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Irma Loredana Galgano

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“La congiura di San Domenico” di Patrizia Debicke

02 venerdì Set 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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LacongiuradisanDomenico, PatriziaDebicke, recensione, romanzo, romanzostorico, thriller, Todaro

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Secondo capitolo della serie dedicata alla Sentinella del Papa, La congiura di San Domenico di Patrizia Debicke van der Noot riporta i lettori ai primi anni del 1500, ai giorni dello Stato della Chiesa e dell’Inquisizione.
Questa volta, ancor più delle altre, la Debicke crea una storia ricca di suspense, di intrighi e di mistero che tiene il lettore incollato al testo. La struttura scelta, con la volontà di non suddividere la storia in capitoli bensì mantenere un continuum articolato in paragrafi, si rivela efficace. Ogni passo è centrato su un indizio, una svolta, una sottolineatura e, visto l’elevato grado di complessità della vicenda narrata, ciò aiuta chi legge a seguire con attenzione gli sviluppi, le indagini e tentare magari anche di anticipare qualche rivelazione.

Giulio II e la sua corte si trovano a Bologna e sarà proprio la Dotta a fare da sfondo alle vicende che coinvolgeranno il Papa e la sua Sentinella, Julius Aloysius von Hertenstein leutnant della Guardia Pontificia, il convento di San Domenico e quello di San Mattia, Santa Maria Celesta, le “vedette” della strada e Michelangelo Buonarroti.

«I fedeli hanno visto e sentito. Non possiamo nascondere o minimizzare. Questo spaventoso delitto nella basilica è un sacrilegio che comporta la sconsacrazione.»

Il rinvenimento del corpo di fra’ Consalvo, vice di fra’ Gaudioso e suo assistente nell’Inquisizione, sui gradini dell’Arca, trafitto da un Cristo dorato e con il cadavere di un gatto nero a cingergli la testa come una corona lascia emergere fin da subito la dimensione del marcio che sta per essere svelato. La posa in cui viene rinvenuto il frate è una messinscena e non sarà la sola su cui il lettore avrà piacere di riflettere pensando alle tante, troppe ipocrisie che reggono istituzioni storiche o religiose e dalle cui “impalcature” facilmente si può “precipitare”, come accade al maestro Buonarroti, e ciò può ben rappresentare l’occasione per la svolta.

Il leutnant Hertenstein de La congiura di San Domenico è meno “lucido” del personaggio narrato dalla Debicke ne La Sentinella del Papa (Todaro Editore, 2013), commette un’imprudenza ma questa volta il legame con Maria non è solo sentimentale o carnale, hanno in comune l’aver vissuto sulla propria pelle una terribile esperienza, figlia di una delle più bieche manifestazioni della malvagità umana.

«Ogni tanto penso che Cristo sia morto invano. Per la nostra salvezza? Nossignore, la nostra gente incensa i tiranni e gli assassini e rincorre i sacrileghi.»

Gli Inquisitori si ergono, dinanzi a Dio e al popolo, a giustizieri e, pur dedicandosi a vizi e malvagità, infliggono violenza invocando la retta via, la parola sacra e il perdono. I sotterranei del convento di San Domenico ricordano le sale degli interrogatori della Brigata Speciale, la polizia segreta del dittatore Francisco Franco, descritte da Mark Oldfield in Quindici cadaveri (Newton Compton, 2013) e allora automaticamente ci si chiede dov’è la differenza. Un convento e un quartier generale che hanno entrambi una stanza della tortura, delle celle per la prigionia degli indiziati, delle sale per gli interrogatori e la “via dell’acqua” che se da un lato può rappresentare una via di fuga sotterranea dall’altro è un utile mezzo per liberarsi di qualunque cosa, soprattutto cadaveri.

Patrizia Debicke van der Noot con La congiura di San Domenico si rivela ancora una volta un’artista della scrittura “storica”. In tutte le 260 pagine che compongono il libro non si trova una frase di troppo. Narrazione asciutta, essenziale, decisa e precisa. Per far immergere il lettore nel contesto storico da lei narrato non le occorre sciorinare quanto appreso e certamente studiato sui fatti e le usanze dell’epoca, essendo sua la capacità di rappresentarlo attraverso la scena, lo sviluppo della vicenda, il linguaggio dei personaggi.

La lettura del libro si rivela piacevole e invoglia chi legge in riflessioni sul passato ma anche sul presente della Chiesa, della religione e della spiritualità; sulla società del 1500 ma anche su quella attuale; sul popolo e su chi lo “governa”; sull’ordinario come sullo “straordinario”.

Patrizia Debicke: Nata a Firenze, vive a Clervaux in Lussemburgo e fa lunghi soggiorni in Italia. Dal 2003 si dedica interamente alla scrittura. Ha scritto romanzi, romanzi gialli, gialli storici, racconti per varie antologie e racconti lunghi pubblicati in formato e-book. È collaboratore editoriale di Delos Book, Mentelocale, MilanoNera, The Blog Around The Corner. Ha tenuto conferenze storiche per il FAI, per gli Istituti Italiani di Cultura di Parigi e Lussemburgo, per l’Università del Lussemburgo, per circoli letterari e workshop di scrittura per scuole medie e superiori.

(fonte: http://www.patriziadebicke.com)

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© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Guardare dentro per vedere oltre. “Storie sbagliate” di Maria Teresa Casella

12 venerdì Ago 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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MariaTeresaCasella, racconto, recensione, StorieSbagliate, thriller

Pubblicato tramite StreetLib Selfpublish, il trittico noir Storie sbagliate di Maria Teresa Casella cattura il lettore e lo trascina nelle gole più profonde della vita e della mente umane. È un libro breve ma di una tale intensità da farsi letteralmente divorare. Non è la prima volta che l’autrice regala ai suoi lettori la possibilità di guardare dentro per vedere oltre.

