E io pago di Daniele Frongia e Laura Maragnani (Chiarelettere, 2016) è un libro che nasce dai documenti visionati e/o redatti dalla Commissione per la riforma e la razionalizzazione della spesa di Roma, di cui Frongia è stato presidente.
Quanto costa agli italiani «mantenere la capitale più corrotta e inefficiente d’Europa»? Cosa fare per «ridurre gli sprechi e i danni alla nostra vita»?
Ne abbiamo parlato in quest’intervista con Daniele Frongia, statistico e informatico presso l’Istat e consigliere comunale a Roma per il Movimento Cinque Stelle fino al 2015, e Laura Maragnani, scrittrice e giornalista per «Europeo» e «Panorama».
LEGGI ANCHE – “Grande Raccordo Criminale” intervista a Floriana Bulfon e Pietro Orsatti
Laura Maragnani è autrice anche di Le ragazze di Benin City (Melampo, 2007),Ecce omo (Rizzoli, 2008) e I ragazzi del ’76 (Utet, 2010). Con una forte vocazione per il giornalismo di impegno civile, in E io pago spulcia tutti i conti della Capitale per capire chi ha sbagliato, dove finiscono i soldi pubblici anche, ma soprattutto cosa fare per invertire la rotta e portare Roma e l’Italia intera verso la salvezza.
Nell’antefatto al libro si legge: «a Roma, tra il 2013 e il 2015, è successo un piccolo miracolo. Per due anni, in Campidoglio, ha lavorato la Commissione comunale per la spending review». Che Paese è quello in cui cercare di mettere in ordine i conti pubblici viene considerato un “evento miracoloso”?
È un Paese dove il consenso elettorale è stato costruito per decenni grazie a favori, clientele, regalìe, appannaggi, vantaggi, concessioni e scambi di ogni tipo. Dove l’articolo 97 della Costituzione, quello che prescrive il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, è lettera morta. Dove i vantaggi privati, sia dei singoli sia di intere categorie (i costruttori, per esempio), hanno prevalso sull’interesse pubblico in modo sistematico e scandaloso, drenando risorse importanti dalle tasche dei contribuenti e costruendo la fortuna economica e sociale di pochi privilegiati. Non solo a Roma, ovviamente. E purtroppo.
In E io pago si sottolinea il fatto che «Roma è l’esempio da manuale di come non si amministra una città». Ma il resto dei Comuni italiani in quali condizioni versa?
Roma è sciupona, è sprecona, è a un passo dal fallimento. Ma non è un caso unico.
Dal dopoguerra a oggi l’assalto al bene pubblico è stato capillaredal Nord al Sud, tanto che prima del Campidoglio sono andati in default Taranto e Catania, la piemontesissima Alessandria e molti altri comuni mal amministrati. Se dovesse emergere la verità sui bilanci degli 8 mila comuni – di cui circa 5 mila tra piccoli e piccolissimi – ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Per mantenerli spendiamo 61 miliardi l’anno e quei soldi non bastano mai, come possiamo constatare davanti ai tagli costanti ai servizi comunali, alla cattiva manutenzione delle strade e degli edifici pubblici, o al disastroso stato delle scuole dei nostri figli.
O si riducono gli sprechi e si comincia a spendere in modo più accorto o virtuoso, o dal disastro non si esce.
«Anche il bilancio dello Stato italiano è, con tutta probabilità, uno splendido falso. E l’Europa lo sa perfettamente». Cosa devono aspettarsi gli italiani da una situazione del genere?
Ce lo ha dimostrato la Grecia, ahinoi.
In appendice al testo è inserito il Vademecum del buon amministratore in cui analizzate punto per punto soprattutto cosa non fare in nome dell’imperativo: “basta sprecare!” Quali sono i punti prioritari da mettere in atto per tentare di salvare la Capitale e l’Italia intera?
Come giornalista, io parto sempre dal Vangelo secondo Giovanni: «la verità rende liberi». E, come cittadina, dalla celebre lezione di Luigi Einaudi: «Conoscere per deliberare». E io pago ha dimostrato ai romani quanto poco sanno sui conti veri del Campidoglio. Perciò dobbiamo chiedere, pretendere, mettere in atto una gigantesca operazione-verità. E non solo a Roma. Dobbiamo capire i conti e i bilanci di tutti i nostri comuni, delle regioni, delle migliaia di società controllate e partecipate. Se non c’è una mappatura degli sprechi non è possibile né capire dove si può intervenire, né, soprattutto, scegliere come farlo. E a pagare rimarranno sempre i soliti.
