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Irma Loredana Galgano

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Le nuove frontiere della suspense: “Alla ricerca della vita”, il thriller ‘biologico’ di Giovanni Nebuloni (13Lab, 2018)

18 mercoledì Lug 2018

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13Lab, Allaricercadellavita, GiovanniNebuloni, recensione, romanzo, thriller

Nulla si teme più per la salute di un’epidemia. Ne Alla ricerca della vita Giovanni Nebuloni ne ha immaginato una di cancro umano trasmissibile.
Un thriller originale quello scritto da Nebuloni e pubblicato a marzo di quest’anno da 13Lab. Un giallo pieno di suspense che lui stesso ama definire ‘biologico’. E, in effetti, non è solo e non è tanto l’azione volontaria degli uomini a generare l’intrigo quanto quella della natura, o meglio della biologia animale, cui l’uomo appartiene.

La ricerca della vita che l’autore fa compiere alle protagoniste del libro sembra essere più uno scavo profondo nel torbido dell’animo umano, mosso da sentimenti di rivincita, di rivalsa, di supremazia. Scienza e vita si incontrano e si scontrano brutalmente all’interno di un laboratorio nella lontana e misteriosa città di Johannesburg, in South Africa. Uno scontro dove sembra uscirne vittoriosa solo la morte. Ma è un inganno. Oppure no.

Si è certamente divertito Giovanni Nebuloni a ‘sfidare’ i suoi lettori in un gioco di azioni e reazioni, emozioni e riflessioni, un vortice esistenziale che rasenta a tratti l’esistenzialismo puro.

Ad accogliere il lettore è una citazione di Gabriel García Márquez che racchiude in sé il senso estremo anche del libro di Nebuloni.

«Lo turbò il sospetto che è la vita, più che la morte, a non avere limiti».

Nebuloni è giunto al decimo romanzo e sta portando avanti la sua ricerca sulla conoscenza ma anche sulla scrittura. E sull’intreccio di entrambe. Per il fondatore della Fact-Finding Writing (Scrittura conoscitiva – Scrivere per conoscere) infatti l’immobilità, del corpo ma soprattutto della mente, se non proprio deleteria è di sicuro inutile. Il movimento implica invece evoluzione e, pertanto, «eventualmente, anche la vita – si pensi alle erbe che tenacemente, partendo dal seme attecchiscono nel cemento». Oppure, ritornando al nuovo romanzo, alle cellule che mostrano metamorfosi e cambiamento, ai corpi che generano anticorpi, alle malattie, alle epidemie come pure le resistenze immunitarie alle medesime.

La vita, la natura, la biologia, la scienza e la medicina… che nel libro di Nebuloni si fondono al mistero, alla suspence, all’intrigo e sono tenute insieme, non solo e non tanto dalla storia narrata, quanto dallo stile della narrazione. Una scrittura che appare studiata, maturata proprio per raccontare questo genere di storie.

I personaggi, come l’ambientazione stessa, a volte appaiono troppo mutevoli e sfuggenti, quasi evanescenti. Sembrano sfuggire al lettore che vorrebbe meglio inquadrarli, definirli. Ma forse è una scelta voluta dell’autore che permette in questo modo una migliore concentrazione proprio sulla scrittura, sulla evoluzione del suo percorso narrativo e conoscitivo.

Le storie dei romanzi di Nebuloni sono comunque auto-conclusive per cui il lettore, anche laddove non avesse seguito il suo percorso o non avesse letto le precedenti pubblicazioni, non riscontrerà alcun intoppo in tal senso nel leggere Alla ricerca della vita. Un testo interessante, nell’ottica del percorso di scrittura conoscitiva che Nebuloni segue da anni, ma valido anche come mera lettura di un thriller, in questo caso ‘biologico’.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’autore, Giovanni Nebuloni, per la disponibilità e il materiale


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© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Non temerò alcun male” di L.K. Brass (Autopubblicazione, 2017)

24 giovedì Mag 2018

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IldealdellApocalisse, LkBrass, Nontemeroalcunmale, recensione, romanzo, thriller

L.K. Brass mantiene anche in Non temerò alcun male l’impostazione data alle altre sue pubblicazioni. Romanzi ambientati in località e città solo in apparenza amene. Personaggi che forse non la vorrebbero neanche una vita “normale” e sono costantemente “costretti” dal caso, dalle loro conoscenze come dalla forte determinazione che li caratterizza, a dimenarsi tra mille pericoli e ostacoli, affrontare i cattivi, combattere il male nelle sue molteplici forme pur di portare a compimento la missione o il salvataggio.

Storie che solo in apparenza ricordano o rimandano a quelle di spionaggio o geopolitica internazionale. A muovere i protagonisti di Brass non è mai la mera sete di vendetta o di denaro, la stabilità economica o di potere… no, l’autore racconta le vicende di persone che mantengono sempre, nonostante tutto, la loro profonda umanità. E questa forse è proprio la peculiarità che meglio li caratterizza.

Invariato, rispetto alle precedenti opere, il registro narrativo. Uno stile di scrittura che è apparso maturo fin dai primi romanzi. Una grande capacità di raffigurazione pur nell’essenzialità delle descrizioni ambientali e temporali. Una immediata capacità di coinvolgimento del lettore nel quale suspense e curiosità si fondono già dalle prime pagine.

L’autore racconta sempre, nei suoi libri, storie in apparenza inverosimili, esagerate, con intrighi e complotti internazionali. Vicende che letteratura, cinema e televisione ci hanno abituati a indicare come tali, ovvero verificabili solo nella finzione, nell’immaginario fantasioso di uno scrittore, produttore, sceneggiatore o regista che sia. Eppure è proprio in questo loro “esagerato” irrealismo che le storie di Brass acquisiscono tutta l’autorevolezza di un racconto di vita vissuta: nella precisione dei dettagli, nella descrizione accurata dei gesti come dei pensieri dei protagonisti… tutto lavoro che, ogni volta, conferma le grandi doti di scrittura dell’autore, indipendentemente dalla veridicità o meno dello scritto.

Che sia una storia vera o immaginaria a un certo punto non conta più per il lettore di Brass, ammaliato e rapito com’è dai suoi scritti al punto da desiderare con forza, nel caso di Non temerò alcun male per esempio, che la storia duri ancora molto, prosegua in altri libri e, magari, trovi una “migliore” conclusione. Anche in questo caso infatti l’epilogo è triste, amaro, realistico, come del resto l’intera vicenda. Le storie raccontate dall’autore, come gli stessi protagonisti, non sono facili e loro non hanno di certo una vita semplice, nonostante l’assenza quasi plenaria di difficoltà economiche e conoscenze, soprattutto linguistiche e informatiche. Persone che a un occhio estraneo potrebbero dare l’idea di essere dei privilegiati sono in realtà dei tormentati che scelgono però, comunque, di portare a fondo la loro missione, gli impegni presi, anche quando sono perfettamente consapevoli di cosa questa scelta comporterà per la loro vita e per quella dei loro cari.

