Ricordi cos’è successo in Irpinia il 23 Novembre del 1980?
«Mi chiedi se ricordo cosa è accaduto…» la serietà dell’argomento lo aveva inconsciamente autorizzato a darle del tu «dovresti chiedere piuttosto se mai qualcuno che l’ha vissuto lo potrà dimenticare. Mi ricordo… eccome se mi ricordo! Sono bastati novanta secondi per distruggere intere vite, interi paesi. E comunque novanta secondi non sono pochi.
Immagina il buio intorno a te, un forte boato che viene dal nulla e avvolge e travolge l’aria, come una bestia affamata che urla e avverte le prede del suo imminente arrivo. Un rumore sordo, cupo, cieco, che non guarda in faccia a nessuno e poi arriva: la terra trema sotto di te… la terra sotto di te sembra pastafrolla, le case intorno a te castelli di carta, tutto si muove, tutto trema e tu pure. Non sai da che parte andare, non sai cosa fare, speri solo finisca al più presto, speri solo di rimanere vivo.
Ogni istante che passa sembra infinito. Pensa novanta istanti quanto sono lunghi a passare. Prova a contare col fiato in gola e vedi quanto tempo ci vuole: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitre, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette, ventotto, ventinove, trenta, trentuno, trentadue, trentatre, trentaquattro, trentacinque, trentasei, trentasette, trentotto, trentanove, quaranta, quarantuno, quarantadue, quarantatre, quarantaquattro, quarantacinque, quarantasei, quarantasette, quarantotto, quarantanove, cinquanta, cinquantuno, cinquantadue, cinquantatre, cinquantaquattro, cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette, cinquantotto, cinquantanove, sessanta, sessantuno, sessantadue, sessantatre, sessantaquattro, sessantacinque, sessantasei, sessantasette, sessantotto, sessantanove, settanta, settantuno, settantadue, settantatre, settantaquattro, settantacinque, settantasei, settantasette, settantotto, settantanove, ottanta, ottantuno, ottantadue, ottantatre, ottantaquattro, ottantacinque, ottantasei, ottantasette, ottantotto, ottantanove, novanta».
Quando Colombo terminò la conta aveva le lacrime agli occhi. Rita la pelle d’oca.
Fece una pausa. Respirò a pieni polmoni. Poi ricominciò.
«Io c’ero quella sera, quella notte e tutte le altre a venire, non è stato un gioco o uno scherzo, questo mi sembra di avertelo già detto. Il terremoto è una brutta cosa! È la natura che si scatena e non esiste modo di fermarla, di arginarla, di limitare la potenza della sua forza distruttiva e quello del ventitrè novembre del millenovecentottanta è stato un terremoto di forte intensità: magnitudo 6.9 della scala Richter, X o addirittura XI grado della scala Mercalli.
Ogni volta che in televisione mandano le immagini di tragedie avvenute in vari e svariati posti, località, la prima cosa che salta all’occhio sono le divise fluorescenti dei soccorritori, le barelle, la gente sopravvissuta sostenuta e aiutata ad allontanarsi dal luogo del disastro. Quando è successo qui i soccorritori siamo stati noi. Sono passati giorni prima che il Governo, prima che lo Stato si decidesse a fare qualcosa. E suonava strano doverlo fare e vuoi sapere perché? Da che mondo è mondo le nostre terre, la nostra gente è stata solo manodopera al servizio del signorotto locale, del principe o del mezzadro, a seconda del periodo storico di riferimento, contadini dediti al lavoro cui spettava solo versare il dovuto, privi di diritti e di dignità. Noi siamo, eravamo, abituati a considerare lo Stato e il Governo, nello stesso modo dei nostri antenati… la notte del sisma, il giorno dopo e quello successivo ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo costruito dei ripari, abbiamo recuperato il necessario dalle abitazioni e chi aveva la possibilità si è spostato in campagna, si è allontanato dal paese. Nei centri più colpiti, dove ci sono state un’infinità di vittime, si è pensato anche a questo, scavando a mani nude tra il fango, il dolore, le lacrime, i pianti e la paura. Perché la terra non ha smesso un attimo di tremare. In molti casi sono arrivati prima i volontari dell’esercito, dei vigili del fuoco o di chiunque altro avrebbe dovuto ricevere l’ordine di intervento immediato.
E vuoi sapere una cosa? Per noi non era strano, era normale che ognuno dovesse pensare a se stesso, alla propria famiglia, ai propri parenti e vicini, nessuno si aspettava nulla da alcuno, Stato o Governo che fosse. Non era tempo di riscossione dei tributi. Ma loro sapevano di aver sbagliato, lo sapevano e, vista la gravità dell’accaduto, non potevano permettersi di mostrare ancora disinteresse, per la comunità internazionale… in fondo eravamo già agli anni Ottanta e l’informazione aveva fatto discreti passi in avanti, tu me lo insegni. Infatti, non appena le agenzie hanno cominciato a battere la notizia, sono arrivati fiumi di aiuti da molteplici Paesi vicini e lontani, solo a Roma le notizie erano confuse. “Fate presto” fu lo slogan della missione, ripreso anche dal pittore Warhol nel suo famoso “Urlo”, bisognava fare presto ma intanto erano passati giorni senza che nessuno muovesse un dito. Le valanghe di soldi stanziati per la ricostruzione sono lo scotto che hanno voluto pagare per sentirsi meno in colpa, per dimostrare a se stessi e al mondo intero che non eravamo stati abbandonati, in più c’era da guadagnare tanto e questo per molti è un motivo più che sufficiente per speculare anche sul dolore.
E così, per eventi che esulano dalla nostra volontà e dal nostro comportamento, da perfetti sconosciuti siamo diventati protagonisti di un linciaggio continuo e guarda caso questo è accaduto proprio nel momento in cui abbiamo smesso di pagare e abbiamo cominciato a riscuotere. Non è il terremoto l’unica bestia di cui aver paura, c’è anche l’Uomo. Comunque è vero anche che quando la terra trema tutto si può nascondere e tutto si può trovare».
(“E la terra tremò”, Irma Loredana Galgano, inedito)
© 2014 – 2016, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).