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Stando ai dati forniti forniti da ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project), una parte sostanziale del nostro pianeta è impegnata in una qualche forma di conflitto che coinvolge forze statali o ribelli, o entrambe. 

Eppure, se fino al 23 febbraio 2022 in tutto l’Occidente nessuno o quasi parlava di conflitti e di guerra, impegnati come si era ancora nel “combattere” la pandemia o quel che ne restava, dal 24 febbraio 2022 praticamente non si parla d’altro. Perché?

È ormai cosa nota che il conflitto russo-ucraino ha avuto origine ben prima che iniziassero i bombardamenti anche sulla capitale Kiev. Inoltre sono in tanti ad affermare di aver previsto gli eventi in corso. Tra essi anche Nicolai Lilin, scrittore russo di origini siberiane, autore di Putin. L’ultimo zar da San Pietroburgo all’Ucraina (Piemme, 2022), il quale dà anche una possibile motivazione all’interesse verso questa determinata guerra che non è più solo un’idea o un argomento da salotto, bensì un conflitto armato alle porte d’Europa. 

Quindi è la vicinanza geografica a determinare l’interesse?

Le domande sono tante, come pure le risposte ma il vero problema risiede, per Lilin, nei presupposti sbagliati da cui si parte per analizzare quanto accade. Senza rendercene conto, il nostro modo di ragionare dipende da fattori legati alla nostra storia, cultura, tradizione. E spesso noi occidentali diamo per scontata una serie di concetti che non lo sono, perché a est, nel mondo orientale, i valori di riferimento sono altri, sono diversi. 

Per capire cosa effettivamente sta accadendo, Nicolai Lilin consiglia di mettere in fila e analizzare tutti gli argomenti utili a una disamina obiettiva, che cerchi di tenere presente la storia di Russia e Ucraina, le ambizioni geopolitiche ed economiche, il profilo dei leader che guidano i due paesi. 

Non ci sono dubbi sul fatto che l’Ucraina è un paese sovrano che avrebbe il diritto di scegliere il futuro che vuole. Neanche Lilin ha dubbi al riguardo. Come non ne nutre in merito al fatto che quanto sta accadendo, in una forma finale di abbrutimento, sia colpa di tutti non soltanto di Putin o della Russia. Sono tutti colpevoli, e responsabili. Tranne i civili, che sono gli unici innocenti in questa vicenda.

Per l’autore, dalla Guerra Fredda sono cambiate molte cose, ma l’Occidente non ha adeguato il suo spirito di osservazione alla nuova realtà putiniana. Se lo avesse fatto, avrebbe compreso per tempo le intenzioni di Putin, che erano chiare da tempo, e avrebbe, forse, potuto evitarle, fermarle, rallentarle. 

Vladimir Putin aveva deciso da un pezzo l’attacco all’Ucraina. Servono anni per preparare un’operazione di questo tipo – che ha l’obiettivo di smilitarizzare il paese -, scegliere le unità militari e disporre gli schieramenti.

Le esercitazioni militari congiunte tra Russia e Bielorussia avvenute in passato avevano per Lilin una doppia utilità:

  • Per l’esercito e i militari è stato un modo per provare sul terreno l’efficacia dei propri reparti, la logistica e la comunicazione.
  • Per la geopolitica internazionale era un chiaro segnale all’Occidente.

Non possono essere sfuggiti questi segnali. Di certo sono stati carpiti da Zelenskij che è sembrato il più preparato tra i leader occidentali.

Si chiede Lilin cosa esattamente l’Occidente non capisce, o non vuole comprendere del mondo russo.

Domande simili a quelle poste già da Giulietto Chiesa, il quale in Putinofobia (Piemme, 2016) raccontava della peculiarità tutta russa di essere un po’ Occidente e un po’ Oriente, e proprio per questo criptico e indecifrabile per gli occidentali. Inoltre, ogni volta che la Russia diventa più asiatica, l’Occidente inizia a perdere il controllo dei nervi. 

In entrambi i fronti le diplomazie sono state carenti, volutamente per Lilin. Da otto anni non si affrontano le questioni di fondo della vita delle persone nel Donbass, dove si contano oltre 14mila morti. 

Perché oggi si contano tutti i morti e se ne mostrano anche le immagini mentre fino a ieri ciò non sembrava interessare nessuno? 

Certo è che la guerra non produce alcuna soluzione. 

La Russia ha aggredito l’Ucraina, ma ognuna delle parti in causa non ha scongiurato l’escalation. 

Si potrebbe anche asserire semplicemente, come molti fanno, che Putin sia un dittatore spregiudicato, un assassino e che i suoi soldati siano dei criminali di guerra e che, quindi, l’unica cosa che conta è aiutare l’Ucraina e il suo presidente a resistere, ad ogni costo. 

