Grazie ai suoi imponenti numeri, il Salone internazionale del Libro di Torino, che quest’anno giunge alla sua 29° edizione, è considerato uno dei più grandi eventi culturali italiani e non solo, un appuntamento irrinunciabile per chi opera, a vario titolo, nel settore dell’editoria.
Alla fine, però, tutto sembra ruotare intorno a numeri e scandali nonostante in tanti considerino il Salone del Libro di Torino una delle maggiori espressioni della cultura e dell’editoria italiane.
Cosa sta succedendo?
Subito dopo la chiusura della scorsa edizione del Salone internazionale del Libro furono notificate all’ex presidente della Fondazione,Rolando Picchioni, le accuse di peculato. L’ipotesi dell’inchiesta era che alcuni servizi fossero stati sovrafatturati. Picchioni si dichiarò sbalordito. Sul contenuto del colloquio di tre ore con gli inquirenti, tenutosi lo scorso 4 dicembre, vige il massimo riserbo. Stessa procedura anche per la Due Diligence, la valutazione della situazione finanziaria e valore della manifestazione, redatta dalla società BDO. Una relazione di analisi dei bilanci dell’ultimo triennio e revisione degli atti legali. E mentre la magistratura procede con le indagini il nuovo consiglio della Fondazione sembra lavorare assiduamente per fare in modo che gli scandali non compromettano l’immagine e l’esistenza del Salone del Libro di Torino.
Il 2 febbraio 2016 Federico Motta, presidente di Aie, l’associazione che unisce e rappresenta centinaia di editori italiani, comunica la decisione di lasciare il consiglio di amministrazione della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura che organizza il Salone Internazionale del Libro di Torino.
«Alla luce dei profondi cambiamenti in atto, appresi molte volte dalla stampa, e preso atto del ruolo marginale di Aie in seno al cda, riteniamo non più indispensabile la nostra presenza nel consiglio stesso della Fondazione. Resta inalterato il supporto e la partecipazione convinta degli editori al Salone del Libro».
Precise e circostanziate sembrano essere le motivazioni espresse da Motta, il quale, già al momento della nomina in seno al cda della Fondazione, auspicava un ruolo determinante degli editori nell’organizzazione del Salone.
Nei giorni scorsi spesso si è letto della burrasca abbattutasi sul Salone del Libro iniziata con i due eventi menzionati sopra, a cui ha fatto seguito lo scandalo dei numeri gonfiati, relativi alle presenze e ai biglietti venduti, e preceduta dalle dimissioni della mai nominata direttrice Giulia Cogoli e del consigliere voluto dalla Regione, Massimo Lapucci.
Accadimenti questi che non possono essere liquidati come similari o univoci se non per il fatto di avere un filo conduttore comune che è costituito dal Salone internazionale del Libro.
Per Motta abbiamo detto, la Cogoli ha apertamente dichiarato che la ragione delle sue dimissioni era legata al fatto di non aver trovato «nei tre mesi di assidua presenza di attività di uffici della Fondazione, le condizioni per poter lavorare come avrei desiderato per la buona realizzazione del Salone», e tutti hanno ricollegato queste difficoltà nel rapporto non proprio idilliaco che si sarebbe venuto a creare tra lei e l’attuale presidente Milella, mentre i motivi che hanno spinto Lapucci a lasciare è plausibile ipotizzare che siano legati alla volontà di non incorrere in un qualche tipo di conflitto di interessi, avendo lui stesso dichiarato di essersi dimesso per «favorire, in una posizione di maggiore terzietà, l’ingresso di nuovi possibili soggetti sostenitori, con l’intento di far compiere un passo avanti alla Fondazione, a fronte della particolare complessità della situazione derivante dalle gestioni precedenti».
Questi nuovi possibili soggetti sostenitori è lecito supporre siano il gruppo bancario Unicredit, di cui fa parte la Fondazione della Cassa di risparmio di Torino di cui Lapucci è segreterio generale. Di sicuro c’è che tutti, indistintamente, hanno dichiarato di agire per il bene del Salone di Torino. Chi lo vuole rilanciare, chi salvare, chi riassettare, chi migliorare… insomma è un evento talmente amato da mobilitarsi, oltre che Comune e Regione, due tra i più grandi gruppi bancari italiani (Unicredit e Intesa San Paolo) e ben due Ministeri (Miur e Mibact).
