Dans la nuit de Daech, uscito in Italia per Tre60 col titolo Fuggita dall’Isis nella versione tradotta da Elena Sacchini, è il libro confessione della seguace pentita Sophie Kasiki (per ovvie ragioni il nome è di fantasia), scritto a quattro mani con la scrittrice francese Pauline Guéna. Sophie nasce nel 1981 a Kinshasa, in Congo, dove trascorre quella che lei stessa definisce «un’infanzia perfetta» che ruota intorno al fulcro della sua vita, sua madre, la cui morte prematura crea nella ragazza uno scompenso emotivo da cui non si riprenderà se non dopo otto anni. Almeno questo è quello che crede.
È una bambina quando la madre muore, così Sophie è costretta a lasciare la sua casa, il suo mondo, per trasferirsi a Parigi con la sorella maggiore e il cognato. Per quasi dieci anni sopravvive chiusa in sé stessa finché l’arrivo delle nipotine, le gemelle figlie di sua sorella Alice, non la fanno sentire di nuovo “utile e amata” e lei crede di aver definitivamente chiuso «quella lunga parentesi di lutto». Si diploma, si innamora, si sposa, inizia a lavorare. Sophie s’illude, aiutando gli altri come faceva sua madre, che era un’infermiera, di poter ritrovare sé stessa, la propria genitrice e soprattutto la felicità.
Ma quel senso di frustrazione e insoddisfazione non sembra proprio volerla lasciare, neanche dopo la nascita di Hugo, suo figlio, e la conversione all’Islam, religione che ritiene più vicina al suo pragmatismo. Dopo un viaggio all’isola di Gorée, in Senegal, durante il quale visita la casa degli schiavi con «l’apertura sul muro affacciata sul mare da cui venivano deportati gli schiavi in catene», la sua situazione psichica precipita di nuovo, alimentata dalla rabbia e dalla volontà di smascherare le ingiustizie profonde. Sophie pensa che la vita che sta conducendo stia diventando troppo “borghese”, che il suo scopo sulla Terra debba essere molto più grande e determinante di quello che riesce a intravedere dal suo appartamento nella periferia parigina e non si accorge che a fomentare i suoi pensieri non è un desiderio di agire bensì di morire.
Il male di vivere che l’aveva pervasa per otto lunghi anni dopo la morte della madre si riaffaccia in forma meno acuta ma più incisiva. Per non soccombere alla depressione Sophie decide che deve cambiare la sua vita e per farlo ha bisogno di una motivazione forte, una causa che travalichi i confini piccolo-borghesi della società occidentale nella quale si ritrova a vivere. È pronta a sacrificare tutto, anche il suo matrimonio, ma non la maternità, e così decide di partire per la Siria e di portare con sé suo figlio di soli 4 anni. Sophie intraprende quello che ritiene sarà il suo cammino verso la salvezza e non si rende conto, o preferisce ignorarlo, di essere già diventata una vittima, l’ennesima pedina di un gioco, o meglio di un giogo molto più grande di lei e del suo malessere.
«Quello che scopro mi sconvolge e mi fa star male. Non sono venuta qui per giocare ancora una volta alla colonizzazione, men che meno nei panni del colono».
Le basterà girare per le strade di una Raqqa blindata per rendersi conto di essere rimasta vittima di un inganno. Sbaglierà ancora nel ritenerne artefici Idriss, Mohammed e Souleymane, i ragazzi conosciuti al centro ricreativo dove lavorava come educatrice. Anche loro sono vittime del medesimo “efficientissimo sistema di propaganda” che ha risucchiato lei.
«Ogni giorno che passa cresce in me l’odio per questi stranieri che si credono tanto superiori. È l’esercito del Terzo Reich a Parigi, sono i coloni in Congo, i bianchi nelle terre degli indiani d’America».
Gli stranieri di cui parla sono i nuovi arrivati in Siria, come lei. Sono Idriss, Mohammed e Souleymane. Sono i combattenti, i mujaheddin, giunti da ogni parte del mondo per arruolarsi tra le fila dell’esercito dello Stato Islamico, piantonare la città di Raqqa, far rispettare la legge islamica, portare a compimento lo jihad.
Leggendo Fuggita dall’Isis si prova un certo sgomento, una sorta di ostinata incredulità che rende difficoltoso credere che tutto ciò che viene narrato sia vero. Che sia realmente accaduto. Non perché si mettono in dubbio le parole della Kasiki bensì perché farlo equivale ad ammettere che tutto quello che ascoltiamo in televisione, leggiamo sui giornali, commentiamo sui social network potrebbe irrompere nelle nostre vite in qualsiasi momento e stravolgerle. Sarebbe troppo semplicistico liquidare la storia di Sophie Kasiki come un qualcosa che non ci appartiene, perché frutto di scelte che noi non faremo mai. Con molta probabilità anche lei lo pensa. Altrettanto riduttivo sarebbe attribuire il tutto al fatto che lei si sia convertita all’Islamismo. Lei stessa ammette che la religione, in tutta la vicenda che l’ha vista protagonista e vittima, riveste un ruolo marginale. Nel caso di Sophie una componente determinante è stata la malattia, la depressione, ma non è sempre così. Viene naturale chiedersi qual è la molla che fa scattare gli altri numerosi giovani che dai centri e dalle periferie, dai paesi e dalle città di mezzo mondo decidono di partire per raggiungere lo Stato Islamico.
«La frattura che ho dentro è sempre lì, la sento, la vedo. L’ho esplorata a fondo, come non avevo mai fatto, e adesso so che non si rimarginerà. Oggi mi auguro soltanto di conoscerla abbastanza bene da non permettere a una religione, a una ideologia o anche a una persona di insinuarvisi e manipolarmi».
Fuggita dall’Isis è un libro che racconta una storia intensa, che accompagna il lettore in profonde riflessioni sulla vita che conducono gli abitanti del continente africano, di quello europeo e di coloro che vivono sospesi, come in bilico tra i due mondi. Storie, piccoli gesti di grande umanità che si ritrovano in luoghi e volti sconosciuti mentre si perdono in ciò e in coloro che riteniamo “famigliare”. Nel corso della sua incredibile avventura Sophie si ritroverà a incontrare sconosciuti disposti a rischiare la vita pur di aiutare lei e Hugo a ritrovare la libertà e far ritorno da suo marito Julien; lui che, assalito dalla stanchezza di doversi occupare del lavoro e del figlio, ha lasciato che lei gli mentisse, ha lasciato che partisse con Hugo per la Turchia e lo ha fatto senza neanche chiederle dove andasse e perché.
Errori, distrazioni, malesseri di una vita trascorsa a correre per andare al lavoro, lottare per far quadrare i conti, combattere per non sentirsi sopraffatti dalle responsabilità. Una vita dove il “benessere” si rivela sempre più spesso una tortura, una condanna, una corsa in tondo che non porta da nessuna parte… e così mentre Sophie parte in cerca di risposte, Julien resta eppure entrambi commettono lo stesso errore: si lasciano condizionare mentendo a sé stessi. Non si capirà perché il terrorismo islamico avanza, né perché dall’Occidente, che se ne dichiara nemico, partono centinaia di giovani che scelgono il rigore della legge islamica al liberismo tout court della democrazia ma Fuggita dall’Isis di Sophie Kasiki è di sicuro un libro interessante, che invita alla riflessione su tanti aspetti della contemporaneità.
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