Con la pubblicazione dell’articolo sul New York Times si ravviva il dibattito sulle fake news e sul loro possibile condizionamento della campagna elettorale e dell’opinione pubblica. A essere nuovamente chiamati in causa sono i social network, più volte indicati come facile veicolo di diffusione dei fake.
Nell’articolo a firma di Sheera Frenkel viene citato anche il segretario dem Matteo Renzi e il suo accorato appello ai social appunto, in particolare Facebook, affinché si possa avere una campagna elettorale pulita.
«We ask the social networks, and especially Facebook, to help us have a clean electoral campaign. The quality of the democracy in Italy today depends on a response to these issues».
Beh, se la qualità della democrazia in Italia dipende da questo allora sono molti gli interrogativi che dovremmo porci. Perché l’ex capo del governo, che è stato fra i più assidui politici a utilizzare i social network per comunicare con i cittadini, improvvisamente vi si scaglia contro? Cosa va considerato fake news e soprattutto a chi spetta il compito di deciderlo?
Renzi e il suo partito dal palco della Leopolda hanno lanciato accuse molto pesanti contro l’opposizione. Accuse che non sembrano trovare grande riscontro nei dati, neanche in quelli di Adsense Google. E se così fosse, non sarebbe anche questa una fake news?
È chiaro quindi che il problema non sono “i social network, soprattutto Facebook”, non sono soltanto i social il problema. Le fake news possono diffondersi attraverso qualsiasi mezzo di informazione e anche nelle piazze, ai comizi, agli incontri, per le strade… La soluzione va cercata in tutt’altro modo rispetto a quello proposto da Matteo Renzi, dal Partito democratico e anche dal governo.
Assegnato alle commissioni riunite 1° Affari Costituzionali e 2° Giustizia il 28 febbraio 2017, il disegno di legge Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica parte da un presupposto ingannevole e a tratti offensivo: siccome le persone non sono e non possono essere in grado di comprendere e di distinguere una notizia vera da un fake allora bisogna intervenire preventivamente per evitare “la manipolazione dell’informazione online” e “garantire la trasparenza sul web”.
Lecito a questo punto chiedersi a chi spetta il compito di selezionare “preventivamente” le notizie che possono poi trovare diffusione online e su quali principi e in base a quali competenze specifiche lo debba fare.
Nel testo si legge che, avendo il web mostrato i suoi ‘pericoli’, si rende necessaria «una netiquette per il rispetto degli utenti». Poco oltre però si legge: «le notizie false, o fake news o bufale, ci sono sempre state, ma non sono mai circolate alla velocità di oggi. Per questo non è più rinviabile un dibattito serio in questo senso». Il pericolo quindi sarebbe insito nella velocità di circolazione delle bufale e non solo o non tanto nella loro esistenza, che è più antica del web.
Le notizie false, le opinioni che rischiano di essere scambiate per fatti e non per pareri ci sono sempre stati ma internet ne ha velocizzato la diffusione e quindi questo è il momento di agire. Bene. Ma come si intende procedere?
«Usare gli strumenti già a disposizione nel nostro ordinamento giuridico spostando l’attenzione dal reale al virtuale perché gli attori sono sempre gli stessi». Esistono quindi già gli strumenti nel nostro ordinamento giuridico atti a evitare il diffondersi di notizie false, fuorvianti, di campagne a favore dell’odio e via discorrendo. Se esistono già vuol dire che sono già testati. Hanno funzionato nel reale? Sono risultati efficaci? E se non hanno funzionato nel reale perché si pensa funzioneranno nel virtuale?
Stando a quanto scritto nel testo del disegno di legge all’incremento dei consensi di movimenti populisti nei Paesi occidentali ha fatto seguito la «accresciuta» preoccupazione che le fake news possano essere diffuse a poi «cavalcate» a fini politici.
Si guarda alle azioni poste in essere da Francia e Germania, ai loro programmi volti a verificare l’attendibilità delle notizie che circolano sul web e alla celere rimozione di quelle ritenute false. Viene da chiedersi a questo punto: e tutte le altre? Come vengono verificate le notizie che passano attraverso tutti gli altri canali di informazione e istruzione? Anche per quelle c’è un monitoraggio costante che prevede la loro rimozione qualora fossero poi indicate come fake? Ovviamente non è possibile. Al massimo ci sono le smentite. E quelle ci sarebbero anche per il web ma evidentemente per i legislatori non bastano.
