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Irma Loredana Galgano

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Un viaggio nella Letteratura tra miti e leggende in “Morfisa o l’acqua che dorme” di Antonella Cilento (Mondadori, 2018)

23 martedì Gen 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Fresco di stampa per Mondadori il nuovo romanzo di Antonella Cilento, Morfisa o l’acqua che dorme, si apre al lettore con tre intense citazioni d’autore. Lente e profonde, come il testo stesso della Cilento.

Uno stile narrativo, quello dell’autrice, molto più vicino, per indole e carattere, agli scrittori citati (Montero, Tomasi di Lampedusa, Croce) che agli scrittori, o meglio ai narratori di oggi.

Leggere le storie della Cilento è un’immersione, ogni volta sempre più intensa, nella Letteratura con l’iniziale maiuscola. Quell’universo che ha appassionato tanti lettori e tanti critici, di ogni epoca ed età. Libri che sono mondi da esplorare. Personaggi che sono guide, esempi, eroine ed eroi, paria e rinnegati… ma sempre e comunque interessanti. Illuminanti. Personaggi che sono, anche, animali bizzarri, strambi, nani e gobbi e popolano tutti la città senza tempo dove l’autrice è nata e lavora.

Una città, Napoli, nella quale sacro e profano si mescolano da sempre in un fluido inscindibile che travolge mito e realtà e rende unica la città, i suoi abitanti e la loro storia.

Tra miti e mitologia, personaggi strambi e animali bizzarri, vicende del presente e del passato trovano spazio, nel testo della Cilento, anche scene che rimandano al teatro popolare che ha contribuito a creare la storia e la cultura della città partenopea. Sceneggiate come quella di Nennella che rifiuta di sposare l’uomo per lei scelto dal padre. Un “buon partito” che lei rinnega perché nzevuso. Ma Egidio, accecato dai denari del promesso sposo questa puzza proprio non la sente, fiutando solo il profumo di un matrimonio che sarebbe l’unione di sua figlia con «una miniera d’oro». Scene che rimandano al teatro di Scarpetta e De Filippo, un genere tanto popolare quanto amato, nel suo amaro realismo.

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Una vera e propria magia che scaturisce dall’incontro e dalla fusione degli opposti, il serio e il faceto, il sacro e il profano, il mare e la montagna vulcano di nome Vesuvio che guarda tutti e sembra minacciarli col suo sguardo di fuoco. Uno sguardo immutato nei secoli. Un legame che ha reso immortale questa cultura. La medesima dalla quale la Cilento attinge con bramosia informazioni e spunti di riflessione. In questo testo preferendo il periodo, come lei stessa sottolinea, di una Napoli senza dominatoriné conquistatori. Il Ducato, noto ai più come bizantino ma «di fatto indipendente». Una scelta che la Cilento motiva come un sogno di lunga data ma che per realizzarsi necessitava forse di tutto il tempo intercorso. Tempo che l’autrice ha impiegato a documentarsi e istruirsi. E si ritrova tutta la sua meticolosa ricerca nel testo, nelle descrizioni, nelle narrazioni.

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Non è mai facile, e forse neanche necessario, inquadrare le storie e la scrittura della Cilento. Del resto, per sua stessa ammissione, non hanno mai un rigido percorso prestabilito. Si plasmano a seconda delle notizie, delle informazioni, delle esperienze, delle conoscenze che l’autrice assorbe e studia, modellando poi, pagina dopo pagina, intreccio, personaggi e stile narrativo. Il tutto tenuto assieme forse più che dal narrato, proprio dal linguaggio che sale e scende a seconda dei personaggi e delle scene, come il cavo d’acciaio che segue e al contempo trattiene trapezisti e acrobati.

 

Un libro che entusiasma il lettore sia quando il linguaggio è aulico sia quando ricorda la vulgata dei vichi e dei vasci. Un testo, Morfisa o l’acqua che dorme che certo non può essere inteso come romanzo commerciale e che forse proprio per questo è meritevole di una larghissima diffusione.


Per la prima foto, copyright: Théo Roland.


