La trappola dell'8 marzo

La Giornata internazionale della donna, volgarmente chiamata Festa della donna, è stata istituita come baluardo delle conquiste ottenute in campo sociale, politico e professionale ma anche come promemoria del tanto lavoro ancora da svolgere affinché cessino definitivamente le discriminazioni, i soprusi e le violenze.

Cosa hanno a che vedere queste grandi premesse con i ricorrenti festeggiamenti che si ripetono e degenerano di anno in anno? Poco o nulla.

Il “gesto galante” di Franceschini

Con un tweet e un trafiletto da 140 caratteri sul sito del Mibact, il ministro Franceschini annuncia a tutti che, a partire da quest’anno, il giorno 8 marzo i musei, le aree archeologiche e i monumenti statali saranno gratuiti per tutte le donne e invita i relativi direttori a organizzare eventi inerenti il tema della giornata. Agenzie di stampa e testate giornalistiche hanno prontamente rilanciato la notizia definendola “un gesto galante“.

Le domande da porsi sono molteplici. Se questa giornata deve servire per iniziative che spieghino e al contempo cerchino di superare stereotipi e pregiudizi verso il genere femminile perché aprire i musei solo alle donne? Non sarebbe stato meglio consentire l’accesso gratuito anche agli uomini?

Se la Giornata internazionale della donna serve a celebrare le conquiste fatte in campo sociale, politico e professionale non è offensivo questo “gesto galante”? Perché alle donne viene regalato l’ingresso mentre gli uomini devono comprare il biglietto?

Come si fa a raggiungere la parità tra i sessi se il genere maschile e quello femminile continuano a ricevere trattamenti differenti da parte dello Stato?

Fiaba o realtà?

La paradossale per non dire assurda situazione che si è venuta a creare somiglia un po’ alla fiaba nella quale lo Stato istituisce una giornata per celebrare le vittime della violenza di genere e per dire basta allo stalking, alle aggressioni e agli omicidi e poi non fa nulla per inasprire le pene e scoraggiare gli aggressori. Oppure a quella dove annualmente si festeggia un lavoro che sono sempre di più a perdere o a non trovare.

O mi sbaglio e non sono delle fiabe?

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70 anni di suffragio universale

Il 10 marzo del 1946 le donne italiane votarono per la prima volta, grazie al fatto che nel nostro Paese venne istituito il suffragio universale. Ciò significa che tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età possono esprimere il loro diritto al voto. Un cittadino, un voto. Un uomo, un voto. Una donna, un voto. I conti tornano. Sulle quote rosa invece i conti proprio non vogliono quadrare.

Il grado di civiltà di uno Stato e della sua intera popolazione non si dimostra con la quota invalidi, la quota disabili, la quota rosa e via discorrendo. Queste sono flebili concessioni, regali, contentini… gesti illusori di una civiltà e di una parità che mancano, purtroppo, a trecentosessanta gradi.

La vera parità risiede nella libertà (di scelta, di opinione, di opposizione…), nel 100% delle opportunità date a tutti i cittadini, senza distinzione di genere o altro.

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La parità in Italia è una chimera

Esiste davvero la parità tra i sessi o è tutta un’illusione? Stando ai risultati del Global Gender Gap Report 2014 in Italia non molto, essendosi classificato, il nostro Paese, al 69° posto e necessitando di oltre 80 anni affinché la si possa raggiungere, la parità, almeno in campo professionale.

Forse un modo per accelerare i tempi è evitare di confondere o mischiare improbabili “gesti galanti” per conquiste di genere e non cadere in inganni e artifici come la Festa dell’8 marzo, così come ce la vogliono raccontare.

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