Uomini profondamente innamorati e rispettosi delle compagne. Impavidi e coraggiosi. Pronti a rischiare la vita pur di saperle al sicuro o di ottenere per loro giustizia. Personaggi certo, ma anche modelli ideali che hanno al fianco donne altrettanto coraggiose, fedeli e determinate. “Fantasiosi” modelli di persone che si vorrebbe incontrare sempre più spesso nella vita reale, di cui si sentirebbe parlare molto più volentieri che non, come purtroppo accade, di psicopatici violenti, aggressivi e vendicatori che usano la violenza per placare le personali frustrazioni e insicurezze, che fanno la voce grossa nel tentativo di celare il vuoto della loro ignoranza.

Tecnicamente molto ben riusciti i passi nei quali Max legge stralci della bozza del romanzo di Lisa e vengono, in questo modo, chiariti i punti salienti e quelli rimasti ancora oscuri della vicenda che ha stimolato la giornalista prima a indagare nell’archivio, per caso ritrovato nella soffitta della loro nuova abitazione, e poi a mettere nero su bianco quanto scoperto. Risultano questi dei passaggi narrativi molto interessanti che aiutano il lettore a entrare nel rapporto profondo tra Max e sua moglie, come a conoscere quei personaggi finora solamente nominati, anche laddove si parla di persone e vicende del passato.

I libri di Brass sono ben scritti e hanno sempre una trama molto fitta e articolata, sono romanzi che non disdegnano la denuncia, l’impegno civile e sociale, la conoscenza e l’analisi dei problemi e dei mali della società contemporanea. Il lettore non può quindi fare a meno di chiedersi se la via dell’autopubblicazione sia una scelta dell’autore o sei i libri non trovano interesse e riscontro da parte degli editori e, in questo caso, per quale motivo. Nella quarta si legge: «L.K. Brass ha scelto di aprire al pubblico anche le opere inedite perché è convinto che solo i lettori abbiano l’ultima parola». Probabilmente è questo che interessa all’autore, il quale vuole far arrivare i suoi scritti ai lettori, indipendentemente dalla presenza o meno di un editore.

La storia di Lisa e Max e, in particolare le vicissitudini della donna, invogliano il lettore a riflettere sulla “leggerezza” con la quale tutti o quasi hanno sostituito i tradizionali mezzi di scrittura e condivisione in favore del molto più “accessibile” computer. Elemento indispensabile certo ma strumento che ha cancellato il diritto al ripensamento, all’oblio e alla privacy, maggiormente dopo l’avvento delle Rete. Strumento dove anche ciò che viene in apparenza cancellato rimane accessibile per coloro che conoscono i meccanismi e i processi di funzionamento molto più della gran parte dei comuni fruitori. Non si può tornare indietro e non sarebbe neanche un vantaggio ma è assolutamente necessario andare avanti con coscienza reale e consapevolezza di cosa ciò veramente rappresenti. E Brass nei suoi libri più volte cerca di mostrarlo ai suoi lettori.

Il finale è perfettamente in linea con il resto della storia e non delude di certo il lettore, anche laddove si era potuto sperare in un epilogo meno tragico e cruento. Ma, come spesso ricordato anche nel libro, la realtà supera sempre la fantasia e, per essere realistica, una storia non può e non deve seguire solo le speranze e i sentimenti. Non reggerebbe l’impatto con la realtà, in questo caso rappresentata dallo “spietato” giudizio critico del lettore.

Impressiona quasi che Brass capace di scrivere in maniera molto rigida di spionaggio, pirateria informatica, complotti, esecuzioni efferate, armi e ordigni… sia al contempo capace di destinare alla compagna una dedica di siffatta dolcezza. Del resto è lo stesso dualismo che si ritrova anche nei suoi personaggi.
«Non di certo per ultima, ringrazio la mia prima lettrice, mia fonte d’ispirazione quando scrivo di legami indissolubili. Ho la fortuna di non dovermi addentrare in alcuna selva oscura, ma accanto a lei non temerei alcun male».

Un libro sicuramente ben riuscito, Non temerò alcun male che L.K. Brass ha pubblicato a marzo dello scorso anno. Un romanzo che soddisfa gli amanti del thriller ma che contiene anche tanto altro. Una lettura per certo consigliata.


L.K. Brass: Nato a Lugano, si occupa di consulenza per i sistemi informativi finanziari. Ha vissuto a Parigi, Vaduz, Chicago, Ginevra e Zurigo. Ha esordito con “Il deal dell’Apocalisse” (pubblicato anche con il titolo “I mercanti dell’Apocalisse”), primo libro dell’omonima trilogia. “Non temerò alcun male” è il suo quarto romanzo.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’autore L.K. Brass per la disponibilità e il materiale


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© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Oltre ogni verità” di Gianluca Arrighi (Edizioni CentoAutori, 2018)

13 venerdì Apr 2018

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EdizioniCentoAutori, GianlucaArrighi, legalthriller, Oltreogniverita, recensione, thriller

Uscito a gennaio 2018 con Edizioni CentoAutori, il nuovo thriller dell’avvocato-scrittore romano Gianluca Arrighi è l’occasione per far conoscere ai suoi lettori il capitano Jader Leoni. Dopo aver deciso quindi, forse in maniera definitiva, di mandare in pensione Elia Preziosi, protagonista indiscusso dei due precedenti libri (L’inganno della memoria e Il confine dell’ombra), Arrighi mette sul tavolo una carta tutta nuova da giocare.

Jader Leoni, capitano del gruppo di intervento speciale e reparto d’élite delle unità antiterrorismo di stanza a Roma, dove vive con la famiglia, viene mandato in un piccolo paese della provincia di Rieti dove, tra l’altro, ha dei parenti e dei ricordi del suo passato che emergono lentamente durante la narrazione ma saranno per la sua conclusione determinanti.

Un piccolissimo paese arroccato sull’Appennino centrale, a vocazione prevalentemente agricola, un ambiente rurale e a tratti dipinto così agreste da ricordare le scene bucoliche di Virgilio. Quale posto migliore per ambientarci un omicidio e uno scandalo a carattere sessuale per rendere ancor più stridente il contrasto tra la realtà e le ipocrisie del pregiudizio e dell’apparenza?

Persone ambigue ma che in fondo non hanno nulla da nascondere e persone perbene che possono trascinarti con facilità estrema in un baratro di menzogne, falsità, dolore e omicidi, nella vana speranza di mantenere inalterata l’apparenza che con tanta dedizione e fatica hanno creato, costruito intorno a se stessi, proprio come le maschere di cui tanto ha narrato Pirandello.

