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Irma Loredana Galgano

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“L’ultimo salto del canguro” di Paolo Vanacore (Castelvecchi, 2017)

17 mercoledì Gen 2018

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Castelvecchi, Lultimosaltodelcanguro, omosessualità, PaoloVanacore, recensione, romanzo

Uscito in prima edizione con Castelvecchi Editore a luglio 2017, L’ultimo salto del canguro di Paolo Vanacore è un testo molto originale, non tanto nella forma quanto nel contenuto. Mente e pensieri raccontati attraverso i piccoli gesti quotidiani, il lavoro, le riunioni famigliari, gli amori, i tradimenti, le passioni… il tutto condito con una pungente ironia e un crudo realismo che contribuiscono a rendere l’insieme una gradevole lettura, un’amara riflessione, un’acuta eredità letteraria.

La prefazione, curata da Andrea Carraro, prepara il lettore a quanto ritroverà poi nel testo. Una storia nella quale i protagonisti “recitano a soggetto”, per così dire, “all’insaputa degli altri”. Una storia raccontata solo in apparenza con un linguaggio semplice. Un libro caratterizzato invece da uno stile narrativo proprio della formazione professionale dell’autore, che è anche autore e regista teatrale. Spiccano infatti i dialoghi e la loro incisività, passaggi che invece rappresentano spesso incognite o delusioni nei testi di narrativa.

Una storia raccontata al lettore dallo stesso protagonista, Edo, che enfatizza con molta auto-ironia i propri “disastri” amorosi. Auto-ironia e riservatezza che forse sono solo tentativi di difesa dai pregiudizi degli altri, soprattutto quando sono “vicini” e provengono da amici e parenti.

Edo è cresciuto a Roma, come l’autore, in una città che insegna presto a guardare al mondo senza troppe illusioni. Lavora al Bioparco. Ogni giorno attraversa la giungla cittadina prima e quella animale poi osservandole entrambe, riflettendo sui comportamenti umani e su quelli animali, sorridendo e facendo sorridere il lettore con argute considerazioni, spiritose meditazioni e una piccante ironia.

Source: Si ringrazia l’addetta stampa per la disponibilità e il materiale

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Il romanzo che l’autore non voleva scrivere: “Piano americano” di Antonio Paolacci (Morellini Editore, 2017)

La ‘surreale’ realtà raccontata da Giulio Perrone in “Consigli pratici per uccidere mia suocera” (Rizzoli, 2017)

Esiste una realtà che dipende solo da noi? “Io e Henry” di Giuliano Pesce (Marcos y Marcos, 2016)

Quando la fantasia racconta la realtà: “Appalermo Appalermo” di Carlo Loforti (Baldini&Castoldi, 2016)

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Musica e parole in “Un accordo maggiore in sottofondo” di Ugo Cirilli

14 domenica Gen 2018

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recensione, romanzo, UgoCirilli, Unaccordomaggioreinsottofondo

Auto-pubblicazione dello stesso autore, Un accordo maggiore in sottofondo di Ugo Cirilli è un testo che si presenta al lettore con un incipit alquanto originale. ‘Scritto’ direttamente dal protagonista, descrive al lettore, in pochi ma chiari passaggi, cosa aspettarsi dal libro.

Un inizio che spiazza il lettore, il quale si aspettava un classico cappello introduttivo dell’autore o una prefazione curata per suo conto. Invece si ritrova a leggere un capitolo ‘zero’ molto breve e ben costruito che incuriosisce e invoglia a continuare la lettura.

Il protagonista annuncia al lettore l’imminente lettura del suo diario ma, in realtà, la struttura del libro se ne distanzia parecchio. Un accordo maggiore in sottofondo è una sorta di romanzo tra il biografico e di formazione sicuramente non scritto nella forma di diario classicamente intesa. Un romanzo in cui l’io narrante è lo stesso protagonista.

Pur non essendo un ‘classico’ diario il racconto rimane comunque molto intimistico, con il narratore che si pone e si vede sempre come il centro della storia narrata e di tutto il suo mondo. Una vicenda al limite del rocambolesco che dà anche numerosi spunti di riflessione sul precario mondo dello show business e music industry gravato e aggravato dalla presenza della Rete, dei social, dai reality, dei siti di condivisione di video e musica. Nuovi trampolini sempre più acrobatici quanto rischiosi perché al salto in alto dello slancio iniziale spesso segue una vorticosa discesa, veloce e inesorabile.

Il link e i codici QR presenti nel testo per dare al lettore la possibilità di ascoltare la musica ‘in diretta’ e in contemporanea con il protagonista lasciano un po’ spiazzati e potrebbero rappresentare un serio rischio di calo di interesse in chi legge. Forse ritrovarli tutti alla fine del testo avrebbe anche potuto attrarre il lettore, il quale magari, dopo essersi appassionato a leggere la singolare biografia dell’artista/musicista protagonista, ne avrebbe anche voluto conoscere e ascoltare il suono e la musica. Ma interrompere il racconto con un’immissione così estemporanea è un grosso rischio, anche per il fatto che il lettore, ascoltando il brano, è improbabile senta e percepisca le medesime emozioni che l’io narrante dischiara di aver provato scrivendo e ascoltando quel determinato brano musicale. In un testo di narrativa il lettore avrebbe di gran lunga preferito ritrovare quelle sensazioni descritte con il solo impiego delle parole.