Tutti a stringersi forte intorno alla Fondazione che organizza il Salone del Libro, tutti determinati a non mollare, tutti tranne gli editori che invece scelgono di abbandonarla, la Fondazione. Perché?
Il loro presidente, abbiamo visto, ha motivato la scelta collegandola al ruolo marginale nel quale gli editori erano stati relegati, costretti addirittura ad apprendere le decisioni del consiglio, di cui facevano parte, dalla stampa. Forse è bene ricordare che stiamo parlando di un consiglio di amministrazione composto da 5 membri, il che lascia supporre che non debbano esserci particolari impedimenti per la comunicazione. Perché gli editori non avevano peso?
Un elemento importante che il consiglio e tutta la rosa di supporter considerano, evidentemente, fondamentale è il capitale. Finanziamenti, fondi, contributi, donazioni… in qualunque modo li si voglia chiamare, ciò di cui la Fondazione sembra avere disperatamente bisogno sono i soldi. Per fare cosa? Il Salone del Libro naturalmente.
I primi numeri: visitatori ed espositori
Sul sito della Eventi3, la società esterna che si occupa di una parte degli allestimenti del Salone del Libro di Torino, si legge che questo, esteso su una superficie lorda di 47.000 mq, accoglie, nei 5 cinque giorni della kermesse, 1.200 espositori, 508 stand, 339.000 visitatori, 1.300 convegni e dibattiti.
Nella relazione finale della conferenza stampa di chiusura del Salone internazionale del Libro di Torino, edizione 2015, si legge che «le presenze si apprestano a chiudere sulle 341.000 rispetto alle 339.752 del 2014, con un incremento attorno allo 0.7%» ma, stando alle dichiarazioni della neo presidente Milella, i numeri non sono questi.
«Nel 2015 le presenze totali furono 276.179 e 122.638 i biglietti a pagamento, contro le 341.000 annunciate al termine dei cinque giorni. La differenza è dunque di quasi 64.821 ingressi. L’anno prima le presenze, informa sempre il Salone del Libro, furono 300.502, contro le quasi 340.000 annunciate al termine dell’edizione 2014: 39.498 in meno. Nel 2013: le presenze furono 298.554 contro le 329.000 annunciate nel giorno della chiusura dell’edizione, 30.446 in meno».
Essendo una condizione ripetutasi per certo almeno nelle ultime tre edizioni del Salone internazionale del Libro e, proprio in virtù della recidiva, non considerabile quindi come errore o svista, resta da capire il motivo o la necessità per cui si è dovuto dichiarare un numero di presenze più alto di quelle reali. Inoltre viene da chiedersi se questi siano gli unici dati resi pubblici che non corrispondano a quelli effettivi.
La Milella ha inoltre tenuto a precisare che «sotto la voce ingressi rientrano figure fondamentali per l’identità e i contenuti culturali del Salone, come gli editori, gli autori e relatori, gli operatori media. Persone che contribuiscono con il loro soggiorno a produrre reddito e ricadute sul sistema economico del territorio quindi né abusivi né fantasmi».
Soffermandoci sulla categoria degli editori, incuriosisce capire esattamente di quali cifre stiamo parlando.
Sul sito del Salone internazionale del Libro di Torino si legge che, nell’edizione del 2015, sono stati 1.100 gli espositori e, orientativamente, possiamo supporre che altrettanti saranno quest’anno. La quota di iscrizione ammonta a 450 euro per i titolari di stand mentre se si è socio Aie o espositore ospite il costo è 250 euro. La tassa di iscrizione non comprende il posto auto quindi, eventualmente serva, bisogna aggiungere il costo del parcheggio. Per poter preventivare la spesa “di ingresso” al Salone come espositore è necessario considerare il costo del plateatico, ovvero «l’area nuda, sprovvista di pareti, moquette, impianto di illuminazione ed arredi vari». Insomma il solo suolo o meglio il pavimento occupato.
- Con 1 lato aperto 99 euro.
- Con 2 lati aperti 112 euro.
- Con 3 lati aperti 115 euro.
- Con 4 lati aperti 120 euro.
Il modulo più piccolo è di 8 mq e quello più grande di 64 mq. I prezzi si intendono a metro quadro.