La scrittura di Arrighi è chiara, con frasi brevi e un linguaggio che ricorda molto quello parlato, uno stile narrativo che potrebbe essere definito basico, con la suspense, peculiarità immancabile in questo genere letterario, creata mantenendo pressoché invariato il registro narrativo. Il racconto degli eventi, che incalzano e vanno a incastrarsi come tessere di un puzzle, inocula in chi legge un tanto equilibrato quanto morboso input di curiosità che lo invoglia nel prosieguo della lettura.

Si nota, lungo tutto il testo, l’uso ripetuto della similitudine. Per esempio quando l’autore scrive: “le notizie si diffondono alla velocità di un incendio in un fienile”, oppure “si muoveva rapido e fluido come un fiume nel suo letto”. Espressioni che sembrano servire non tanto a chiarire concetti che sono già chiari ed elementari, quanto a legare il narrato e i protagonisti al territorio, ai luoghi ove le vicende si svolgono. Un incendio in un fienile e un fiume che scorre nel suo letto non possono non legare quanto il lettore legge all’ambientazione stessa, ovvero un ambiente rurale e contadino con il cadavere rinvenuto in un bosco.

Il capitano Jader Leoni, pur differente da Elia Preziosi sotto molti aspetti, lo ricorda per la determinazione, per l’attaccamento al lavoro e agli affetti e per il ricorso, se necessario, a metodi anche poco ortodossi affinché giustizia sia fatta. Un personaggio che, tutto sommato, irrompe bene sul palcoscenico narrativo di Arrighi e che, forse, nei prossimi libri, riuscirà a mettere definitivamente in ombra il suo predecessore.

Persiste, nello stile narrativo di Gianluca Arrighi, la ricerca sistemica della perfezione. Nella precisione e nella cura di ogni singolo dettaglio che riguarda la vicenda narrata come nella stessa scrittura, che può, soprattutto nei dialoghi, risultare a volte troppo manierata. Nel complesso comunque il giudizio sulla nuova avventura letteraria di Arrighi è positivo. La lettura si conferma piacevole e scorrevole. Come positivo viene interpretato da chi legge lo sforzo compiuto dall’autore nel voler raccontare con un tocco originale due aspetti cruciali della contemporaneità: omofobia e islamofobia. L’aver voluto portare i protagonisti della vicenda in un ristretto e rurale contesto ha agevolato anche l’immissione nella quotidianità di questi aspetti troppo spesso raccontati come astratti, lontani. Solo in questo modo infatti si riesce a svelare l’arcano che vuole tutti menzogneri “per nascondere quello che sono veramente”.

Source:Si ringrazia Gaia Luvera, dell’Ufficio Stampa Edizioni CentoAutori, per la disponibilità e il materiale


Articolo originale qui



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Riflettori puntati sul mondo della finanza in “Fine dell’oblio” di L.K. Brass

25 lunedì Dic 2017

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Finedelloblio, IldealdellApocalisse, ImercantidellApocalisse, LkBrass, NWO, ordinemondiale, paura, recensione, romanzo, thriller

Continua la saga de Il deal dell’Apocalisse di L.K. Brass che con Fine dell’oblio aggiunge un altro capitolo alle avventure di Daniel e Anna, sempre impegnati nella loro crociata contro le ingiuste e occulte operazioni della finanza internazionale.

Troveranno nuovi compagni di viaggio che sono in realtà presenze del loro passato e, in contemporanea, dovranno, ancora una volta, dire addio ad affetti e amori. Un’esistenza straziante la loro, votata a combattere nemici tanto ‘invisibili’ quanto crudeli la cui unica fede è il denaro che porta al successo, che conduce al potere.

In Fine dell’oblio L.K. Brass si è divertito a inserire un lungo prologo e un paio di capitoli iniziali che, se pur necessari al compimento della storia, ritardano il reincontro del lettore con i protagonisti lasciati ne I mercanti dell’Apocalisse e le loro adrenaliniche vicende. A partire dal terzo capitolo però il lettore viene ricompensato e riesce a ‘inserirsi’ appieno nella vicenda narrata, a seguirla con interesse crescente e sperare di ritrovarla ancora nel prossimo libro.

In teoria la vicenda di Daniel Martin e Anna Laine potrebbe aver trovato la sua conclusione in maniera esaustiva anche con un minor numero di pagine e di libri ma quello portato avanti dall’autore sembra essere un progetto di più ampio respiro, nel quale le vicissitudini dei protagonisti ne costituiscono solo una parte. La capacità maggiore di scrittura di L.K. Brass risiede infatti nella volontà di raccontare ciò che in letteratura e al cinema viene sempre presentato come fantascientifico per quello che in realtà è, e di farlo anche molto bene. Azioni e operazioni che hanno luogo ogni giorno nel mondo reale come in quello surreale della finanza. E presentarlo come un vero problema, anche qualora la storia da lui narrata sia tutto frutto di fantasia.

Raccontare il danno causato all’economia reale dalle manipolazioni dei mercati finanziari. «Pensa alla mamma che stringe la sua bimba che si sta spegnendo per la fame, perché la farina ha raggiunto prezzi che lei non può pagare. Pensa ai bambini di Atene che arrivano a casa la sera e scoprono che i genitori si sono suicidati perché hanno perso tutto. Pensa se questo si moltiplicasse non due, non dieci, ma cento o mille volte»… Pensiamo che la moltiplicazione è già in atto, purtroppo. Bisogna pensarci, agire e risalire alla «fonte del danno».

L.K. Brass conferma con Fine dell’oblio la sua capacità di inventare storie interessanti e coinvolgenti, di raccontare il lato oscuro della finanza internazionale in maniera da renderlo comprensibile e accessibile a tutti, di denunciare i mali del mondo e di farlo in maniera ineccepibile creando libri assolutamente da leggere.


Source: Si ringrazia l’autore L.K. Brass per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte trama libro quarta di copertina; fonte biografia sito personale dell’autore

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“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016)

“Sono i deboli le prime vittime dell’evasione fiscale”. Intervista a Angelo Mincuzzi


Articolo disponibile anche qui

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Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi (Tea, 2017)

15 venerdì Set 2017

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Lagunanera, MauriSpagnol, MicheleCatozzi, recensione, romanzo, Tea, thriller, Venezia

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Uscito con Tea, del gruppo editoriale Mauri Spagnol, Laguna nera di Michele Catozzi è un giallo la cui storia, come sospesa nel tempo, ben si sposa con l’ambientazione. Venezia, la città «più bella del mondo», dove il tempo sembra essersi fermato… o almeno questo vorrebbero i nostalgici della bellezza della città lagunare. I tradizionalisti incalliti come il commissario Nicola Aldani, protagonista delle indagini sull’omicidio al centro della vicenda e veneziano doc che sembra smarrire un pezzo di sé ogni qualvolta per le calli apre un nuovo fast food o un qualsiasi altro store che non siano le antiche trattorie a lui tanto care.