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© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Insegnare scrittura creativa per sostenere il talento. I 25 anni di Lalineascritta nell’intervista ad Antonella Cilento

29 venerdì Set 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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AntonellaCilento, intervista, Lalineascritta

Insegnare scrittura creativa per sostenere il talento. I 25 anni di Lalineascritta nell'intervista ad Antonella Cilento

Nel 1993 nasceva, per volontà della sua ideatrice Antonella Cilento, la prima scuola di scrittura al Sud. Venticinque anni dopo Lalineascritta è «una fucina e un mattatoio» dove «si lavora e si crea sul pericoloso filo teso sul vulcano» ma le cui attività hanno travalicato i confini nazionali.

Abbiamo chiesto ad Antonella Cilento cosa ha significato portare avanti un simile progetto a Napoli e in Italia, dove la cultura «è alla fine la Cenerentola dei settori produttivi», nell’intervista che gentilmente ci ha concesso a ridosso dei festeggiamenti per il compleanno della “sua creatura”.

Lo scorso 20 settembre Lalineascritta ha soffiato sulle prime venticinque candeline. Cosa ha provato la sua ideatrice?

Una grande serenità, come quando fai tappa dopo una lunga navigazione: tanti scogli e molte tempeste superate, la sicurezza che ormai è davvero solo il viaggio che conta, non la meta, come ci dicevamo, senza capire veramente il senso di questa frase, da giovani. Ho la sensazione precisa di aver costruito un solido edificio, ora starà a chi lavora con me crescere e costruire con altrettanta forza.

Ho iniziato quando avevo ventitré anni, un’età in cui, senza forti pubblicazioni e in virtù dell’anagrafe, ci si potrebbe sentire insicuri: mi ha fatto emozionare una mia antichissima allieva, arrivata nei miei corsi quando ne avevo forse ventotto, oggi bravissima e apprezzata story editor della RAI, Viola Rispoli, che mi ha sussurrato all’orecchio “ero giovanissima e tu mi sembravi tanto grande ma, a pensarci adesso, anche tu eri tanto giovane”. Entrambe (Viola è stata una delle più talentuose che ho formato e i risultati si vedono) facevamo proprio quel per cui eravamo nate, le ho risposto.

Ed è questo il senso: aver inventato un metodo unico, quello che marchia tutti i corsi de Lalineascritta, puntando sul condividere con gli allievi le tappe del percorso creativo, affrontando blocchi, paure, indecisioni, rinunce, implementando le letture, soprattutto al di fuori di mode e standard editoriali, quindi curando una vera formazione della persona, in una direzione per di più interdisciplinare, poiché scrivere con profondità, con una voce autentica, significa conoscere letteratura, arte, teatro, cinema e anche il proprio corpo.

È stato bello rivedere, grazie ai contributi video e al materiale cartaceo di un tempo, gli albori delle lezioni, i libretti con i racconti dei partecipanti che erano ancora simili a delle fanzine, e poi i libri stampati dei corsi e degli allievi usciti con grandi editori.

È stato ancor più bello ricevere attestati di stima e affetto da scrittori ed editor che sono diventati anche cari amici ospitati negli anni da Lalineascritta: costruire una comunità, rivedere antichi allievi e i recenti, incontrare come ogni anno i nuovi regala un senso agli sforzi fatti, al lavoro svolto con passione.

Insegnare scrittura creativa per sostenere il talento. I 25 anni di Lalineascritta nell'intervista ad Antonella Cilento

I corsi di scrittura, i percorsi e i vari progetti portati avanti in questi anni sono stati molteplici e di ampio respiro ma lei, guardandosi indietro, ha qualche rimpianto?

Nessun rimpianto: faccio e ho fatto sempre esattamente quel che volevo e ora che uno staff di sette persone è al lavoro intorno al progetto de Lalineascritta è ancor più evidente che si possono realizzare i sogni: non ho rimpianti ma lamento deficienze strutturali. Chi vuol fare cultura in Italia deve confrontarsi con l’assenza di autentici investimenti in questo settore, che è alla fine la Cenerentola dei settori produttivi, con lobby e piccoli poteri, anche dei media, mentre in un laboratorio così come lo concepisce Lalineascritta di fatto si formano professionalità che trovano poi sbocco nel mondo dell’editoria e della cultura e, soprattutto, si formano lettori consapevoli, quindi cittadini in grado di pensare con acume, che sanno scrivere e leggere con competenza.