Ed ecco arrivato il momento della scelta degli allestimenti, ovvero la moquette, l’impianto di illuminazione e arredi vari che non erano compresi nel costo del plateatico. Sono previste due opzioni: la prima da poter scegliere entro il 12/02 al costo di 58,50 euro e la seconda oltre questa data per 65 euro, ovviamente al metro quadro.
Dunque, immaginando di essere un editore non iscritto all’Aie che vuole proporsi con uno stand di 16 metri quadri con due lati aperti dovremmo pagare di spese obbligatorie 1.792 euro, cui bisogna aggiungere i costi per l’allestimento, quelli per il parcheggio e se proprio si vuole godere di un servizio completo anche quelli per la pubblicità sulla guida ufficiale, sul catalogo online e sul sito internet.
- 4a di copertina a colori sul Catalogo 2.000 euro.
- 2a di copertina a colori sul Catalogo 1.000 euro.
- 3a di copertina a colori sul Catalogo 500 euro.
- Segnalibro 1.500 euro.
- 4a di copertina a colori sulla Pianta Guida 5.000 euro.
- Pagina a colori sulla Pianta Guida 1.000 euro cadauna.
Da non dimenticare nella compilazione del modulo di iscrizione la richiesta di biglietti ridotti, carnet o abbonamento, in modo tale da risparmiare un po’ sul costo di ingresso giornaliero e poter accedere alla corsia preferenziale altrimenti si rischia di dover pagare il costo del biglietto intero e dover fare anche la fila. Il tutto va saldato entro il 25 marzo, meglio ancora se entro il 12 febbraio così da poter usufruire dello sconto del 10%.
Ipotizzando che un grande editore acquisti uno stand di capienti dimensioni, con allestimento, posto auto, carnet di biglietti e ampi spazi pubblicitari… per rientrare anche solo delle spese deve vendere almeno 1500 libri.
Il Salone o il supermercato del Libro?
Dalla relazione vendite degli editori dell’edizione 2015 del Salone del Libro di Torino la situazione generale viene presentata in maniera entusiasta: «Il Salone degli editori si chiude con una crescita di fatturato del 15%, dato che conferma l’analogo trend del 2014 e ribadisce, al Salone, i libri si vendono e come il pubblico viene a Torino per acquistare». Si può parlare di erfolg, «successo, è la parola che circola con soddisfazione allo stand della Germania», Paese ospite d’onore.
Testualmente leggiamo: «La parola ai numeri. 53 incontri che hanno visto protagonisti i 23 autori invitati dalla Frankfurter Buchmesse e dal Goethe-Institut in Italia. Circa 10.000 gli spettatori delle manifestazioni organizzate dalla Germania al proprio stand e nelle sale del Lingotto.L’interesse dei lettori e delle lettrici italiane per la letteratura tedesca è travolgente, è stata la sintesi di Juergen Boos, direttore della Fiera del Libro di Francoforte. Le sue parole sono confermate dai risultati del punto vendita interno allo stand: la libreria internazionale Luxemburg ha venduto 800 volumi».
Quindi al Salone i libri si riesce a venderli e il pubblico vi si reca per acquistare. E un bene o un male? E per chi?
È da diversi anni ormai che il critico Gian Paolo Serino punta il dito sulla kermesse torinese e sulle pagine del suo blog lo descrive come «la vergogna della cultura italiana. Non è più una fiera del libro, neanche un supermercato per vendere. Ha subito una nuova trasformazione: è diventato un format televisivo».
Rivolgendosi a critici, scrittori, intellettuali e lettori si chiede come possano mai accettare tutto questo, una «vergogna che contribuisce ad azzerare la ricerca critica dei nostri figli».
Il sito ufficiale del Salone lo presenta come «la più grande libreria italiana del mondo, un prestigioso festival culturale, un essenziale punto di riferimento per gli operatori professionali del libro e un vivace spazio dedicato ai giovani lettori».
Nella lettera aperta a sostegno del Salone del Libro, Gaspare Bona afferma espressamente che «non è solo una fiera commerciale: centinaia di presentazioni, eventi, convegni, workshop lo rendono una delle manifestazioni culturali più importanti in Italia e nel mondo».
Una manifestazione talmente importante da richiedere una quantità notevole di fondi per poter essere allestita. È veramente necessario fare le cose così in grande? Vista la movimentazione di questi mesi la risposta, evidentemente, è sì. Resta ancora da capire il perché ma intanto è d’uopo, a questo punto, passare al vaglio i crediti e i debiti, le entrate e le uscite del Salone e della Fondazione.