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Una struttura particolare quella studiata da Catozzi in Laguna nera che si apre al lettore con un prologo nel quale l’autore rivela a chi legge indizi utili a conoscere e riconoscere l’identità dell’assassino. Così accade che al lettore sembra gli siano state fornite informazioni maggiori di quelle in possesso degli inquirenti. La sfida, che invoglierà comunque al prosieguo della lettura, sarà quindi determinata dall’ansia di conoscere le modalità che porteranno la squadra interforze a conoscere il mistero che si cela dietro l’omicidio dell’assessore Baldan. Un’esecuzione che in realtà è una vendetta, maturata per quasi trent’anni.

Il corpo centrale del testo è caratterizzato dal racconto del lavoro di indagine degli inquirenti, routine arricchita dalle riflessioni che Catozzi attribuisce al suo commissario Aldani sulla società “strozzata” dalla malavita organizzata ma anche dallo strozzinaggio, quello vero che a Venezia è tangibile lungo il molo di attracco dinanzi al Casinò del Lido. Il luogo simbolo delle contraddizioni di un’amministrazione che sostiene le campagne contro il gioco d’azzardo e, al contempo, gestisce la struttura. Specchio di uno Stato intero che sponsorizza le campagne pubblicitarie contro il gioco d’azzardo mentre organizza lotterie, gratta e vinci, totogol e autorizza l’apertura di sempre nuove sale slot.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Apoteosi di una tale zona grigia è l’ingresso a pieno titolo nelle istituzioni di soggetti appartenuti o appartenenti alla criminalità organizzata, oppure alla Mala del Brenta. A dimostrazione della «vulnerabilità di Venezia alle infiltrazioni mafiose» e, aggiungerei, dell’Italia intera. Perché nei territori dove «mafiosi e camorristi» non riescono a «emergere con un’organizzazione propria» preferiscono «cooperare». E i legami tra “affari” e politica, inutile negarlo o fingere di non saperlo, divengono sempre più intensi, radicati e dannosi. La storia scritta da Catozzi, è bene ricordarlo, pur basandosi su accadimenti veri del passato, come le scorrerie dei membri della Mala del Brenta, è frutto solo della sua fantasia. Ma si sa che spesso, purtroppo, la realtà supera di gran lunga la fantasia di uno scrittore.

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Interessanti risultano anche i passaggi nei quali l’autore porta il protagonista a riflettere e chiosare sul precario stato delle forze dell’ordine, sui continui tagli che, inevitabilmente, vanno a ripercuotersi sull’esito stesso delle indagini. Quasi tenero l’epilogo, dove Catozzi porta Aldani a vincere le sue battaglie più dure, quelle condotte contro la spending review del governo che taglia fondi e mezzi e lo fa quasi a dispetto di chi ogni giorno combatte contro il Male e la Mala.

Mala-vita e Mala-società in “Laguna nera” di Michele Catozzi

Un giallo “lungo” Laguna nera di Michele Catozzi, che snocciola indizi e informazioni per oltre trecento pagine, ma che egualmente affascina il lettore per l’impostazione che l’autore ha dato alla storia, per l’attualità delle tematiche trattate e, non da ultimo, per la simpatia che suscitano i protagonisti, a partire dal commissario Aldani alle prese con crimini, delitti e deliri famigliari. Un libro promosso a pieni voti e una lettura di certo consigliata.

Articolo originale qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Cosa accade quando il mondo non va oltre Il confine dell’ombra? Esce oggi il nuovo legal thriller di Gianluca Arrighi (Edizioni Cento Autori, 2017)

13 giovedì Apr 2017

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EdizioniCentoAutori, GianlucaArrighi, Ilconfinedellombra, legalthriller, Lingannodellamemoria, recensione, thriller

Esce oggi la nuova “arringa letteraria” dell’avvocato-scrittore romano Gianluca Arrighi, Il confine dell’ombra, pubblicato da Edizioni Cento Autori. Sequel de L’inganno della memoria (Edizioni Anordest, 2014) potrebbe valere anche come libro a sé tant’è stata la bravura dell’autore di fondere e al contempo separare le due storie. I protagonisti sono i medesimi e i fan del magistrato Elia Preziosi non resteranno delusi dal nuovo incontro con il ‘personaggio’ ancor meglio delineato in questa nuova avventura. E sono proprio loro il trait d’union con il precedente libro di Arrighi, loro che portano ancora i segni e le cicatrici dovute all’incontro-scontro con il killer degli organi. Riesce in maniera ottimale l’autore a rinverdire i ricordi di chi ha letto a suo tempo L’inganno della memoria senza comunque svelare nulla che possa rovinare la sorpresa in chi invece quel libro ancora non lo ha letto ma magari, incuriosito proprio da quanto scritto ne Il confine dell’ombra, intende poi farlo.

Leggi anche – “L’inganno della memoria” – Recensione

Questa volta magistratura e polizia si trovano a dover contrastare l’azione di un killer seriale ancora più spietato determinato e sfuggevole di quello ‘degli organi’. Un uomo-ombra ulteriormente celato da una macabra maschera che gli copre il volto per intero e gli conferisce un aspetto decisamente più inquietante. Sarà proprio lui, Orco, a chiamare in causa Elia Preziosi. Il perché si pensa di poterlo intuire anche prima ma in realtà si capirà solo nell’epilogo della vicenda. Preziosi si è ritirato dalla professione e quindi l’autore ne Il confine dell’ombra accompagna i suoi lettori in un viaggio ancor più profondo nell’intimità del protagonista, nella sua mente tormentata dai fantasmi del passato, dal rifiuto del presente e dalla negazione del futuro. L’unico appiglio valido a sorreggere Preziosi e utile per evitare che precipiti inesorabilmente nel tunnel dell’alcolismo e della depressione è il suo amore per Silvia, la donna della sua vita che ha rinunciato a carriera e lavoro per stargli vicino.

Il libro, la storia, il registro narrativo, i personaggi sono curati nel minimo dettaglio, con una precisione che non definirei maniacale bensì “legale”. Complice forse la professione svolta dall’autore traspare in ogni pagina una cura estrema per ogni minimo dettaglio, o cavillo appunto. In particolare, lungo tutto il racconto, si nota l’attenzione riservata alla creazione dei personaggi. Arrighi ha creato proprio i ‘tipi giusti’ per la storia che voleva raccontare. Li ha amorevolmente curati come un giardiniere fa con le sue piante. Li ha plasmati come creta nelle mani di un abile ceramista. Ispirandosi costantemente alla realtà e all’ambiente in cui li ha inseriti. A volte sembra che lo stesso Arrighi si aspetti, da un momento all’altro, di incontrarli per davvero tra le strade di Roma o lungo i corridoi degli uffici giudiziari.