Dunque, ogni volta che l’interazione con politica, media e istituzioni ha mostrato il limite, e tanti purtroppo sarebbero gli esempi, mi sono rafforzata nella scelta di lavorare esclusivamente con le forze e il contributo dei partecipanti ai laboratori: sono loro a sostenere e a chiedere che il progetto prosegua, che la ricaduta su ormai migliaia e migliaia di persone di ogni età e in ogni regione d’Italia (e con i corsi in web conference dal vivo ormai anche in mezzo mondo, dall’Inghilterra al Giappone) produca ancora domande, curiosità, risponda a bisogni sostanziali e sostanziosi.

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Lei ha definito la scrittura un’arte che si apprende giocando a scrivere. Tutti possono imparare a scrivere. Ma chi può “imparare” a essere scrittore o scrittrice?

Il talento non si impara e non si insegna, ovviamente.

La ferita che porta ciascuno sulla pagina è misteriosa e personale.

Tuttavia, si insegna e si è sempre insegnato sin dall’antichità, come questo talento si sviluppi e si sostenga: occorre conoscere le tecniche, gli strumenti, i trucchi del mestiere e occorre impiantare un’autodisciplina, un allenamento, senza i quali anche il più talentuoso fa cilecca.

L’obiettivo è che ognuno cerchi la propria voce: del resto, basta leggere alcuni degli autori che abbiamo formato e che ora vanno per la loro strada, per accorgersi che le voci sono molto distinte e che rispondono di letture e domande differenti, da Giusi Marchetta a Rossella Milone, da Massimiliano Virgilio a Michele Di Palma, a tanti altri.

Si impara a usare bene quel che in potenza è in noi, ciò che brilla ma ancora non sappiamo se potrà avere una forma. Io stessa insegno apprendendo e apprendo insegnando: il mio lavoro è nato, come quello di mia sorella Iole Cilento per le arti visive, osservando il mio percorso creativo. Cosa facciamo, in che modo lo facciamo, in che trappole cadiamo, quali strategie inventiamo per uscire dal pericolo costituito da noi stessi man mano che scriviamo un racconto, un romanzo, una drammaturgia, una sceneggiatura, realizziamo un quadro o una scenografia, ecc…

Il metodo Lalineascritta consiste proprio nell’accompagnare, indirizzare, stimolare le arti nascoste o seppellite in noi: vale per i miei tre corsi di narrativa come per il corso di ludoscrittura condotto da Marco Alfano, Parole a manovella, per il corso di drammaturgia diretto da Stefania Bruno, In scena, o per il corso di editoria (fortunatissimo) condotto da Valentina Giannuzzi e Stefania Cantelmo, per i corsi di opera lirica e uso del segno e del colore, Una notte all’opera e L’immagine parlante, condotti da Iole Cilento e per il corso di improvvisazione teatrale che riprende quest’anno grazie a Paolo Oliveri del Castillo.

In tutti, con gli strumenti professionali di ogni singola espressione, si punta prima alla scoperta di sé, quindi alla conoscenza profonda e interdisciplinare, infine alla produzione professionale. E naturalmente, molti escono semplicemente lettori più forti, spettatori più consapevoli, fruitori competenti: formare il pubblico delle arti non è meno importante, anzi è la base del nostro lavoro.

Insegnare scrittura creativa per sostenere il talento. I 25 anni di Lalineascritta nell'intervista ad Antonella Cilento

Tra le nuove iniziative de Lalineascritta ci sarà il progetto “Il piatto dell’amicizia”. Di cosa si tratta?

La collaborazione assai felice con l’Accademia d’Ungheria di Roma e il suo attuale direttore, il professor Istvàn Pùskas, produrrà nel corso dell’anno diverse occasioni di parlare del rapporto fra la nostra letteratura e quella ungherese nel contesto europeo: “Il piatto dell’amicizia” è un evento dedicato alla grandissima Magda Szàbo, l’Elsa Morante ungherese, già amata in Italia grazie alle traduzioni Einaudi ma oggi in completa riscoperta e totale esplorazione grazie al prezioso lavoro di Anfora a Milano, la casa editrice abilmente condotta da Mònika Szilàgiy, che ci consente di leggere in nuova traduzione romanzi straordinari, da Per Elisa ad Abigàil, molti dei quali ancora in uscita.

