Esce con ilSaggiatore il nuovo libro di Giuliana Sgrena Manifesto per la verità, il quale in realtà più che un manifesto per la verità sembrerebbe un resoconto dettagliato dello stato malandato in cui versa l’informazione italiana, sintetizzabile con un’espressione utilizzata dalla stessa autrice: “il giornalismo sta morendo perché ci sono le fake news o le fake news proliferano perché il giornalismo sta morendo?”
Lei è una giornalista, evidente e prevedibile quindi che concentri la sua attenzione sull’informazione giornalistica, ma il problema delle fake news, della violenza di genere, delle molestie sessuali, nonché il fenomeno migratorio e, soprattutto, il modo in cui tutto ciò viene percepito, discusso e affrontato non è certamente risolvibile con la sola riforma o modifica dei massmedia. Necessita o necessiterebbe un cambio di paradigma culturale che deve partire dall’educazione, passare dall’istruzione, perseverare nell’informazione e abbracciare tutti i campi dell’essenza e della convivenza umana.
Il libro di Giuliana Sgrena sembra essere pervaso da un profondo senso di nostalgia che accompagna la narrazione e la determina, in qualche modo, orientandola verso un certo desiderio melanconico di ritorno al passato, a quando le cose andavano meglio, al periodo in cui le persone, gli italiani, si informavamo meglio perché leggevano i giornali cartacei e non si lasciavano fuorviare dalla cattiva informazione e dai fake in Rete.
Pur volendo dare per buona la teoria secondo la quale prima gli italiani erano meglio informati, non può essere certo un ritorno al passato la via per la soluzione dei problemi attuali. I problemi non nascono dal mezzo utilizzato per istruirsi, formarsi, informarsi bensì dal contenuto ed è quello che lascia molto desiderare, sia in Rete che in formato cartaceo.
I giornalisti, i direttori di giornale e gli editori che li pubblicano non hanno mai sviluppato la necessità di formarsi e specializzarsi, di impegnarsi per offrire al pubblico un servizio eccellente. Hanno sempre “rincorso” le notizie che vendevano più copie prima e ottengono più like oggi. Sono per la gran parte dei “generalisti”, incaricati di occuparsi di questo o quell’altro a seconda, prevalentemente, di ciò che desidera leggere o vedere il lettore oppure della linea che ha in mente l’editore. Tranne le pubblicazioni scientifiche e settoriali, sono persone poco qualificate a trattare di argomenti delicati. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Con le dovute eccezioni, certo.
L’informazione, al pari dell’istruzione, non dovrebbe mai avere partito, colore politico, fede religiosa, pregiudizio. Soprattutto quando riguarda il comparto pubblico. In Italia non è così. Non lo è mai stato. E l’informazione vera ha sempre scarseggiato. Oggi è stata quasi completamente sostituita dalla diffusione di opinioni, più o meno autorevoli, spacciate per informazione. Questa è la prima grande fake news che investe tutto il settore, digitale o cartaceo che sia.
In Manifesto per la verità Giuliana Sgrena ritorna anche sul finanziamento pubblico all’editoria e attacca gli esponenti del Movimento Cinque Stelle che invece sono contrari. Afferma che togliendo i finanziamenti pubblici si limita o si rischia di eliminare del tutto il pluralismo dell’informazione e nell’informazione.
In tutti gli anni in cui è rimasto in vigore il finanziamento pubblico all’editoria il pluralismo era garantito e l’informazione ottima? Cosa vuole intendere esattamente Sgrena quando parla di pluralismo?
Finora e tuttora si assiste alla presenza di giornali che si ispirano all’ideologia di sinistra o di destra e quelli più o meno cattolici e cristiani i quali, attraverso il lancio di fatti di cronaca o di politica nazionale e internazionale, cercano di diffondere il più possibile il proprio e rispettivo punto di vista. Beh, l’informazione è, o meglio dovrebbe essere, cosa ben diversa. Corretta, neutrale, imparziale. Sempre e comunque.
Nella prima parte del testo, Giuliana Sgrena si sofferma a lungo nella descrizione dell’assalto mediatico tristemente riservato alle vittime di aggressioni, violenze o molestie a scopo sessuale. Evidenzia la disparità di trattamento riservato da alcune testate e giornalisti agli aggressori e/o alle vittime a seconda della loro nazionalità di provenienza. Umanamente ed eticamente nessuno può contraddire le sue parole, allorquando accusa media e lettori di utilizzare il sistema dei due pesi e delle due misure. Ma il problema, che è culturale e non solo di informazione, non si risolve evitando che un giornalista o un direttore scrivano o pubblichino un determinato articolo e relativo titolo. Si potrebbe obiettare all’autrice che anche questo, paradossalmente, fa parte del pluralismo dell’informazione da lei stessa auspicato. Sembra assurdo ma è così. Articoli, titoli e giornali che seguono questo orientamento esistono perché hanno dei lettori, dei sostenitori.
Il punto allora non è il pluralismo dell’informazione ma la sua qualità.
I giornalisti inseguono le notizie che sanno per certo faranno “presa” sul loro target di lettori. Ecco perché è sulla formazione/apprendimento della popolazione che si deve compiere uno strutturale e profondo lavoro culturale ed educativo. Sull’istruzione, che deve formare persone colte, preparate. Socialmente e culturalmente evolute. Perché saranno loro stesse a fare la differenza. Non un giornale in più o in meno, laddove permangono tutti sempre e comunque di parte.
Articolo originale qui
LEGGI ANCHE
Il mondo parallelo delle guerre segrete in “Prigionieri dell’Islam” di Lilli Gruber
“La mattina dopo” di Mario Calabresi (Mondadori, 2019)
Stampa di Palazzo e fake news. Fermare gli “Stregoni della notizia”. Intervista a Marcello Foa
Guerra alle fake news o retorica e propaganda?
© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).