Leggi anche – Intervista a Gianluca Arrighi

L’autore spalanca per i suoi lettori le porte dell’Unità per l’Analisi del Crimine Violento (UACV), sezione speciale della Polizia di Stato chiamata in causa nei casi di omicidi particolarmente efferati. Una sorta di Unità di Analisi Comportamentale (The Behavioral Analysis Unit – BAU) dell’FBI, nota al grande pubblico grazie alla serie televisiva Criminal Minds, ma in versione Made in Italy. Un’irruzione seppur fittizia in uffici investigativi notoriamente chiusi e perlopiù sconosciuti che indirettamente invita chi legge a riflettere sulle conseguenze a cui vanno incontro gli uomini e le donne che coraggiosamente scelgono di svolgere determinate professioni le quali inesorabilmente cambieranno il corso della loro vita.

Quasi per uno strano gioco del destino, o della stessa vita, Elia Preziosi e Orco si sentono egualmente braccati dai demoni che albergano nelle rispettive menti, fantasmi originatisi in maniera diversa ma che hanno col tempo ingenerato le medesime conseguenze… Preziosi ha scelto però di combatterli con una sorta di stoico autolesionismo mentre Orco ha deciso di tentare la sua vendetta perché per lui ormai il mondo non va oltre il confine della sua ombra.

La lettura è piacevole e scorrevole, le oltre duecento pagine del libro scivolano sotto gli occhi del lettore in maniera perfettamente lineare e veloce e man mano che la vicenda entra nel vivo aumenta la suspense e la voglia di bruciare le tappe e scoprire il finale il prima possibile. Senza dubbio alcuno Il confine dell’ombra di Gianluca Arrighi si rivela una lettura accattivante che non deluderà gli appassionati del genere.

Gianluca Arrighi: Romano, avvocato penalista e scrittore. Cultore di Diritto penale alle Università di Cassino e Roma. Autore di diversi legal thriller e numerose novelle noir pubblicate su quotidiani e riviste.

Source: Si ringrazia l’autore e Gaia Luvera dell’Arrighi PressOffice per la disponibilità e il materiale.

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Basta thriller o pubblichiamone ancora? Le pecche della malata editoria italiana nell’intervista a Simonetta Santamaria per “Seguimi nel buio” (IoScrittore, 2016)

28 lunedì Nov 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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intervista, IoScrittore, MauriSpagnol, racconto, Seguiminelbuio, SimonettaSantamaria, thriller

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Simonetta Santamaria, scrittrice di thriller e noir conosciuta e affermata, decide di sottoporre al vaglio degli editori la sua nuova fatica letteraria, Seguimi nel buio. Una storia che trascina il lettore nei meandri più bui della mente umana, tra le paure e le debolezze di chi è ‘malato’ e la crudele follia di chi tale non è considerato perché sa nascondersi e celare i fili sottili che legano i suoi crimini alle ignare vittime. Autismo e Insanet si affiancano e si scontrano in un libro che merita di essere letto tutto d’un fiato, come ogni mystery che si rispetti.

Eppure il titolo è stato rifiutato perché la linea editoriale sarebbe stata dirottata verso “argomenti più commerciali”. L’autrice non si arrende e partecipa in incognito, utilizzando uno pseudonimo maschile, alla sesta edizione del Torneo Letterario IoScrittore indetto dal Gruppo Editoriale Mauri Spagnol e ne esce vincitrice.

La sua voglia di festeggiare tuttavia è smorzata dal continuo lottare cui sono costretti gli autori italiani che, come lei, non vogliono arrendersi e sottostare alle rigide leggi di mercato, all’abbandono e alla noncuranza degli editori, alle tante pecche della malata editoria italiana.

Ne abbiamo parlato nell’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Simonoir, Nostra Signora del thriller, una delle Signore della suspense… quasi non si contano più i nomignoli che le sono stati attribuiti. D’altronde non è poi così raro per gli scrittori di noir l’essere indicati con soprannomi. Perché secondo lei si sente la necessità di rimarcare il suo ruolo di scrittrice con questi epiteti?

Non saprei, forse per accostarci a qualcuno o a qualcosa che ci “etichetti” visto che le ramificazioni del genere sono tante. Per ciò che mi riguarda, devo ammettere che alcuni sono carini, in effetti rendono bene l’idea di chi sono e cosa scrivo. E, considerando la mia tendenza a una certa autoironia, direi che no, non mi dispiacciono affatto.

I thriller e i noir, pur avendo i loro lettori spesso anche forti, vengono sempre additati come generi di troppo. Secondo lei per quali motivi questa produzione libraria viene considerata così ingombrante?

Sottostimata, direi. Già il fatto di intendere la cosiddetta “letteratura di genere” un elemento secondario nel panorama mi fa imbestialire. Molti grandi capolavori classici vengono dalle menti di scrittori “di genere” come Mary Shelley, Edgar Alla Poe, Bram Stoker… E perché no, vogliamo aggiungerci Kafka (ditemi se non è disturbante la sua Metamorfosi) oppure il Sommo Dante col suo Inferno, e magari pure la Bibbia (antesignana dei Wu Ming) che in quanto a suspense non scherza mica…

Il caso di Seguimi nel buio è alquanto singolare e merita di essere raccontato. Inizialmente il libro ha subito un rifiuto da parte dell’editore ma è stato poi pubblicato in quanto vincitore del Trofeo Ioscrittore. Parliamo dello stesso testo, possiamo quindi supporre che ci sia una sorta di pregiudizio nei confronti di questo genere letterario?

Più che un rifiuto, la Tre60 (marchio GeMS) con cui avevo pubblicato il precedente romanzo, Io Vi Vedo, mi disse che avrebbe virato su argomenti più commerciali, quindi il thriller non avrebbe più trovato spazio. E comunque “il thriller non vende, ha subito una flessione”: me lo sono sentita dire da almeno altri tre editori. Così ho iniziato a dubitare di me e delle mie storie. Ecco perché ho deciso di partecipare a un torneo in incognito, IoScrittore appunto; sapevo che sarei stata giudicata senza paraocchi, solo per la qualità del mio romanzo. La risposta dei lettori/scrittori (che notoriamente sono spietati verso i colleghi) invece è stata molto positiva, ed eccomi qua. Deduco quindi che qualcosa mi sfugge, o sfugge a loro.

I thriller stranieri invece sembrano sempre essere ben voluti dagli editori, forti del fatto forse che arrivano in Italia quando sono già dei best seller da milioni di copie vendute. Al di là dell’oggettivo limite costituito dalla lingua che impedisce di vendere così tanto prima delle traduzioni, i thriller italiani davvero sono peggiori degli stranieri?

Ma per carità, non bestemmiamo. L’editoria importa sedicenti fenomeni stranieri perché qui basta una fascetta che decanti vendite record, seppure in Papuasia, per essere comprato sulla fiducia. Invece di promuovere gli scrittori italiani che non hanno nulla, e sottolineo nulla, da invidiare al resto del mondo.