Ma come si può anche lontanamente immaginare di vincere o sconfiggere un nemico che non si conosce e non si comprende?

Ricorre spesso, nella narrazione comune, il tema delle origini di Vladimir Putin, in particolare il suo essere o essere stato un agente dell’intelligence sovietica, il KGB poi diventato FSB, di cui è stato anche direttore. 

Non è certo un segreto che i servizi, in tutti gli Stati, hanno un potere enorme, a volte abnorme, e che la loro attività sia strettamente interconnessa e interdipendente con quella di istituzioni e governi. Risulta quindi molto interessante capire, provarci almeno, perché un agente abbia poi deciso di passare al potere politico pubblico, e di farlo non nascondendo il suo passato da agente dei servizi. 

E sarebbe anche interessante conoscere e comprendere l’entità e la diffusione reale di questo fenomeno nei vari Stati, nonché le motivazioni alla base di queste scelte.

Nicolai Lilin ricorda di essere cresciuto in una scuola e una comunità multietniche. Fino al 1992, allorquando la guerra civile in Transnistria non provocò una diffusione capillare dell’odio razziale nei confronti del mondo russo e di tutti coloro che erano rimasti fedeli al modello sovietico. Un malessere che partì dalla Moldavia e si estese a diverse piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia, Armenia). 

Il partito nazionalista moldavo voleva far entrare il paese nella Nato nella convinzione che, con l’aiuto e l’appoggio degli Stati Uniti, sarebbe diventato una specie di paradiso fiscale. 

L’ambizione diffusa era allontanarsi dal sistema sovietico e avvicinarsi a quello democratico occidentale. 

Il che rispecchia un po’ quanto accaduto in quasi tutti gli Stati satellite dell’ex Unione Sovietica, Ucraina compresa.

Alcuni studiosi e biografi hanno scritto che il crollo dell’Unione Sovietica e le guerre civili da questo provocate furono alla base della fortuna politica di Putin, perché in quello che alla gente appariva come un periodo di caos e terrore, lui mostrò le proprie qualità di freddo e spietato stratega, concentrato sulla vittoria. 

Politicamente, Putin è una figura solitaria sul palcoscenico del potere in Russia. 

Il potere del Cremlino si regge non sul consenso popolare, bensì su quello di un’élite finanziaria che di fatto comanda, mentre l’apparato governativo avrebbe un ruolo strettamente funzionale agli interessi di tale élite.

Il che rimanda per sommi capi a quello che denunciavano attivisti e portavoce del Movimento Cinque Stelle della prima ora, allorquando dichiaravano insostenibile l’ingerenza delle lobby e della finanza sulle istituzioni governative e parlamentari italiane. 

Vladimir Putin non sembra mai aver avuto grandi manie di cambiamento. Per Lilin egli ha saputo sfruttare con abilità quel che nel Paese era già stato fatto prima di lui, creando però una nuova simbiosi tra il capitalismo, l’economia liberale d’ispirazione occidentale e l’impronta autoritaria dello “Stato forte”. E così tutti i mali del Paese semplicemente sono scivolati nel nuovo secolo: il potere dell’oligarchia, la corruzione, il cinismo delle élite finanziarie, l’assenza di libertà primarie quali quella di parola. 

Per quanto autoritario e forte possa apparire, Putin è pur sempre legato a un certo tipo di economia che non potrà mai davvero rivoluzionare, perché ciò metterebbe in difficoltà se stesso e il potere che rappresenta. 

Lui ha capito in fretta che l’opinione pubblica in Russia ha un’importanza relativa, mentre quella dei militari e delle strutture repressive ha un ruolo decisivo nel mantenimento e rafforzamento del potere. 

È stato solamente dopo aver costruito un solido rapporto con l’esercito, creato la Rosgvardija, stabilito un tandem vincente con la Chiesa ortodossa russa che Putin ha iniziato a dedicarsi seriamente alla politica estera. 

Per raggiungere i propri obiettivi, Putin ha investito parecchie energie, partecipando a tutti i summit internazionali importanti, sia politici che economici, nonché quelli legati al tema della sicurezza. Per Lilin, il momento cruciale è stata la Conferenza di Monaco del 2007, allorquando Putin delineò le sette tesi principali sulle quali si basa la sua politica estera:

  • Nelle relazioni internazionali non può esistere un modello unipolare.
  • Gli Stati Uniti devono smettere di imporre la propria visione politica.
  • Tutte le questioni che riguardano gli interventi militari devono essere decise soltanto dall’ONU.
  • Le iniziative politiche statunitensi sono aggressive.
  • La NATO non rispetta gli accordi internazionali.
  • L’OSCE è diventata uno strumento della NATO.
  • La Russia continuerà a impostare la propria politica estera basandosi solo sui propri interessi.