Carmen è una ragazza in aspro conflitto con la vita. La fase adolescenziale è, per lei, particolarmente traumatica e causa una frattura tale con i suoi genitori da indurla a fuggire di casa. Ci vorrà un po’ ma poi capirà che non potrà in alcun modo sfuggire a se stessa.
La sua storia racconta la ribellione giovanile, la voglia di lasciarsi andare, di ostacolare e di opporsi al mondo degli adulti.

«Cercai di tenere duro, di credere che prima o poi qualcosa sarebbe successo e l’incubo sarebbe finito, invece notte dopo notte ci sprofondavo dentro.»

Melody è una transessuale che sembra avere un unico obiettivo: sottoporsi all’intervento chirurgico che la farà diventare definitivamente donna. Ma lei è innanzitutto una persona, un essere umano, con tante storie da raccontare, molta sofferenza e troppo dolore causato il più delle volte dall’ipocrisia di chi, quelle come lei, le schernisce di giorno e le ‘ama’ di notte.

«Era più facile aprirsi, soddisfare, a volte anche godere, se si convinceva che a subire fosse il maschio che era in lei, l’intruso.»

Joanna è una figura liberamente ispirata ad Aileen Wuornos, la killer seriale giustiziata in Florida nel 2002. Personaggio molto discusso, la Wuornos è stata definita da Nick Broomfield, l’ultimo a intervistarla prima dell’iniezione letale, “una persona che ha completamente perso la propria mente in preda alla rabbia”.
Maria Teresa Casella immagina invece che a muovere le azioni di Joanna non sia la rabbia ma l’amore. Un amore deviato, sbagliato? E chi può giudicarlo.

È amore quello che provano due adulti che tentano in ogni modo di adottare un figlio? Oppure è egoismo? È giusto dire la verità ai bambini oppure è meglio mentire? Perché? Cosa provano dei genitori adottivi quando poi la natura decide che possono avere anche loro un figlio naturale?
Tutte le domande che il lettore di Storie sbagliate si pone non sono semplici o scontati interrogativi su vari aspetti o comportamenti, sono dei muri che possono essere costruiti o abbattuti, sono delle scelte che possono risultare giuste o sbagliate ma sempre e comunque necessarie se a volerle è l’anelito di libertà.

Storie sbagliate di Maria Teresa Casella è un trittico noir dove la conclusione non è una fine e neanche un inizio, è una svolta. La direzione verso cui scelgono di andare Carmen e Melody, le cui storie si sono sfiorate, intrecciate per un solo istante ma che è bastato a legare insieme due esistenze, le loro. Vite che per tanti non valevano niente, persone volutamente ignorate, maltrattate, denigrate in nome di… nulla, non c’è nulla che giustifichi certi comportamenti ed è per questo che Carmen e Melody hanno scelto di donare “il loro impegno a beneficio delle vittime delle discriminazioni”. Ed è bello anche che Maria Teresa Casella abbia scelto di raccontarlo.

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“La Bestia di Sannazzaro” di Alessandro Reali

19 giovedì Mag 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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AlessandroReali, FratelliFrilli, LaBestiadiSannazzaro, recensione, romanzo, thriller

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In La Bestia di Sannazzaro. Lomellina, inverno di guerra 1917 (Fratelli Frilli Editori, 2016) Alessandro Reali conduce il lettore in un durissimo periodo della storia italiana. Racconta uno spaccato di vita reale, concreta, con le sofferenze, le privazioni, il dolore e la morte che ogni guerra comporta, per chi va al fronte e per chi resta ad aspettarlo, spesso invano.
Tra le vicende ispirate alla realtà, l’autore inserisce il delitto intorno a cui ruota l’intero noir. Un omicidio dettato più dalla follia che dalla passione, deleteria conseguenza di un accumulo di frustrazioni che inutilmente l’omicida ha cercato di annegare nell’alcol.
Non mancano nel testo di Reali i riferimenti al dualismo, per certi versi ancora attuale, tra gli intellettuali di sinistra e i borghesi/capitalisti di destra, la stratificazione sociale e le sue conseguenze, rintracciabili con facilità anche nella odierna società.
Nicola Necchi è un ragazzo di soli 15 anni con in corpo «la voglia di andare, fare, scoprire e capire, perché era quasi un uomo e suo padre se l’era portato via la maledetta guerra, nel maggio di quello stesso 1917, sul fronte del Carso, nella decima battaglia dell’Isonzo». Un giovane uomo che cerca di trovare la propria strada divincolandosi tra i discorsi altisonanti dell’avvocato Persico, la depressione di sua madre e la finta debolezza di sua nonna, la quale in realtà accudisce e mantiene tutti in casa e cerca di frenare la volontà ribelle di Nicola raccontandogli storie spaventose sulla pericolosa Bestia che aggredisce gli avventori notturni del paese.
Il segreto sull’identità del vero assassino non è l’unico mistero a essere svelato nel testo di Reali, il quale basandosi sui racconti di sua nonna, suo nonno e suo padre rivela tanti particolari sulla vita del piccolo borgo di Sannazzaro de’ Burgondi e dei suoi abitanti. Tradizioni, usi, costumi, superstizioni, leggende, intrecci amorosi e d’affari che riguardano il paesino lungo le rive del Po ma potrebbero essere riferiti a qualsiasi altro sito d’Italia.
Lo stile di Reali è molto intenso, il ritmo incalzante della narrazione mantiene alto l’interesse di chi legge e viene costantemente invogliato a continuare a farlo dalle numerose “rivelazioni” attese. Solo nei passaggi in cui l’autore, citando oggetti, riporta il nome in dialetto e il significato tra parentesi indispongono un po’ il lettore, il quale in un libro di narrativa non cerca spiegazioni ma altro. Sarebbe stato preferibile, forse, inserire la spiegazione sul significato nel contesto della narrazione e non estrapolarla da questa isolandola.
L’ambientazione è piena di atmosfere suggestive, di paesaggi, case e casolari avvolti dalla nebbia e dal mistero della Bestia che incombe minacciosa sull’incolumità degli abitanti del borgo. Descrizioni che rimandano la mente del lettore alle lande narrate dal grande maestro sir Arthur Conan Doyle quando portava Holmes a correre lungo le strade e le campagne avvolte dalla foschia, dal mistero e dalla paura causata dal mastino dei Baskerville, nel libro omonimo. Anche in quel caso si è scoperto che è di altra razza la “bestia” feroce di cui aver paura: umana.