Un libro, Un accordo maggiore in sottofondo, nel quale l’io narrante/protagonista Stefano racconta la sua vita e ci mette dentro tutte le sue esperienze, un testo che sembra raccogliere anche molte delle personali esperienze dello stesso autore, Ugo Cirilli. Un libro con un buon margine di miglioramento ma comunque gradevole e interessante.

Ugo Cirilli: Nato a Pietrasanta (Lucca), consegue la Laurea in Psicologia Cognitiva Applicata. Si forma tra esperienze nel settore della comunicazione e live come chitarrista di band, mantenendo costante l’interesse per l’arte dello scrivere.

Source: Si ringrazia l’autore Ugo Cirilli per la disponibilità e il materiale 

Disclosure: copyright 1° immagine: “Ludwig van Beethoven”, ritratto William Girometti 1974; 2° immagine “Natura morta con strumenti musicali”, Evaristo Baschenis XVII secolo

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

È la fine del ‘sogno americano’? “Trump” di Sergio Romano (Longanesi, 2017)

09 martedì Gen 2018

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Longanesi, monocolooccidentale, recensione, saggio, SergioRomano, Trump

“Trump” di Sergio Romano: è la fine del sogno americano?

Uscito con Longanesi, il saggio di Sergio Romano Trump e la fine dell’american dream sembra raccontare in realtà la fine delle speranze che il mondo occidentale per intero ha riposto nella più grande potenza mai esistita che non dei sogni degli stessi americani, da sempre parti opposte di una nazione al contempo «puritana e liberale, bigotta e spregiudicata, isolazionista e internazionalista, protezionista e liberoscambista».

Si è liberi di pensarla come si vuole ma resta il fatto che il neo-presidente degli Stati Uniti d’America è stato democraticamente eletto con un’elezione in cui a premiarlo è stato proprio l’elettorato, ovvero la parte reale dell’America, disseminata nei cinquanta stati tra praterie, deserti, città e campagne, centri e periferie… non solo geograficamente ma anche socio-culturalmente parlando. I suoi elettori lo hanno votato perché le sue dichiarazioni e le sue promesse «erano esattamente quelle che volevano sentire dal loro presidente».

Il saggio di Romano è una sorta di biografia non autorizzata di Donald Trump come personaggio pubblico attratto dalla politica, anche se restatone formalmente fuori fino al momento della candidatura a presidente. Un libro che ripercorre le tappe che lo hanno portato a diventare prima molto ricco poi molto famoso, poi ancora, credibile agli occhi di una gran fetta degli americani, visti i risultati delle elezioni presidenziali. La parte più interessante del testo, comunque, risulta essere Un proscritto europeo nel quale l’autore elenca una serie di «domande che gli europei dovrebbero fare a se stessi». Ad esempio la prima chiede se sia «ancora utile affidare la propria sicurezza a un consorzio militare in cui il principale socio è, dallo scorso novembre, un personaggio contraddittorio, stravagante e imprevedibile».

“Trump” di Sergio Romano: è la fine del sogno americano?

Interrogativi che, in realtà, bisognava porsi da tempo per eventi e situazioni che con Trump hanno trovato un più ampio margine di dibattito ed estensione ma che prima non erano di certo del tutto assenti. Romano stesso ammette che «esiste una stampa che ha rinunciato a qualsiasi pretesa di obiettività per scalzarlo dal potere», la medesima che in altri punti del libro definisce “la migliore americana”. Mezzi di informazione che hanno inevitabilmente influenzato gli altri nel resto del mondo. È lecito raccontare malefatte e cattive intenzioni ma quando si perde di obiettività non è mai un buon segno per la qualità e la credibilità stessa dell’informazione.

Alcuni esempi.

  • La notizia più clamorosa del viaggio di Trump in Arabia Saudita fu la firma di impegni per la fornitura al Regno dei Saud di armi per la somma di 110 miliardi di dollari. Per correttezza andava sottolineato che «erano trattative avanzate durante la presidenza di Obama». Immediatamente divennero «un tassello della politica estera che il nuovo presidente avrebbe fatto nella regione». Se la trattativa si fosse conclusa durante la presidenza Obama avrebbe ingenerato lo stesso clamore mediatico?
  • Grande eco ha suscitato anche la dichiarazione del presidente Trump di voler costruire un muro lungo la frontiera messicana per fermare gli ingressi irregolari. Poco risalto venne invece dato alla precisazione che, in realtà, il muro esisteva già dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Una sequenza di muri e recinti, fari e sensori. Trump voleva solo «che la cinta fosse completata a spese del Messico».

LEGGI ANCHE – “Gli attentati di Parigi sono il contrattacco dell’ISIS”, intervista a Sergio Romano

“Trump” di Sergio Romano: è la fine del sogno americano?