Da quel momento, la gran parte dei politici occidentali accusò Putin di essere il politico più aggressivo del mondo. Ma un proverbio siberiano recita: «Quando sono affamati, non c’è differenza tra il lupo e il cane».

Anche questa volta, come accaduto già in passato, i politici occidentali, con in testa gli Stati Uniti, hanno asserito di dover agire per scongiurare il pericolo di una guerra nucleare. Giusto. Giustissimo. Bisogna evitare assolutamente che una potenza militare arrivi ad usare qualunque tipologia di arma ma quella nucleare in particolare. 

Tutti gli hibakusha e tutte le testimonianze raccolte nel Museo memoriale della Pace di Hiroshima, in Giappone, lo urlano al mondo intero, con il loro dignitoso sussurro. 

È necessario e doveroso ricordare, sempre. Il 6 e il 9 agosto del 1945 due bombe nucleari furono sganciate ed esplosero nel cielo a 500 metri di altezza dal suolo delle due cittadine giapponesi. E a farlo sono stati gli americani, gli Stati Uniti d’America.

Ed ecco allora la verità del proverbio siberiano: nella fame, come nella guerra, non c’è differenza tra il lupo e il cane.

Nicolai Lilin afferma che è veramente difficile credere alla sincerità dei “democratici occidentali”, perché essi vedono le vittime solo quando a loro conviene, ovvero quando possono usarle per la loro ipocrita retorica propagandistica.

A onor del vero va detto che questo giudizio l’autore lo esprime in merito a delle considerazioni riguardo quanto accaduto in Siria, non riguardo l’attuale conflitto russo-ucraino.

Ma è un concetto che ben si presta, ahinoi, a una più ampia generalizzazione. 

Non da ultimo l’esser costretti ad assistere all’ammirevole e certamente umano fenomeno della pronta e solidale accoglienza dei rifugiati ucraini, ma non riuscire a non pensare quando quelle medesime frontiere vengono letteralmente blindate e spinate per scoraggiarne l’attraversamento da parte di migranti e rifugiati che evidentemente non sonoabbastanza occidentali o europei. 

Per tutti i politici e governanti occidentali l’obiettivo prioritario sembra essere quello di indebolire la Russia e soprattutto Putin, innanzitutto rinunciando alle forniture di gas.

Ma siamo davvero certi che ciò contribuirà in maniera sostanziale a salvare il popolo ucraino dall’aggressione militare russa?

Bisogna inoltre scongiurare un’aggressione russa all’Europa.

Ma siamo davvero certi che ciò sia mai stato nelle intenzioni di Vladimir Putin?

Osservando l’evoluzione dei combattimenti dal 23 febbraio ad oggi in realtà l’idea che si profila è tutt’altra. Ovvero che Putin sia ben intenzionato a mantenere il controllo sui territori russofoni dell’Ucraina. Può non essere un democratico ma Putin non è certamente uno sprovveduto o un folle in preda a un delirio. Ha un piano preciso. Lo ha sempre avuto in realtà. Ma prima di cadere noi stessi in un delirio distruttivo dovremmo forse, o avremmo dovuto, cercare di capirlo fino in fondo questo piano e comprendere al meglio chi lo porta avanti e, soprattutto, perché.

Karen Dawisha nel suo libro Putin’s Kleptocracy. Who owns Russia (Simon&Schuster, 2015) ha scritto che la Russia non va vista come una democrazia che sta per implodere, bensì come un regime che sta riuscendo a imporre il suo disegno autoritario. Il problema in Russia non è la mancanza di una cultura democratica, a mancare è proprio la volontà di instaurare una democrazia

Evidente a questo punto l’errore, di cui parla Lilin, commesso dagli occidentali che si ostinano a guardare e cercare di comprendere l’universo russo attraverso la lente interpretativa occidentale.

Putin ha mostrato di essere in grado di cavalcare gli eventi e sfruttare al meglio soprattutto i momenti drammatici della storia del suo Paese. Sperare di scalfire il suo potere e la sua popolarità proprio quando egli, agli occhi del suo Paese, porta avanti una guerra di protezione e riscatto dei cittadini russofoni dell’Ucraina è davvero utopistico.

Come lo è pensare di schiacciare l’economia russa non acquistando più quel gas che ai paesi europei al momento serve tantissimo. Il gas russo è di buona qualità e viene venduto a un costo accessibile, facile supporre che si troveranno presto nuovi acquirenti. Ma le fabbriche, le industrie, le economie dei paesi europei, già fortemente provate, riusciranno a trovare in maniera parimenti agevole nuove vie da percorrere? E in breve tempo?