L’articolo originale qui

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La vita perfetta è un dedalo di segreti. “Disclaimer” di Renée Knight (Piemme, 2016)

09 sabato Apr 2016

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Lavitaperfetta, Piemme, recensione, ReneeKnight, romanzo, thriller

La vita perfetta è un dedalo di segreti. “Disclaimer” di Renée Knight

Disclaimer, il primo romanzo della documentarista della BBC Renée Knight, è uscito in Italia lo scorso 15 marzo con il titolo La vita perfetta (Piemme, 2016) nella versione tradotta da Velia Februari. Il libro si presenta con una sfida: cosa faresti se scoprissi che questo thriller parla proprio di te? Avrai il coraggio di girare la pagina e cominciare a leggere? Il coraggio non è mancato, la pagina è stata girata e il libro è stato letto. Ovvio che La vita perfetta non parlava della sottoscritta come di nessun altro lettore in particolare, eppure l’autrice indaga così a fondo la mente e i comportamenti umani che, sì è vero, ognuno può riconoscersi in almeno uno degli innumerevoli ritratti di vita narrati.

La parola che resta in mente, dopo aver letto il romanzo della Knight, è proprio “diniego”, disclaimer in inglese. La struttura narrativa scelta dall’autrice richiama, per alcuni versi, quella più volte usata da Jo Nesbø, maestro indiscusso del crime.  A ogni nuovo capitolo inizia una nuova storia, a volte conseguente altre contraddittoria rispetto a quella narrata fino a quel momento. Se nei libri di Nesbø l’impianto narrativo è strutturato in modo da far sembrare il tutto come una continua e affannosa ricerca per svelare il mistero e trovare i responsabili del delitto, una sorta di caccia al criminale nella quale il lettore si vede da subito coinvolto, nel testo della Knight è evidente che la struttura è stata studiata al contrario per nascondere il più possibile il segreto, che viene svelato solo nelle ultime pagine, nonostante non manchino, nel corso della narrazione, momenti in cui il tutto può essere apertamente raccontato.

Fedele alla struttura di un vero romanzo noir, ne La vita perfetta il crimine resta marginale fino alla fine; molto risalto viene dato alla caratterizzazione dell’ambiente e soprattutto alla descrizione psicologica dei personaggi. Manca nel testo la figura di un detective estraneo alla vicenda, ma tutti i protagonisti assumono autonomamente il ruolo di investigatori e al contempo quello di vittime. L’intera vicenda ruota intorno a un libro, scritto per trovare una motivazione a quanto accaduto ma usato per compiere una vendetta. «Senza poterci fare nulla, Catherine aveva incontrato, tra le righe di quel libro, sé stessa».

La vita perfetta è un dedalo di segreti. “Disclaimer” di Renée Knight

Catherine è una documentarista di successo che abita in un grazioso villino insieme a suo marito Robert. L’abitazione è più piccola della casa che avevano in precedenza, abbandonata dopo che la donna ha invitato il figlio ad andare a vivere da solo, per responsabilizzarlo. Il rapporto di Catherine con Nicholas è sempre stato difficile, forse lei non è tagliata per fare la madre. Oppure no.

In un villino più modesto, sito in un quartiere meno esclusivo della città, abita una diversa famiglia, composta sempre da madre, padre e figlio. Nancy, al contrario, sembra aver votato l’intera sua vita ad accudire Jonathan, trascurando anche il rapporto coniugale con Stephen. Almeno questo è ciò che appare. Cosa lega Catherine a Stephen e Nancy? Il libro, o meglio la storia in esso narrata. Un racconto che ognuno avvalora nella propria versione. Sono i ricordi che il tempo ha reso più labili o c’è dell’altro?

C’è molto altro e la Knight lo riporta in La vita perfetta con una dettagliata descrizione della condizione e dei casi umani.

Quanto incidono le vicende personali sulla professionalità? Un insegnante che non riesce ad arginare la propria frustrazione e la riversa sugli ignari studenti è un mostro o anch’egli una vittima degli eventi? A un uomo premuroso e attento può interessare la propria reputazione più della stabilità della partner? Un genitore che rifiuta di ammettere l’indole violenta del proprio figlio è un buon educatore?

Le risposte a tutte queste domande possono sembrare facili e scontate eppure la Knight ci mostra un modo per osservare i comportamenti umani nient’affatto scontato. La verità è che ognuno di noi vede solamente quello che gli conviene. Anche gli uomini che sembrano tra i più progressisti quando si tratta della propria compagna non accetteranno mai volentieri l’idea che questa possa scegliere di emanciparsi al punto da anteporre la propria felicità a quella del partner o del figlio.

«Quel libro l’ha come irretita, attratta con l’inganno finché non si è accorta di essere in trappola».