Il saggio di Romano si presenta al lettore come un lungo articolo di giornale, un reportage di dati e fatti in cui spesso l’autore inserisce, come in un’antica tragedia, i suoi personali cori. Opinioni e considerazioni espresse secondo il suo personale gusto e la sua esperienza o formazione. Nella quasi totalità in opposizione alla figura, all’operato e alle dichiarazioni del presidente Trump.

Un saggio, Trump e la fine dell’american dream di Sergio Romano, che si rivela molto interessante soprattutto per le conclusioni cui l’autore giunge e vuol far giungere il lettore ne Un proscritto europeo. Nella volontà di guardare e far guardare oltre gli eventi e le semplici dichiarazioni, oltre l’informazione o la disinformazione. Nella speranza di raggiungere e coltivare un più elevato spirito critico, arma necessaria per contrastare l’avanzata non solo di singoli personaggi ambigui ma di intere potenze e organizzazioni.


Per la prima foto, copyright: Samantha Sophia.


Articolo originale qui 

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“Veleno nelle gole” di Simona Barba e Gisella Orsini (Riccardo Condò Editore, 2016)

09 martedì Gen 2018

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GisellaOrsini, mafia, paura, racconto, recensione, RiccardoCondoEditore, SimonaBarba, Velenonellegole

Anni ’70. Un incidente nello stabilimento industriale dove lavora come chimico e altri avvenimenti drammatici travolgeranno la vita di Lorenzo, che non riuscirà più a placare il suo bisogno di giustizia e di conoscenza. Una verità scomoda lo porterà a scontrarsi con la complicità silente di una cittadinanza che, di fronte al rischio della perdita di lavoro, sceglierà di rinunciare persino alla salute. Una lunga lotta contro un mondo avviato verso lo sviluppo a tutti i costi…

Un tuffo nel passato, un salto indietro nel tempo di quasi cinquant’anni per presentare al lettore uno spaccato dell’Italia in pieno boom economico, nel clou di quello che veniva indicato come un vero e proprio miracolo in un Paese da poco uscito devastato da ben due conflitti mondiali e in piena ripresa… almeno così si credeva. C’è sempre un prezzo da pagare, per tutto, e quello che simbolicamente hanno pagato i protagonisti della fiction nata dalla fantasia di Simona Barba e Gisella Orsini corrisponde a quello pagato realmente da tutti gli italiani.

Pubblicato nel 2016 con Riccardo Condò Editore, Veleno nelle gole è un libro che, se letto nella giusta prospettiva, fa letteralmente mancare il respiro in chi legge perché, se è vero che la storia è di pura fantasia, sappiamo anche che la realtà troppo spesso la supera questa fantasia. Purtroppo.

Veleno nelle gole è un testo breve con una scrittura lenta, cadenzata sui ritmi di piccole comunità, il cui tempo è scandito dalle sirene della fabbrica, dal suono delle campane, dal peso dei ricordi e dalle incertezze per il futuro. Un libro la cui storia è fiction, frutto della fantasia delle autrici, ma il cui nudo realismo è una cartina tornasole indirizzata verso chi ancora finge di non sapere, di non capire e tenta di nascondere la verità, come polvere sotto il tappeto, come rifiuti nei campi, lungo gli argini dei fiumi, sotto i piloni dei ponti che creano le lunghe vie di comunicazione che hanno finito per far diventare gli angoli del nostro Paese non solo e non tanto più vicini, quanto, solamente, più uguali, simili, soprattutto nel male.

Un libro breve, Veleno nelle gole di Simona Barba e Gisella Orsini, ben scritto e interessante, carico di significati e risvolti interessanti. Un libro da leggere.

Simona Barba: nata a Pescara, ha compiuto studi classici e successivamente conseguito la Laurea in Architettura presso l’Università degli studi di Firenze. Iscritta all’Ordine degli Architetti di Pescara, impegnata nel settore automotive. Autrice di numerosi racconti brevi.

Gisella Orsini: Nata a Ginevra, ha conseguito la Laurea in Filosofia presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti. Atleta professionista per l’atletica leggera. Ha partecipato a varie esperienze di laboratori teatrali e seguito corsi di sceneggiatura.


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Articolo originale qui

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Riflettori puntati sul mondo della finanza in “Fine dell’oblio” di L.K. Brass

25 lunedì Dic 2017

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Finedelloblio, IldealdellApocalisse, ImercantidellApocalisse, LkBrass, NWO, ordinemondiale, paura, recensione, romanzo, thriller

Continua la saga de Il deal dell’Apocalisse di L.K. Brass che con Fine dell’oblio aggiunge un altro capitolo alle avventure di Daniel e Anna, sempre impegnati nella loro crociata contro le ingiuste e occulte operazioni della finanza internazionale.

Troveranno nuovi compagni di viaggio che sono in realtà presenze del loro passato e, in contemporanea, dovranno, ancora una volta, dire addio ad affetti e amori. Un’esistenza straziante la loro, votata a combattere nemici tanto ‘invisibili’ quanto crudeli la cui unica fede è il denaro che porta al successo, che conduce al potere.