Il centenario di Szàbo sta inseguendo eventi di celebrazione in tutt’Italia e tocca quindi anche Napoli, il giorno 1 novembre, al Cinema Hart, in partnership con Lalineascritta, dove il pubblico potrà sentire brani letti, trovare i libri, dialogare anche con l’attuale traduttrice, Vera Gheno, ascoltare il contributo di scrittrici, scrittori e critici e applaudire il film tratto dall’omonimo romanzo di Szàbo, La porta, da Istvàn Szàbo, il grande regista di Mephisto.

Se tutto andrà bene, questo “piatto dell’amicizia”, espressione ungherese citata nei romanzi di Szàbo che indica il piatto disponibile per ogni viandante che bussi alla nostra porta, stabilirà una importante novità per la decima edizione di Strane Coppie, quella del 2018, dove dialogheranno come ogni anno i grandi classici della letteratura mondiale fra Napoli, Milano, Verona e, speriamo, Roma, con grandi protagonisti della letteratura ungherese, che già conosce fortuna in Italia grazie all’amore dei lettori per Sàndor Màrai, ad esempio.

Salta all’occhio anche la partecipazione di Montesano e del suo Lettori selvaggi. Sembra scontato e banale ma in effetti non lo è. Imparare a scrivere ed educare alla lettura è un imperativo de Lalineascritta?

Non c’è dubbio: vogliamo formare lettori forti, curiosi e selvaggi.

Quando ormai sei anni fa iniziammo questo percorso chiedendo di fare lezione da noi a uno scrittore davvero importante e di livello europeo come Giuseppe Montesano, che oggi è un affettuoso e autentico amico de Lalineascritta, cercavamo proprio di precisare ancor di più lo spazio dedicato alla lettura, con le inevitabili ricadute sulla scrittura.

I Magnifici Sette, scherzoso omaggio a un cinema amato, di Giuseppe Montesano sono sette lezioni magistrali a cadenza mensile che raccontano grandi autori di ogni epoca e lingua. Quest’anno si va ad esempio da Saul Bellow a Balzac, da Shakespeare a Clarice Lispector, a Paolo Villaggio.

Ed è un grande onore che queste lezioni abbiano integrato e stimolato il lavoro che da dieci anni Montesano portava avanti e che si è concretizzato in quel capolavoro che è Lettori selvaggi, fresco vincitore del Premio Viareggio.

Permettersi il lusso di scrivere oggi libri così, portolani di lettura per lettori smarriti o desiderosi di mappe inconsuete, di punti di vista interni, verticali, non ovvi, è una ricchezza straordinaria: solo il meglio per i lettori de Lalineascritta (e anche per me, che quando ascolto queste lezioni mi concedo il lusso dopo tanti anni di tornare allieva: siamo sempre allievi).

Insegnare scrittura creativa per sostenere il talento. I 25 anni di Lalineascritta nell'intervista ad Antonella Cilento

Lalineascritta può vantare di essere la prima scuola di scrittura creativa del sud Italia. Cosa ha significato aprire un laboratorio come questo a Napoli?

La prima al Sud e fra le prime quattro o cinque in Italia ai tempi: anche se oggi le attività de Lalineascritta tendono a diventare sempre più nazionali, i corsi di base si svolgono ancora tutta la settimana a Napoli e raccolgono utenza da molte regioni vicine e da alcune lontane.

Napoli è sempre un ostacolo e uno stimolo: l’umanità che scorre nei laboratori è vivace e potente, l’umanità che governa o vive nella città tende a ignorare, sacrificare, distruggere i propri figli. È una storia antica, che non inizia e non termina con noi: un grande spreco di potenzialità.

Dunque, lavorare qui chiede muscoli e intelligenza e molta, molta, molta pazienza: ma siamo sempre nella città con la più antica e ricca letteratura in lingua d’Europa. E nei racconti e nei romanzi degli allievi si vede, lo notano sempre anche gli editor ospiti e amici, come Antonio Franchini, Giulia Ichino, Laura Bosio, Manuela La Ferla e, da quest’anno, anche Alberto Rollo. Una fucina e un mattatoio: si lavora e si crea sul pericoloso filo teso sul vulcano.