Un libro intenso, profondo, che scava dentro l’anima dei protagonisti, che merita di essere letto con attenzione per cogliere ogni sfumatura con la giusta intensità. Un ottimo esordio letterarioLa vita perfetta di Renée Knight.

http://www.sulromanzo.it/blog/la-vita-perfetta-e-un-dedalo-di-segreti-disclaimer-di-renee-knight

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“Amore obliquo” di Maria Teresa Casella (Streetlib, 2015)

15 domenica Nov 2015

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Amoreobliquo, EmmaBooks, MariaTeresaCasella, recensione, romanzo, Streetlib, thriller

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Maria Teresa Casella ripropone in versione digitale Amore obliquo (Streetlib, 2015), già edito nel 2011 con EmmaBooks.
Amore obliquo della Casella è un libro che va letto domandandosi «che cos’è in fondo la pazzia?».
Pazzo è colui che non riesce a mantenere comportamenti “normali” o chi invece riesce a celare alla perfezione la sua follia dietro la maschera della normalità?

«Se provò un’emozione, le rimase intrappolata nella mente. Scambiai la sua passività per inesperienza. L’indifferenza per timore. La freddezza per infelicità.»

Pirandello, il quale ha cercato di indagare a lungo i comportamenti degli uomini e la mente umana, era giunto alla conclusione che per liberarsi dei “mali del mondo” l’uomo non avesse che due possibilità: il suicidio o la follia. Per Linda, protagonista del libro di Maria Teresa Casella, le due alternative si mescolano e si fondono fino a quando non si realizza che è necessaria una distinzione ulteriore tra suicidio fisico, che verrà poi, e suicidio mentale, alienazione volontaria che potrà anche sembrare simile o uguale alla follia ma non lo è. La vera follia è di coloro che hanno coscienza di ciò che accade e fingono di non vederlo, per ipocrisia, per comodità. Linda ha “scelto” la sua schizofrenia. Il suo essere borderline equivale a un suicidio mentale che in un primo momento le appare la soluzione ideale. Linda è crudele, è malata, deviata ma è al contempo una vittima, di se stessa e degli altri.

«Qui, rinchiuso, le emozioni sono stilettate. Ognuna è un dolore che ti fa sentire vivo, ma questa non è vita. La mia vita era con Linda. Lei diventò parte di me dal primo istante in cui la vidi. Adesso, prigioniero, capisco meglio la sua prigionia. Queste catene che stringono e costringono, reali o immaginarie restano catene.»

Umberto Capasso, giornalista per metà scrittore, come lui stesso si definisce, diventa vittima di un’ossessione che tarda a intendere non essere la sua. Crede di aiutare chi in realtà lo sta usando e cerca di salvare chi tenta di incastrarlo. Vive il suo amore obliquo con «la ragazza storta» con la medesima predestinata inconsapevolezza con cui assiste e indaga i crimini efferati in cui resta, suo malgrado, coinvolto.

«No, non posso consegnare ad altri il suo mistero. Non la do a nessuno questa agenda. Solo io posso capire, intuire, risolvere. Anche queste pagine bianche, ad esempio, raccontano qualcosa di lei: c’è la sua vita pure qui, in questi bordi bruciacchiati, in questi fori lasciati dalla punta della penna. Queste pagine non sono vuote: queste pagine sono il vuoto.»

Umberto, pur muovendosi nel caos mentale più totale, ha sempre avvertito la profonda sensazione di dover salvare Linda, l’errore è consistito nell’aver creduto che se fosse riuscito a salvarla da se stessa avrebbe risolto ogni problema. E così, ancora una volta Linda, nel totale isolamento mentale nel quale sopravvive, sceglie di agire da sola, decide per tutti perché convinta che altro non le resta da fare.

«Mi fermai a pensare proprio lì, in quella confusione. Spintonato dalla mischia. Frastornato dalla musica, dalle luci di una notte piena di vita. Da gente che voleva divertirsi, e ci riusciva. Io non ero come loro, non più. Non ridevo come loro, con quel gusto.»

Amore obliquo di Maria Teresa Casella è un libro intenso, a modo suo ribelle, come Linda e la sua storia, la «la ragazza storta» e la sua mente, come Umberto e il suo amore distorto, perché è un sentimento, obliquo.

:: “Amore obliquo” di Maria Teresa Casella (Streetlib, 2015), a cura di Irma Loredana Galgano

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“Un solo essere” di Marco Montemarano (Neri Pozza, 2015)

24 sabato Ott 2015

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MarcoMontemarano, NeriPozza, recensione, romanzo, thriller, Unsoloessere

“Un solo essere” di Marco Montemarano: l'omicidio di Domenico Lorusso. Una storia vera

Un solo essere di Marco Montemarano, edito da Neri Pozza, inizia con il resoconto di quanto accaduto alle 22:00 del 28 maggio del 2013 lungo un tratto di pista ciclabile a Monaco di Baviera.

Domenico e la fidanzata Marianna (ma non è questo il suo vero nome) rientravano a casa in bicicletta dopo aver cenato nel loro ristorante preferito…

«Ci ha messo un po’ a sentirsi una guancia bagnata, a capire che quell’uomo, uno sconosciuto, le aveva sputato in faccia. Lo sconosciuto ha aspettato che Domenico si avvicinasse e poi lo ha ucciso con cinque coltellate».

Il delitto è avvenuto a 300 metri da casa dell’autore che a quell’ora si trovava sull’altra riva del fiume e chiacchierava con suo amico. Montemarano ha sentito la sirena dell’ambulanza, ha notato la concitazione ma solo in seguito ha scoperto quanto accaduto. Lui Marianna la conosceva, era stata una sua studentessa, e conosceva anche il fidanzato, italiano originario di Potenza, di trentuno anni, morto dissanguato sull’asfalto per nessun motivo.

Il libro di Montemarano, Un solo essere, è dedicato dall’autore a Domenico e Marianna.