Al momento la risposta è per certo negativa, considerando anche la forsennata ricerca di fornitori alternativi cui si sta assistendo. Paesi fornitori i quali, per inciso, sono governati da leader che fino al 23 febbraio 2022 erano guardati con maggiore sospetto e ostilità rispetto a Putin. Ma ora, dicono, questo non conta. E domani poi cosa accadrà?

Nicolai Lilin scrive che gli uomini del calibro di Putin, abituati al potere, conoscono molto bene il passato e a volte sono anche in grado di prevedere qualche passo nel futuro. 

Molti affermano sia un bene non avere leader simili nelle democrazie occidentali. Uomini che considerano il mondo come un grande scacchiere, che vedono guerre e conflitti come semplici mezzi utili per raggiungere i propri obiettivi. Non penso che sia così. Ci sono queste persone nell’universo occidentale, solo che possono non coincidere con i frontmen della politica. 

Spesso Nicolai Lilin viene criticato e additato come russofilo, in un’accezione evidentemente negativa e dispregiativa. Nel leggere il suo libro e nell’ascoltare alcuni dei suoi interventi televisivi in realtà non si ha l’impressione di una persona intenzionata a fare propaganda per il suo Paese, tutt’altro. 

Le sue posizioni verso il Cremlino sono molto critiche, come lo sono del resto verso i Paesi occidentali. Non si tratta però di posizioni e critiche generalizzate e immotivate, piuttosto obiezioni e valutazioni circoscritte ad accadimenti precisi. Il suo fine sembra essere valutare con la massima obiettività eventi e decisioni, indipendentemente da chi li compie. È certamente un modo di agire che evita o quantomeno riduce il rischio di posizioni scarsamente obiettive e viziate da pregiudizi e preconcetti. 

Per Lilin sono quattro gli scenari cui si potrebbe assistere riguardo l’attuale conflitto russo-ucraino:

  • Molti analisti russi pensano che il fine di Putin non sia veramente occupare militarmente l’Ucraina ma solo dimostrare che lo può fare. Poi sfruttare questa azione dimostrativa nei colloqui diplomatici. Avanzare le sue richieste e in cambio concedere il ritiro delle truppe.
  • Si potrebbe avere una totale occupazione dell’Ucraina. Putin imporrà il suo governo e condurrà i colloqui con i Paesi NATO.
  • Il terzo scenario possibile vede il ritiro di Putin e il prevalere della diplomazia occidentale. Le sanzioni funzioneranno e Putin perderà l’appoggio degli oligarchi. La situazione in Russia si destabilizza.
  • L’Europa unita accetta l’ingresso in UE dell’Ucraina. La Russia a quel punto avrà invaso un Paese europeo e quindi si ritira. Non ci sarà il terzo conflitto mondiale ma, avverte Lilin, l’Europa avrà fatto entrare in UE un Paese dove è libera la vendita di armi.

Putin è un uomo che, giunto al Cremlino ha dovuto fare i conti con un Paese in ginocchio e un apparato amministrativo obsoleto e corrotto. Un presidente che ha esercitato ed esercita il potere con il pugno di ferro. Un uomo la cui linea politica, anche dopo venti anni, rimane immutata, disperatamente stagnante. 

Giulietto Chiesa, guardando attraverso la lente di ingrandimento della russofobia attuale, ovvero nella Putinofobia, ci vedeva una Russia che, se gli occidentali fossero in grado di capirla, sarebbe uno straordinario ponte di comunicazione proprio per questa sua duplice essenza, europea e asiatica. È l’unico strumento che abbiamo noi europei per capire un po’ meglio l’Asia e il resto del mondo, che abbiamo colonizzato, ma ciò non vuol dire che lo abbiamo capito. Vuol dire solo che lo abbiamo vinto, conquistato, soggiogato.

La Russia può essere il tramite attraverso il quale l’Occidente può capire il resto il mondo. Ma l’Occidente questo non lo vuole, lo ha scartato da principio.

I vecchi attriti non sono mai stati risolti, forse congelati, come afferma Lilin, dai giochi diplomatici e dagli interessi una volta comuni. Interessi soprattutto di natura economica e finanziaria. 

Conflitti cui vanno ad aggiungersi nuove tensioni, con grande sfortuna dell’umanità intera costretta a subire le conseguenze di questi assurdi giochi di poteri nei quali i cani e i lupi non fanno che confondersi o addirittura fondersi.

Putin. L’ultimo zar da San Pietroburgo all’Ucraina di Nicolai Lilin è certamente un libro che merita di essere letto senza necessariamente sentirsi o diventare russofili. È un libro che cerca di fare breccia in un mondo pressoché sconosciuto come il leader che lo rappresenta. Per capire. Per tentare almeno di capire quello che accade e perché.


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Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de Piemme per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne l’immagine di copertina e il grafico ACLED, credits www.pixabay.com


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