Da pochi giorni in libreria, Io e Henry (Marcos y Marcos, 2016) di Giuliano Pesce è un libro strutturato su diversi livelli. Sarà il lettore stesso a scegliere se vuol vederci un racconto umoristico, una spy-story o un romanzo che inglobi tutto questo e molto altro ancora. Riflessioni sulla contemporaneità si alternano a soliloqui con la propria mente e alterchi con personaggi reali o immaginari.
Un libro, quello di Pesce, costruito intorno alla constatazione che «se hai un sogno, vale la pena di vivere inseguendolo; se non ce l’hai, non vale la pena di vivere». Tagliaferro, il protagonista, un sogno lo ha ma non è quello che sembra. L’originalità di questo libro sta anche in questo.
Ne abbiamo parlato con Giuliano Pesce in un’intervista.
Io e Henry è un libro con una struttura e una storia originali, a cavallo tra un “finto” romanzo e una semiseria spy-story. Perché questa scelta narrativa?
Potrà sembrare strano, ma il romanzo nasce dalla prima frase. Un giorno ho preso un foglio e ho scritto un aforisma che mi ronzava in testa: «Se hai un sogno vale la pena di vivere inseguendolo; se non ce l’hai, non vale la pena di vivere». Poi, ho aggiunto: «Il vecchio Henry lo diceva sempre». A quel punto mi sono trovato davanti a diverse domande: chi è questo Henry? Perché è “vecchio”? E perché pronuncia una frase simile?
La storia è stata la mia risposta a queste domande, subordinata al bisogno che sentivo di scrivere qualcosa che, oltre che catturare l’attenzione del lettore, fosse anche divertente, da leggere, ma soprattutto da scrivere.
Nel testo sono innumerevoli le citazioni, i paragoni e le similitudini con personaggi o aneddoti tratti da cinema, musica e letteratura contemporanei. Quali sono i motivi alla base di questo stile di scrittura?
Come dicevo, volevo scrivere qualcosa che fosse divertente. Lo stile del romanzo nasce in parte da questo bisogno. E in parte dal fatto che volevo un protagonista che fosse sì un uomo comune, ma che avesse anche un modo tutto suo di vedere il mondo. Così ho riversato in Tagliaferro qualcosa che mi capita di provare spesso. Cioè la sensazione che il mondo di oggi sia una gigantesca bolla di rumore informativo, ripiena di tante, tantissime parole, immagini e suoni, dietro cui è difficile scovare dei veri significati.
Tagliaferro, all’inizio della storia, ha appena perso i pochi appigli che aveva (l’amore, il lavoro, la casa) e cerca disperatamente di trovare nuovi punti di riferimento. Tuttavia, quasi tutto gli sembra già visto, sentito, rimasticato, sputato fuori dalla sua mente ormai sovraccaricata da input esterni, che hanno in un certo qual modo sommerso il suo vero Io. Lo stile che ho adottato serve principalmente a rendere a livello espressivo queste sensazioni che attanagliano il protagonista.
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La vicenda narrata in Io e Henry ruota intorno alla figura del protagonista ma ha come ambiente di riferimento il Centro di salute mentale Villachiara. Pirandello affermava che esistono solo due modi per liberarsi del peso della vita: la morte o la pazzia. Il protagonista vive la sua “alienazione” come una fuga dalla realtà?
La singolarità del mio protagonista, Tagliaferro, è rintracciabile proprio qui. La sua è certamente una fuga da una realtà che non gli piace più. Ma non solo. È anche il tentativo, forse vano, di costruire una realtà nuova, che non sia solo l’incomprensibile somma delle diverse volontà degli individui, gettate alla rinfusa sul piatto della vita. Tagliaferro vuole una realtà che dipenda soltanto da lui. Per questo si mette alla caccia del Registro-01, l’unico strumento in grado di concedergli il potere di cui ha bisogno.
La realtà può spaventare, o fare male. Ma Tagliaferro, grazie a Henry, scopre che a volte la miglior difesa è l’attacco.
«La sofferenza interiore, la terrificante depressione che ti attanaglia, inevitabilmente, quando ti rendi conto della differenza che esiste (ed esisterà sempre) tra il mondo come lo vorresti e il mondo com’è». Tagliaferro cerca di vincere il suo male di vivere con l’umorismo e la follia?
L’umorismo è sicuramente una componente importante del romanzo. Ma Tagliaferro, pur essendo il narratore, ne è quasi una vittima involontaria. Le situazioni in cui si viene a trovare ondeggiano tra il drammatico e l’assurdo; e l’unico modo che ha per affrontarle è quello di lasciarsi trascinare da questo flusso.
Per quel che riguarda la follia, io non credo che Tagliaferro sia pazzo. A volte penso che i pazzi non esistano neppure. Se consideriamo la vita e i suoi canoni come il risultato della mediazione tra le diverse volontà di tutti gli individui, i folli sono semplicemente coloro che rifiutano di sedersi al tavolo delle trattative. Coloro che, per così dire, preferiscono tentare di far saltare il banco. E Tagliaferro rientra senza dubbio in questa categoria.
Parlando di umorismo la mente rimanda nuovamente a Pirandello. Anche Tagliaferro, come i personaggi del grande drammaturgo, ha una patina di tristezza che trasmette al lettore. Come Pirandello anche lei scrive le sue storie per sfidare il pubblico, per stimolarlo?
Certamente. Io e Henry è un libro che può essere letto su tanti livelli. Può essere gustato come un semplice romanzo umoristico e – mi auguro – avvincente. Ma spero anche che alcune situazioni e certe riflessioni dei personaggi, seppur deformate dalla lente dell’umorismo, possano spingere i lettori a ripensare al mondo di oggi e, soprattutto, al nostro modo un po’ troppo dogmatico di interpretarlo.
«Come ciascuno di noi, anche il protagonista del romanzo è – almeno in parte – il prodotto del costante bombardamento di immagini, suoni, parole a cui ci sottopone il mondo di oggi e che, inevitabilmente, finisce per condizionare il nostro modo di essere, pensare e agire». Siamo dei burattini? E nelle mani di chi?
Uno dei temi principali del libro è proprio questo. E ho cercato di affrontarlo da vari punti di vista, che vanno dal complottismo più esacerbato (ci sono oscuri signori che ci dominano!) all’influenza che il mondo esercita sul nostro Io, passando per alcuni concetti come la Fortuna, il Destino e la Possibilità.
Quanto di nostro riusciamo davvero a provare? E quanto siamo vittime di quello che ci investe dall’esterno?
Sono domande che mi pongo spesso e a cui, purtroppo, non sono in grado di dare una risposta soddisfacente. Spero, però, che il libro possa spingere i lettori a riflettere su tutto questo e, magari, a cominciare a cercare le proprie risposte.
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