La preparazione degli insegnanti italiani. La verità

Poco si parla e si legge della preparazione degli insegnanti italiani. In verità se ne dovrebbe discorrere molto perché la qualità della formazione scolastica degli alunni di tutte le età dipende direttamente da quella dei loro formatori, ovvero dei docenti.

Con D.M. n. 249/2010 è stato emanato il Regolamento per la formazione degli insegnanti che, secondo ASLI (Associazione per la Storia della Lingua italiana), SIG (Società italiana di Glottologia) e SLI (Società di Linguistica italiana), «propone un percorso complessivamente ben strutturato, ma presenta difetti e vuoti preoccupanti per ciò che concerne la formazione linguistica dei docenti e la loro preparazione per l’insegnamento dell’italiano»; inoltre queste associazioni affermano che «a distanza di ben 4 anni sono state applicate solo le norme transitorie».

Per le associazioni ASLI, SIG e SLI una conoscenza piena e diffusa della lingua madre «non solo è l’unica base possibile per l’apprendimento di altre lingue, ma è soprattutto il pilastro indispensabile per la costruzione di una società democratica e progredita che voglia confrontarsi con il futuro». Avrebbero meritato più attenzione le realtà plurilingui che si vanno creando con lo stabilizzarsi di ampie comunità di immigrati nel nostro Paese ma «lo spazio destinato alla formazione dei docenti per un adeguato insegnamento della lingua italiana e per acquisire gli strumenti necessari ad affrontare nelle classi le sfide delle pluralità idiomatiche è limitato se non del tutto trascurato».

ASLI, SIG e SLI, ritenendo necessario un riesame delle classi di concorso e una revisione del Regolamento per la formazione degli insegnanti, hanno formulato delle proposte in virtù anche del fatto che «si tratta di difetti tanto più gravi quanto più precaria diviene oggi la competenza della lingua nazionale, una situazione più volte denunciata dalle associazioni dei linguisti e da istituzioni come le Accademie della Crusca e deiLincei, che hanno sottolineato i deficit allarmanti degli studenti». Il primo passo da compiere per colmare questi deficit è fuor di dubbio l’accertarsi della corretta preparazione dei docenti.

Dall’indagine PISA dell’OCSE emerge un quadro piuttosto negativo del sistema scolastico italiano, con studenti insoddisfatti e impreparati e docenti concentrati sulle prestazioni e sui voti e totalmente disinteressati al benessere degli studenti. Dati e immagini stridenti rispetto ad esempio all’Indonesia, dove i ragazzi si presentano molto più preparati e molto più contenti. L’OCSE sottolinea come in questo Stato la quasi totalità delle scuole abbia dei presidi che si dichiarano convinti che «il benessere sociale ed emotivo degli studenti sia importante quanto lo sviluppo di competenze specifiche». In Italia, giusto per rendere l’idea, i dirigenti scolastici che sostengono di pensarla allo stesso modo raggiungono a stento il 60% delle scuole, attestandosi agli ultimi posti della graduatoria mondiale. Anche per quanto riguarda la qualità del rapporto tra docenti e alunni il nostro Paese si classifica nelle ultime posizioni, quartultimo. Peggio dell’Italia solo Argentina, Francia e Liechtenstein.

Secondo quanto si legge nel rapporto 2013 Global Teacher Status Index della Varkey Gems Foundation, gli insegnanti italiani hanno poco prestigio, uno stipendio scarso e godono di poco rispetto da parte di studenti e genitori. Occupano basse posizioni anche nella classifica delle retribuzioni, quattordicesimi rispetto ai 21 Paesi considerati nella ricerca. Siamo, insieme alla Finlandia, l’unico Paese dove viene comunque riconosciuta agli insegnanti un’altissima influenza sulla vita scolastica e la formazione in generale. Un’implicita ammissione del ruolo fondamentale che questa categoria professionale ha per la società. È interessante che oltre il 59% degli intervistati abbia affermato che «gli insegnanti debbano essere pagati in base ai risultati ottenuti dai loro studenti».

