Il 25 aprile è la ricorrenza di un atto di grande coraggio, che poi politicamente lo si condivida o meno è un altro discorso. La ‘liberazione’ del proprio Paese dal governo fascista della Repubblica Sociale italiana e dall’occupazione nazista da parte di ragazzi e ragazze, uomini e donne che hanno scelto di rischiare la vita per il futuro del proprio Paese, in nome dell’affrancamento dall’oppressione e per rincorrere la libertà, è un gesto che merita comunque onore e rispetto.

Il primo anniversario della Liberazione, nel 1946, ha avuto luogo pochi giorni prima del referendum del 2 giugno, quello con cui il popolo italiano scelse di far diventare l’Italia una Repubblica. Nuto Revelli, già ufficiale e partigiano italiano, ha raccontato che risalendo «le valli a parlare di monarchia e repubblica, a portare il discorso nuovo del partito d’azione» incontrava solo «diffidenza e paura». I partigiani sembravano spariti oppure si erano «trasformati in elettori», così i «partiti dei fucili si erano trasformati nei partiti delle tessere», sottolinea Giovanni de Luna, docente di Storia Contemporanea all’Università di Torino, ricordando le parole di Revelli sulle pagine della Treccani.

Il terzo anniversario della Liberazione invece cadde a una settimana esatta dal 18 aprile del 1948, ovvero dalla votazione di una «costituzione materiale che riconosceva nell’anticomunismo (e non nell’antifascismo) il suo principio ispiratore».

Guido Neppi Modona, magistrato italiano, ha parlato di «un ‘oscuro senso di colpa’ verso i militanti della mussoliniana RSI» al punto che si è arrivati alla «equiparazione tra le parti in causa, per additare nei partigiani i responsabili morali della disunione nazionale, di una lotta fratricida». Una pagina di Storia italiana «da rimuovere, dimenticare» anche perché, stando alla sentenza del Tribunale Militare del 26 aprile 1954 non devono esserci più «dei tollerati, degli umiliati e dei reietti, cui si possa, ad ogni istante, rinfacciare un passato che fu piuttosto opera del fato». Affermare che le colpe non debbano ricadere su qualcuno a caso è più che legittimo ma sostenere che quanto accaduto tra il 1939 e il 1945 sia mera opera del fato suona quanto meno illusorio, per non dire ingannevole.

Quel che è certo comunque è che i partigiani dal giorno successivo alla Liberazione dell’Italia, o forse dal giorno stesso, invece di diventare gli eroi della Patria, sono diventati invisibili. Viene da chiedersi cosa esattamente si festeggi nella ricorrenza del 25 aprile e chi lo festeggia.

Sono anni ormai che alla vigilia della ricorrenza invece di approfondire gli aspetti che l’hanno originata, gli esempi da riportare, gli aneddoti da far conoscere… il dibattito pubblico viene falsato dalle posizioni politiche ostili, dai rappresentanti di Comunità che puntano il dito. Se si è sempre implicitamente presa per buona la sentenza del Tribunale Militare volta a non creare ‘reietti’ allora ci si chiede perché generi tanto scompiglio la partecipazione al corteo del 25 aprile, organizzato dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), di una delegazione di palestinesi di oggi anche se il passato Gran Muftì si era alleato con Hitler. Anche gli italiani erano suoi alleati. E lo studio della Storia della seconda guerra mondiale ci ha insegnato che mai come in quegli anni i nemici di oggi erano gli alleati di domani e viceversa. E, sempre ritornando alla suddetta sentenza, se tutto questo lo si è imputato semplicemente al fato che colpa ne avranno mai i palestinesi di oggi delle azioni del passato Gran Muftì guidato anch’egli forse da un beffardo fato?

In un comunicato dalla Segreteria Nazionale ANPI fanno sapere che «è in atto una vergognosa offensiva». In effetti il sentore è quello. Il medesimo raccontato da Neppi Modona e ripreso da De Luna il quale ricorda che su testate giornalistiche come «Il Giornale d’Italia» oppure «Il Tempo» si leggevano giudizi che oscillavano tra «l’ironico ridimensionamento delle figure dei partigiani (“rubagalline” e pronti solo ad andare in soccorso al vincitore) e le esplicite denigrazioni personali, con frammisti apprezzamenti sulla viltà (nascosti nei conventi vaticani) e ingiurie sulla mancanza di “onore” degli antifascisti».

Una opinione che plasmava tutti tant’è che una circolare del 1955 inviata dal ministero della Pubblica Istruzione ai presidi di tutte le scuole italiane li invitava a festeggiare, il 25 aprile, «l’anniversario della nascita di Guglielmo Marconi».

Spiace dover constatare che la situazione grossomodo persiste.

De Luna sottolinea come il ricordare il 25 aprile 1945 deve significare innanzitutto «dare la possibilità a chi non c’era di conoscere la Resistenza», quella vera; conoscere la storia del giorno in cui l’Italia ha riconquistato la libertà e lo ha fatto «grazie all’impegno attivo di una esigua minoranza», attraverso una lotta «che rifiutava gli orpelli di ‘Grande guerra’, una guerriglia densa di imboscate e rastrellamenti, di fughe affannose e riusciti colpi di mano». Perché restituire agli italiani «la faticosa quotidianità di quella lotta è anche il modo per rappresentare l’aspetto migliore della nostra identità nazionale, segnato da quell’asciutto senso del dovere riassunto nel motto sei quel che fai». Bisogna però sempre domandarsi quanti italiani si riconoscono nella Resistenza e nella Liberazione e nei valori che esse racchiudono.

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Che tutti gli attori chiamati in causa per la ricorrenza del 25 aprile parlino di necessità di vedute unite non è necessariamente un fattore positivo. Che ci siano diversi punti di vista, anche storici, non è un male. Ciò che invece sarebbe auspicabile è la rivalutazione di una storia reale e collettiva, che collochi eventi e avvenimenti nella realtà in cui si sono svolti, tra i luoghi e le persone, e non solo, come troppo spesso accade, negli «artifici istituzionali».

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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