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L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

L’Italia entra nella Prima guerra mondiale il 23 maggio 1915 e prende parte a quella che papa Benedetto XV definirà un’inutile strage.

Abbiamo voluto celebrare questo centenario attraverso uno speciale che inauguriamo oggi con l’intervista a Lorenzo Del Boca, ex presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e attuale vicepresidente della Fondazione del Salone del Libro di Torino, autore di Maledetta guerra. Le bugie, i misfatti, gli inganni che mandarono a morire i nostri nonni, edito da Piemme; un libro che, riportando le testimonianze scritte dei giovani soldati, diventa ancora più penetrante, incisivo, importante. Tutti questi ragazzi, poco più che adolescenti, che hanno combattuto la Grande Guerra, la prima mondiale, la più sanguinaria, che ha registrato un numero di vittime impressionante, strappati alle loro vite, ai loro sogni in nome di una politica, di una Storia e di uno Stato che ancora oggi fatica a riconoscere l’enorme debito contratto nei loro confronti.

In Maledetta guerra, individua i prodromi della Prima guerra mondiale già nella Belle Époque, quasi a sottolineare come, mentre si viveva in un periodo di pace e prosperità, si stesse già delineando lo scenario che poi avrebbe portato alla Prima guerra mondiale, e non solo in termini di spionaggio, diplomazia, alleanze, ma anche di vera e propria propaganda. In quale misura, quest’ultima si rivelò utile per promuovere la guerra presso le popolazioni europee, e si può davvero parlare di un’azione strategicamente orchestrata?

La propaganda ha sempre avuto un’importanza fondamentale e particolarmente l’ha avuta negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento perché si stava sviluppando un’ideologia e quindi la propaganda della Francia per la Francia, dell’Austro-Ungheria per l’Austro-Ungheria, persino dell’Italia per l’Italia aveva una presa straordinaria. E va sottolineato che questa propaganda era in atto da decenni.

A leggere i libri di storia sembra che la Guerra mondiale nel 1914 sia esplosa all’improvviso o quasi, in realtà si covava da trent’anni perché la Francia aveva in mente la rivincita nei confronti della Germania fin dalla mattina dopo della sconfitta di Sedan, che è avvenuta nel 1870. Parliamo di quarantaquattro anni prima dello scoppio della Guerra.

La Francia che era stata bastonata e aveva dovuto subire l’umiliazione di vedere il proprio imperatore Napoleone III catturato fisicamente dai tedeschi, deportato prigioniero in Germania, addirittura aveva dovuto sottoscrivere un Accordo di pace e in una clausola era prevista la sfilata dei vincitori, cioè dei tedeschi, per le vie principali di Parigi. Ora questa macchia i francesi la volevano cancellare e, in pratica, subito dopo la sconfitta hanno cominciato a lavorare la rivincita. Avevano dovuto cedere l’Alsazia e la Lorena e il loro grido di battaglia era “Lorraine française”. Il Presidente della Repubblica francese Poincaré era uno che veniva dalla Lorena ed è stato eletto Presidente della Repubblica con questo grido, che era di fatto un grido di battaglia.

Tutto questo movimento è stato accompagnato da una propaganda ora sottile, ora più velata, ora più esplicita che ha avuto un peso significativo. Quando è stato il momento di sparare, la gente era preparata a farlo.

 E in Italia? Come si costruì il consenso intorno all’ingresso nella Prima guerra mondiale?

L’Italia non costruì il consenso perché la maggior parte dell’Italia era per la pace. In verità lo era la maggior parte della popolazione, che era formata soprattutto da contadini, l’industrializzazione era poca roba, però anche gli operai che lavoravano nelle fabbriche preferivano continuare a lavorare al tornio piuttosto che imbracciare il fucile ed era neutralista la maggior parte del Parlamento. Al punto tale che alcuni commentatori parlano di un vero e proprio golpe, perché la guerra la vollero una dozzina di politici: Salandra, Sonnino, il re Vittorio Emanuele III, una schiera di riformati che facevano riferimento alla corrente letteraria del Futurismoche voleva rompere con le vecchie regole grammaticali, storiche, persino musicali, dicevano che il miglior concerto era il concerto di una città che si risvegliava, cosa che produceva anche qualche malumore… immaginate uno che va a fare un concerto, la gente che è abituata a sentire Verdi e Puccini, e gli fan sentire i rumori di una fabbrica che si mette in movimento e il più delle volte queste manifestazioni finivano a schiaffi. Ma questi futuristi lanciavano delle idee, alcune balzane, altre nient’affatto innocue perché inneggiavano alla guerra come igiene del mondo. Il campione di questi futuristi fu Papini che firmò un editoriale intitolato Amiamo la guerra. Dopo tanti anni di stucchevole silenzio, di tiepidume, di latte materno, finalmente c’è il sangue, assaporiamo la guerra.