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© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Lisario o il piacere infinito delle donne” (Mondadori, 2014). Intervista a Cilento Antonella

22 mercoledì Ott 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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AntonellaCilento, intervista, Lalineascritta, Lisario, Mondadori, romanzo

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Antonella Cilento è scrittrice e presidente dell’Ass. Cult. Aldebaran Park per la quale ha ideato e conduce il Laboratorio di Scrittura Creativa Lalineascritta dal 1993 (www.lalineascritta.it). È autrice di tredici libri, fra romanzi, racconti e pamphlet (fra questi: Il cielo capovolto, Una lunga notte, Neronapoletano, L’amore, quello vero, Asino chi legge, Isole senza mare, Napoli sul mare luccica, Non è il paradiso) è tradotta in numerosi paesi, ha collaborato con riviste e quotidiani nazionali, da quattordici anni con Il Mattino di Napoli. Ha realizzato per RAI RadioTre trasmissioni e racconti radiofonici, scrive da sempre per il teatro. Il suo romanzo “Lisario o il piacere infinito delle donne” (Mondadori) è stato finalista al Premio Strega 2014 e vincitore del Premio Boccaccio 2014.

Lisario è senza dubbio alcuno un modo particolare di raccontare l’universo femminile, la sessualità e la perversione. Velatamente provocatorio?

Un buon romanzo, diceva Kafka, dovrebbe essere come l’ascia che taglia il ghiaccio della nostra vita. Dunque quando mi metto a scrivere non è la provocazione che m’interessa, quella che oggi abbonda nelle nostre televisioni e anche, purtroppo, nella nostra letteratura, quanto l’efficacia narrativa, l’estetica che la pagina mette in campo. Tuttavia, può esserci ancora qualche lettore che consideri il piacere femminile e la sua narrazione come un atto di provocazione: Lisario Morales, che è la protagonista del romanzo, è in realtà una giovanissima spagnola priva, come tutte le donne del suo tempo, di ogni libertà e che, per di più, ha perso l’uso della parola a causa di un’operazione malriuscita, parola che, in ogni caso, le era vietata in quanto femmina. Scopre allora che per prevenire scelte che non abbraccia può usare il suo corpo, antico espediente delle donne, per evitarsi esperienze indesiderate: si addormenta a comando. La sua narcolessia volontaria dura anche mesi, come alla Bella addormentata delle fiabe. Peccato che a risvegliarla non ci sia il principe azzurro ma un medico cialtrone venuto dalla Spagna per rifarsi una carriera, Avicente Iguelmano. Ed è Iguelmano che, non sapendo dove mettere le mani, le mette nel posto sbagliato: la scoperta che il piacere risveglia Lisario invece di renderlo felice lo mette in sospetto. Non sarà che queste donne provano piacere anche senza l’uomo? E qual è il loro segreto? Ne diventa ossessionato, usa Lisario come oggetto di esperimenti scientifici ante litteram: è un voyeur, come gran parte del pubblico occidentale, ed è un paranoico. Lisario, con la sua complessa storia: avventurosa, comica, erotica e teatralmente barocca, è in fondo un paradosso che parla di noi, del nostro tempo e della libertà delle donne acquistata con fatica – e mai completamente – sul proprio corpo, da millenni asservito a necessità sociali maschili, religiose e laiche.

È un libro dove si fonde passato e presente. Storia e ambientazione seicentesca e registro narrativo contemporaneo; atteggiamenti antichi e ostentazioni moderne. Lo possiamo interpretare come una considerazione della circolarità del mondo e delle sue storie?