In Fine dell’oblio L.K. Brass si è divertito a inserire un lungo prologo e un paio di capitoli iniziali che, se pur necessari al compimento della storia, ritardano il reincontro del lettore con i protagonisti lasciati ne I mercanti dell’Apocalisse e le loro adrenaliniche vicende. A partire dal terzo capitolo però il lettore viene ricompensato e riesce a ‘inserirsi’ appieno nella vicenda narrata, a seguirla con interesse crescente e sperare di ritrovarla ancora nel prossimo libro.

In teoria la vicenda di Daniel Martin e Anna Laine potrebbe aver trovato la sua conclusione in maniera esaustiva anche con un minor numero di pagine e di libri ma quello portato avanti dall’autore sembra essere un progetto di più ampio respiro, nel quale le vicissitudini dei protagonisti ne costituiscono solo una parte. La capacità maggiore di scrittura di L.K. Brass risiede infatti nella volontà di raccontare ciò che in letteratura e al cinema viene sempre presentato come fantascientifico per quello che in realtà è, e di farlo anche molto bene. Azioni e operazioni che hanno luogo ogni giorno nel mondo reale come in quello surreale della finanza. E presentarlo come un vero problema, anche qualora la storia da lui narrata sia tutto frutto di fantasia.

Raccontare il danno causato all’economia reale dalle manipolazioni dei mercati finanziari. «Pensa alla mamma che stringe la sua bimba che si sta spegnendo per la fame, perché la farina ha raggiunto prezzi che lei non può pagare. Pensa ai bambini di Atene che arrivano a casa la sera e scoprono che i genitori si sono suicidati perché hanno perso tutto. Pensa se questo si moltiplicasse non due, non dieci, ma cento o mille volte»… Pensiamo che la moltiplicazione è già in atto, purtroppo. Bisogna pensarci, agire e risalire alla «fonte del danno».

L.K. Brass conferma con Fine dell’oblio la sua capacità di inventare storie interessanti e coinvolgenti, di raccontare il lato oscuro della finanza internazionale in maniera da renderlo comprensibile e accessibile a tutti, di denunciare i mali del mondo e di farlo in maniera ineccepibile creando libri assolutamente da leggere.


Source: Si ringrazia l’autore L.K. Brass per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte trama libro quarta di copertina; fonte biografia sito personale dell’autore

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Recensione a “I mercanti dell’Apocalisse” di L.K. Brass (Giunti, 2016)

“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016)

“Sono i deboli le prime vittime dell’evasione fiscale”. Intervista a Angelo Mincuzzi


Articolo disponibile anche qui

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Il ‘maledettismo’ letterario tra ottocento e novecento in “Una tranquilla repubblica libresca” di Dario Pontuale (Edizioni Ensemble, 2017)

21 giovedì Dic 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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DarioPontuale, Ensemble, recensione, saggio, scrittori, Unatranquillarepubblicalibresca

Cosa accomuna autori apparentemente lontani tra loro? Qual è il filo invisibile che lega le opere e la ‘ribellione’ degli autori ‘maledetti’?

Domande queste che, forse, hanno incuriosito più di uno studioso del prolifico periodo letterario a cavallo tra ottocento e novecento, ricco di cambiamenti e contraddizioni che rispecchiavano i sussulti storici e sociali a cui assistevano, operosi o inermi, letterati e illetterati. Si potrebbe partire proprio da questo per analizzare e comprendere la reale portata del cambiamento in atto in quel periodo, che ha determinato tutte le susseguenti innovazioni. La letteratura perde il suo carattere aulico e diventa, come l’istruzione e la cultura in generale, produzione di massa e mezzo di conoscenza e diffusione dei malesseri e delle ribellioni di intere generazioni di artisti ‘maledetti’ perché in contrasto e in opposizione al sistema precostituito, nella società come nell’arte. E questo sembra essere stato il percorso seguito da Dario Pontuale nella sua ricerca tra le opere e il pensiero degli autori che maggiormente, a suo discernimento, hanno incarnato il malessere dell’epoca.

 

Uscito in prima edizione a giugno 2017 con le Edizioni Ensemble, Una tranquilla repubblica libresca. Incroci letterari tra ottocento e novecento si presenta al lettore come un dettagliato resoconto delle scoperte letterarie frutto delle assidue ricerche bio-bibliografiche di Dario Pontuale su autori, artisti e musicisti anche lontani tra loro, in apparenza. Arrigo Boito, Emilio Salgari, Italo Svevo, Fernando Pessoa, Renato Serra, Italo Calvino, Dino Buzzati, Leonardo Sciascia… tutti studiati nell’ottica del «deflagrante pensiero del maledettismo», un universo rinsaldato da «una comune insofferenza per gli ipocriti costumi borghesi». Un’aspra lotta tra artisti e società, «un conflitto inedito fino ad allora nel panorama nostrano». Una ‘ribellione’ che ha come obiettivo la «autonomia dell’arte», una delle «virtù principali» che, unitamente a bellezza e natura, sembravano già allora irrimediabilmente compromesse dalla «industrializzazione imperante».

È trascorso oltre un secolo dalle lotte degli artisti della Bohème e della Scapigliatura, tante cose sono cambiate, il mondo stesso lo è, eppure i problemi che devono affrontare quotidianamente le persone e i malesseri raccontati dagli artisti nelle proprie opere sembrano essere immutati, o solo peggiorati.