A questo gruppo si aggiunsero anche personaggi significativi, Carducci per esempio disse che da troppo tempo si stava in pace e ci voleva la guerra, e D’Annunzio che si sa fu un vero e proprio promoter della guerra. Mussolini, direttore de «L’Avanti» socialista e inizialmente a favore del neutralismo, poi si lascia convincere dai soldi dei francesi e sposa l’interventismo. Però queste minoranze erano e rimasero tali, la maggioranza della popolazione italiana nella Guerra venne trascinata e la fece controvoglia, anche se poi i soldati al fronte finirono con l’ubbidire agli ordini e si comportarono in modo eroico, i soldati. Ma avrebbero continuato volentieri a zappare la loro terra e a far girare il loro tornio.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

 Lei dedica un intero capitolo alla figura di Alberto Pollio, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano e sostenitore dell’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza. Perché ritiene la sua morte così emblematica, oltre che utile per comprendere le modalità della scesa in campo dell’Italia?

Perché Alberto Pollio, che era il Capo di Stato Maggiore, era un convinto triplicista, la sua educazione militare era avvenuta nell’Impero Austro-Ungarico, a Vienna, dove aveva conosciuto la moglie. Non avrebbe mai accettato di combattere contro l’Austria o l’Ungheria insieme alla Francia e quindi era uno che andava tolto di mezzo. È morto due giorni dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando quando già cominciavano a sentirsi gli urli di guerra. Per qualche decennio è stato detto che fosse morto di infarto, che una grande giornata di caldo gli aveva fatto cedere il cuore. Poi si è scoperta una relazione di un certo Traniello, che era il colonnello suo accompagnatore, il quale aveva scritto la relazione per spiegare come era morto Pollio, questa relazione è stata nascosta, non accettata dal comando superiore perché insinuava troppi dubbi, presentava troppi interrogativi e così Traniello fu costretto a scriverne un’altra, più edulcorata, più comprensiva, più giustificazionista. La prima relazione fu poi ritrovata dal nipote di Traniello, il quale la rese pubblica, e leggendola in effetti gli interrogativi emergono in tutta la loro evidenza. La dinamica della morte di Alberto Pollio non fu affatto chiara e sostenere che non fu una morte naturale e ipotizzare che fu avvelenato non è affatto una bizzarria. Per scendere in campo con la Francia e l’Inghilterra contro l’Austria e l’Ungheria bisognava togliere di mezzo Pollio, che non poteva essere licenziato, perché licenziare il Capo di Stato Maggiore avrebbe generato un chiacchiericcio, uno scandalo militare-politico enorme, bisognava fisicamente farlo fuori e lo fecero fuori.

La guerra italiana sul fronte dell’Austria che portò 700mila morti e 1 milione di feriti cominciò con un morto senza sparatoria, senza spargimento di sangue, ma un morto fondamentale per poter entrare in guerra.

“Disinformatia” è la parola d’ordine di quel periodo, o come si direbbe oggi “costruzione del consenso”, attraverso il consolidarsi di legami e interessi economici. Basti ricordare i rapporti tra i rappresentanti della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa, da un lato, e gli organi di stampa, dall’altro. Quale fu, invece, il ruolo della politica italiana, e in che modo questa subì ingerenze esterne, o si lasciò irretire in qualche modo?

