Il 25 gennaio 2018 viene pubblicata una news sul blog informativo del Miur presentata come una “buona notizia” per le studentesse che intendono frequentare l’università e in particolare per coloro che scelgono corsi accademici con indirizzo scientifico.
Con un Decreto a firma della ministra Fedeli vengono stanziati 64,2milioni di euro per le università pubbliche, da utilizzarsi nella misura di 59,2milioni per il Fondo giovani e 5milioni per i Piani per l’orientamento, e 2,6milioni di euro per le università non statali. 3milioni di euro sono destinati a essere un incentivo per l’iscrizione a corsi scientifici da parte delle studentesse. Le università potrebbero prevedere per questo l’esonero totale o parziale delle tasse, contributi aggiuntivi o varie forme di sostegno. Una misura resasi necessaria in virtù del fatto che questi percorsi accademici sono «scelti, in media, da solo tre studentesse su dieci». Vengono anche suggeriti dei possibili profili, come «data scientist, esperto di Big Data, analista degli investimenti o come ingegnere».
Dando uno sguardo anche sommario alla classifica stilata dal social Linkedin, il cui scopo dichiarato è far entrare in contatto le aziende con chi cerca lavoro, si riesce a ipotizzare almeno una motivazione per cui il ministro spinga verso l’iscrizione a questi precisi corsi accademici e non altri.
I mestieri più ambiti, con uno stipendio più alto e una maggiore offerta di impiego sono, o sarebbero:
Medico
Ingegnere
Ingegnere informatico
Product manager
Analista finanziario
Data (Big Data)
Si parla naturalmente di chi entra o cerca di entrare nel mercato del lavoro, altrimenti sono ben altri i lavori con retribuzioni da capogiro e via discorrendo… ma questo è un altro discorso.
Il Rapporto 2017 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, XIX Indagine Condizione occupazionale dei Laureati, redatto con il sostegno dello stesso Miur, offre numerosi spunti di riflessione e analisi anche riguardo i suggerimenti della ministra Fedeli.
Il gruppo disciplinare scelto come percorso di studi ha una notevole incidenza per le chance occupazionali. Le professioni sanitarie e di ingegneria risultano più favorite, i gruppi disciplinari psicologico e geo-biologico i meno favoriti. Confermate le tradizionali differenze di genere, quelle su cui cerca di incidere la ministra, e soprattutto territoriali. Si riescono a collocare meglio gli uomini e quanti risiedono nei medesimi luoghi di studio, preferibilmente al Nord Italia. I neo-laureati provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato registrano una minore occupazione a un anno dal conseguimento del titolo. Il voto conta, ma di certo è più determinante la velocità, il rispetto dei tempi previsti dal corso di studi e quindi il proporsi nel mercato del lavoro in età giovane. Le esperienze di lavoro, le competenze informatiche, i tirocini e gli stage, come pure le esperienze di studio all’estero contribuiscono ad aumentare le probabilità di lavorare entro un anno dalla laurea.
Per il 51% dei laureati triennali e il 48% dei magistrali biennali il titolo risulta “molto efficace o efficace” ai fini dell’assunzione. Valori ancora in calo rispetto al 2008 ma confermati se confrontati con «l’utilizzo, nel lavoro svolto, delle competenze acquisite all’università e la richiesta, formale o sostanziale, della laurea per l’esercizio della propria attività lavorativa».
I dati di AlmaLaurea migliorano ancora se si considera l’occupazione a cinque anni e la percezione dell’efficacia del titolo, ma chi osserva questi grafici rimane un tantino perplesso in virtù anche delle considerazioni e delle conclusioni cui giungono i rapporti internazionali su preparazione universitaria e occupazione.
The Sodexo International University Lifestyle Survey 2017, intervistando oltre 4000 studenti cerca di capire qual è il loro livello di soddisfazione. Le percentuali delle risposte date dagli universitari italiani definisce un quadro un po’ meno roseo di quello abbozzato da AlmaLaurea.
Il 43% degli intervistati si dichiara insoddisfatto circa le scarse possibilità di trovare un’occupazione dopo la laurea. Questi studenti lamentano anche un eccessivo carico di lavoro (51%) e un disequilibrio nel tempo da dedicare a studio, socializzazione e lavoro (44%). Ci si chiede allora se gli studenti universitari abbiano delle ambizioni eccessive, fretta nel realizzarle, stanchezza cronica nell’essere ancora degli studenti oppure se i dati occupazionali a un anno o cinque anni dalla laurea necessitino di un’analisi più dettagliata.
I dati prodotti dal Rapporto di AlmaLaurea si basano su rilevazioni Istat, presumibilmente quindi con esse dovrebbero convergere anche prendendo in considerazione altri parametri.
L’Italia del Sud e del Centro si colloca in posizioni molto inferiori alla media degli altri Paesi dell’Europa a 28 e delle aree settentrionali dello stivale. Per intenderci, i livelli medi occupazionali dell’Italia si trovano esattamente tra Spagna, Croazia e Grecia. Questa volta la fonte dei dati riportata dall’Istat è Eurostat.
