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AdrianaVigneri, FilippoPizzolato, IlMulino, Ilprotagonismodellecittà, MarcoDoria, recensione, saggio
Il fenomeno urbano ha caratterizzato l’età contemporanea ed è tratto distintivo del XXI secolo, definito appunto il secolo delle città.
All’inizio del XXI secolo il processo di globalizzazione sembrava destinato a ineluttabili avanzamenti, generalmente valutati in modo positivo, con un contestuale “ridimensionamento” del ruolo degli Stati nazionali a favore delle forze dinamiche del mercato e delle istituzioni sovranazionali, lasciando spazio anche a un nuovo protagonismo delle città. Quanto accaduto negli ultimi anni (la pandemia e i suoi effetti, la guerra russo-ucraina, le tragiche vicende del Medio Oriente) ha invece rilanciato il peso e l’importanza degli Stati come fondamentali, ancorché esclusivi, attori, nel bene e nel male, delle politiche. Ciò nondimeno le città continuano a essere spazio privilegiato per progettare e attuare strategie in grado di farci almeno avvicinare agli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati nell’Agenda 2030 delle Nazioni unite.

Oggi viviamo nel secolo delle città e dovremmo di conseguenza aggiornare le nostre mappe mentali. La realtà sta cambiando rapidamente mentre noi siamo fermi a una lettura Stato-centrica delle relazioni internazionali. Con la Pace di Westfalia del 1648, le città sono state espulse dal nostro orizzonte intellettuale dopo che per secoli erano state il fulcro della vita globale. Oggi esse tornano a guadagnare centralità, ma noi fatichiamo a prenderne atto perché ragioniamo ancora in termini westfaliani. Oggi alcune delle nostre attività più importanti hanno luogo nelle città, tuttavia noi vediamo solo gli Stati come attori della politica globale. Eppure la politica internazionale è fortemente influenzata da un numero crescente di città sempre più attive nello scacchiere globale. Città che sviluppano reti di gemellaggi e progetti, condividono informazioni, firmano accordi di cooperazione, contribuiscono a plasmare politiche nazionali e internazionali, forniscono aiuti allo sviluppo e assistenza ai rifugiati, competono nel marketing territoriale attraverso forme di cooperazione decentralizzata.
Le città fanno oggi quello che i “comuni” erano soliti fare secoli fa: cooperano ma allo stesso tempo danno vita a una forte dinamica competitiva. Per questa ragione, se vogliamo comprendere davvero le dinamiche socio-politiche planetarie, dobbiamo avere due mappe mentali in testa, una Stato-centrica e una non-Stato-centrica.1
Vi sono almeno due logiche diverse dietro l’attuale attenzione al ruolo dei centri urbani. In primo luogo, la logica dell’efficienza e dell’efficacia: un’abile governance urbana è vista – in particolare da sindaci animati da determinazione personale – come lo strumento più adatto per raggiungere una qualche efficacia al livello sociale in ragione dei suoi caratteri di immediatezza esecutiva e prossimità ai cittadini. Poi c’è la logica della democrazia: una buona governance urbana è vista come lo strumento più adeguato per implementare l’ideale democratico; gli enti locali diventano un mezzo per raggiungere l’empowerment delle comunità e l’auto-determinazione democratica. La diplomazia della città, in qualche modo, connette direttamente i cittadini locali con le vicende globali, contribuendo a superare i deficit democratici a livello internazionale.2
Città come Los Angeles, Londra e Tokyo hanno un ruolo di guida economica e identitaria sia per se stesse sia per i Paesi che rappresentano. L’Italia è un Paese fondato sulle città e la nostra storia – dall’epoca dei comuni alle istanze autonomiste odierne – ci ricorda quanto l’attaccamento alla comunità locale sia spesso più forte del legame con lo stato centrale. Ma oggi l’avvento delle megacity impone un cambiamento di politica che ci consenta di superare la frammentarietà e riuscire a giocare con successo un ruolo di rilievo nel “secolo delle città”. In questa prospettiva un’ispirazione per l’Italia può venire da Milano, ritenuta in questi anni un modello dalle più autorevoli agenzie internazionali, dalle aziende, dai turisti, dai milanesi.3
Nel testo le città sono indicate come reti di flussi lungo cui si muovono merci, persone e capitali. Centri direzionali dell’economia mondiale, luoghi e mercati essenziali, centri dell’innovazione e della ricerca.
L’evoluzione della città si manifesta attraverso un percorso nella direzione di un sistema insediativo sempre più complesso e comprensivo, verso un sistema interagente di funzioni di varia natura e rango, un prodotto di intelligenze collettive e un incrocio di flussi globali e locali: la stessa natura collettiva della città si ribella con vigore alla monofunzionalità, al consumo di suolo come paradigma e alla solidità come configurazione identitaria. Nella società liquida, alla città rigidamente divisa per parti e per funzioni, alla città per recinti, si sostituisce la “città molteplice”, non solo multifunzionale al suo interno, ma anche nodo complesso di un’armatura planetaria di città in cui si intrecciano numerose reti locali e globali. Con il rischio però che l’esito, piuttosto che una identità molteplice e ricca, sia quello di una perdita di identità alla rincorsa perenne di modelli eteroprodotti. All’emergere delle molteplicità deve corrispondere un incremento della responsabilità, traducibile in un triplice impegno: verso l’ambiente, verso l’identità culturale e verso la cooperazione.4