La politica italiana per l’intero 1914 venne sottoposta a un bombardamento di disinformatia appunto di opposte tendenze. Tedeschi e austriaci insistevano affinché l’Italia mantenesse fede all’Alleanza che aveva con loro. L’Italia era alleata con la Germania, l’Austria e l’Ungheria. La Francia e l’Inghilterra, percependo i tentennamenti dell’Italia nei confronti dell’Austria-Ungheria, insistevano perché questa Alleanza venisse rotta e l’Italia cambiasse capo. Per fare questo investirono una gran quantità di denaro, comprarono giornali, li finanziarono, sostennero economicamente azioni di spionaggio… fecero qualunque cosa finché i politici si convinsero che l’Italia doveva abbandonare la neutralità e scendere in campo con la Francia e l’Inghilterra.

Dopodiché la vera disinformatia fu quella dei giornali che raccontavano la guerra sul Carso. Perché non si poteva raccontare alla gente che stava a casa che c’erano degli assalti che costarono i primi 30mila morti e 30mila tra feriti e dispersi e gli ultimi 100mila tra feriti e dispersi e quindi dovettero dire che c’erano degli atti di eroismo, che c’erano delle battaglie vinte, che c’erano delle perdite, dei caduti, ma in modo sempre edulcorato così da non urtare la suscettibilità dell’immaginario collettivo, però che la guerra andava avanti, che la guida era sicura, che i generali sapevano il fatto loro. Al punto tale che alcuni commentatori dicono cheper 50 centesimi, che era il prezzo del giornale di allora, gli italiani venivano inondati di valanghe di bugie. Basti dire che la sconfitta di Caporetto, del 24 Ottobre 1917, venne conosciuta dal pubblico italiano nove giorni dopo.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Gran parte del libro restituisce l’immagine dell’Italia in guerra attraverso le parole di chi era al fronte, parole raccolte in diari e lettere che restituiscono la durezza della guerra, come non mai. Ma davvero, lontano dal fronte, si riuscì a oscurare il lato più nero dell’azione bellica?

Mi sono concentrato e ho valorizzato lettere, diari, resoconti e memoriali dei soldati perché mi sembrano il racconto più autentico della Guerra mondiale. I generali hanno scritto migliaia di pagine, Cadorna, Cavaciocchi, Capello… un fiume di parole che però servivano più per giustificare i propri errori che per raccontare davvero quello che era successo. La guerra dei generali era una guerra che avveniva nel migliore dei casi a una dozzina di chilometri di distanza dal fronte, loro la guerra la vedevano dal monte Matajur col binocolo ed era una guerra persino esteticamente appagante. Perché era fatta di una grande macchia di colore grigio-azzurra che era la divisa austro-ungarica che si avvicinava, qualche volta si toccava a una macchia di colore verde, grigio-verde che era invece il colore della divisa italiana, colori che per un po’ si mescolavano, si sovrapponevano, poi ritornavano nel proprio punto di riferimento come respinti da una forza centrifuga ed era senza sangue, perché il sangue a 12 km di distanza non si vede col binocolo, era una guerra senza morti, perché il pudore o forse l’ipocrisia della guerra li faceva chiamare caduti ed erano cifre statistiche del tipo “ci sono 27mila perdite” e finiva così.

I soldati conoscevano e vivevano un’altra guerra, perché non avevano la dimensione d’insieme dei battaglioni e dei corpi d’armata, la loro dimensione erano i 50 metri quadrati di trincea che occupavano dove cercavano di vivere ma più spesso non riuscivano che a morire. E lì c’era la guerra vera, lì non ci sono i nomi dei battaglioni, non ci sono le grandi strategie ma c’è il sangue e la morte. C’è il tenente Quinterno che viene investito da una raffica che gli taglia le gambe, i commilitoni, dicono i soldati, non sapevano come prenderlo e lui pregava che lo si ammazzasse. Era un’altra guerra. Una guerra che indispettiva i soldati, perché coloro che avevano scelto la carriera militare, cioè che avevano scelto di fare i guerrieri, di fatto non combattevano, ordinando agli altri di combattere da dietro le trincee, chi invece sarebbe stato tranquillamente a casa sua  ad accudire i propri animali, a lavorare la terra, a faticare sulla terra perché il lavoro dei contadini allora era un lavoro infame, erano costretti ad andare all’assalto rispondendo a degli ordini che qualche volta erano strampalati e qualche altra fuori dal mondo.