 

Un lavoro, quello portato avanti da Pontuale, che può essere definito di investigazione letteraria. Come un autentico segugio infatti l’autore studia testi di letteratura e critica e ne assimila a fondo i contenuti, ricollocandoli poi nella composizione della sua opera, incastrandoli alla perfezione come tessere di un puzzle. Un modo nuovo di ‘raccontare’ la letteratura. Dal suo interno. L’autore infatti sembra mescolarsi al gruppo degli scapigliati milanesi, per fare un esempio di quanto trovato nel testo, sembra vedere ciò che essi hanno visto, sentire ciò che essi hanno sentito, raccontare poi ciò che immagina abbiano voluto raccontare, urlare, tramandare.

Si percepisce, lungo tutta l’opera di Pontuale, una ricerca non solo delle ragioni e delle responsabilità del «decadimento culturale italiano di inizi novecento», ma anche la volontà di citare tutti gli autori “disordinati e maledetti” i quali, attraverso il loro comportamento e le proprie opere, hanno denunciato il malessere, interpretandolo a volte come personale altre come cosmico.

Ciò invita il lettore a riflessioni sul senso della letteratura. Che sia solo intrattenimento ed evasione o denuncia ed educazione?

Colpisce, durante la lettura di Una tranquilla repubblica libresca, la capacità dell’autore di evitare giudizi e riflessioni troppo personali essendo egualmente egli riuscito a descrivere il volto umano, oltre quello letterario e artistico, dei personaggi trattati, i risvolti spesso nascosti o ignorati del periodo storico e di essere riuscito a mostrare al lettore le differenze e le similitudini con quello attuale senza mai sottolinearle apertamente.

Una critica impersonale che riesce comunque a trasmettere in chi legge tutta l’umanità presente negli artisti di cui si racconta come nello stesso autore. Una grande passione per la letteratura e il mondo delle arti e una notevole sensibilità per i temi della cultura intesa anche come mezzo di espressione e analisi dei malesseri e delle problematiche sociali.

Una lotta perenne contro ingiustizie e mali sociali che a volte assume i contorni della mobilitazione mentre più spesso si manifesta attraverso l’assordante silenzio dell’alienazione volontaria dal mondo e dalla stessa vita. Il grande merito che va riconosciuto a questi autori è l’aver portato «nella letteratura la vita vera» perché non può esserci «ordine nella scrittura se non c’è ordine nel mondo».

Ricordando gli insegnamenti di Sciascia, Pontuale sottolinea come «ogni cittadinanza esige responsabilità». Lui sembra essersi volontariamente assunto quella di non lasciare cadere nell’oblio questi autori ‘maledetti’ troppo spesso dalla critica di allora come da quella odierna perché eccessivi, trasbordanti le righe di un sistema che quando non riesce agevolmente a inquadrare preferisce cancellare.

Una tranquilla repubblica libresca di Dario Pontuale è un testo ben scritto, ordinato e corretto e si rivela, al contempo, una piacevole e amena lettura per chi è in cerca magari solo di curiosità e originalità e un interessante spunto per riflessioni più articolate sul panorama artistico e culturale del periodo storico interessato come di quello attuale.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Ensemble Edizioni per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte della trama e della biografia dell’autore quarta di copertina

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Chi è lo scrittore più bravo al mondo?

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La Chiesa esemplare è solo un miraggio? “Peccato originale” di Gianluigi Nuzzi (Chiarelettere, 2017)

10 domenica Dic 2017

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Chiarelettere, GianluigiNuzzi, PeccatoOriginale, recensione, saggio, Vatileaks

«Per essere ascoltati dobbiamo essere esemplari». Con queste parole papa Ratzinger ammonisce il cardinale Bertone riguardo la linea dell’Istituto per le Opere di Religione , sottolineando che bisogna essere esemplari nei confronti del mondo finanziario internazionale. Gli imperativi categorici sono esempio e trasparenza. Per lo Ior come per tutto il resto.

Come si spiegano allora la controversa morte di Albino Luciani, ovvero papa Giovanni Paolo I? La scomparsa di Emanuela Orlandi? I progetti di riforma e trasparenza continuamente arenati? Le accuse di pedofilia e pratiche coatte di omosessualità?

«Noi dobbiamo essere tra quelli che cambiano le regole, per essere inattaccabili». Invece la strada che sembra essere stata scelta il più delle volte è quella della «impunità» che «rafforza gli autori delle violenze» o delle violazioni. Favorendo o comunque non ostacolando gli attacchi delegittimanti le vittime e ingenerando in questo modo la formazione di vere e proprie roccaforti di potere e «lobby gay».

Esce in prima edizione a novembre 2017 con Chiarelettere Peccato originale. Conti segreti, verità nascoste, ricatti: il blocco di potere che ostacola la rivoluzione di Francesco di Gianluigi Nuzzi. Un libro scritto con l’intento preciso di dare una risposta a sette interrogativi, ovvero i sette tasselli mancanti nel lavoro di ricerca, condotto dall’autore ormai da oltre dieci anni, sui segreti e sugli scandali in Vaticano.

