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Quando la poesia raccolta il «banale quotidiano». Intervista a Vivian Lamarque

Madre d’inverno (Mondadori, 2016) è una raccolta di poesie che non parlano di grandi avventure, sentimenti di gloria, eventi travolgenti… ma tratteggiano semplicemente la vita, fotografata nei suoi gesti quotidiani, nei suoi dolori e con tutte le difficoltà che solo il reale può farci “immaginare”.

Vivian Lamarque è nata a Tesero, in provincia di Trento, ma vive a Milano. È una scrittrice, poetessa e traduttrice che descrive il «banale quotidiano» perché è «lui la nostra vita» ma lo fa con la grinta e l’ispirazione di chi è convinto del proprio pensiero e del messaggio che vuole trasmettere al lettore.

Sentimenti e sofferenze filtrati attraverso gesti quotidiani, dolori e malattie che si raccontano e si contano nelle cicatrici che restano indelebili nel tempo, l’amore materno e l’infanzia lontana… emozioni pure di cui abbiamo parlato con Lamarque in quest’intervista, a pochi giorni dall’evento che la vedrà protagonista il prossimo 30 giugno alle ore 19.00 a Milano, presso la Biblioteca Sormani, nei giardini della Guastalla.

I suoi componimenti non hanno una rigida metrica, sembrano invece versi modellati intorno al fatto o al sentimento narrati. Quali sono i motivi di questa scelta stilistica?

Non penso che lo stile si scelga, o per lo meno io non l’ho scelto, suona ovvio ma penso che lui abbia scelto me, o meglio che io e lui si sia un tutt’uno. Come un cantante lirico non può decidere se essere tenore o baritono, così un poeta non credo possa scegliersi la voce.

L’ho ritrovata direi identica (gioioso/dolorosa) nella prima poesia che scrissi a dieci anni. Che poi erano due: La Signora M. buona e La Signora M. cattiva. Erano versi ironici, cantabili, eppure, senza che io lo sapessi, mentre descrivevo qualità e difetti di una vicina di casa con il cognome che iniziava per M, la penna in realtà era mossa dalla scoperta appena fatta di avere due madri, quella con cui vivevo era la madre adottiva, in un altrove viveva l’altra, la biologica.

In Poesie ospedaliere vengono raccontati sentimenti e sofferenze filtrati attraverso gesti quotidiani che possono sembrare anche banali. Quanto incide e condiziona la quotidianità nella libera manifestazione degli stati d’animo?

Sì, il banale quotidiano. È lui la nostra vita. Lì, come tutti, vivo, lì scrivo.

Ho scritto poesie che parlano di minestra da mescolare altrimenti attacca, che parlano di stirare e di smacchiare le giacche, cosa che non so fare tra l’altro, di riso in bianco, di cucchiai e forchette e crudeli bambini cucchiaini e, in Madre d’inverno, di moduli ACI e di A112, di Compro Oro, di Sim, di Contramal e di Algasiv, di flebo, di urina… però la flebo era rosa e l’urina era d’oro.

Quando la poesia raccolta il «banale quotidiano». Intervista a Vivian Lamarque

In diversi passaggi, come anche in Ritratto con mare II, nella narrazione si affaccia il suo “essere bambina”. Questi cori del passato sono motivati da un intenso desiderio nostalgico di ritrovare entrambi i genitori?

Grazie per il riferimento a quella poesia, alla marina 18×24, mi è cara. Certo il passato ci richiama nostalgicamente tutti quanti come pericolosa sirena, specie l’infanzia, felice o infelice non importa, ma innamoriamoci anche del futuro, pagina di quaderno candida, in attesa del nostro pennino. E soprattutto del presente, di oggi, di ora, che le sto rispondendo e a un metro da me, sul balcone, luccica una fogliolina nuova di vite del Canada.

I genitori? Certo, ne avevo quattro, ma a quattro anni ne avevo persi già tre. Ma se anche in punto di morte si chiama mamma, figuriamoci in punto di vita.

«Una madre a cui piace farsi saccheggiare». In Manna impressiona l’immagine della «casa da svuotare un grumo di sangue alla volta». I sostantivi di una madre sono dono e sacrificio?

I sostantivi di una madre sono un po’ di più di due. Dono, sacrificio, ma anche molto altro: abbraccio, abbandono, passione, gelo, rispetto, violenza, amorevolezza, cecità, dedizione, distrazione ecc.

In Ipotesi sul dimenticare si legge: «che sia forse un dono quella nebbia quello smarrimento?». Confondere ricordi, realtà e immaginazione cosa aggiunge o toglie alla vita?

Quella nebbia può offrirci non trascurabili possibilità, minor visuale sulla crudezza del reale (sparizione della squallida facciata di casa di fronte, riapparizione di uno scomparso innamorato..).  e un errore nel ricordare, ricordare il non avvenuto può arricchire allungare il passato breve della vita.

Nelle Dedicate si parla molto anche di amicizia: «cuciti e ricuciti chi all’addome all’anca alla gola chi al ventre alla mano chi sul petto proprio dove sotto gli batte il cuore». Cosa rappresenta per lei l’amicizia e cosa rappresentano i “punti metallici”?

Sto alludendo alle loro cicatrici, ai loro interventi chirurgici, ai punti delle suture. «Con gli anni i miei amici sono diventati tutti ricamati» allude alla loro età che, come la mia (ho 70 anni), ha avuto tutto il tempo e i più svariati modi per farci conoscere malattie, ricoveri, interventi, operazioni.

http://www.sulromanzo.it/blog/quando-la-poesia-racconta-il-banale-quotidiano-intervista-a-vivian-lamarque

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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