Prague Fatale è l’ottavo romanzo scritto da Philip Kerr della serie dedicata al commissario Bernhard Gunther, uscito nel 2011, edito quest’anno in Italia dalla casa editrice Piemme, nella versione tradotta dall’originale in lingua inglese da Elena Orlandi, con il titolo La notte di Praga. Otto thriller storici ambientati nella Germania nazista e un commissario della Polizia Criminale, la Kripo, che lo sfida, questo Reich a cui non riesce proprio a piegarsi.
Forse passione per la storia, forse umana pietà per le vittime dell’eccidio, di sicuro la scelta di Kerr di orientare i suoi scritti verso questa tematica si rivela felice. È di sicuro un argomento che tira, su cui sembra non sia mai stato detto abbastanza: film, documentari, approfondimenti, ricorrenze, musei, libri… una valanga di dati e numeri su cui riflettere, una catastrofe su cui meditare, uno sterminio da non dimenticare. Certo. Ma viene da chiedersi quanto valore abbiano agli occhi dell’autore e degli stessi sopravvissuti le stragi compiute sempre per mano di occidentali ai danni di altre, numerose, infinite, popolazioni autoctone: nativi americani, indigeni, aborigeni, africani, slavi, solo per citarne alcuni della storia recente, palestinesi e siriani per citarne altri della storia presente.
Se Male viene definito il Terzo Reich, per le atrocità inflitte agli Ebrei, tale devono essere considerati tutti i Governi che egual sorte hanno riservato a popoli di diverso nome ma ugual Genere, “Umano”.
Kerr si sofferma spesso, durante il corso della narrazione, ad analizzare questo aspetto, riportando per esteso le impressioni del commissario Gunther in merito a cosa effettivamente stessero facendo i Tedeschi del Partito lontano da occhi e orecchie indiscreti. In effetti, l’aver visto con i propri occhi i campi di concentramento e l’aver assistito e partecipato in prima persona alla pulizia etnica in atto ha reso Bernhard Gunther una persona diversa, che pensa spesso al suicidio, che non ha paura di sfidare anche l’Obergruppenführer Reinhard Heydrich a causa del bassissimo livello di stima che prova ormai nei confronti di tutti gli ufficiali e non delle SS, compreso se stesso. Ironia della sorte, il commissario della Kripo di Berlino viene convocato a Praga proprio per proteggere la vita del Reichsprotector di Boemia Heydrich che tanto odia, che ha ucciso migliaia di cittadini onesti perché rei di non essere ARIANI, che non si fa scrupoli ad eliminare anche i suoi amici pur di veder salva la pelle, proprio lui che ordinerà la tortura e la prigionia di Arianne, l’unica donna di cui è riuscito a innamorarsi Gunther dalla morte della moglie.
Un libro scritto da Philip Kerr e proposto al mercato italiano da una casa editrice quale Piemme offre di certo delle garanzie, quali una buona struttura, un’ottima trama, un fraseggio pulito, niente refusi… niente a che vedere con chi pubblica da sé un libro, leggendo il quale chiunque può stupirsi dinanzi a elementari quanti gravi errori grammaticali.
«The Indipendent» parla di «Una trama impeccabile degna di Aghata Christie», e, in effetti, molto deve aver imparato Kerr dalla madre di tutti i giallisti. Il Reichsprotector di Boemia Heydrich più volte si dichiara accanito lettore della Christie, citandone testi e protagonisti, ammettendo anche di aver volutamente emulato le tecniche di depistaggio narrate in La morte di Roger Ackroyd [The Murder of Roger Ackroyd]. In realtà, leggendo alcuni passaggi nei quali Kerr descrive lo smarrimento di Gunther, mentre si aggira per la tenuta di Castello Basso completamente militarizzata, dove vige un codice rigorosissimo, il coprifuoco e dove ogni cosa fa capo a un unico Re, in questo caso chiamato Führer, la mente rimanda più alle ambientazioni e alle impressioni riportate da Ellery Queen ne Il re è morto [The King is Dead]. Anche in quel caso, infatti, il protagonista-investigatore si vede smarrito dinanzi a tanta crudeltà, a tanta ingiustizia dettata dalla sola legge del rigore militare e anche in quel caso l’omicidio avviene in una stanza chiusa e per di più sorvegliata da due guardie.
Il primo capitolo non rende giustizia al resto del libro. Nelle prime pagine la scrittura è molto spigolosa e la scorrevolezza della lettura viene disturbata da numerose citazioni letterarie e modi di dire che stonano con il narrato ma anche con il resto della storia. A questo proposito sarebbe interessante leggere la versione originale per verificare se ciò sia imputabile alla mano di Kerr o a quella della traduttrice, in questo caso varrebbero bene i consigli dati sull’importanza di una corretta traduzione.
A partire dal secondo capitolo la lingua del narratore cambia e diventa non solo più scorrevole ma anche più intrigante nonostante il ripetersi copioso di termini, nomi e gradi in lingua tedesca che non sono certo agevoli per un lettore di madrelingua italiana.
«The Times» e «The New York Times» elogiano le caratteristiche di Bernhard Gunther, definendolo «un personaggio cult, imperdibile per gli amanti del noir» e «un eroe perfetto per la sua epoca. Ma anche per la nostra». Nell’allineamento degli squadroni delle SS è sicuramente una nota fuori posto, temerario e impavido quando l’istinto cavalleresco lo guida verso la donzella in difficoltà e non esita un solo istante prima di lanciarsi in un corpo a copro con l’aggressore pur di vedere salvo l’onore dalla ragazza. Ma lui stesso successivamente, con troppa leggerezza, la lascerà cadere nelle mani del nemico. Quando permette ad Arianne di andar via sola verso la stazione Masaryk, con il biglietto che le aveva comprato per tornare a Berlino, qualunque appassionato lettore di gialli si figura immediatamente nelle mente l’immagine di Arianne Tauber sorvegliata a vista da guardie naziste anche nell’eventualità che non fosse stata una spia ceca. Avrebbe dovuto pensarci anche Gunther e il non averlo fatto per tempo lo rende comunque un po’ meno eroe agli occhi di chi legge.
Per il resto, il punto di vista del protagonista è per intero condivisibile e per certi versi tristemente attuale. «Se scruti a lungo l’abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te». Bernhard Gunther non riesce a dimenticare ciò che ha visto, anche perché si sente colpevole per essere stato costretto a far del male a tanti innocenti in nome di un ideale che non condivide. Non riesce a dimenticare e ad andare avanti perché non si tratta solo di assassini, di criminali o delinquenti qualsiasi, il Male viene da chi dovrebbe proteggere, tutelare, garantire gli interessi di tutti i cittadini… «quando la legge e il male sono una cosa sola, la ricerca della verità è un valzer lento con la follia».
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