Credo che la rovina sia data anche dal fatto che si pubblica molto senza convinzione; un romanzo (di quelli seri, scritti con sudore e sangue) è frutto di un lavoraccio e, una volta vista la stampa dovrebbe essere promosso come merita. Invece qui siamo al fai-da-te, ti pubblicano e ti abbandonano, e lo fanno anche i grandi marchi. È un’editoria malata, con visioni distorte da meccanismi di marketing.

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Lei ha dedicato Seguimi nel buio a quelli che “basta thriller”, «a coloro che mi hanno messo i bastoni tra le ruote e sbattuto le porte in faccia». Conserva ancora qualche sassolino nella scarpa di cui vuol liberarsi?

No, i miei sassolini me li tengo perché fanno parte di un cammino di crescita ed esperienza. Però l’ho fatto con polemica consapevolezza, proprio per portare avanti una battaglia iniziata tanti anni fa a favore degli scrittori italiani. Ho cominciato (e lo faccio ancora oggi) scrivendo horror, immaginate la ghettizzazione… Ma noi, proprio qui in Italia, abbiamo dei fior di scrittori horror: Alessandro Manzetti, ad esempio, è stato il primo italiano a vincere quest’anno il prestigioso Bram Stoker Award indetto dalla Horror Writers Association di cui mi pregio di far parte, e a cui concorrono nomi come Sthephen King, Peter Straub, Ramsey Campbell, Jack Ketchum… Eppure qui i media non hanno dato il doveroso risalto alla cosa. Disturba, certo, ma noi esistiamo, e insieme stiamo facendo movimento. Perché prima o poi, questa battaglia la vinceremo.

Il buio può essere incarnato da numerose sfaccettature, in questo libro come in altri suoi scritti lei sceglie di identificarlo con il lato oscuro del male che alberga nella mente e nella psiche delle persone. La follia, intesa come tutto ciò che si distacca dalla normalità, spaventa più del crimine razionale?

Be’, certo, il buio richiama il lato oscuro, tenebre che nascondono verità che la luce nasconde. E la follia alberga laggiù, dove nessuno può vederla ma lei c’è, esiste, in ognuno di noi, e può scattare da un momento all’altro.

Il crimine comune ci indigna, ci spaventa perché mina la nostra integrità, ma della follia ci terrorizza l’imprevedibilità, il suo legame con l’irrazionale, e quell’inquietante senso di appartenenza che ce la fa sentire così… troppo, vicina. Incontriamo il nostro dirimpettaio ogni giorno, gli sorridiamo e saliamo con lui in ascensore. Ma se qualcuno (o qualcosa) ci inculcasse il tarlo del dubbio, state certi che non lo guarderemmo più come prima. E forse eviteremmo di prendere lo stesso ascensore.

Simonetta Santamaria: Scrittrice italiana. Ha pubblicato vari libri, tra cui i saggi illustrati Vampiri, da Dracula a Twilight e Licantropi, i figli della luna (Gremese), tradotti in Francia e Spagna; i romanzi Dove il silenzio muore (CentoAutori) e Io vi vedo (Tea/Tre60), la raccolta di racconti Donne in noir (Il Foglio), gli e-book Black Millennium e Il segreto della janara. Suoi racconti sono apparsi in antologie di prestigio, tra cui Eros e Thanatos (Giallo Mondadori) e The Beauty of Death (Independent Legions), insieme ad autori del calibro di Ramsey Campbell e Peter Straub.

Ha ricevuto il Premio Lovecraft XI e Fantastique/I Fantasy Horror Award. È membro della Horror Writers Association. È stata definita una delle «signore della suspense made in Naples» (la Repubblica) e «lo Stephen King napoletano» (Corriere del Mezzogiorno).

(Fonte Trama e Biografia autrice: www.simonettasantamaria.net)

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È la lavorazione a fare il libro, non i singoli ‘ingredienti’: la ‘ricetta’ di Giovanni Ricciardi intervistato per “Gli occhi di Borges”

01 martedì Nov 2016

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Fazi, GiovanniRicciardi, GliocchidiBorges, intervista, romanzo, thriller

Da pochi giorni in libreria Gli occhi di Borges (Fazi, 2016), la settima indagine per il commissario Ponzetti. Questa volta in quale meandro dell’animo umano spingerà il lettore l’indagine di Ponzetti?

Nel meandro della cosa più sottile e inconsistente che esista: la poesia. La storia è incentrata sulla vicenda del furto, dalla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, di una preziosa copia della prima raccolta poetica di Borges. Una vicenda che trae spunto da un fatto vero. Ma s’incentra anche sul tema degli oroscopi, dell’astrologia e di un’altra cosa estremamente sottile, che è la libertà umana e il pericolo del suo continuo condizionamento. Il secondo filone del romanzo parla di questo, attraverso il rapporto difficile e critico tra una madre e una figlia adolescente.

(Fonte trama: www.fazieditore.it)

La scena è ancora una volta Roma, la città eterna dalle infinite sfaccettature. In una città così è più facile trovare linfa per i suoi scritti? E se sì, perché?

Roma è sempre presente nei miei romanzi, con la sua bellezza, le infinite storie di uomini e cose che racchiude. Ma stavolta una parte del romanzo si svolge in Argentina, la terra promessa degli italiani nei primi decenni del Novecento, una patria dell’anima, un sogno incompiuto, come la canta Guccini in una famosa canzone.

Quanto di autobiografico c’è nella storia e nei pensieri espressi nei suoi libri?

Tutto e niente. Nei miei libri c’è la mia infanzia, il mio carattere, l’amore per i classici, il senso della giustizia, la sete di verità, le storie che ho vissuto e quelle che ho ascoltato in tanti anni. Ma la trama di un romanzo usa di queste cose come fa una cuoca con gli ingredienti di un piatto. Il sapore del piatto dipende dalla lavorazione, non solo dagli ingredienti.

Studi psicologici ipotizzano l’ambivalente piacere che procura la sofferenza altrui. Il costante aumento di consenso ottenuto dai libri gialli potrebbe essere legato in qualche misura a questo piacere?

Forse. Credo che ci sia anche il piacere di vedere che qualcuno, almeno nella finzione, riesce a mettere ordine nel disordine, a riportare la giustizia dove attecchisce l’ingiustizia, a far tornare i conti della vita, insomma. Nei miei gialli, che sono più psicologici e di ragionamento che d’azione e di sangue sparso ovunque, credo che questo pericolo non ci sia.

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In effetti i suoi scritti sembrano disdegnare l’eccessivo spargimento di sangue e le immagini cruente, rimandando più alle storie del commissario Maigret narrate dal maestro Simenon. Cosa deve caratterizzare un buon giallo secondo lei?

La riuscita della trama, il non tradire il patto implicito col lettore che deve poter arrivare anch’egli alla conclusione a cui arriva l’investigatore attraverso gl’indizi seminati nella trama. Ma è molto importante anche l’ambientazione, la presenza di un tema forte: amore, morte, desiderio, speranza, illusione e disillusione. E poi l’umanità dei personaggi e la credibilità della storia.