Si propone ai «colossi della rete» l’uso di selettori software per rimuovere «i contenuti falsi, pedo-pornografici o violenti» e si ritiene necessario ridiscutere «i tabù dell’anonimato, della trasparenza e della proprietà dei media online, del diritto di replica, di rettifica, del diritto all’oblio, della protezione della privacy e della rimozione dal web dei contenuti lesivi».
C’è però un qualcosa di profondamente sbagliato nell’azione del legislatore che dice di agire per proteggere gli interessi dei cittadini ma forse lo fa per proteggere i propri. Ed è la considerazione, scarsa, che si dimostra avere di questi. Il ritenere che non possono né potranno mai essere in grado di discernere da soli il giusto dallo sbagliato, il vero dal falso. Se così è bisognerebbe allora agire su questo. Formare i cittadini affinché siano indipendenti.
Il concetto di notizia «è sicuramente mutato nel passaggio dai media tradizionali ai social media e alle piattaforme online», colme di contenuti generati dagli utenti, dove «si è imposto l’infotaintment», ovvero la mescolanza tra informazione e intrattenimento, «tipicamente sfruttabile ai fini commerciali». Siamo certi che ciò sia avvenuto solo nel mondo virtuale?
«Chiunque, infatti, può dire quello che vuole, per la più che legittima libertà di espressione, ma se il pubblico di internet prende per buono e fondato qualsiasi cosa circoli online, senza più distinguere tra vero e falso, il pericolo è enorme». Il pericolo è enorme, è vero, ma permane anche se gli poni dei filtri artificiali perché in questo modo si potranno, forse, bloccare le notizie ritenute false o dannose ma non si farà nulla per creare dei cittadini più responsabili, più critici e più scaltri. Inoltre continuando ad additare i social e la Rete come principali veicoli di diffusione delle fake news, a volte citando solo questi, si rischia di ingenerare l’illusione che tutte le altre notizie che circolano al di fuori di essi siano automaticamente vere e fondate. Cosa che palesemente non è così.
Per aumentare il senso di panico nel testo viene anche ricordato che il pericolo si fa ancor più particolare quando si va a guardare come vengono trattati «aspetti sensibili della società», e viene citato a titolo esemplificativo la sanità. Sarebbe opportuno precisare e ricordare, come bene hanno fatto Beatrice Mautino e Dario Bressasini nel saggio Contro natura. Falsi allarmismi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola (Rizzoli, 2015), che quasi tutta l’informazione scientifica viene fatta da esperti e professionisti del settore solo nelle pubblicazioni scientifiche mentre nei mezzi di informazione che siano radio, tv, giornali e quant’altro sono dei generalisti a occuparsene. Che poi si vuole ritenere i generalisti sempre più affidabili delle persone comuni è un altro discorso.
Va da sé che i fomentatori di odio, i pedo-pornografi, i faker devono essere perseguiti legalmente, che deve essere impedito loro di truffare gli altri ma il punto è che i loro sostenitori o seguaci, come dir si voglia non li educhi certo al cambiamento bloccando o rimuovendo qualche notizia o video su internet. Chiuso un canale di sfogo ne cercheranno un altro. Se non tenti almeno di capire perché cadono facilmente in queste trappole, se non formi, in buona sostanza, dei cittadini con un elevato spirito critico, una vasta cultura e un notevole senso civico, dentro ma soprattutto fuori la Rete, chiuderai una porta ma loro cercheranno e troveranno un altro portone per dare libero sfogo alla propria rabbia.