In un articolo apparso sul «Corriere della Sera» lo scorso 10 settembre, Roger Abravanel racconta della scuola e della riforma dal punto di vista degli alunni e delle famiglie. Roger Abravanel, Luca d’Agnese, Duepuntozero Doxa e il Forum della meritocraziahanno condotto nel mese di agosto 2015 un sondaggio su un campione rappresentativo di 1000 cittadini, studenti e famiglie, indicati come i “clienti” della scuola. Un intervistato su due ha elencato tra i problemi più gravi della scuola italiana l’«adeguatezza degli insegnanti». Per la metà dei docenti invece «i nodi da sciogliere sono precariato e stipendi troppo bassi».

Il 75% degli intervistati chiede più ore scolastiche per dare possibilità di recupero a chi resta indietro, valorizzazione dei più capaci, più sport e arte.Quasi all’unisono viene richiesta più meritocrazia.

  • I voti degli insegnanti rispecchiano poco o nulla la reale preparazione degli studenti (50%).
  • Ogni professore ha il suo metro di giudizio (53%).
  • I professori sono parziali e prevenuti (13%).
  • Valutazione delle scuole in base al progresso educativo e al successo nel mondo del lavoro (50%).

«Dal sondaggio emerge anche una vera sorpresa: con la netta maggioranza di 61 a 39 gli italiani vogliono valutazioni quantitative come i test Invalsi. Secondo loro, il problema è che gli insegnanti non preparano sufficientemente gli studenti per i test e spesso ne falsano gli esiti perché fanno copiare. Di contro, un insegnante su tre li considera “inutili” e uno su quattro addirittura “nocivi”».

La preparazione degli insegnanti italiani. La verità

La Finlandia è uno di quei Paesi che, contrariamente al nostro, figurano spesso nelle prime posizioni delle classifiche internazionali, anche quelle inerenti l’istruzione e la formazione. Un articolo di Maria Raffaella Benvenuto su «Tracciati» può aiutarci a capirne il perché. «Come in altri Paesi europei, anche in Finlandia un insegnante non si improvvisa, ma diventa tale dopo studi approfonditi e un periodo di pratica. In tutto il Paese esistono 12 istituti per la preparazione degli insegnanti di madrelingua finnica e uno per quelli di madrelingua svedese. Tutti questi istituti fanno capo a un’università. Tutti gli istituti per la formazione degli insegnanti sono attivi in programmi di scambio internazionali e nella produzione di materiale per l’insegnamento. In questo momento, grande importanza sta ottenendo il concetto di educazione interculturale e/o multiculturale, e si stanno diffondendo programmi di insegnamento in altre lingue (soprattutto l’inglese)».

In Finlandia non è prevista l’assunzione per concorso bensì quella per competenze, quello che è previsto, invece – e viene fatto – è l’aggiornamento professionale costante degli insegnanti.

Nel rapporto Euridice, la rete di informazione dell’istruzione in Europa pubblicato nel giugno 2008, si legge: «la formazione professionale continua è considerata un obbligo professionale per gli insegnanti in più di 20 Paesi e regioni d’Europa. Ma il concetto di obbligo professionale non implica necessariamente che gli insegnanti siano esplicitamente tenuti a parteciparvi».

In Europa esistono tre ordinamenti riguardo l’aggiornamento professionale degli insegnanti:

  • Obbligatorio.
  • Facoltativo, ma necessario per la promozione.
  • Facoltativo.

In Italia l’aggiornamento professionale per gli insegnanti è facoltativo.

Uno dei punti più criticati del ddl La buona scuola: riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione del governo Renzi, divenuto Legge il 13 Luglio 2015, è stato l’intenzione di voler portare l’orario di lavoro degli insegnanti a 36 ore settimanali. Le obiezioni maggiori hanno riguardato il fatto che venivano in questo modo considerate solo le ore di lezione frontale e non si consideravano quelle spese tra collegi docenti, riunioni e altre attività. Inoltre si recriminava che andavano sommate anche le ore trascorse a casa a preparare le lezioni e correggere i compiti. A questo andrebbe ancora aggiunto il tempo impiegato per la partecipazione ai corsi di aggiornamento professionale e si raggiungerebbe quella che è la soglia media di monte ore lavorative di un qualsiasi professionista.