E le lettere di questa gente ci restituiscono un’umanità dolente che in qualche modo va valorizzata. Adesso per esempio mi ritornano alla mente le parole di uno che racconta di aver fatto una marcia di 60 km, «appesantiti dallo zaino che pesava in un modo che adesso non si caricano neanche gli animali e ci siamo ritrovati in sei in una tenda per due, e stavamo tutti groppati l’uno all’altro, la puzza non può essere descritta, uno sputava, l’altro vomitava, io stavo pensando a te ma ho scacciato il pensiero del tuo viso e del tuo volto perché pensarti in questo contesto mi sembrava di farti un’offesa», dice scrivendo alla sua fidanzata.

È un’altra guerra e mi sembra che finora la storiografia ufficiale i diari del fronte li abbia poco valorizzati e poco presi in considerazione.

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Anche volendo restare solo sui numeri, la prima guerra mondiale si tradusse in una vera e propria carneficina: 5 milioni e 900 mila arruolati, 777.000 morti nel fronte o in prigionia, senza contare i reduci morti a seguito delle ferite riportate. Quale fu il ruolo, e la responsabilità, di Cadorna dinanzi a quest’eccidio?

Enorme. Aveva un’idea in testa e quell’idea era sbagliata, ma a quell’idea era cocciutamente affezionato. L’idea che aveva in testa era l’attacco frontale. In sostanza si trattava di andare all’assalto con un numero di uomini maggiore delle pallottole e delle mitragliatrici avversarie, perché se c’erano più uomini che pallottole, qualcuno di questi uomini sarebbe arrivato sulla trincea avversaria. Il fatto è che per quattro anni c’erano più pallottole che uomini e quindi ogni assalto, che lo chiamavano la spallata… ogni spallata produceva inizialmente 30mila morti e 30mila tra feriti e dispersi, le ultime spallate, la decima o l’undicesima battaglia dell’Isonzo, arrivarono a 150-180mila fra morti, feriti e dispersi. Un massacro inumano del quale la responsabilità è naturalmente sua.

Gli storici ufficiali l’hanno trattato per 100 anni con i guanti bianchi dicendo e non dicendo, com’è loro costume, ma facendolo figurare come un personaggio tutto d’un pezzo, apprezzato dai comandi, addirittura amato dalla truppa.

Allora il giudizio più autentico ma anche più severo viene da mio nonno, il quale mi raccontò la Guerra mondiale quando ero un ragazzino. Mi portò davanti al Monumento dei Caduti del mio paese di origine e mi disse che lì troviamo scritti 27 nomi di morti che in un comune che aveva 1100 abitanti significa un morto per famiglia. Mi dice che otto sono parenti diretti e nove indiretti. E mi chiede: «Hai capito perché io questo forsennato di Cadorna non lo posso sopportare e perché il sentimento che ho di lui è soltanto quello dell’odio?».

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Chi ha tratto giovamento da tutto questo?

Credo nessuno. Perché la guerra che è finita con un grande massacro, con 20milioni di morti, ha messo in crisi tutti quanti i Paesi. La Germania si è ritrovata come figlio diretto della guerra mondiale il Nazismo, l’Italia si è ritrovata come figlio diretto della guerra mondiale il Fascismo, l’Austro-Ungheria è stata dilaniata e sparpagliata, la Francia e l’Inghilterra hanno vissuto momenti di grande difficoltà. Una carneficina che per usare le parole di Papa Benedetto XV è stata «un’inutile strage».

L’Italia nella Prima guerra mondiale, un’inutile strage

Leggendo il libro di Lorenzo del Boca e ascoltando le sue risposte, sentirlo raccontare le tragedie, le paure, le sofferenze dei soldati arruolati nelle trincee della Grande Guerra, riflettere sulle decisioni, sulle politiche, sulle conseguenze di queste porta istintivamente a chiedere e a chiedersi perché l’hanno voluta, questa come le altre, a ogni costo la Maledetta guerra, e soprattutto perché l’Italia abbia deciso di entrare nella Prima guerra mondiale.

http://www.sulromanzo.it/blog/l-italia-nella-prima-guerra-mondiale-un-inutile-strage

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