Daniele Frongia ha svolto il ruolo di consigliere comunale, quello di presidente della Commissione per la spending review di Roma e scritto con la Maragnani E io pago con il duplice volto di analista tecnico da un lato e cittadino indignato dall’altro. «I cittadini devono sapere la verità!» sembra essere il suo imperativo categorico. Conoscere i dati, l’entità del danno e avviare le possibili soluzioni sembra essere l’unica strada percorribile per risanare le casse pubbliche e quindi, come diretta conseguenza, quelle di tutti i cittadini, romani e italiani.
Partiamo con i paradossi: in centro a Roma non si trova nulla a meno di 1500 euro al mese e parliamo di metrature risicate al massimo. Nonostante ciò, per citare uno dei tanti esempi riportati nel testo, la Repubblica araba d’Egitto paga 1 euro a settimana. Un affitto che si può definire simbolico. Come è possibile che i cittadini accettino passivamente tutto questo?
Purtroppo molti cittadini non sono informati e l’Amministrazione si è sempre guardata bene dal pubblicare sul sito web i nomi di tutti gli inquilini delle case comunali. Un’operazione trasparenza che porterebbe a fare luce su molti aspetti della politica romana degli ultimi decenni.
Ora, grazie a qualche giornale e a qualche denuncia (compreso il nostro libro), i cittadini sono più consapevoli di come il loro patrimonio immobiliare sia stato utilizzato ma, al contempo, come diceva Flaiano: «in Italia la situazione politica è grave ma non è seria».
Ogni anno il debito di Roma aumenta «quando va bene di decine, e se va male di centinaia, di milioni di euro». Eppure parliamo della città con il più vasto patrimonio artistico e tra le più visitate al mondo. Dove vanno a finire gli introiti che una città come Roma si presume produca in gran quantità?
Abbiamo individuato quattro categorie di “perdite”:
- Sprechi duri e puri. Soldi buttati a mare, come i mega stipendi conferiti a dirigenti senza alcun titolo, le consulenze a quattro o cinque zeri regalate a professionisti non necessari, le prebende, i benefit, le auto blu per i consiglieri comunali, e molto, molto altro.
- Regali di Cesare. Quattrini che diamo al Vaticano senza alcun obbligo e che potremmo tranquillamente evitare di sborsare, magari per pagare un presepe vivente, una festa della befana o le borse di studio per una fondazione religiosa che sta di fronte a una scuola comunale che cade a pezzi.
- Soldi schifati. Somme che potremmo facilmente introitare ma che evidentemente non ci piacciono, come quelli dell’evasione, dei canoni non adeguati, delle multe dimenticate o degli immobili concessi gratis agli amici e agli amici degli amici.
- Risparmi disgustosi. Soldini che potremmo risparmiare con un po’ di oculatezza negli acquisti ma che preferiamo dilapidare con generosità e abbondanza. Per esempio, pagando il doppio del dovuto per alcuni beni e servizi.
LEGGI ANCHE – Quando la Chiesa diventa una holding finanziaria. “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi
Quali sono i motivi principali che hanno portato i conti della Capitale in un tale «abisso finanziario»?
Pessima gestione della cosa pubblica da parte dei politici, sciatteria amministrativa da parte di alcuni dirigenti, corruzione e la “complicità” di un’informazione spesso distorta (pensiamo al periodo dei fasti veltroniani: anche oggi molti giornali di centro sinistra si guardano bene dall’evidenziare i disastri economici dei contratti derivati e delle numerose opere incompiute).
Lo scandalo Mafia Capitale ha richiamato l’attenzione di tutti su una piaga per l’intero Paese ma quanto incide realmente la corruzione sui costi sostenuti, direttamente e indirettamente, dalla collettività romana e italiana?
Abbiamo stimato un’incidenza complessiva dei fenomeni corruttivi in circa 650 milioni di euro l’anno, solo per Roma. Dati in linea con la Corte dei Conti che ha parlato di circa 1.3 miliardi in due anni.
Di non secondaria rilevanza è poi l’impatto “sociale” della corruzione esprimibile attraverso:
- Distorsione del mercato (venir meno del principio di imparzialità della P.A.).
- La corruzione relativa alle gare d’appalto interferisce con la concorrenza del mercato.
- Mancato rispetto dei principi di efficacia, efficienza della P.A. (l’aggiudicazione di gare avviene verso soggetti che non propongono il miglior servizio al minor costo).
- Freno alla crescita economica e agli investimenti, soprattutto esteri.
- Sfiducia diffusa verso la classe politica.
- Erosione del servizio pubblico.
http://www.sulromanzo.it/blog/la-macchina-della-corruzione-a-roma-alla-vigilia-delle-elezioni-comunali
© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).