Non c’è dubbio che le storie si ripetano, spesso senza novità di rilievo, da un secolo all’altro ma questo accade non solo perché i nuclei dell’esperienza umana non variano ma anche perché i personaggi migrano come protagonisti esemplari da un tempo al successivo: l’arte è indiscutibilmente circolare e torna, rinnovandoli, sui suoi miti, che sono tali proprio perché descrivono intimamente il cuore umano. Così, Lisario è un romanzo ambientato fra il 1640 e la fine del XVII secolo, in piena rivolta di Masaniello, a Napoli e sotto il governo spagnolo, ma la sua ‘bella addormentata’ e i conflitti che le si svolgono intorno potrebbero accadere oggi o ripetersi in altri secoli. Del resto, è stato fatto notare durante una delle prime presentazioni del romanzo, Lisario è una cugina della protagonista del cunto di Giovan Battista Basile, Sole, Luna e Talia, che morta resta incinta e da morta partorisce due figli: forse che Basile non ha allucinazioni anticipatorie e la fantasia barocca non parla dei nostri ospedali dove partorire in coma è cosa ormai abituale?

Co-protagonista d’eccezione Napoli. La tua città ma anche la regina assoluta degli agglomerati urbani. Quanto ha inciso la perla partenopea sulla storia di Lisario?

La Napoli in cui il romanzo è ambientato è al massimo del suo splendore e delle sue contraddizioni: una bella addormentata come Lisario non poteva che abitare nella città più grande e prolifica d’Europa, più grande di Madrid che era al momento la sua capitale, e di Londra e di Parigi, in piena esplosione edilizia, con la maggiore presenza di pittori e botteghe in Italia, dove stava nascendo la musica moderna grazie a cinque conservatori capaci di produrre un’autentica industria culturale, abitata dai maggiori poeti del tempo, basti citare Marino, e, insieme, bersagliata dalle tasse, in continua rivolta, afflitta da ogni male legato alla delinquenza e alla sovrappopolazione. Questa città non può mai arrendersi a fare da sfondo e di sicuro è una co-protagonista del romanzo di non scarso rilievo, insieme a Lisario, Avicente, Michael de Sweerts e Jacques Israel Colmar.

Ogni premio ha la sua valenza ma lo Strega lascia tutti un po’ col fiato sospeso. Che sensazione hai provato nell’esserne finalista quest’anno?

Mi è sembrato un grande riconoscimento, specie da parte dell’editore, sostenere il libro nella più discussa delle kermesse culturali. Ho vissuto l’entusiasmo e la soddisfazione di chi mi ha sostenuto e sorretto nello sforzo, perché, al di là dell’emozione, è una bella fatica fisica star dietro al Premio. Sono molto grata alla Fondazione Bellonci e non meno grata, anche, al Premio Boccaccio presieduto da Sergio Zavoli. Un anno pieno di ritorni felici, dopo oltre vent’anni di scritture e tredici libri.

 

http://liberidiscrivereblog.wordpress.com/2014/10/21/un-intervista-con-antonella-cilento-a-cura-di-irma-loredana-galgano/

© 2014 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Antonella Cilento: quando la scrittura diventa più di un mestiere

21 martedì Gen 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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AntonellaCilento, intervista, Lalineascritta

Antonella Cilento

Antonella Cilento è riuscita a trasformare la sua più grande passione in un lavoro e non si è fermata, è andata oltre facendola diventare una sorta di missione. Alla scrittura narrativa (a marzo 2014 uscirà il suo nuovo romanzo, Urgenti notizie della notte, pubblicato da Mondadori) e teatrale, affianca la produzione saggistica e manualistica (ancora nel 2014 è prevista l’uscita del Bestiario napoletano per i tipi di Laterza). In tutte le sue opere comunque, siano esse a carattere letterario o divulgativo, imprime il marchio della sua conoscenza e peculiarità: una grande passione per la parola scritta, foriera di cultura e dottrina, un grande rispetto per l’arte in tutte le sue forme e una grandissima voglia di continuare a crescere, culturalmente parlando.

Dalla sua caparbia determinazione nasce, nel 1993, Lalineascritta, una delle più antiche scuole di scrittura italiane, che organizza, sempre con la supervisione e partecipazione attiva della stessa Cilento, corsi annuali, stage residenziali in varie località italiane, corsi di formazione per aspiranti scrittori, per studenti e per docenti, incontri con scrittori, poeti ed editor, corsi di formazione online, convegni, rassegne d’autore e incontri di lettura. Vent’anni di frenetica e instancabile attività che deve per forza di cose aver lasciato il segno.