Le città appaiono solitamente inserite dentro il “sistema paese”, ne condizionano le dinamiche e da queste sono condizionate. La crisi persistente ha aumentato la povertà, ne ha generato forme nuove, ha acuito le disuguaglianze: si tratta di fenomeni che si concentrano in particolare nelle aree urbane che divengono dunque lo spazio decisivo per l’attivazione di politiche atte a fronteggiare tali emergenze. Ma gli autori sottolineano che, oltre a mitigare gli effetti negativi della crisi sul piano sociale, le città sono chiamate a essere driver di sviluppo. Nell’età della quarta rivoluzione industriale le città sono interessate, o almeno dovrebbero esserne campo di applicazione, da politiche volte a renderle più green e smart.
Non è sempre facile capire cosa si intenda esattamente per smart city anche perché, man mano che il concetto originario veniva esteso per rispondere alle critiche, l’espressione ha assunto un senso onnicomprensivo: si è passati da un significato che considerava “intelligente” una città in cui era forte e pervasivo il ruolo delle tecnologie a una città la cui intelligenza è multidimensionale e si basa soprattutto sull’intelligenza dei suoi abitanti. Insomma, alla fine, una delle tante parole-ombrello che contengono poco o troppo, alla fine piene di vuoto. I termini sostenibilità e resilienza, tra gli altri, soffrono di questo stesso rischio: se tendono ad allargare il loro ambito, perdono di precisione e di rilevanza, si annacquano. Non è possibile pensare a città intelligenti (smart cities) che non siano in primo luogo città sane (healthy cities), anche se è vero che l’uso delle nuove tecnologie può dare impulso fondamentale per ripensare e realizzare la qualità della vita urbana. Ma soprattutto non si può immagina una “città sana” che non stia dentro un “territorio intelligente”, ovvero un territorio che sappia ricomporre la frattura città/campagna dotando tutte le sue parti di un’elevata qualità ambientale e paesaggistica e di infrastrutture e reti che ne garantiscano le funzionalità.5
Uno smart land è un ambito territoriale nel quale attraverso politiche diffuse e condivise si aumenta la competitività e l’attrattività del territorio, con un’attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di movimento, alla fruibilità ambientale e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini.6 La smartness si concretizza in una più accentuata digitalizzazione del sistema economico e della pubblica amministrazione. Nel testo si pongono al riguardo questioni rilevanti inerenti ai temi delle piattaforme, della loro non frammentazione e del loro controllo, che rimandano tanto a delicati equilibri tra soggetti pubblici diversi quanto al rapporto tra attori pubblici e gruppi privati. Un invito a riflettere sull’insieme di relazioni bidirezionali tra città (o enti locali), Stato e mercato.
Il libro
Marco Doria, Filippo Pizzolato, Adriana Vigneri, (a cura di) Il protagonismo delle città. Crisi, sfide e opportunità nella transizione, Il Mulino, Bologna, 2024.
La redazione del volume è stata curata da Alessandra Miraglia.
1R. Marchetti, Il secolo delle città. Perché i nuovi centri urbani sono i luoghi più adatti per accogliere le sfide del futuro, Luiss Open, 16 aprile 2021.
2R. Marchetti, op.cit.
3G. Sala, Milano e il secolo delle città, La Nave di Teseo, Milano, 2018.
4M. Carta, Dalla Carta di Machu Picchu all’agenda per le città del XXI secolo, in A.I. Lima (a cura di), Per un’architettura come ecologia umana. Studiosi a confronto, Jaca Book, Milano, 2010.
5F. Angelucci (a cura di), Smartness e healthiness per la transizione verso la resilienza. Orizzonti di ricerca interdisciplinare sulla città e il territorio, Franco Angeli, Milano, 2018.
6A. Bonomi, R. Masiero, Dalla smart city alla smart land, Marsilio, Venezia, 2014.

Articolo pubblicato su Satisfiction.eu
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Il Mulino per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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