Salta subito all’occhio l’elevata incidenza dell’aumento dell’occupazione a termine per i dipendenti, la stima Istat a novembre 2017 calcolava in +14mila lavoratori permanenti e ben +54mila lavoratori a termine. Un dato che diventa ancor più significativo se si prende in considerazione il trimestre settembre-novembre, dove l’occupazione è cresciuta esclusivamente tra i dipendenti a termine (+101mila). Ed ecco allora che ci si ritrova a pensare ai numeri, ma soprattutto alle persone che stanno dietro a questi valori e li vanno realmente a comporre. Gli occupati a termine del trimestre settembre-novembre non è detto che saranno i medesimi del trimestre, per esempio, gennaio-marzo. In questo modo i tassi di occupazione potrebbero anche restare stabili o magari salire ma le persone veramente occupate non è detto che siano sempre le stesse. Lavorare per un trimestre o un semestre e rimanere inattivo magari per il resto dell’anno o anche più come si configura nelle classifiche occupazionali?
Il calo della popolazione di età compresa tra i 15 e i 49 anni «amplifica in particolare la diminuzione della disoccupazione nella classe 35-49 anni», mentre la crescita della popolazione di ultracinquantenni «amplifica l’aumento della disoccupazione in questa classe di età». Sorge il dubbio a questo punto sulla veridicità degli slogan che parlano di “aumento di posti di lavoro”, quando in realtà a concretizzarsi è solamente una diminuzione nel numero della forza lavoro.
Rimanendo sulle esigenze e sui doveri della classe di età più giovane, ovvero quella compresa tra i 15 e i 24 anni, numerosi sono i problemi da dover affrontare nella scelta prima e nell’impiego poi dei titoli scolastici conseguiti. Anche in virtù del fatto che poi in tanti si ritrovano a dover cercare e a svolgere mansioni differenti dalle quali, in teoria, si erano preparati durante gli anni della formazione scolastica, è bene ricordare che la scelta dell’indirizzo di studi viene compiuta troppo spesso usando il parametro dell’esclusione o il metro dell’onere, di studio ed economico. Anche per questo, presumibilmente, la ministra Fedeli ha scelto di impiegare 5milioni di euro per i Piani per l’orientamento.
Stando ai dati diffusi dal Rapporto Economico sull’Italia 2017 dell’OCSE, la situazione occupazionale nel nostro Paese non è buona «perché non c’è incontro tra domanda e offerta di lavoro». Ci sono relativamente pochi laureati nelle materie che interessano le aziende o le istituzioni e, contemporaneamente, continuano a ingrossarsi le fila tra i laureati il cui titolo conduce a lavori che hanno un mercato già oltremodo saturo. Il che è ulteriormente paradossale se si considera che l’Italia ha un numero di laureati (in percentuale 18%) che è molto inferiore alla media europea (in percentuale del 37%).
Cosa chiede il mercato del lavoro lo abbiamo visto, interessante a questo punto scorrere l’elenco delle facoltà che hanno più iscritti e più laureati:
Lettere
Scienze politiche
Economia
Formazione artistica
Un deciso aumento si è riscontrato negli iscritti alla facoltà di ingegneria, mentre in netto calo le iscrizioni a medicina e chirurgia. A scoraggiare e fare da imbuto per certo i test di ammissione. Meglio allora ripiegare su qualcosa di più “accessibile”. Con la pecca però che poi gli studenti italiani continuano a essere meno preparati, rispetto ai coetanei stranieri, in materie scientifiche, in formazione linguistica e anche in tecnologia. Poco competitivi quindi sul mercato del lavoro italiano e ancora peggio su quello internazionale.
La formazione è una sfida e, come per tutte le sfide, se si preferiscono le scorciatoie si arriverà forse prima al traguardo ma per certo si sarà impreparati ad affrontarlo e superarlo. Non bisogna lasciarsi abbindolare da facili promesse. Bisogna metterci il massimo impegno e pretendere che i propri diritti, come quello all’istruzione, vengano rispettati. È doveroso chiedere, urlare, pretendere l’adeguamento della formazione scolastica a tutti i livelli e non lasciarsi facilmente abbindolare o tentare da entrate immediate, legate a lavori saltuari e temporanei perché, inutile illudersi, se non si maturano le competenze necessarie, con estrema difficoltà si riuscirà poi a inserirsi adeguatamente nel mercato del lavoro. A meno che non si scelga la via biasimevole della “raccomandazione”. La peggiore delle scorciatoie, perché non creerà mai una forza lavoro all’altezza della concorrenza, nazionale e soprattutto internazionale, ma continuerà a generare solamente degli schiavi, sottomessi all’avidità senza scrupoli di classi dirigenti e malavitosi che si nutrono, come vere e proprie sanguisughe, di cittadini ignoranti, inermi e passivi.
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