non è per tutti una scelta?
Vento è uno dei miei personaggi preferiti perché è in grado di ribaltare il paradigma, il luogo comune. Dov’è il bene e dov’è il male? A quale tipo di persone ci sentiamo più vicini e quali invece ci sembrano lontanissime dai nostri valori? Forse è la vita che ci rende uomini o belve. Vento è una di quelle persone che non si aspetta risposte e non si aspetta favori. Semplicemente vive. Solo per sé e per sua figlia. E questo lo rende diverso da tanti altri.
Quartieri a cui si accede da un’unica via. Vedette che controllano il traffico e batterie di criminali e spacciatori a spartirsi il territorio. La mente rimanda subito alla Napoli raccontata in Gomorra di Roberto Saviano o alla Sicilia di Sbirritudine di Giorgio Glaviano. Cosa accomuna e cosa divide Roma dalle altre “capitali” della malavita?
Nei metodi di gestione dello spaccio e di controllo del territorio, ormai certe zone di Roma sono del tutto simili a quelle raccontate da Saviano. Di notte, le piazze di spaccio di Tor Bella Monaca o San Basilio non hanno nulla da invidiare al Parco Verde di Caivano. Roma in più ha la caratteristica di ospitare una “criminalità multietnica”, dove il camorrista convive con l’ex-Nar, con l’uomo delle cosche calabresi o con il killer della mafia albanese. Tutto si mischia e si confonde. E quando gli equilibri sballano, allora torna a parlare il piombo.
Cos’è cambiato a Roma dallo scandalo cui è seguita l’inchiesta denominata Mafia Capitale?
Molto in termini di consapevolezza, molto poco in termini di gerarchia criminale. Grazie a Mafia Capitale abbiamo tutti capito che esistono alcune organizzazioni in grado di controllare vaste zone della città e di arrivare con i loro tentacoli fino alla politica. Ma sono le stesse organizzazioni che non hanno mai smesso di fare affari e continuano a farli ancora adesso, durante il processo. Il crimine non si ferma con un’inchiesta. Si ferma con una battaglia culturale di consapevolezza e sensibilizzazione.
A questo servono i libri, capaci di tenere il lettore ancorato alla realtà. Per non dimenticare. E per evitare di rimanere inconsapevolmente schiavi.
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