Quanto accaduto ha inspiegabilmente interrotto la vita di Domenico, ha cambiato quella della fidanzata Marianna e dei fratelli che ancora cercano una spiegazione e un colpevole, ma ha segnato anche l’esistenza dell’autore che inizia a formulare domande e avanzare ipotesi, riportate in corsivo nel libro, a riflettere su tanti aspetti e comportamenti, a osservare le persone, la città e il mondo che lo circonda in maniera diversa. Così nasce Un solo essere che è il racconto della storia d’amore tra Natalia e Martin e dell’omicidio di Martin avvenuto per mano di uno sconosciuto. È evidente che l’autore riscrive il cruento fatto di cronaca ma il libro è anche l’occasione per Montemarano di riflettere sui comportamenti delle persone, sui trascorsi che possono tornare da un momento all’altro, sui sentimenti che possono generare il bene o il male.

«Però non capivo. Che avevamo fatto di male? Non ci stavamo spompinando nel parco e non c’erano le SS sguinzagliate in giro a rastrellare gli italiani. E invece, a quanto pareva, Alexander preferiva essere sospettato di un qualsiasi traffico illecito, di una qualunque immoralità notturna, piuttosto che essere beccato a parlare italiano».

I tedeschi che considerazione hanno degli stranieri in generale e degli italiani in particolare emigrati nel loro Paese? Gli stranieri provenienti dai Paesi dell’Estemigrati o clandestini in Germania come si rapportano ai tedeschi e alle altre etnie presenti sul territorio? Coloro che passano giornate intere a cercare di affogare o nascondere le proprie frustrazioni nell’alcol che tipo di reazione possono avere di fronte alla felicità altrui? Una persona che si invaghisce di un’altra al punto da farla diventare la propria ossessione quali reazioni può avere nel realizzare di essere completamente ignorato dallo “oggetto dei propri desideri”?

Domande queste che Montemarano deve essersi posto più volte prima di arrivare a elaborare delle possibili o probabili situazioni che abbiano preceduto e condotto all’omicidio di Martin in Un solo essere e di Domenico sulla ciclabile di Monaco.

«Martin adesso le sorrideva. Ma non da dentro la vita. Da fuori… Come se Martin fosse semplicemente ammalato, e lei dovesse accudirlo in una stanza appartata, e la sua malattia si chiamasse assenza».

Un libro molto intenso, Un solo essere, e una grande abilità narrativa quella dell’autore, Marco Montemarano, che riesce a non far scadere nel drammatico o nel patetico una storia molto toccante come quella di Natalia e Martin nonché una tragedia grave come l’omicidio di Domenico Lorusso.

http://www.sulromanzo.it/blog/un-solo-essere-di-marco-montemarano-l-omicidio-di-domenico-lorusso-una-storia-vera

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S.J. Watson “Io non ti conosco” (Piemme, 2015)

05 lunedì Ott 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Iononticonosco, Piemme, recensione, romanzo, SJWatson, thriller

io non ti conosco

La casa editrice Piemme pubblica con il titolo Io non ti conosco il romanzo di S.J. Watson Second Life, tradotto in italiano da Stefano Travagli.
Il testo ha una mole imponente: 456 pagine, che in genere scoraggiano i lettori di gialli, ansiosi di scoprire quanto prima l’assassino e svelare il mistero. Ma il libro di Watson non è un giallo, nell’accezione classica del termine, è un thriller psicologico contemporaneo che spazia attraverso molteplici argomenti e indaga vari aspetti del vivere moderno, più o meno correlati con l’omicidio la cui indagine sembra rappresentare il filo conduttore del testo. La narrazione intriga fin dalle prime pagine e il ritmo incalzante abbevera la crescente sete di chi legge, il quale giunge alla quattrocentocinquantaseiesima pagina quasi senza accorgersene.
Si riveleranno i trascorsi berlinesi della protagonista il vero leitmotiv dell’opera.
Una giovanissima Julia, dopo aver trascorso dieci anni a fare da madre a sua sorella, decide di seguire il suo ragazzo in un’avventura bohémien nella città rinnovata dalla caduta del muro, occupando una casa per viverci con amici un po’ “diversi”, come li definisce lei stessa. Sarà in quell’occasione che conoscerà lo sballo, le droghe, il divertimento, ma che si avvicinerà anche alla fotografia, la sua passione.

«Ho fatto qualche scatto di prova, e mentre avvicinavo la macchina all’occhio ho sentito che il gesto era ancora intuitivo, istintivo. Quando ho guardato nel mirino, ho capito che preferivo vedere il mondo così. Dentro un’inquadratura.»

Sembra ormai tutto talmente lontano da apparirle irreale nella nuova vita che si è costruita a Londra, grazie a Hugh che l’ha salvata prima e sposata poi. Anche la fotografia intesa come ‘arte’ sta diventando un lontano ricordo. Infatti Julia si limita a ‘divertirsi’ nel fare «lavori in cui servono soprattutto abilità tecniche. Non è come fare ritratti; non è arte, se vogliamo usare questa parola».
Ma l’uccisione di Kate, sua sorella, rimette tutto in discussione e la sua mente si trova del tutto impreparata ad affrontare e soprattutto superare un trauma del genere. Così mentre si illude di indagare sulla morte della sorella in cerca del suo assassino, convinta che la polizia non stia facendo abbastanza, Julia non fa altro che rispolverare la se stessa di tanti anni prima, la ragazza che girava per le strade di Berlino scattando foto alla “evoluzione degli altri” rosa dai sensi di colpa per aver abbandonato la sorella minore ed essere fuggita inseguendo l’amore. Fuggirà anche da Marcus e nel momento peggiore ma non riesce a realizzare, fino alla fine, quale sia stato veramente il suo errore più grave.

