Sono trascorse oltre 16 ore da quando Man Haron Monis entrando nel Lindt Cafè di Martin Place, cioccolateria sita nel centro finanziario di Sydney, ha preso in ostaggio 17 persone e terrorizzato l’intera città australiana.
Erano all’incirca le 2:15 del mattino quando le teste di cuoio hanno fatto irruzione nel locale. I testimoni affermano di aver sentito spari ed esplosioni. Due ostaggi sono rimasti uccisi: un uomo di 34 e una donna di 38 anni. Quattro i feriti tra cui un agente di polizia.
Ucciso anche il sequestratore, il predicatore iraniano già noto alla giustizia per la sua ‘campagna d’odio’ contro i soldati australiani impegnati in Afghanistan.
I testimoni hanno raccontato che durante l’operazione di polizia intorno al locale e nelle immediate vicinanze si è materializzata una situazione surreale che tanto ricordava la scena di un film, solo che purtroppo si trattava della realtà: gli ostaggi, urlanti e piangenti, che cercavano di scappare dalla cioccolateria, colpi ripetuti di arma da fuoco, urla, lamenti, esplosioni di granate stordenti.
Fin da subito si è potuto intuire che la situazione non avrebbe avuto facile e felice epilogo. Monis ha fatto irruzione nel Lindt Cafè, quando qui in Italia era notte fonda, e ha appeso a una delle vetrine del locale una bandiera nera con una scritta bianca in arabo. Partito immediatamente l’allarme, le forze dell’ordine hanno provveduto a isolare e circondare il centro finanziario della città.
Il primo ministro Tony Abbott in conferenza stampa ha dichiarato che «non è ancora chiaro se l’atto abbia una motivazione politica». Sicuro invece è l’appoggio australiano agli Stati Uniti nelle operazioni in Siria e Iraq e nel Paese rimane sempre molto alta l’allerta per possibili attacchi da parte di estremisti islamici.
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