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Rapporto Aie sullo stato dell’editoria in Italia. Le caratteristiche della piccola e media editoria. Rapporto ISTAT su produzione e lettura dei libri. I PmE e la digitalizzazione. Cataloghi e e-commerce. I PmE e gli autori esordienti secondo il parere degli editor.

«Con il 2014 siamo al quinto anno consecutivo di segno meno: la ripresa non arriva, viene data solo e ancora come imminente. La crisi è diventata un fatto ordinario con cui editori, librerie e distributori si trovano quotidianamente a fare i conti. Ma la crisi è anche una grande spinta modificatrice, che ha cambiato e sta cambiando i processi e i flussi produttivi, le strategie comunicative e la gestione della logistica distributiva alla ricerca di una maggiore efficienza.»

Con queste parole è stato presentato il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2015 dell’Associazione Italiana Editori (Aie), un’indagine su un campione rappresentativo di 220 piccoli editori.

La piccola, o almeno parte di essa, vende in e-commerce, produce e-book, utilizza i social network più della media editoria. Entrambe poi vendono maggiori diritti a editori stranieri, con un aumento del 96,2% rispetto al 2011.

A questo impegno profuso per la promozione e la vendita non corrisponde un aumento delle tirature, delle ristampe e della pubblicazione di nuovi titoli, valori questi tutti con segno negativo. In diminuzione anche la presenza nelle librerie mentre ad aumentare purtroppo sono le rese che passano dal 52% del 2000 al 63,6% del 2014.

Nel Quaderno 6 del «Giornale della Libreria» Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi dell’Aie, cerca di porre l’accento sulle qualità identificative della piccola e media editoria che non sono solo e non devono necessariamente essere circoscritte alla dimensione strutturale (numero di occupati, addetti, capitale investito, fatturato, ecc.), criterio questo che «consente di discriminare tra grande, media e piccola casa editrice (e soprattutto tra le diverse “dimensioni” delle piccole) ma che non consente immediatamente di identificare i tratti che caratterizzano i PmE sotto il profilo della strategia o del posizionamento nel sistema competitivo o nel segmento di cui fanno parte».

Secondo Peresson uno dei tratti caratterizzanti il profilo del PmE sta nella dimensione progettuale del lavoro editoriale e nella sua qualità.

«Un grande editore non può permettersi di pubblicare un libro di cui non vende almeno 4-5 mila copie. Noi invece sì. Qualità del prodotto (traduzione, cura redazionale, apparati editoriali, grafica e confezionamento, stampa, ecc.), del rapporto con l’autore, con la rete vendita, con il libraio… restare piccoli significa continuare a lavorare in maniera artigianale, curando tutto il percorso, dal manoscritto alla libreria».

Chiara Valerio, consulente editoriale della casa editrice Nottetempo, in un’intervista rilasciata per Rai Letteratura ha affermato che «molti piccoli editori si sono distinti per una politica specifica di traduzione anche da aree linguistiche molto segnate, penso al lavoro che ha fatto Nuova Frontiera sull’area ispano-americana, Voland su tutta l’area slava e sui russi e quello che sta facendo adesso Sur sugli scrittori sudamericani, e penso che sono costituzionalmente case editrici fondate da persone che non solo maneggiavano quelle lingue ma vivevano in quei mondi. Ancora una volta il fronte della traduzione è stato portato avanti da lettori che avevano frequentato quei libri. Le loro stanze dell’immaginazione erano state aperte in quei libri».

Per la Valerio punto fondamentale delle piccole e medie case editrici è il catalogo, determinante per la loro permanenza sul mercato, non avendo in genere accesso alla grande catena distributiva ed essendo spesso assenti nelle librerie.

Secondo quanto si legge nel Rapporto 2015 dell’Istat su La produzione e la lettura di libri in Italia negli anni 2013 e 2014, oltre la metà degli editori attivi (58,4%) pubblica meno di 10 titoli l’anno. I medi editori rappresentano il 29,2% del totale e pubblicano non più di 50 titoli, mentre i grandi marchi editoriali sono il 12,4% degli editori.

Nel 2013, i circa 1.600 editori attivi censiti hanno pubblicato 61.966 titoli e hanno stampato 181 milioni di copie: circa tre per ogni cittadino italiano. In media sono state stampate poco meno di 3 mila copie per ciascun titolo pubblicato. E se consideriamo che in Italia i lettori forti, ovvero quelli che leggono almeno un libro al mese, sono il 14,3% si capisce bene che la soluzione per uscire dalla crisi del settore editoriale non va certo cercata nel numero di copie stampate. Potrebbe aiutare invece una varietà nella scelta, una selezione accurata dei titoli… ed ecco che si ritorna al punto evidenziato da Chiara Valerio: il catalogo.

I dati Istat sembrano confermare quanto affermato da Peresson. I piccoli e medi editori, cioè quelli che pubblicano non più di 50 titoli l’anno, rappresentano l’87,6% del numero complessivo di editori attivi. I grandi editori, invece, pur essendo il 12,4% del numero complessivo degli operatori del settore, pubblicano oltre tre quarti (76,2%) dei libri proposti sul mercato, con una capacità di produzione e di offerta quasi 12 volte superiore a quella dei piccoli editori in termini di titoli proposti e 34 volte maggiore in termini di copie stampate.