« Chiudo gli occhi e penso a Kate, a quando eravamo bambine. Allora le cose erano più semplici, anche se non significa che fossero facili.»

Julia crede che quella parte della sua vita sopravviva ormai solo nella sua mente e attraverso le foto dell’epoca, come ritiene di poter tenere separate le sue due vite attuali: quella con Hugh e Connor e l’altra con Lukas. Esattamente come pensava di riuscire a tenere separate la realtà vera da quella virtuale. Una valvola di sfogo, un’evasione temporanea dalla quotidianità e dal dolore, così Julia cercava di mentire a se stessa per sentirsi meno in colpa nel frequentare siti di incontri online, nel chattare con uno sconosciuto, nell’incontrarlo, nel farci sesso, nell’avere una relazione con lui…

« Chiudo il giornale e svuoto la lavastoviglie. Ho inserito il pilota automatico. Prendo lo straccio, la bottiglia di candeggina e pulisco la cucina. Mi chiedo se anche la generazione di mia madre si sentiva così: il valium nell’armadio del bagno, una bottiglia di gin sotto il lavello; una storia con il lattaio, per il brivido dell’avventura. Tanti progressi e siamo sempre allo stesso punto. Quanto mi vergogno.»

E proprio mentre pensa che non ci possa essere nulla di più terribile del fatto che Hugh e Connor scoprano la verità realizza che anche suo figlio è rimasto vittima dello stesso inganno che ha ‘stregato’ lei. È caduto nello stesso tranello, per mano della stessa persona, per lo stesso motivo.

« Apro gli occhi. Che spari o non spari, qualunque cosa succeda da adesso in poi, è finita.»

Nessuno si rivela quello che dice di essere, nemmeno Hugh, neanche lei stessa. L’autore riprende in parte la teoria pirandelliana delle maschere indossate da tutti e da ognuno per regalare a se stessi e agli altri, ogni volta, un’immagine diversa. «Con improvvisa chiarezza mi rendo conto che indossiamo tutti delle maschere, sempre. Al mondo, agli altri, presentiamo solo una faccia: mostriamo un volto diverso a seconda delle persone con cui siamo e di quello che ci si aspetta da noi. Ma anche quando siamo soli indossiamo una maschera, la versione di noi stessi che vorremmo essere.»
Watson compie un’attenta analisi della psiche femminile, andando oltre le apparenze, oltre le parole e rimanda al lettore un’immagine completa della protagonista, delle sue paure, dei suoi tormenti, dei suoi sentimenti, delle passioni. Racconta dettagliatamente lo struggimento di Julia per il tradimento inferto alla sua famiglia, ancor più incisivo se paragonato alla reazione e al comportamento di Hugh, il quale sembra approfittare di un incorso problema di lavoro e dello stato confusionale in cui versa Julia per non affrontare il suo di tradimento. Il finale assolutamente non scontato contribuisce a rendere Io non ti conosco di S.J. Watson un libro interessante che merita di essere letto.

:: Io non ti conosco, S.J. Watson, (Piemme, 2015) a cura di Irma Loredana Galgano

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“La Trappola” di Melanie Raabe (Corbaccio, 2015)

04 venerdì Set 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Corbaccio, LaTrappola, MelanieRaabe, recensione, romanzo, thriller

la-trappola-raabeEsce in questi giorni per Corbaccio La Trappola (titolo originale Die falle) di Melanie Raabe, nella versione tradotta dal tedesco da Leonella Basiglini.
Per la Raabe, giovane giornalista e scrittrice di testi teatrali e racconti, si tratta del romanzo d’esordio ma leggendolo non si direbbe. Una scrittura la sua ben strutturata, ben articolata e curata in ogni dettaglio in maniera tale da riuscire ad affermare e/o negare un qualcosa con l’impiego della medesima frase. Periodi ripetuti più volte, come una sorta di mantra, che inducono il lettore a credere o rinnegare quanto letto, a seconda di dove l’autrice vuol condurlo.
Grande abilità di penna nient’affatto comune che la Basiglini riproduce in maniera egregia e che si ritrova in Jo Nesbo, per esempio.
«Nel mio mondo, sia d’estate sia d’inverno, la temperatura è di 23,2 gradi centigradi. Nel mio mondo è sempre giorno, mai notte. Non c’è pioggia, non c’è neve, non ci sono dita congelate dal freddo. Nel mio mondo c’è un’unica stagione, e non ho ancora deciso come chiamarla.»
La Trappola sembra raccontare la storia della scrittrice di bestseller Linda Conrads, la quale da dodici anni non esce di casa relazionandosi solo con le persone a lei care e tormentata dai sensi di colpa per non essere riuscita a salvare sua sorella Anna. In realtà il libro della Raabe narra dell’animo umano, della sua fragile forza, della sua mutevole e apparente normalità… racconta di tutto ciò che accade o potrebbe accadere quando vengono meno le certezze da noi stessi costruite come barricate dietro cui ci nascondiamo continuamente per difenderci, spesso da noi stessi.
Un thriller psicologico di ampio spessore quello scritto da Melanie Raabe che invita il lettore a seguire la trama misteriosa dell’omicidio di cui la protagonista è stata testimone oculare ma al tempo stesso lo conduce per mano nei drammi mentali di una persona borderline, o almeno tale in apparenza.
«La via per uscire dalla paura passa attraverso la paura» ripete continuamente a se stessa Laura che viene spinta a credere di essere completamente pazza in un gioco in cui tutti, vittime e investigatori, vengono indotti a fare la volontà dell’assassino. O almeno questo è ciò che sembra…
La storia e la caratterizzazione dei personaggi reggono bene per tutte le oltre trecento pagine del testo e il lettore potrà ritenersi soddisfatto in quanto tutti i nodi vengono sciolti e tutti i misteri risolti fatta eccezione della serialità o meno dell’omicidio, aspetto accennato più o meno a metà del libro e su cui l’autrice non ritorna, tranne che per l’interrogativo dei fiori, tra l’altro rimasto tale.
Rimane comunque l’unico punto a lasciare il lettore perplesso, per il resto il testo lo tiene incollato dalla prima all’ultima pagina in un crescendo di suspense e terrore che lo avvolgono e lo travolgono al pari degli incalzanti eventi narrati.

