Il dialetto che diventa lingua. La storia delle comunità italo-brasiliane

È nella differenza che possiamo crescere, non nell’omologazione. Giorgia Miazzo per 10 anni ha studiato a fondo le comunità di italo-brasiliani che, a distanza di oltre 140 anni dall’inizio delle migrazioni, hanno mantenuto pressoché intatti gli usi, i costumi, le tradizioni, le musiche e soprattutto la lingua che li lega al Paese di origine, l’Italia.

Studiare le migrazioni del passato per la Miazzo è doveroso, un riconoscimento per i sacrifici sopportati da tanti italiani costretti a lasciare l’Italia. Ma immergersi in quelle situazioni può essere anche un utile modo per conoscere e capire meglio le migrazioni di oggi, sia quelle degli italiani che si recano, per vari motivi, all’estero, sia quelle dei tanti stranieri che giungono nel nostro Paese.

Cantando in Talian, un progetto di Giorgia Miazzo che ha dato origine a cinque pubblicazioni, conferenze, incontri e corsi linguistici. Ne abbiamo parlato con la coordinatrice in un’intervista.

Dieci anni di ricerche su fonti e sul campo per studiare le comunità italo-brasiliane e la loro storia. Quali sono stati i motivi propulsori del Progetto Cantando in Talian?

Per ragioni di studio e lavoro mi sono recata in Brasile circa 10 anni fa. Sono rimasta affascinata da questa bellissima comunità di italo-veneti brasiliani. Mi sono sentita in dovere di fare qualcosa per queste persone. Hanno ancora un cuore che pulsa qui in Italia ma, per il resto, non ci sono più legami, sia per motivi storici che sociali. Da parte nostra si è persa ogni tipo di conoscenza di questa comunità. La mia è stata una ricerca centrata maggiormente sulla lingua. È fuor di dubbio interessante che un dialetto, quello veneto, si parli ancora oggi, a distanza di 140 anni dalle grandi migrazioni in Brasile. Volevo che la storia di questi migranti, che tanto hanno sofferto, fosse conosciuta anche qui in Italia, dove tale segmento di Storia è pressoché sconosciuto.

Gli italiani emigrati in Brasile e i loro discendenti mantengono le proprie tradizioni, usi e costumi, musica ma soprattutto l’idioma: il Talian. Cosa ha rappresentato per queste comunità vederlo riconosciuto ufficialmente come lingua?

C’è una parte della comunità che da anni lotta per ottenere questo riconoscimento e per loro dev’essere stata una gioia grande. Dapprima vietato dalla dittatura, il Talian veniva poi indicato come la lingua degli stupidi, assolutamente inutile. Tante altre persone invece non sono a conoscenza di questi trascorsi né sanno della differenza tra il Talian e l’italiano. Tra il dialetto veneto e quelli in generale dell’Italia del Nord e l’italiano. Anche in tante scuole italiane per anni è stato raccontato che questa era una lingua che non sarebbe più servita. Tutti dovrebbero prendere coscienza che il Talian è un qualcosa di cui andare fieri. Prima di tutto perché è la lingua delle loro radici.

In Brasile la ricorrenza dei 140 anni dall’inizio dell’emigrazione italiana è molto sentita, con numerose manifestazioni ed eventi. E in Italia?

In Italia molto poco. Io ho fatto un po’ di promozione. Circa 100 incontri tra Italia e Brasile con conferenze, corsi, progetti vari nei Comuni e nelle scuole… L’interesse generale era molto centrato, giustamente, sulla ricorrenza della Grande Guerra ma ho avuto l’impressione che questa parte di Storia fosse stata un po’ dimenticata. Nei libri, anche scolastici, si racconta delle migrazioni e degli immigrati italiani che se ne sono andati nelle Americhe senza spiegare i vari scaglioni, senza definire chi è partito, da quale zona e per andare dove. Durante le tante conferenze nelle scuole mi sono resa conto che manca proprio la conoscenza da parte dei ragazzini ma anche degli adulti.

Il dialetto che diventa lingua. La storia delle comunità italo-brasiliane

La lingua, la musica, le tradizioni aiutano un popolo a sentirsi tale, a ritrovare la propria nazionalità o a sentirne meno  la lontananza. Cosa sarebbe accaduto alle comunità italo-brasiliane se fossero state costrette a rinunciare a tutto questo? 

La loro in effetti non è stata proprio una scelta. Non razionale almeno. In tanti gruppi migratori si è lentamente sopito questo attaccamento alle tradizioni. Nel caso degli italo-veneti in Brasile c’è da dire che sono stati costretti a mantenere la lingua e le tradizioni perché era l’unico legame che avevano con l’Italia. Per tanti anni, dopo esser giunti lì, sono rimasti isolati e questo isolamento ha fatto sì che la lingua e le tradizioni si cristallizzassero. Per questi motivi il caso del Brasile è unico al mondo. Se guardiamo alle migrazioni in Canada, in Australia, in Sud-Africa, in Argentina non troviamo fenomeni linguistici comparabili con quanto accaduto per ilTalian. Se fossero stati costretti a rinunciare anche alla lingua e alle tradizioni, in quella situazione di isolamento, sarebbe stato ancora più difficile. Sono partite tante gambe, tante braccia ma i cuori sono rimasti in Italia e questo legame si è palesato attraverso la lingua, le tradizioni, la gastronomia.

Cosa pensa accadrebbe agli immigrati e ai rifugiati extracomunitari in Italia e in Europa se fossero costretti a rinunciare alle loro tradizioni, usi e costumi, musica e lingua?

Equivarrebbe a omologarsi tutti in un mondo grigio, che è quello che vogliono per noi e penso anche per loro. Sarebbe più comodo da gestire per alcuni ma sicuramente vuoto. Tradizioni e lingue sono speciali proprio perché tramandate di generazione in generazione. È il nostro modo di sentirci a casa, in qualunque parte del mondo ci troviamo.

Sarebbe molto triste anche se la globalizzazione va esattamente in questa direzione. L’epoca della velocità, dell’inglese, del fast food… quello che non abbiamo capito è che sarebbe una grande perdita, per loro ma anche per noi. Perché è nella differenza che possiamo crescere.

La storia dei tanti migranti che si riversano in massa lungo le coste italiane ricorda per certi versi quella di tanti disperati italiani fuggiti in varie e remote parti del mondo per sfuggire alla miseria. Forse la forza degli italiani è stata proprio quella di fare quadrato, l’appartenenza a una comunità li ha aiutati a ricrearsi una vita dignitosa e buone prospettive per il futuro dei propri figli. Pensa che per i migranti di oggi potrebbe valere lo stesso?

È vero che i migranti italiani del passato sono riusciti a crearsi una copertura di comunità, ma lo hanno fatto con tanto sacrificio e umiltà. Non credo si possa fare lo stesso oggi. Sia per la presenza di strutture organizzate nei posti di arrivo, per la mancanza di isolamento e anche della forza di volontà. Oggi mancherebbe la serietà, la determinazione e tutta una serie di valori che sono andati perduti, come la religiosità e lo stesso senso di appartenenza. Oggi, noi italiani ce la sappiamo sempre cavare, a volte bene altre male, ma in maniera molto più individualista rispetto al passato.

Per gli stranieri che giungono in Italia bisognerebbe fare un discorso diverso. Non tutte le etnie stanno reagendo allo stesso modo. Sicuramente alcune culture sono rimaste intatte senza aggregarsi alla nostra, forse ciò è dovuto al fatto che noi non abbiamo permesso che accadesse. È importante preservare la propria cultura ma lo è anche mantenere le aperture.

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© 2016, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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