Per trovare le risposte Nuzzi si è affidato agli insegnamenti del giudice Giovanni Falcone e ha «seguito il filo del denaro», che «in ogni storia di potere s’intreccia a quello del sangue e a quello del sesso». Tre infatti sono le parti in cui il libro è suddiviso: Sangue, Soldi, Sesso. Più l’appendice che riporta per esteso i documenti fonte della ricerca e dell’inchiesta dell’autore.

Uno stile, quello di Nuzzi, che ricorda gli scalpitii di un mustang imbrigliato. Un cavallo indomabile costretto dalle briglie a frenarsi mentre il suo desiderio è battere in lungo e in largo le praterie americane. È così l’autore, che vorrebbe raccontare apertamente tutto ciò che sa, che ha scoperto, che gli è stato raccontato… deve dosare e misurare ogni passaggio. Dicendo egualmente quanto necessario a comprendere la profondità e lo spessore dei «tre fili narrati», ma costretto a stare attento ai risvolti giudiziari che il resoconto potrebbe portare, per lui stesso, per i testimoni e le fonti, anche quando non vengono direttamente citati.

L‘autore ritorna più volte sullo stesso concetto o passaggio e sembra farlo non solo per essere certo della chiarezza della narrazione, ma anche per sincerarsi di essere rimasto fedele a quanto prefissosi di raccontare.

Nuzzi si sofferma in descrizioni e resoconti molto analitici e dettagliati eppure questo non sembra avere lo scopo di “illudere” il lettore lasciandogli credere di aver letto tutto quanto c’era da sapere. Il modo in cui egli presenta i fatti lascia agevolmente intendere sia solamente la superficie, appena rischiarata, del profondo pozzo nero di segreti custoditi tra le mura pluricentenarie dello Stato della Città del Vaticano.

Si percepisce in Peccato originale una grande volontà di fare chiarezza, di esporre i fatti in maniera tale che il tutto risulti il più comprensibile possibile nonostante, come nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, la durata infinita delle indagini, i sotterfugi, i depistaggi, gli intrighi, le dichiarazioni contraddittorie, le ritrattazioni, le sparizioni, gli occultamenti e gli eclissamenti, i decessi e l’improvvisa follia dilagante…

Forse perché un po’ plasmato sul linguaggio e sui tempi televisivi, lo stile narrativo di Nuzzi è puntellato di frasi che annunciano, di lì a breve, una rivelazione importante, un colpo di scena o comunque un qualcosa che deve per forza di cosa tenere lo “spettatore” incollato. In realtà, in un libro-inchiesta come il suo non servono questi espedienti. Il lettore è già invogliato a proseguire la lettura per l’interesse che suscita il narrato e non per queste intercalari che lo “preannunciano”.

Un libro, Peccato originale di Gianluigi Nuzzi, che è come una goccia d’acqua che perfora la roccia. La “testardaggine” dell’autore nel voler comunque continuare il suo lavoro d’indagine nonostante gli ostacoli e le difficoltà sono paragonabili proprio alla forza dell’acqua la quale riesce sempre a infiltrarsi e trovare la sua via di fuga, esattamente come la verità tanto cercata nelle buie stanze dello Stato Vaticano e che emerge, attraverso il lavoro dell’autore, illuminando lentamente ma sempre più tasselli di questa gigantesca “installazione” religiosa.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Chiarelettere Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte biografia dell’autore www.chiarelettere.it

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© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed (Tre60, 2016)

02 sabato Dic 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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BanaAlabed, CaroMondo, recensione, tre60

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed

Bana Alabed, siriana di Aleppo e rifugiata in Turchia dove vive tuttora con la famiglia, scrive le parole che il mondo non avrebbe mai voluto leggere, mai dovuto ascoltare. All’età di otto anni pubblica un libro che è una lunghissima lettera indirizzata a tutti gli abitanti del pianeta che l’ha privata del diritto di essere una bambina. Dear World, pubblicato in Italia come Caro Mondo da TRE60, nella versione tradotta da Eloisa Banfi, è un libro che si spera faccia «venir voglia di aiutare le persone». Come si augura la stessa autrice.

Sotto il peso delle macerie dei palazzi crollati per i continui e ripetuti bombardamenti ad Aleppo est, dove viveva insieme a tutta la famiglia, Bana, incoraggiata dalla madre, cerca di comunicare al mondo intero e soprattutto ai “potenti” di turno quello che sta accadendo perché lei, come il resto degli abitanti del suo quartiere, non riescono a capacitarsi degli orrori cui sono costretti.

Libri come Caro mondo mostrano tutto il loro essere necessari in quanto accompagnano il lettore dentro le vite di coloro che, troppo spesso, vengono indicati indistintamente come civili, sfollati, rifugiati, migranti… mentre sono delle persone, abitanti, popoli, vite anche molto giovani con diritti quotidianamente violati, calpestati, ignorati. Un testo scritto da una doppia angolazione: quella di una bambina che ancora non ha piena coscienza soprattutto delle conseguenze di ciò che sta accadendo anche se percepisce il male, il dolore e la sofferenza che sta trascinando dentro la sua giovane vita e di tutti i suoi cari; e l’altra, quella di una madre che, pur avendo molta più consapevolezza di quanto sta accadendo e delle conseguenze, non riesce a non avere quasi le stesse reazioni della figlia, dettate dal terrore di un qualcosa che appare ed è troppo “brutto” da poter essere sconfitto.