Nel Working Paper n. 23 della Fondazione Giovanni Agnelli sono riportati gli esiti di una ricerca interregionale condotta da Laura Gianferrari e dall’Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna atta a valutare il profilo professionale e le competenze dei docenti neoassunti nell’a.s. 2008/09. «La realizzazione di un’indagine rivolta ai docenti neoassunti è stata pensata come uno strumento capace di fornire informazioni sul modo in cui gli insegnanti vivono la professione e percepiscono il loro ruolo, nonché sulle criticità della scuola così come sono avvertite da chi quotidianamente la vive». L’indagine ha interessato 16.000 neoassunti di otto regioni (Piemonte,Emilia-Romagna, Puglia, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche, Campania).

Il profilo-tipo del docente neoassunto sembra essere questo: donna, quarantenne e con una decina di anni di precariato alle spalle. «L’insegnamento come professione femminile è un fenomeno che riceve una netta conferma dalla presenza dell’85,7% di donne tra i neoassunti 2009, a fronte dell’esiguo 14,3% di presenze maschili». L’età dei neoassunti si dispiega secondo un ventaglio generazionale molto ampio, che si estende dai 24 ai 66 anni. «Si tratta di un dato particolarmente inquietante, che evidenzia una patologia del sistema, in quanto non può considerarsi “normale” che l’ingresso stabile nella professione avvenga in quella fase della vita in cui solitamente si abbandona il mondo lavorativo per raggiunti limiti di età». L’età media dei neoassunti dell’anno scolastico 2008/09 nelle regioni interessate dalla ricerca e presumibilmente anche nelle altre è 40,25 anni. Solo il 2,5% dei neoassunti ha meno di 30 anni, mentre l’1,2% è già in età pensionabile (oltre i sessant’anni).

La preparazione degli insegnanti italiani. La verità

«In Italia è prevalsa fino ad oggi una sorta di impotenza ad assumere un preciso modello di formazione iniziale degli insegnanti e ad adottare un sistema di reclutamento coerente con esso. Anziché compiere scelte di politica scolastica che individuassero con chiarezza quale insegnante serve per la qualità del nostro sistema d’istruzione e dunque come formarlo e come reclutarlo, si è seguita una logica di sanatorie permanenti, che si è concretizzata in un modello di reclutamento basato per lo più sullo “scorrimento” di graduatorie solo parzialmente aggiornate. Si è così in buona parte vanificato, di fatto, ciò che le norme sulla formazione iniziale dei docenti prevedono: si è continuato ad assumere nella scuola, in un regime transitorio che si è protratto fino a diventare ordinario,personale non in possesso dei requisiti previsti dalle disposizioni generali pure in vigore».

Nonostante le norme di legge prevedano una formazione universitaria per tutti i docenti, il 40,7% dei neoassunti ne è privo. I docenti di sostegno sono il gruppo che maggiormente ha compiuto studi universitari, con una differenza, rispetto ai colleghi su posto comune, di ben 10 punti percentuali. Tale differenza aumenta ulteriormente nel confronto con i docenti di religione, tra cui la preparazione universitaria è ancora meno diffusa. Analizzando la distribuzione delle lauree per ambiti disciplinari, è evidente un forte sbilanciamento verso l’area umanistica: il 42,1% dei neoassunti laureati ha una laurea letterario-storico-filosofica; la laurea in matematica è posseduta dal 4%. Il numero dei neoassunti che insegna matematica è nettamente superiore a quello dei laureati in matematica. «Ovviamente, è il meccanismo delle cattedre e dei requisiti per l’accesso a esse che consente questo fenomeno, ma i risultati degli studenti italiani in matematica, sia in termini di esiti nelle indagini internazionali sia di valutazioni finali della scuola stessa, dovrebbero aver evidenziato che l’insegnamento di questa disciplina è una delle emergenze della nostra scuola, e la preparazione dei docenti di matematica è certamente uno dei fattori che incide sull’insufficiente preparazione degli studenti».