A fronte di una capacità di produzione quantitativamente circoscritta, i piccoli e medi editori hanno sviluppato un’elevata specializzazione tematica delle proposte editoriali, «svolgendo spesso un importante ruolo di innovazione, di esplorazione e di soddisfazione della domanda, rivolgendosi a target di lettori estremamente specifici». Oltre la metà dei piccoli editori (55,4%) ha una linea di produzione editoriale tendenzialmente monotematica.

In base ai dati diffusi dall’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm del Politecnico di Milano, i servizi offerti dai grandi canali di vendita online alle piccole e medie imprese italiane operanti nel comparto dell’editoria hanno registrato nel 2013 una crescita del 28%.

Un settore, quello dell’e-commerce, cui è doveroso e utile guardare sia per abbattere i costi della distribuzione sia per raggiungere una fetta di lettori più ampia e diffusa. Sarebbe bello, e ne parla anche la Valerio nella sua intervista, poter avere una biblioteca e una libreria in ogni città, paese e borgo, come una piazza, come l’edicola o una fontana. Un must cui non è che si è dovuto rinunciare a causa della crisi ma un qualcosa che non è mai stato realtà.

Per definizione gli editori, grandi e piccoli, devono continuare a investire risorse sui cosiddetti esordienti, gli autori nuovi tra i quali, potenzialmente, ci sono i grandi scrittori di domani.

Spesso si leggono lamentele sui tempi di attesa molto lunghi, risposte che arrivano di rado, proposte di pubblicazione ancora più esigue.

Il catalogo della piccola e media editoria pesa per il 19,1% sul catalogo complessivo italiano.

Tra il 2012 e il 2013 il settore ha perso il 21,5% degli addetti e le previsioni per il 2015 sono anche peggiori. Antonio Monaco, presidente del Gruppo Piccoli editori dell’Aie, in un’intervista ha dichiarato: «Il timone per resistere alla tempesta sarà, a mio avviso, la capacità di mettere al centro la professionalità, intesa come una composizione delle diverse professionalità che, combinate, fanno la buona editoria».

Beppe Severgnini, dalle pagine de «Il Corriere» risponde a una lettera col tramite del responsabile delle scelte editoriali di una casa editrice: «(gli scrittori, ndr) sono tutte persone con una vocazione che sono state “trovate” dall’occasione giusta in forma del tutto imprevedibile. Idem per i registi, i calciatori, i pittori: professioni destrutturate che non hanno un percorso istituzionale. Se l’occasione non capita, vuol dire che non c’era il talento o che si è stati sfortunati». Per avallare la sua risposta il responsabile editoriale invita a rileggere le vite degli scrittori del Novecento. Severgnini invece esorta gli emergenti a «presentarsi con un’idea. È questa che manca, quasi sempre».

In un saggio pubblicato sul numero 65-66 di «Allegoria», Luca Pareschi compie un’attenta analisi dei metodi di selezione di opere di autori inediti impiegati da 13 case editrici italiane, diverse per dimensione, localizzazione e orientamento verso gli esordienti.

Cosa cercano gli editor in un manoscritto? «Si tratta piuttosto di una costruzione di senso a posteriori: un manoscritto piace, in maniera pre-razionale; quando si cerca di spiegarne il perché, lo si riconduce ad alcune caratteristiche notevoli.»

Un editor di una piccola casa editrice milanese di qualità dice: «Se lavorassi in una grande casa editrice dovrei motivare maggiormente le mie scelte, o magari inquadrarle in un progetto. Invece devo dire che in un libro, innanzitutto cerco proprio il piacere della lettura personale. È evidente che se un libro faccio fatica a leggerlo, fatico ad andare avanti, difficilmente è un libro che posso promuovere».

Uno dei luoghi comuni che circolano fra gli aspiranti autori è che una biografia interessante aiuti a pubblicare il manoscritto. Gli editor sentiti da Pareschi non sembrano considerarla fra gli elementi più importanti almeno in fase di selezione, può diventare un valore aggiunto in un momento successivo, durante la promozione del libro.

Anche nelle case editrici medie spesso si applica la politica di scelta di un autore piuttosto che di un libro. «Cosa che commercialmente non conviene, in verità. Però, nei 10 anni in cui ho lavorato per Minimum Fax, abbiamo sempre privilegiato l’idea di trovare un autore e di seguirlo su diversi libri. Di credere nella sua carriera, più che di prendere un titolo X, che magari funziona, ma che sentiamo che non ha alle spalle una penna già forte.»

Originalità sembra essere il tema più ricorrente cercato dagli editor. Originalità di voce, di storia, di temi, di lingua. «Tutto ciò che è nuovo è qualcosa che valutiamo con favore. Tutto ciò che non va in scia, che non segue. Per me conta molto il tasso di novità, di singolarità dell’opera, la sua carica di innovazione, la capacità di prevedere, di precedere le tendenze.» Ecco che si ritorna al concetto di “idea” auspicato da Severgnini.

Il comparto della piccola e media editoria ha subito un duro contraccolpo a causa della crisi che ormai rischia di diventare endemica, per cui gli operatori del settore tendono a diventare sempre più esigenti e selettivi, a orientarsi verso le opportunità offerte dalla rete e dalla digitalizzazione. Qualità, novità, serietà sembrano essere gli imperativi dei PmE che lottano quotidianamente per restare a galla e possono vantare l’onore di non cedere all’inganno della pubblicazione a pagamento.

Articolo pubblicato sul numero 45 della rivista WritersMagazine Italia diretta da Franco Forte

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