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A luglio la casa editrice Fazi ha pubblicato La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi, un altro capitolo delle indagini del commissario Ottavio Ponzetti.
La trama ruota intorno al mistero sulla paternità della famosa canzone siciliana Vitti na crozzaanche se il tutto alla fine sembra sfumare in una bolla di sapone, avendo il lettore inteso che deve, o meglio avrebbe dovuto, concentrare la sua attenzione su ben altra paternità.
Il ‘gioco’ che Ricciardi intrattiene con il lettore si rivela da subito un simpatico espediente. A tratti il testo sembra ‘interattivo’, con espliciti inviti a ‘partecipare’ alle indagini. E così l’autore si diverte a mescolare le carte tra realtà, finzione, teatro e televisione… rimandando continuamente a due grandi figli della terra che ‘ospita’ la storia narrata, la Sicilia. L’immagine del teatro pirandelliano con i suoi personaggi si alterna alle vicende del commissario più noto della televisione, frutto della penna di Camilleri.
Il giallo scritto da Giovanni Ricciardi non fa una grinza, per la storia e per la tecnica. Abilità ormai certificate dello scrittore-professore che non manca di ‘insegnarci’ qualche passo classico o di spiegarci l’origine o l’etimo di usanze e termini.
Quello che invece lascia il lettore molto turbato è il motivo recondito dell’aver voluto raccontare di Vitti na crozza.

« Chissà se quei vecchi incupiti e rugosi che se ne stavano in punta di piedi col cappello tra le mani erano scesi anche loro da bambini nelle viscere della solfara, a portare in superficie la ricchezza degli Arnone per un piatto di minestra.»

Le solfare siciliane, le miniere che risucchiavano ancora a metà del secolo scorso giovani e giovanissimi.
George Orwell diceva:

«Più di ogni altro, forse, il minatore può rappresentare il prototipo del lavoratore manuale, non solo perché il suo lavoro è così esageratamente orribile, ma anche perché è così virtualmente necessario e insieme così lontano dalla nostra esperienza, così invisibile, per modo di dire, che siamo capaci di dimenticarlo come dimentichiamo il sangue che ci scorre nelle vene».

Ricciardi focalizza l’attenzione del lettore sui minatori dimenticati e in particolare sull’epopea di un gruppo di siciliani senza lavoro che tentano di espatriare illegalmente in Francia alla ricerca di una vita migliore. Storia ripresa dal regista Pietro Germi nel film Il cammino della speranza.
Un film e una storia tristemente attuali.

«Scesi sottoterra e mi parve di trovarmi in un girone infernale: dalle rocce emanava un calore fortissimo, i minatori – che stavano scioperando da una settimana – erano seminudi o nudi del tutto. Stavano cantando Vitti na crozza. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell’aria. Con quella registrazione iniziammo il film.»

La canzone popolare Vitti na crozza viene indicata come un «canto tragico, un vero e proprio “contrasto” tra la vita e la morte» e per certi versi anche La canzone del sangue di Ricciardi lo è, nell’abilità propria dell’autore di restituirci l’immagine di un’umanità dimenticata, sfruttata, predestinata e non ci si vuol riferire solo ai minatori.
La vera protagonista del libro, Annamaria, pur entrando fugacemente nella scena la domina dall’inizio alla fine con la sua ‘vita sospesa’, il suo amore negato, rubato, e la sua passione che diventa la sua condanna.
Un libro quello di Ricciardi che narra del dualismo sociale, delle ingiustizie, dei soprusi e anche degli innumerevoli futili problemi quotidiani da cui il commissario Ponzetti cerca tenacemente di fuggire, rifugiandosi nel suo lavoro. Atteggiamento diffuso nella società attuale e, come il grande Pirandello ci ha insegnato, tutto ciò diventa paradossale e semiserio al punto che non si sa se ridere o piangere… esemplare il passaggio nel quale il vice di Ponzetti non trova posto per la vacanza con la propria famiglia e si fa ospitare dal commissario. Come quello del resto del ‘folle’ attaccamento di Galloni al suo cane cieco… riproposizioni in chiave moderna delle ‘maschere’ rappresentate nelle novelle prima ancora che sui palcoscenici dal grande drammaturgo agrigentino.
La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi non delude gli appassionati del genere ma anche chi in un libro cerca se non proprio la denuncia almeno il racconto dei mali e dei soprusi della società.

:: La canzone del sangue, Giovanni Ricciardi (Fazi, 2015) a cura di Irma Loredana Galgano

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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