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed

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Bana e i suoi famigliari si chiedono continuamente come possano essere così crudeli verso dei civili, dei bambini… vittime innocenti di una follia omicida che ha deciso di spaccare una città e un Paese, che prima erano uniti, e annientare tutti coloro che non si sono schierati apertamente con il regime. Non basta essere neutrali ed è impensabile avere un’opinione o un credo differente. Crudeltà a cui il nostro pianeta ha già assistito altre volte, troppe, anche in passato. Bana Alabed cita in apertura del libro Anna Frank, forse la bambina, vittima della follia dei guerrafondai, più famosa. Dietro al racconto di Bana e di sua madre si percepisce una sorta di emulazione positiva, insita nella volontà di dar voce a tutti i bambini, vittime innocenti della follia omicida degli adulti, dei “grandi”, dei “potenti”, degli “estremisti” come anche dei “rivoluzionari”.

Il grido dei bambini vittime delle guerre. “Caro mondo” di Bana Alabed

Quando un’azione ha ripercussioni negative sui civili, soprattutto se bambini, è di certo una scelta sbagliata e sarà di sicuro foriera di male, dolore e sofferenza che dovevano essere evitati. Le centinaia di migliaia di vittime innocenti della guerra siriana ne sono la dimostrazione, come lo sono le vittime innocenti di ogni guerra combattuta, ma lo è anche la distruzione di una città antica e «abitata da più tempo». Un luogo che era la casa di Bana e della sua famiglia, come di tutte le famiglie degli sfollati e dei rifugiati che ora qualcuno vorrebbe anche “aiutare a casa loro”, dimenticando o ignorando che queste persone per prime, se avessero potuto scegliere, avrebbero di gran lunga preferito restarsene davvero nelle loro abitazioni, senza bombe né fucili, senza proiettili né macerie a progettare il proprio futuro insieme a parenti e amici, invece di attendere il cessate il fuoco per fare la conta dei morti e dei feriti ed essere costretti poi ad abbandonare tutto per rifugiarsi in un luogo più sicuro.

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Un libro importante, Caro Mondo di Bana Alabed, una lettera che è una speranza per l’umanità.


Per la prima foto, copyright: Jordy Meow.


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La responsabilità globale del ‘deserto esistenziale’ de “L’infanzia nelle guerre del Novecento” di Bruno Maida (Giulio Einaudi Editore, 2017)

02 sabato Dic 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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BrunoMaida, Einaudi, LinfanzianelleguerredelNovecento, monocolooccidentale, recensione, saggio

Come si è potuto credere che dopo la firma degli accordi che decretavano la fine dei conflitti l’unica cosa che rimaneva da fare era la ricostruzione post-bellica dei territori devastati? Come si può pensare che la devastazione della guerra non abbia modificato e compromesso per sempre coloro che l’hanno vissuta in prima persona, maggiormente se bambini e bambine? Come ci si può illudere che una guerra non porti dei ‘cambiamenti’ a livelli globale? Intere etnie sterminate, popoli distrutti, traumatizzati, sfollati, costretti a spostarsi, a migrare… E soprattutto come è potuto accadere che tutto questo sia sempre rimasto fuori dai libri di storia?

Basterebbe solo un’attenta riflessione sulle risposte a questi interrogativi per comprendere l’importanza e la portata di un lavoro di ricerca e studio come quello condotto da Bruno Maida ne L’infanzia nelle guerre del Novecento, edito quest’anno dalla Einaudi. Ma c’è molto altro nel testo. C’è quello che, purtroppo, spesso non si ritrova nei libri di storia. Una ricerca documentaria dettagliata, uno studio accurato delle fonti, prontamente citate, una descrizione lucida e imparziale di fatti e conseguenze, uno sguardo all’intero pianeta e a quello che vi accade, scartando la visione e la descrizione troppo occidentale che spesso condiziona anche saggistica e storiografia.

Un libro imponente il testo di Maida sui disastri causati dalle guerre del secolo scorso e di quello appena iniziato. Una grandezza che non si misura con il numero delle pagine. Un resoconto importante che ‘costringe’ il lettore a considerazioni sul fatto che vedere «un bambino con un fucile in mano è un’immagine che non possiamo interrogare senza mettere in discussione noi stessi e le nostre responsabilità». Si chiede Maida se rendere visibile anche il più piccolo e feroce segno della guerra non sia «l’ultimo spazio possibile di narrazione per suscitare un sussulto etico» da parte di chi in Occidente è «ormai ‘dimitrizzato’ da ogni immagine di violenza» e si preoccupa invece «per gli spostamenti di popolazione che quelle guerre possono procurare».