Passare dalla scrittura per sé alla narrazione. Quanto difficile trovi questo passaggio?
Il passaggio è naturale se si è predisposti a scrivere, ovvero se si usa la scrittura come strumento di trasfigurazione: allora hai bisogno di comunicare con altri a un livello che l’oralità non può risolvere. In altre parole, tutti scriviamo per essere letti, ma una gran parte delle persone, per timore di esporsi, di sentirsi giudicati o di giudicarsi, si accontenta di scrivere solo per sé. L’aspirazione è in tutti; non tutti riescono poiché è un’operazione che richiede impegno, continuità, nudità e insieme controllo. Personalmente ho sempre tenuto ben distinte e attive queste due parti della creazione: scrivo per me tutti i giorni sin da bambina, quaderni su quaderni, dove non ho affatto l’obiettivo di costruire un racconto, una storia, ma solo di appuntare sogni, pensieri, elenchi di cose, situazioni cui assisto, esercizi che svolgo con gli allievi durante le lezioni o che svolgo come autodisciplina tutti i giorni, per mio conto. Quaderni arruffati, disegnati, istoriati in certi casi… Poi, da lì, ogni tanto, quando un’idea è veramente pronta, parto per la scrittura narrativa, quella che andrà al pubblico. Per un lungo periodo l’idea buona viene coltivata sugli stessi quaderni, insieme al concime e alle erbacce e poi, a un certo punto, quando il quaderno è saturo, inizio a riportarla sul computer, ma continuo a lavorarla sia a mano sia sul pc. Quindi so sempre quando scrivo per me, faccio lallazioni, come i neonati che imparano a parlare, rilasso lo strumento e quando, invece, faccio partire la storia che poi, arrivata a un certo peso, invade tutto, ingloba tutto, mi schiavizza e, finché non è finita, mi impedisce anche solo di bere un tè senza che anche quella bevanda finisca nel romanzo: una specie di filiera industriale, una macchina da guerra che valuta ogni frammento di vissuto per vedere se è utile o meno alla costruzione che sto edificando.

E con quale grado di difficoltà viene appreso dai tuoi studenti il passaggio dalla scrittura per sé alla narrazione per gli altri?
Sempre con molta difficoltà. È il problema di fondo, quello iniziale. C’è chi viene con l’idea che non vuole più scrivere nulla di sé. Abbasso l’autobiografia. Solo che senza quella fonte noi non possiamo scrivere, il difficile è usarla e non farsi usare dalla vita. Altri, invece, desiderano scrivere di sé e per sé, lo dichiarano, salvo poi mostrare attitudini alla scrittura pubblica… Il difficile, però, è far tenere loro una disciplina interna e separare al setaccio quel che si sente confusamente ogni giorno da ciò che va scritto per essere letto. Alcuni smettono dopo un po’, quando si sentono sicuri, di scrivere per sé e questo quasi sempre aumenta la loro ansia di prestazione: una trappola feroce. È come voler organizzare grandi cene senza pulire mai la cucina. Bisogna fare manutenzione per eventi eccezionali, ma non si può vivere solo nell’eccezionalità.

Hai girato l’Italia in lungo e in largo, visitando luoghi, incontrando persone, cosa ti hanno dato e cosa pensi di aver dato tu a loro?
Ho viaggiato molto in questi vent’anni di insegnamento di scrittura, ma sono anche stata tanto a casa e avverto sempre più il bisogno di stare a casa, dentro di me, con me, senza altre persone. Ho ricevuto e ricevo dai miei corsisti, da chi è diventato mio amico, da chi per un periodo lo è stato e ora non lo è più, dai conoscenti occasionali e dai rapporti occasionali e casuali che sono diventati solidi e inossidabili, moltissimo. Insegnare restituisce insegnamento. So anche che ho dato molto, spesso troppo, sono stata una dissipatrice delle mie conoscenze e delle mie forze e mi auguro che chi ha ricevuto ne faccia almeno tesoro. Ora misuro meglio cosa e a chi dare.