I numeri del Salone: Dare e Avere
Federico Motta sembrava avere le idee molto chiare fin dalla nomina nel cda della Fondazione del Libro, rivendicando non solo un ruolo centrale per gli editori ma anche «augurandosi che fosse il Salone a gestire l’organizzazione e guadagnare sui biglietti», amministrati invece dal Gl Events, la società che possiede il Lingotto, il cui affitto costerebbe altrimenti 1,2 milioni di euro.
La scelta di lasciare la gestione alla società esterna deve essere di certo legata a un fattore di convenienza economica. Lo scorso anno sono stati venduti 122.638 biglietti e applicando una media di 9 euro, considerando i 10 euro del biglietto intero e gli 8 di quello ridotto, l’incasso ammonterebbe a poco più di 1 milione di euro. Insufficiente anche solo per coprire le spese di affitto. A meno che non si decida di spostare la location dal Lingotto a un sito economicamente più vantaggioso.
Il consiglio di amministrazione è nominato in toto senza compenso mentre al direttore del Salone ne spetta uno che, dal Bilancio 2014 della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura, risulta essere di 109.824 euro. Il costo complessivo per il personale dipendente ammonta a 943.901 euro.
Quello totale per i servizi 2.003.294 euro, su cui incidono molto i costi per organizzazione ed eventi (401.516 euro) e quelli per allestimento fiere e mostre (390.786 euro). Salta subito all’occhio la singola voce del capitolo materie prime, 368.969 euro per stampe promozionali e pubblicità, che da sola supera la spesa complessiva sostenuta per le consulenze tributarie e paghe, consulenze tecniche, collaboratori occasionali, compensi professionali e quelli per opere d’ingegno.
Ancora due voci dello stesso capitolo di spesa si fanno notare: i Co.co.co per un totale di 384.698 euro e quelle per la vigilanza di 579 euro.
Con costi di gestione così alti è chiaro il motivo per cui si è alla costante ricerca di finanziamenti.
Sempre nel Bilancio 2014 della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura sono stati registrati, sotto la voce crediti verso clienti con fattura, 183.000 euro della Bluefin invest, 97.000 euro della Ceip Piemonte, 35.000 euro del Ministero per i Beni e le Attività culturali, 31.720 euro della Yakult Italia. Le altre sono per la gran parte cifre al di sotto dei 1000 euro. La voce crediti verso altri registra un totale di 2.339.253,54 euro. Ne fanno parte il contributo della Regione Piemonte di 737.330 euro, quello del Comune di Torino di 800.925 euro, della CCIAA di Torino di 60.000 euro, di San Paolo e Ministero dei Beni culturali entrambi di 150.000 euro.
Il 10 febbraio di quest’anno esce la notizia che anche il Mibact aderirà alla Fondazione del Libro come socio fondatore e verserà, come quota di partecipazione, 300.000 euro annui, come il Miur. 600.000 euro all’anno di soldi pubblici, che vanno a sommarsi a quelli di Comune e Regione.
L’ex consigliere della Fondazione del Libro, il dimissionario Lapucci, ha dichiarato che le trattative con Unicredit vanno avanti e che sull’ingresso del gruppo bancario come socio non dovrebbero esserci dubbi, ma che «sono indietro rispetto all’altro istituto di credito». Le cifre fissate per l’ingresso di Intesa San Paolo sarebbero 500.000 euro una tantum e 250.000 euro annui.
Tutti i nuovi fondi reperiti per il Salone del Libro di Torino sembrano aver abbondantemente risanato le casse della Fondazione scongiurando anche il rischio di non riuscire a fare l’International Book Forum che invece sarà allestito nella business area del Salone da giovedì 12 a sabato 14 maggio 2016.
Oltre i numeri…
«L’adesione del Mibact alla Fondazione del Libro nasce dall’alto valore culturale e dal costante e diffuso impegno editoriale svolto dalla Fondazione e dal Salone internazionale del Libro di Torino, che è la più importante manifestazione italiana del settore e tra le maggiori a livello europeo e realizza un arricchimento culturale che il mondo del libro e della lettura offre a tutta la società italiana».
Con queste parole, contenute nella lettera inviata al sindaco, al presidente della Regione e a quello della Fondazione, il ministro Franceschini rende pubblica la notizia dell’ingresso del Mibact nella Fondazione del Libro, che sarà formalizzato nell’incontro fissato con Fassino per il 18 febbraio.