Lei è un insegnante di greco e latino, in quotidiano contatto quindi con i grandi classici della letteratura. In cosa è carente e in cosa sovrabbonda la produzione contemporanea di libri rispetto al passato?

Secondo me è carente di grandi storie, di grandi trame, tende all’intimismo ma senza essere attenta alla lezione della leggerezza insegnata da Calvino. A parte qualche grande scrittore americano e qualche romanzo italiano particolarmente ispirato. Inoltre, mancano dei seri romanzi storici di respiro.

In base alla sua esperienza, lei si sente di confermare o smentire il disinteresse dei giovani verso la cultura in generale?

I giovani oggi hanno meno stimoli a leggere e un’enormità di stimoli legati alla cultura dell’immagine. Credo che il disinteresse verso la cultura non sia una cosa generalizzata. C’è bisogno di bravi maestri, che sappiano mediare cose di valore. Quando i ragazzi trovano delle guide attente, s’appassionano anche ai classici.

Da quale delle sue professioni (insegnante e scrittore) lei ha appreso di più?

Sicuramente da quella d’insegnante. Scrivere è una fortuna, non è propriamente una professione per me. La scuola mi dà ancora tanta vita, un po’ di questa vita si trasferisce anche nei miei libri.

Leggi anche la recensione a La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi

Giovanni Ricciardi: Professore di greco e latino in un liceo di Roma. Scrittore italiano. Autore della fortunata serie che vede come protagonista il commissario Ottavio Ponzetti.

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“Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo” di Franco Forte

23 domenica Ott 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Cesarelimmortale, FrancoForte, Mondadori, recensione, romanzo, romanzostorico, thriller

Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo (Mondadori, 2016) di Franco Forte è un romanzo storico che si apre al lettore con una bellissima dedica che l’autore indirizza ai suoi figli e che ogni genitore dovrebbe desiderare far propria.

«…nella speranza che prima o poi capiscano quanto sia meraviglioso immergersi nella lettura di un romanzo. Non solo nei loro smartphone e tablet…»

L’antefatto racconta di uno degli accadimenti più celebri della storia romana: le Idi di marzo, divenute nel tempo l’emblema delle congiure e delle cospirazioni di stampo politico e motivate da brama di potere e interessi che prima erano solo economici ora anche finanziari. In Cesare l’immortale però la vera ‘congiura’ l’ha portata avanti lui, il dittatore Gaio Giulio, accecato dal desiderio di travalicare i confini del mondo e diventare veramente invincibile.

Leggere una dopo l’altra le pagine che compongono il libro di Forte è, per il lettore, una immersione lenta e programmata nell’antico impero dei Romani. Rivedere, come in un docu-film trimidensionale, le loro vesti, le abitazioni, le fortificazioni militari, le imbarcazioni… un universo sapientemente riportato alla mente di chi legge con l’uso di termini tipici della tradizione romana inseriti ad uopo nel contesto di un linguaggio, quello in gran parte utilizzato, che invece è molto più contemporaneo.

La scena si sposta presto dai luoghi e dai fasti della Roma imperiale, ritenuti sicuri perché conosciuti, verso mete indicate come piene di insidie ma affascinanti forse proprio perché ancora inesplorate. E sarà proprio tra le immense distese ghiacciate del Nord che i Romani di Franco Forte si scontreranno con l’evanescenza delle certezze non provate ma solo acquisite.

«i Celti che si scaraventavano a petto nudo contro le frecce infuocate dei romani e sotto lo sguardo attento e vigile del loro druido»

La forza della persuasione, una delle armi più potenti, che incita anche ad andare incontro a morte certa, da sempre utilizzata per muovere le masse e piegarle al proprio volere. A volte è un desiderio di rivalsa, altre la promessa di ergersi verso superiori livelli di vita trascendentale, più comunemente l’avidità di ingenti ricompense… ma gli esiti di queste “missioni” sono alla fin fine sempre disastrosi, soprattutto in termini di vite sacrificate. Allora come oggi.

«Mentre il rumore della battaglia, fatto delle grida degli uomini e del clangore delle armi, cresceva sempre più Gaio si riempì i polmoni dell’aria gelida e nera che lo avvolgeva e contemplò soddisfatto il modo in cui i suoi soldati facevano strage di quegli sciocchi selvaggi che si tuffavano a petto nudo contro una fortificazione romana, un baluardo che probabilmente non avevano mai visto in vita loro. Un errore che sarebbe costato la vita alla maggior parte di quei guerrieri, tanto coraggiosi e possenti quanto poco consapevoli di ciò che avevano di fronte.»

Cesare l’immortale invita il lettore a riflettere sull’eterno scontro tra uomini che si ritengono civilizzati e per questo superiori e altri che invece sono considerati selvaggi, primitivi, non all’altezza dei primi. Uno scontro che è sempre stato impari dal punto di vista della forza fisica e soprattutto di quella delle armi ma che in fondo dovrebbe aver insegnato da tempo ormai, ai civilizzati, che forse non è solo questo che conta e che i confini del mondo che allora conoscevano come quello degli attuali stati è una nozione posticcia per un pianeta che è tondo nella forma e inscindibile nel contenuto.

Il Cesare raccontato nei libri di storia come quello narrato da Forte è un guerriero e per questo irrequieto lontano dai campi di battaglia. «Dilatò le narici e immaginò di sentire l’odore del sangue. Un odore afrodisiaco, a cui nessun vero soldato avrebbe mai potuto rinunciare.» L’adrenalina che entra in circolo un attimo prima dello scontro e rinvigorisce lo spirito di chi altrimenti si sentirebbe già vinto. Il coraggio che in fondo distingue gli impavidi dai pavidi. Una sensazione, associata all’impeto giovanile, che si ritrova a vivere anche il filosofo Cicerone, coinvolto dallo stesso Gaio nell’epica avventura della Legio Caesaris, partita dal Mare Nostrum, approdata nel mar del Nord dell’Oceanus Magnus e volta alla nuova traversata del Mediterraneo perché diretta verso il nuovo luogo che sarebbe diventato lo scenario della loro forsennata ricerca.

«Non sapeva che cosa avrebbero trovato, dall’altra parte, ma era chiaro che non avrebbe rinunciato per nulla al mondo, anche se si fosse trattato, semplicemente, di andare incontro alla morte.»

Cesare l’immortale. Oltre i confini del mondo di Franco Forte è un romanzo storico e come tale fonde storia e fantasia. A luoghi e personaggi realmente esistiti l’autore dona tratti e comportamenti modellati dalle sue ricerche come dalla sua immaginazione. Il risultato è ottimo. Il libro merita di essere letto.

(fonte biografia: autori.librimondadori.it)

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“La mesata” (Fratelli Frilli Editori, 2016). Intervista a Armando d’Amaro

07 venerdì Ott 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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ArmandodAmaro, FratelliFrilli, intervista, Lamesata, romanzo, thriller

unnamedCon La mesata si giunge al quinto capitolo delle indagini del maresciallo Corradi, ma questa volta più che un avanzare nel tempo la storia è un ritorno al passato. Perché ha ritenuto fosse il momento per Corradi di affrontare i suoi ‘fantasmi’?