Lalineascritta è una vera e proprio officina della scrittura e una fucina per aspiranti scrittori e non, cosa vorresti dire a coloro che ritengono inutili i laboratori come il tuo? Di solito chi lo dice non ha mai provato un corso, non sa di cosa si sta parlando.
Ci sarà sempre chi ritiene inutile l’accademia per i pittori o gli scultori, il Conservatorio per i musicisti, la scuola di danza per i danzatori… L’umanità cerca scorciatoie da sempre e così si può immaginare di saper fare senza ricevere insegnamenti. Anche chi è molto dotato, anche chi ha letto molto (e sono sempre di meno, purtroppo, nonostante sia la dote di fondo) ha bisogno di una guida più esperta per poi fare a modo proprio, non c’è niente di strano.

Antonella Cilento

Nella tua ormai ventennale esperienza hai maturato un ricordo che ti è rimasto particolarmente caro?

I ricordi cari sono tanti: l’entusiasmo dell’aula, un passaggio faticosamente compreso da qualcuno; applaudire corsisti che finalmente hanno trovato una buona storia e la voce per raccontarla; l’affetto di chi segue da molto tempo e ti circonda d’amore, regalini, si interessa a te anche come persona oltre che come insegnante… È un mondo vasto e dolce che è difficile sintetizzare. È stata bella la festa per il ventesimo anno di Lalineascritta, dove chi non suonava da tempo è tornato a suonare, chi non vedevo da anni è venuto a salutare, chi era ragazzino o ragazzina quando seguiva torna con un lavoro, il pancione, notizie…

E un ricordo che vorresti cancellare?
L’ingratitudine. Quasi sempre è unita all’arroganza, alla vanità, ma la vita poi presenta il conto a chi di dovere…

Che cosa ci riserva Lalineascritta per il prossimo futuro?
Come sempre molte attività: la ripresa dei corsi da gennaio sui tre livelli differenziati, sempre molto seguiti, dove sono attesi editor di grandi case editrici, e dove si lavora a tempo pieno sulle scritture dei partecipanti; i corsi online che vanno veramente bene grazie alle videoconferenze che rendono le lezioni praticamente dal vivo anche per chi è lontano o ha problemi di orario. Il prossimo video-corso che parte s’intitola L’acqua che dorme e affronterà i blocchi che affliggono chi vuole scrivere ma si vergogna, si giudica, non trova tempo, pensa che scriverà solo quando sarà perfetto o che lo farà quando avrà abbastanza soldi, che inizia ma non riesce a proseguire… E poi le attività aperte al pubblico e rivolte ai napoletani e non solo, come Strane Coppie; dibattiti intorno ai grandi classici europei svolti in collaborazione con gli istituti di cultura straniera, giunti alla sesta edizione. Quest’anno il tema è Pictura/Poesis, quindi non solo confronti fra romanzi ma fra romanzi e dipinti, grandi scrittori e grandi pittori. Partecipano all’iniziativa il Goethe Institut, l’Instituto Cervantes, la Biblioteca Nazionale di Napoli e La Feltrinelli. E poi ancora stages, workshop, attività assortite…

E la penna di Antonella cosa ci regalerà per il nuovo anno?
Si attende l’uscita del suo nuovo romanzo a marzo, Urgenti notizie della notte, per Mondadori, dove sono stata accolta con straordinario affetto e di questo sono gratissima ad Antonio Franchini e Giulia Ichino. È un libro cui tengo molto, un grande affresco e al tempo stesso una storia molto femminile che, pur essendo ambientata nel Seicento, parla di oggi: della violenza sulle donne, della dipendenza dal sesso, dell’omofobia, del corpo e del potere e di un vecchio tabù, la masturbazione femminile. Un feuilleton e un romanzo storico e, insieme, nessuna di queste due cose. Poi, a fine anno, credo prima di Natale 2014, uscirà anche un Bestiario napoletano, per Laterza. Un anno molto letterario.

Per la Cilento insegnare restituisce insegnamento. Imparare mentre si insegna dovrebbe essere l’imperativo di tutti i docenti, in maniera tale da restituire alla conoscenza la giusta prospettiva con cui osservarla… una conoscenza “senza limiti”.

http://www.sulromanzo.it/blog/antonella-cilento-quando-la-scrittura-diventa-piu-di-un-mestiere

© 2014 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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