La Trappola – Melanie Raabe

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“La canzone del sangue” di Giovanni Ricciardi (Fazi, 2015)

22 sabato Ago 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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GiovanniRicciardi, Lacanzonedelsangue, recensione, romanzo, Sicilia, thriller

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A luglio la casa editrice Fazi ha pubblicato La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi, un altro capitolo delle indagini del commissario Ottavio Ponzetti.
La trama ruota intorno al mistero sulla paternità della famosa canzone siciliana Vitti na crozzaanche se il tutto alla fine sembra sfumare in una bolla di sapone, avendo il lettore inteso che deve, o meglio avrebbe dovuto, concentrare la sua attenzione su ben altra paternità.
Il ‘gioco’ che Ricciardi intrattiene con il lettore si rivela da subito un simpatico espediente. A tratti il testo sembra ‘interattivo’, con espliciti inviti a ‘partecipare’ alle indagini. E così l’autore si diverte a mescolare le carte tra realtà, finzione, teatro e televisione… rimandando continuamente a due grandi figli della terra che ‘ospita’ la storia narrata, la Sicilia. L’immagine del teatro pirandelliano con i suoi personaggi si alterna alle vicende del commissario più noto della televisione, frutto della penna di Camilleri.
Il giallo scritto da Giovanni Ricciardi non fa una grinza, per la storia e per la tecnica. Abilità ormai certificate dello scrittore-professore che non manca di ‘insegnarci’ qualche passo classico o di spiegarci l’origine o l’etimo di usanze e termini.
Quello che invece lascia il lettore molto turbato è il motivo recondito dell’aver voluto raccontare di Vitti na crozza.

« Chissà se quei vecchi incupiti e rugosi che se ne stavano in punta di piedi col cappello tra le mani erano scesi anche loro da bambini nelle viscere della solfara, a portare in superficie la ricchezza degli Arnone per un piatto di minestra.»

Le solfare siciliane, le miniere che risucchiavano ancora a metà del secolo scorso giovani e giovanissimi.
George Orwell diceva:

«Più di ogni altro, forse, il minatore può rappresentare il prototipo del lavoratore manuale, non solo perché il suo lavoro è così esageratamente orribile, ma anche perché è così virtualmente necessario e insieme così lontano dalla nostra esperienza, così invisibile, per modo di dire, che siamo capaci di dimenticarlo come dimentichiamo il sangue che ci scorre nelle vene».

Ricciardi focalizza l’attenzione del lettore sui minatori dimenticati e in particolare sull’epopea di un gruppo di siciliani senza lavoro che tentano di espatriare illegalmente in Francia alla ricerca di una vita migliore. Storia ripresa dal regista Pietro Germi nel film Il cammino della speranza.
Un film e una storia tristemente attuali.

«Scesi sottoterra e mi parve di trovarmi in un girone infernale: dalle rocce emanava un calore fortissimo, i minatori – che stavano scioperando da una settimana – erano seminudi o nudi del tutto. Stavano cantando Vitti na crozza. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell’aria. Con quella registrazione iniziammo il film.»

La canzone popolare Vitti na crozza viene indicata come un «canto tragico, un vero e proprio “contrasto” tra la vita e la morte» e per certi versi anche La canzone del sangue di Ricciardi lo è, nell’abilità propria dell’autore di restituirci l’immagine di un’umanità dimenticata, sfruttata, predestinata e non ci si vuol riferire solo ai minatori.
La vera protagonista del libro, Annamaria, pur entrando fugacemente nella scena la domina dall’inizio alla fine con la sua ‘vita sospesa’, il suo amore negato, rubato, e la sua passione che diventa la sua condanna.
Un libro quello di Ricciardi che narra del dualismo sociale, delle ingiustizie, dei soprusi e anche degli innumerevoli futili problemi quotidiani da cui il commissario Ponzetti cerca tenacemente di fuggire, rifugiandosi nel suo lavoro. Atteggiamento diffuso nella società attuale e, come il grande Pirandello ci ha insegnato, tutto ciò diventa paradossale e semiserio al punto che non si sa se ridere o piangere… esemplare il passaggio nel quale il vice di Ponzetti non trova posto per la vacanza con la propria famiglia e si fa ospitare dal commissario. Come quello del resto del ‘folle’ attaccamento di Galloni al suo cane cieco… riproposizioni in chiave moderna delle ‘maschere’ rappresentate nelle novelle prima ancora che sui palcoscenici dal grande drammaturgo agrigentino.
La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi non delude gli appassionati del genere ma anche chi in un libro cerca se non proprio la denuncia almeno il racconto dei mali e dei soprusi della società.

:: La canzone del sangue, Giovanni Ricciardi (Fazi, 2015) a cura di Irma Loredana Galgano

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” di Marisa Salabelle (Piemme, 2015)

23 giovedì Lug 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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intervista, LestatecheammazzaronoEfisiaCaddozzu, MarisaSalabelle, Piemme, romanzo, thriller

Intervista di Irma Loredana Galgano a Marisa Salabelle, autrice de “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu”

“Fu così che Efisia Caddozzu venne al mondo. “Mischinedda”, pensò la levatrice mentre la presentava ai parenti riuniti, eccetto che alla madre, che si era addormentata.”