Il giornalista del Guardian Joris Luyendijk nel saggio Nuotare con gli squali. Il mio viaggio nel mondo dei banchieri (Einaudi, 2016) parla della disinformazione e del disinteresse del pubblico da un’altra angolazione, e si chiede perché «tanta gente mostra così scarso interesse a proposito di tematiche direttamente connesse ai loro interessi». Passa a descrivere poi i punti salienti del metodo da lui stesso inventato e definito della «curva di apprendimento». Luyendijk sostiene che spiegando con meticolosità, serietà e correttezza i dati e i fatti, nella maniera più chiara e continuativa possibile, il pubblico apprezzerà leggere anche di notizie e materie un tempo per lui ostiche. Forse seguendo il metodo di Luyendijk ci si lascerebbe meno facilmente abbindolare da bufale, fake o propaganda che, se letta con spirito critico e attenzione, appare chiaramente per quello che è: una surreale menzogna.
Modificando la legge 13 luglio 2015, n° 107, cosiddetta Buona Scuola, si stabilisce nel nuovo disegno di legge che le istituzioni scolastiche, «nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili», individuino tra gli obiettivi formativi quello riguardante «l’alfabetizzazione mediatica» e sostengano «programmi di formazione volti a promuovere l’uso critico dei media online». E gli altri media? A chi spetta il compito di portare avanti questi progetti? Agli stessi insegnanti? Sulla base di quali competenze e conoscenze? Parlando di social e di odio forse andrebbe ricordato che proprio su Facebook esistono innumerevoli gruppi formati da docenti e leggendo i loro post e commenti si comprende la scarsa stima che hanno del sistema scolastico in generale, l’apatia verso gli studenti, la frustrazione per i compensi da fame… Nessuno nega che in Italia come nel resto del mondo ci siano o ci possano essere i migliori insegnanti ma ci sono anche coloro che scrivono e partecipano a questi gruppi di sfogo collettivo e tra essi ci sono anche gli educatori che verrebbero selezionati per stimolare «l’uso critico dei media online» negli studenti.
I legislatori italiani per arginare il problema dei fake online guardano alle misure repressive poste in essere, per esempio in Germania. Un Paese che stenta a introdurre nel proprio sistema legislativo norme contro la criminalità organizzata adducendo come motivazione il fatto che in Germania questa semplicemente non ci sia ma che ritiene doveroso, necessario e urgente muoversi per punire un faker, online.
Se anche dovessero riuscire a bloccare le fake news online resterebbero le altre, quelle che ci sono sempre state, come ammettono anche i legislatori italiani, che però viaggiavano a velocità meno sostenuta. Oppure, per dirla con altre parole, arrivavano in ritardo. Ma c’erano e non erano un problema urgente. Come c’erano i pedo-pornografi, i fomentatori di odio e tutto il resto. Internet è solo un nuovo canale utilizzato. Chiuso questo è molto probabile ne troveranno un altro. Per evitare che ciò accada è necessario fornire i cittadini di tutti gli strumenti utili alla formazione di un concreto e profondo senso critico e ciò non potrà mai avvenire attraverso una selezione preventiva o una rimozione tempestiva di contenuti ritenuti scomodi o falsi. E non si riuscirà a farlo neanche gravando una categoria di lavoratori già molto frustrata, come quella dei docenti e degli insegnanti, di ulteriori compiti per cui molto probabilmente non sono adeguatamente preparati.
La democrazia italiana non è certo in pericolo per un tot di bufale che girano in internet. Lo è magari per la corruzione dilagante, per il voto di scambio, per i ricatti elettorali delle mafie, per l’evasione fiscale che ruba fondi destinati all’istruzione e alla sanità pubbliche, lo è perché abbiamo insegnati sottopagati, malpreparati a svolgere il proprio lavoro, frustrati e amareggiati perché non vengono riconosciuti loro i propri diritti, perché abbiamo dei ragazzi e delle ragazze costretti a recarsi in aule bislacche di istituti fatiscenti, perché vengono negati loro i mezzi necessari per una preparazione adeguata ai tempi, per essere competitivi in ambito internazionale. La democrazia in Italia è a rischio perché abbiamo un elevato numero di politici corrotti, perché c’è una cospicua infiltrazione mafiosa nelle amministrazioni comunali, perché spesso si legifera tutelando interessi che non sono quelli dei cittadini.
Combattiamole queste fake news ma combattiamo anche tutto il resto.
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© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).