I bambini che hanno combattuto, che hanno conosciuto solo la guerra come condizione di vita, «spesso non vogliono la pace» e non perché abbiano qualcosa in contrario, «è che proprio non la conoscono, in fondo la temono anche un po’». La ‘temono’ come qualsiasi altra cosa sconosciuta. Vivono in un vero e proprio «deserto esistenziale» fatto di mancanze. Privi di famiglia, genitori, affetti e affetto, senza scuola né istruzione… privati di tutto hanno imparato a conoscere e riconoscersi solo nella guerra, nella violenza e nelle armi. Per loro spesso «tornare a essere bambini», semplicemente non è possibile.

L‘umanità non è l’alternativa alla guerra, ma «la condizione imprescindibile con la quale dobbiamo misurarci», il confine insuperabile che dovrebbe «definire il nostro rapporto con la polarità pace-guerra». E se la guerra rimane «il gioco più pericolosamente seduttivo», il ‘tirocinio’ che «ogni società in ogni epoca si è preoccupata di realizzare», alla pace anche se non si può giocare la si può sempre «insegnare». Ed è ciò che andrebbe sempre fatto.

Il testo di Bruno Maida L’infanzia nelle guerre del Novecento è quasi rivoluzionario nel genere perché non rappresenta un libro sulla memoria bensì un saggio storico sull’azione e sulla reazione alle «fratture profonde» che ogni guerra lascia in chiunque ne faccia esperienza e lo fa in riferimento a un periodo storico particolare, nel quale «all’affermarsi e al diffondersi di un sistema di protezione nazionale e internazionale per i civili nei contesti bellici» è corrisposto un progressivo e crescente «coinvolgimento diretto e indiretto dell’infanzia».

L‘infanzia nelle guerre del Novecento è un libro di storia chiaro, imparziale, descrittivo e analitico, basato su fonti e documenti certi. Un libro assolutamente da leggere.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Giulio Einaudi Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte biografia autore e trama libro quarta di copertina

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I rischi della vita in “Incerti posti” di Marco Montemarano (Morellini, 2017)

27 lunedì Nov 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Europa, Incertiposti, Italia, italiani, MarcoMontemarano, MorelliniEditore, recensione, romanzo

L’incertezza è un rischio perché per agire devi essere impavido, come un ginnasta o un circense che si lanciano nel vuoto senza avere una rete di protezione pronto ad accoglierli e trattenerli se qualcosa dovesse andare storto. Ma la vita è sempre un’incertezza e quindi un rischio. Come lo sono i protagonisti del libro di Montemarano e i luoghi dove le loro storie si snodano e si annidano dentro cubi di cemento che possono essere al contempo nidi e trappole.

Periferia. Questa è la geolocalizzazione scelta da Marco Monterano a fare da sfondo alle vicende di Matteo e sua sorella, di Antonio e sua madre, di Bernardo e dei bulli di Zeppetella… scorci di vita strappati al cemento dei cubi di mattoni, dei muri infiniti, delle strutture fatiscenti e abbandonate che determinano paesaggi desolanti e prospettive incerte. Come la vita. Come il futuro. Come il passato.

E sono proprio i ricordi confusi che tormentano Matteo e Arianna, flash di una vita vissuta che sembra immaginata e sogni che sono incubi ma sembrano veri, reali.

In libreria da settembre 2017, Incerti posti di Marco Montemarano, edito da Morellini, è una conferma del carattere letterario dell’autore, del suo personale stile di scrittura, della sua voglia di non limitarsi a inventare delle storie ma raccontare i fatti della vita e farli entrare nella mente del lettore. Per conoscere. Per capire. Per dare in qualche modo giustizia a vittime di episodi di cronaca passati quasi in sordina o comunque presto dimenticati.

Si ritrova nel testo di Montemarano anche il dualismo tra Sud e Nord, inteso però come la parte settentrionale dell’Europa, non solo dell’Italia. Mentre il meridione è ‘egregiamente’ rappresentato dalla periferia romana e dai suoi abitanti. Un sottile e pungente resoconto della società, che è una realtà di molti luoghi e città italiane, e che può essere spiegata parafrasando le riflessioni del protagonista, Antonio, sulla madre del suo amico Bernardo.

«La signora vedeva suo figlio circondato da ombre e non capiva che Bernardo l’ombra ce l’aveva dentro»

Un libro, Incerti posti, che racconta del malessere più intimo e personale come delle difficoltà lavorative, dello sfruttamento sessuale di una giovane donna e di quello professionale, dell’amore e dell’odio, dei segreti e delle verità che si preferisce fingere di non vedere o capire anche quando appaiono troppo palesi per poterle ancora nascondere… eppure lo fa con uno stile narrativo semplice, senza presunzioni di sorta, anche quando racconta di fatti tragici, drammatici o violenti lo fa come un semplice ma chiaro reportage. Sarà poi compito del lettore riflettere sul narrato e trarne le dovute conclusioni.

Una narrazione che coinvolge il lettore come già accaduto leggendo gli altri libri di Marco Montemarano, una scrittura per passione che cattura il lettore e lo ‘costringe’ a riflettere sui mali della vita e sulle sue incertezze. Incerti posti, un libro da leggere.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Morellini Editore per la disponibilità e il materiale

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