Da pochi giorni in tutte le librerie il debutto letterario di Marisa Salabelle L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme, 2015). Un giallo ambientato nella città di Pistoia, una storia contemporanea che racconta della violenza fisica ma anche di quella culturale. Un libro che cattura gli appassionati del genere e che accompagna il lettore in riflessioni approfondite sulla società di oggi e sui suoi innumerevoli mali.

Durante la festa di San Jacopo, patrono della città, due ragazzini in bicicletta trovano, vicino a un fosso, il cadavere di una donna, barbaramente uccisa, priva di documenti, vestita e truccata come una prostituta, probabilmente extracomunitaria. Dopo affannose indagini, portate avanti da carabinieri svogliati e un giovane cronista che sogna lo scoop, si scopre invece che il corpo è quello di Efisia Caddozzu, maestra elementare.

Ma chi era davvero Efisia Caddozzu? Perché una semplice maestra viene abbandonata sul ciglio di una strada con il cranio fracassato? Le indagini portano tutte a un unico indiziato: l’albanese, di cui si è persa ogni traccia. Ma la verità sulla morte di Efisia è un’altra. Per scoprirla sarà necessario scavare nelle ipocrisie più sottili e feroci dell’animo umano.

“Si parlava molto anche di certi fatti, che accadevano regolarmente, e che venivano designati col nome del luogo in cui si erano verificati, senz’altra spiegazione: i fatti di Battipaglia, i fatti di Reggio Calabria: tutti sembravano capire immediatamente in che cosa consistessero i fatti, tranne Efisia, Efisia gli unici che conosceva erano i fatti di Reggio Emilia, grazie a zia Pinella. Così, alle riunioni dove il fumo delle sigarette e l’alito pesante dei compagni, che avevano l’abitudine di mangiare cibi infestati da grandi quantità di aglio e cipolla, erano così densi da potersi toccare con mano, si limitava ad ascoltare in silenzio, trasognata, e menomale che aveva smesso di succhiarsi il dito.”

Marisa Salabelle è nata a Cagliari ma vive e lavora a Pistoia, dove insegna in un Istituto Tecnico. Le abbiamo rivolto alcune domande sul suo primo romanzo L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzuchiedendole anche alcune riflessioni e considerazioni sulla società contemporanea.

I.L.G.: Esce in questi giorni per Piemme il suo romanzo d’esordio. Quali sono i suoi sentimenti al riguardo?

Marisa Salabelle: Sono molto emozionata. Mi sono battuta molto per cercare di pubblicare questo romanzo e ora che finalmente vede la luce sono felice come una bambina.

I.L.G.: Il suo romanzo L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu è un giallo ma l’intento sembra non essere fine alla risoluzione del mistero, piuttosto quello di abbattere il muro dell’ipocrisia che regna nella società contemporanea. Perché?

Marisa Salabelle: In effetti  L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu potrebbe essere considerato un giallo anomalo. Direi che, nelle mie intenzioni, il romanzo si sviluppa su tre livelli: il primo è quello strettamente poliziesco. C’è una donna assassinata, ci sono le indagini, c’è uno scioglimento. Il secondo livello è quello relativo al personaggio di Efisia, la cui vita viene seguita, in brani che si alternano a quelli imperniati sulle indagini sulla sua morte, dalla nascita fino al giorno in cui viene uccisa. Il terzo livello è quello che racconta un periodo di storia italiana, visto con gli occhi della protagonista: dagli anni ’60 ai primi anni ’90 del Novecento. È su questo livello che è possibile trovare una lettura critica della società di quegli anni.

I.L.G.: Secondo lei, prima o poi, si riuscirà a trovare un equilibrio nella convivenza tra i popoli o la ‘guerra tra etnie’ non può cessare perché propedeutica alla coltivazione di ben altri interessi, come quelli economici per esempio?

Marisa Salabelle: Io sono assolutamente convinta della necessità di una convivenza il più serena possibile tra persone, gruppi etnici e religiosi, popoli. Il mondo di oggi è un mondo in movimento, fenomeni come le migrazioni di massa sono eventi di tale importanza che certe ricette semplicistiche portate avanti da uomini politici di diverse tendenze mi sembrano assolutamente improprie oltre che impraticabili; è altresì un mondo conflittuale, percorso da guerre, segnato dalla disuguaglianza e dall’ingiustizia. Gestire tutto ciò non sarà facile, ma è l’unica possibilità che abbiamo.

I.L.G.: Ritornando al suo libro. La protagonista ha un carattere irrequieto, il ragazzo che ha preso sotto la sua ala protettiva altrettanto… sono questi per lei sintomi di una società tormentata e tormentosa?

Marisa Salabelle: Ho voluto creare il personaggio di Efisia come un personaggio sfaccettato: è una donna determinata, generosa, con un forte senso della giustizia e una grande capacità di dedizione; nello stesso tempo è una donna sgradevole non solo nell’aspetto ma anche nel carattere e capace di imprimere alla sua vita una svolta autodistruttiva. Questo è un dato, per come io l’ho inteso, più personale che sociale. Per quanto riguarda il suo giovane protetto, avevo bisogno di un personaggio come lui, un giovane apparentemente indifeso ma in realtà opportunista, prevaricatore: mi serviva che Efisia si innamorasse di un tipo del genere. Diciamo quindi che questo personaggio è una necessità della trama che avevo in mente. Infine, il fatto che nel romanzo non ci sia un solo “buono”, nessuno sia “un eroe” o “un’eroina”, dipende da come la vedo io sulla complessità della natura umana…

Intervista di Irma Loredana Galgano a Marisa Salabelle, autrice de “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu”

 

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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