«Il sostegno del Mibact insieme a quello del Miur permetterà agli organizzatori di agire con più libertà, autorevolezza e serenità. Nessuna ingerenza politica o istituzionale sulle scelte strategiche della Fondazione».
Insomma, secondo quanto dichiarato dal Ministro Franceschini, la mobilitazione in atto per salvare la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura che organizza il Salone internazionale del Libro di Torino non va ricondotta a motivazioni di controllo o ingerenza politica o istituzionale ma ricollegata all’alto valore culturale intrinseco nella manifestazione.
Nel Rapporto sulla promozione della lettura in Italia, pubblicato nel marzo del 2013 dall’Associazione Forum del Libro e curato su incarico del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si legge che è necessario «distinguere le fiere professionali – come quella di Bologna, dedicata alla letteratura per ragazzi – in cui gli editori promuovono ed effettuano compravendite di diritti esteri, e quelle commerciali – come il Salone del Libro di Torino – in cui gli editori vendono e promuovono libri». A questo scopo, o meglio per sopperirne la mancanza dev’essere stato istituito l’International Book Forum che opera all’interno del Salone del Libro da quattordici anni.
Il tema del 29° Salone internazionale del Libro di Torino, che si terrà al Lingotto dal 12 al 16 maggio 2016, sarà Visioni. Protagonisti saranno quindi coloro che, nei rispettivi campi di attività, si sono distinti per «la lungimiranza del progetto, le capacità d’innovazione, l’originalità dei metodi operativi, ma anche la sapienza divulgativa e comunicativa: fisici, biologi, neuroscienziati, filosofi, artisti architetti, economisti capaci di affrontare in modo creativo i temi cruciali della contemporaneità e di tradurre in pratica programmi mirati sul medio-lungo periodo».
Tra gli ospiti “visionari” attesi c’è Marino Golinelli, imprenditore farmaceutico che «nel 1988 ha creato la Fondazione che porta il suo nome e in cui ha investito 80 milioni di euro». Il Golinelli, classe 1920, è stato invitato per «aiutare i giovani a capire come sarà il mondo di domani e a valorizzare se stessi, per trasformare i problemi in occasioni, nel segno di una nuova imprenditoria che significhi anche crescita morale e civile».
La “visione” generale che si ha del Salone internazionale del Libro di Torino è che assomigli non tanto a una fiera, professionale o commerciale che sia, bensì a un mondo, un universo immenso, fatto di numeri imponenti, fondi sostanziosi, grande pubblicità… e che nonostante tutto ciò si è reso in qualche modo necessario affermare che lo fosse ancora di più. Un evento di cui tutti o quasi parlano bene, anche se lo fanno ripetendo più o meno sempre le stesse cose.
Sarebbe stato considerato egualmente un successo la partecipazione della Germania all’edizione dello scorso anno anche se la libreria internazionale non avesse venduto gli 800 volumi che invece sono stati acquistati? Marino Golinelli sarebbe stato considerato egualmente un visionario anche se non avesse investito 80 milioni di euro nella sua Fondazione?
Al Salone del Libro di Torino partecipano a vario titolo tantissime persone, non si può stabilire una motivazione univoca che ne giustifichi la presenza, ma sarebbe molto interessante poter numerare quante persone vi parteciperebbero egualmente come editori pur sapendo di non vendere alcun libro, come agenti pur essendo consapevoli di non poter acquistare o vendere alcun diritto, come autore o come oratore sapendo di non poterlo considerare una straordinaria vetrina pubblicitaria… eliminare tutti gli aspetti commerciali, finanziari e pubblicitari e figurarselo come un luogo simbolo e simbolico della Cultura, quella con l’iniziale maiuscola, dove intellettuali, cultori e amanti della Letteratura e delle Scienze si incontrano per conoscersi, per informarsi vicendevolmente, per dibattere e discorrere e andarsene più ricchi… di conoscenza. E certamente sarebbe interessante sapere se a quel punto l’interesse della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura nonché dei grandi istituti bancari e dei Ministeri del nostro Governo rimarrebbe inalterato verso quella che definiscono «la più grande libreria italiana del mondo, un prestigioso festival culturale, un essenziale punto di riferimento per gli operatori professionali del libro e un vivace spazio dedicato ai giovani lettori».
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