«Di Gilgamesh che vide ogni cosa voglio io narrare al mondo; di colui che apprese ogni cosa rendendosi esperto di tutto. Egli andò alla ricerca dei paesi più lontani e in ogni cosa raggiunse la completa saggezza. Egli vide cose segrete, scoprì cose nascoste, riferì le leggende prima del diluvio. Egli percorse vie lontane, finché stanco e abbattuto non si fermò e fece incidere tutte le sue fatiche su una stele.» La più antica scrittura tematizzata sul viaggio, l’Epopea di Gilgamesh, presenta l’eroe eponimo glorificato come “uomo che conobbe i paesi del mondo”, che svelerà le “cose segrete” che ha appreso (Treccani, 2007).
Il rapporto tra viaggio e letteratura è molto stretto. Il viaggiatore, durante il suo percorso, si relaziona alla realtà che gli sta attorno in maniera diacronica, in quanto si interroga su quest’ultima e la scopre attraverso la successione degli elementi che la costituiscono, proprio come fossero le pagine di un libro (J. Baudrillard, Amérique, Grasset-Fasquelle, Paris, 1986). La scoperta però, in diversi casi, non riguarda soltanto la realtà in cui ci si muove. Un importante elemento spesso presente nella letteratura odeporica è la conquista del sé da parte di chi scrive (E. J. Leed, La mente del viaggiatore: dall’Odissea al turismo globale, Il Mulino, Bologna, 2007).
L’editore che pubblicò Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway affermò che il libro «potesse fare da epilogo a tutto quello che aveva imparato o aveva cercato di imparare mentre scriveva e cercava di vivere». Hemingway può essere definito un giovane individualista il quale, stanco del proprio nido borghese, esce nel mondo avventurosamente, a caccia di esperienze attraverso le quali realizzarsi. Egli è figlio dell’individualismo che ispirò la rivoluzione democratica, dello “spirito della frontiera”, ma è un figlio nato fuori dal tempo, con un’eredità di valori che subito si dimostra non più attiva, fonte solo di delusione e sconfitta. Pieno di fiducia nel proprio sogno americano, si avventura nel mondo del profitto e delle grandi guerre e il mondo spietato lo ferisce e lo disinganna (N. D.Agostino, Ernest Hemingway, Belfagor, vol.11, n.1, gennaio 1956).
La fitta descrittività che farcisce le migliaia di pagine dei romanzi di Hemingway non è eccessivo e ossessivo particolarismo, la sua attenzione è rivolta alla descrizione di ciò che accade intorno a lui, nel tentativo di tracciarne le linee essenziali. Un fare dovuto forse alla sua formazione giornalistica (A. Dalla Libera, Riportare l’antropologia. Hemingway e un sogno letterario, Dialegesthai Rivista di Filosofia, aprile 2021). Vista in quest’ottica, la funzione attribuita alla letteratura da Hemingway non è molto distante da quella di Gilgamesh.
La letteratura americana moderna nasce con Mark Twain ma la tradizione letteraria in America nasce con i pionieri, con gli europei che si scontrarono per primi con realtà inimmaginabili, diversissime dalle vite urbane nel vecchio continente e nelle neonate città di frontiera. Un leitmotiv che sembra aver accompagnato anche la produzione letteraria successiva e i pionieri di tutti i continenti.
Durante il suo viaggio in Tanzania, Hemingway affermò di voler «scrivere qualcosa sul paese e gli animali, così come sono, per chi non ne sa proprio niente» (E. Hemingway, Green Hills of Africa, Vintage Publishing, New York, 2004). A colloquio con Pop, compagno di ventura e di caccia, Hemingway rivela la sua impotenza di fronte agli spettacoli straordinari che l’Africa gli regala ogni giorno e che difficilmente riuscirà a rendere sulla pagina (A. Dalla Libera, art.cit.).
Il mondo etichettato indistintamente come indigeno racchiude la suo interno una infinità di popoli, etnie, culture differenti e uniche. È importante conoscere le usanze e, soprattutto, la spiritualità in modo da riuscire a comprendere le evoluzioni compiute da ricercatori, esploratori, studiosi e viaggiatori i quali, partiti carichi di nozioni e aspettative ben precise, hanno poi dovuto fare i conti con la realtà dei vari luoghi e dei differenti popoli incontrati. Quasi come fossero partiti con un film in bianco e nero proiettato dinanzi agli occhi e abbiano poi ben presto realizzato di trovarsi dinanzi a una tale varietà di colori da poterne restare quasi abbagliati (E. V. De Castro, Lo sguardo del giaguaro. Introduzione al prospettivismo amerindio, Meltemi Editore, Milano, 2023).
Esattamente come accaduto a Ernest Hemingway in Tanzania.
«La prima impressione che si ha di un paese è molto importante, ma probabilmente più per noi che per gli altri: questo è il male» (E. Hemingway, Green Hills of Africa). Hemingway ha cercato di rendere la propria letteratura la più convincente possibile. Per lui la prosa deve essere realistica, deve riportare ciò che realmente abbiamo vissuto e dobbiamo vivere. Lo scrittore, dice, deve organizzarsi non solo professionalmente ma nel suo essere uomo al mondo, che scopre il mondo e lo racconta.
Articolo pubblicato sul numero cartaceo di aprile di Leggere:Tutti
Disclosure: Per le immagini, tranne le copertine dei libri, credits www.pixabay.com
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