Gli scrittori di ‘gialli’ – anche se credo che i miei romanzi siano più giustamente definibili noir mediterranei – quando creano un personaggio ‘seriale’ si trovano davanti a un bivio: è meglio tratteggiare un protagonista che manterrà caratteristiche immutate o che subirà, nel tempo, trasformazioni? Io ho imboccato quest’ultima strada, giudicandola più realisticamente vicina alla vita, perché Corradi, come tutti noi, è uomo normale, non un essere dotato da straordinariamente improbabili ‘cellule grigie’. E, come spesso succede, giunto vicino ai ‘cinquanta’ più o meno consapevolmente fa un bilancio della sua vita, tormentata da un fatto commesso in gioventù che lo aveva portato a una scelta (l’arruolamento nella Legione Straniera) che avrebbe portato dolore ai familiari e segnato lui, che ancor oggi soffre di incubi ricorrenti. Ne La mesata incontra una donna che in qualche modo lo ‘spiazza’ nelle sue (poche e insicure) certezze, spingendolo a una riconciliazione con se stesso prima ancora che con gli altri.

La vicenda si svolge sempre nella sua Liguria ma ora ha voluto che i suoi lettori focalizzassero su un problema per molti ritenuto ancora solo meridionale. Perché ha scelto di centrare l’attenzione sulla radicalizzazione della criminalità organizzata al Nord?

La radicalizzazione della malavita organizzata al Nord – purtroppo – è un problema annoso. Molti rappresentanti di Cosa Nostra, Camorra, Ndrangheta e Sacra Corona Unita, non processabili ma ritenuti comunque soggetti pericolosi, furono inviati in ‘soggiorno obbligato’ nelle regioni settentrionali fin dal lontano (anche perché, purtroppo, il mio anno di nascita) 1956. Negli anni a seguire gli uomini dei clan, ‘trapiantati’ per legge su nuovi territori, approfittarono della situazione ricreandovi strutture criminali in stretto contatto con quelle d’origine e in collusione con la politica locale. Conoscendo le realtà delle organizzazioni campane e volendo riportare Corradi a Calice Ligure (già ambientazione per uno dei miei titoli di maggior successo, La Controbanda, ora acquisito dal gruppo R’E e disponibile in Italia Noir dal 26 dicembre), quale trovata migliore che farlo tornare quale agente distaccato della DIA ?

A margine del testo è inserito un monologo teatrale drammatico, Atlassib, che porta sempre la sua firma. Cosa voleva comunicare ai lettori?

Sono molto affezionato a questo testo: sentirlo recitare, anche se uscito dalla mia ‘penna’, mi suscita sempre emozione. Scrivendo do sfogo alle mie sensazioni e ai miei pensieri, ma non solo: credo che uno scrittore debba svolgere una – seppur piccola – funzione di pubblica utilità. Allora, nel rilasciare – filtrato dalle parole – il bagaglio di vita che mi porto dietro e quanto di nuovo via via si aggiunge, ho ritenuto giusto affrontare anche la situazione che, purtroppo, coinvolge drammaticamente molte donne, quella della loro sottomissione – con la violenza – a quello che dovrebbe essere il loro compagno di vita… Con questo monologo che racconta un (tentato) passo verso la libertà da parte di una ‘condannata’ al silenzio ho voluto sollecitare la sensibilità di chi non vuole né vedere né affrontare questa vera e propria piaga sociale.

La sua casa editrice, dove lei svolge il doppio ruolo di autore ed editor, pubblica in prevalenza gialli e noir. È una scelta legata più agli interessi di titolare e collaboratori o alle richieste di pubblico?

Lettore e scrittore – egualmente curiosi ed affascinati dalla natura e della condizione umana – amano molto questo genere, e non da poco; se ci pensa molti dei più grandi testi, fin dal passato remoto, lo hanno affrontato: nelle tragedie di Sofocle si trattano crimini, così come in moltissimi drammi shakespeariani… e Delitto e castigo di Dostoevskij non ne è forse un perfetto esempio? Il pubblico vuole tentare di capire i più reconditi risvolti della nostra natura, e noi cerchiamo di fornire spiegazioni – non rassicuranti – ma plausibili al perché ci comportiamo in un certo modo. Ma non solo: il noir permette di spaziare in generi letterari diversi (dalla tragedia alla commedia, con tinte dal pulp al rosa), di ambientare i fatti in un territorio che il lettore ben conosce e ancora studiare il crimine da tre differenti punti di vista, quello di chi lo commette, quello della vittima e quello dell’investigatore.

I suoi libri si caratterizzano per l’intreccio fitto, il ritmo serrato e il coup de théâtre finale. Sono queste le caratteristiche che un buon noir deve avere?

Il noir, come ogni altro genere letterario, deve intanto presentare una scrittura pulita e uno svolgimento scorrevole ad accompagnare una trama sensata e coinvolgente, che prenda il lettore fin dalle prime pagine. Ma questo genere, in particolare, consente – descrivendo luoghi, persone e situazioni – di offrire ‘spaccati’ della società. Il noir di fatto si distingue dal giallo classico per questa componente, oltre a quella di non offrire necessariamente al lettore un finale ‘consolatorio’ (ammetto: per La mesata ho fatto un’eccezione): il ‘caso’ viene risolto ma senza riportare una calma assoluta… anzi, i problemi sociali poco edificanti – individuati durante le indagini – restano e talvolta il colpevole non viene assicurato alla giustizia, come nel mio primo romanzo, Delitto ai Parchi. Qualcuno, secondo me esattamente, ha paragonato questo genere al verismo (si pensi al Ciclo dei vinti di Verga o a The Grapes of Wrath di Steinbeck), in quanto crudamente fedele rappresentazione degli aspetti oscuri della cosiddetta ‘società civile’. Ecco, credo sia il realismo lo sfondo giusto – ove si muovono personaggi che, agendo e dialogando ‘buchino’ la carta – le caratteristiche che si richiedono a un buon noir, ‘condito’ se si vuole (io lo faccio spesso) da notizie storiche… ma attenzione a non scrivere inesattezze, perché il lettore, pur generoso, se tradito non perdona!

Cosa accadrà al maresciallo Corradi ora che ha fatto i conti col passato?

Bella domanda, me la pongo spesso anch’io.

Armando d’Amaro: Nato a Genova, vive a Calice Ligure. Ha praticato attività forense e accademica per poi dedicarsi alla scrittura e alla critica d’arte moderna. È autore di numerosi libri e racconti. Diversi suoi testi, scritti per artisti, sono stati anche tradotti in inglese e russo. Il drammatico Atlassib rappresentato con successo a teatro.

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