Solo il 31,2% dei neoassunti dichiara un livello di conoscenza della lingua inglese buono/elevato, quasi la metà (46,8%) afferma di averne una conoscenza a livello scolastico o nessuna conoscenza.

Riguardo l’alfabetizzazione informatica invece le competenze variano secondo l’ordine di scuola:

  • Scuola dell’infanzia: oltre il 40% non ha consuetudine con strumenti informatici di base come la posta elettronica o la videoscrittura e un 20% non frequenta abitualmente la navigazione in Internet.
  • Scuola primaria: il 30% non utilizza abitualmente la posta elettronica e oltre il 20% la videoscrittura, mentre la navigazione in Internet è poco praticata dal 13%.
  • Scuola secondaria: i neoassunti a questo livello hanno in genere una conoscenza più alta, pur permanendo una quota del 15% che non ha un utilizzo esperto del mezzo.

«Sono esiti che evidenziano complessivamente una certa carenza nella preparazione generale dei neoassunti, specie nel primo ciclo di istruzione, in quanto la mancata padronanza degli strumenti informatici non è solo un fatto tecnico, ma rimanda a una deficitaria “cultura informatica”, di cui invece un insegnante oggi non può fare a meno, per le implicazioni che essa ha nell’approccio alla cultura odierna e al mondo giovanile».

In generale i neoassunti si dichiarano competenti nella disciplina insegnata ma considerano insufficiente la propria preparazione in tutte le altre competenze richieste a un insegnante. Gli intervistati che hanno conseguito il diploma SSISmostrano una relativa maggiore soddisfazione per la propria preparazione.

La preparazione degli insegnanti italiani. La verità

Ci sono difficoltà dello stare in classe che accomunano i docenti di tutti gli ordini di scuola:

  • Promuovere la motivazione all’apprendere.
  • Mantenere la disciplina in classe.
  • Ottenere dagli studenti risultati soddisfacenti di apprendimento.

«Sono dati pesanti, che non possono lasciare indifferenti, poiché segnalano uno stato di difficile governo delle classi e dell’apprendimento, che sicuramente non facilita la qualità degli esiti scolastici».

Le mutazioni sociali e tecnologiche hanno modificato e ampliato anche le responsabilità dei docenti. La nuova figura dell’insegnante deve essere preparata per:

  • Gestire al meglio i processi di apprendimento anche in classi sempre più disomogenee e multiculturali.
  • Essere in grado di padroneggiare le potenzialità didattiche delle tecnologie digitali.
  • Saper partecipare allo sviluppo della scuola in quanto comunità educativa.
  • Avere capacità di stabilire rapporti di comunicazione e collaborazione efficaci con le famiglie e legami con la collettività locale.

«Il saper insegnare, oggi, richiede dunque competenze plurime: tale consapevolezza non è sufficientemente diffusa tra i neoassunti, specie nella secondaria. Prevale l’idea che un docente sia qualificato quando conosce la propria materia e lo sviluppo cognitivo e relazionale degli alunni. Più sfumata la percezione che altre capacità e altre dimensioni dell’insegnare contribuiscono all’efficacia dell’azione del docente».

Édouard Séguin già nel 1831 aveva dimostrato che «l’idiota non è incapace di imparare ma soltanto incapace di seguire i metodi normali di istruzione». Sono questi, i metodi, che troppo spesso si rivelano inadatti e inefficaci. Quando si leggono statistiche e dati che dimostrano l’impreparazione degli alunni italiani in generale e al confronto con i coetanei stranieri non bisogna additarli come rei ma considerarli vittime. Vittime di un sistema errato che usa metodi sbagliati portati avanti da persone a loro volta impreparate. Questa è la verità sulla preparazione degli insegnanti italiani.

http://www.sulromanzo.it/blog/la-preparazione-degli-insegnanti-italiani-la-verita

© 2015, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Condividi