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La Storia ci ha insegnato e abituato a un’Italia divisa, frammentata nei vari stati e contesa da stirpi, rami, dinastie e imperi che l’hanno sempre pensata come composta da tre ampie zone: un Nord, un Centro e un Sud. Ancora oggi questa distinzione, più di tanto altro, sembra esserne una delle caratteristiche più ampiamente riconosciute.

Si chiede però Raffaele Nigro perché debba essere così suddivisa l’Italia e non, per esempio, in senso opposto, ovvero come egualmente tre zone ma disposte in senso verticale. Avremo quindi una fascia tirrenica, una adriatica e una lunga e sinuosa lisca centrale formata dalla dorsale che per intero l’attraversa. Ecco allora apparire la catena montuosa degli Appennini non solo e non tanto nella sua accezione geo-morfologica più classica, ma come vera e propria anima di una civiltà che ad essa si conforma, da essa prende forma e con essa si trasforma.

Ogni luogo natio imprime nel carattere e nella mente dell’individuo il suo tratto peculiare ma l’Appennino, nelle parole di Giuseppe Lupo, fin da subito insegna ai suoi “figli” a vivere in uno stato di sospensione, «non appartenere più alla geografia che ci ha originati e tuttavia non essere legati nemmeno al luogo dove ci si ferma per mettere radici».

Uno stato di sospensione che sembra caratterizzare anche la narrazione dell’intero saggio: tra passato, presente e futuro; tra antico, rurale e moderno; tra suggestione, tradizione e innovazione; tra identità, somiglianza e ribellione.

Ma qual è lo scopo di una visione verticale dell’Italia appenninica?

Lo scopo degli autori, come anche della Fondazione cui il loro lavoro di scrittura è legato, non sembra essere tanto quello di ricercare un’affinità, un’omologazione che renda l’Italia tutta uguale, unita e indistinta, quanto piuttosto quello di trovare l’unione proprio nella diversità, in quelle differenze che, a ben guardare, acquistano il sapore della somiglianza. In quello spirito di adattamento a un territorio che sa essere impervio e ostile, almeno quanto può essere dolce e ospitale. Un adattamento diverso, che ha generato luoghi diversi eppure affini, nell’animo di chi li abita.

È un’idea, quella di Civiltà Appennino. Un’idea cui ha fatto seguito un progetto. Un’idea e un progetto ambiziosi ma non presuntuosi. Una ricerca che vuol condurre la civiltà a ripensare questi luoghi, a riabitare, a rivivere l’Appennino ma non nel senso, o almeno non soltanto, di una riscoperta del passato, dell’antico, del rurale. Piuttosto nel pensare un modo nuovo di abitarli, che non sia slegato dalla contemporaneità e, soprattutto, che sia proiettato verso il futuro.

Un sogno forse, che ad alcuni potrebbe anche apparire come un’inutile utopia eppure nel senso profondo che spinge gli autori a portare avanti le loro idee si intravede una potente resilienza che non è animata da nostalgia bensì da una grande passione, per la vita, per un’esistenza che sia scandita dai ritmi dell’uomo e perché no, anche della natura, fermo restando il suo essere una vita moderna.

Bibliografia di riferimento

Raffaele Nigro, Giuseppe Lupo, Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni, Roma, Donzelli Editore, 2020


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Donzelli Editore per la disponibilità e il materiale


Disclosure: Credits per le immagini, tranne la copertina del libro, www.pixabay.com


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