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Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

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Il ruolo delle scam city nella società di oggi: truffe, lavoro e relazioni sociali

06 martedì Mag 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, scamcity


50mila schiavi per un business che ha fruttato nel 2023 ben 64miliardi di dollari.1 Sono queste le stime più accreditate utili a quantificare, per meglio definire, la più colossale quanto “banale” truffa romantica posta in essere nell’era del digitale, del metaverso e delle criptovalute. Solo in Italia le persone che almeno una volta sono state vittime di raggiri telematici sono 12.7milioni.2

Le scam city, le città della truffa, sono una creazione soprattutto birmana e si trovano lungo i confini del Paese in guerra dove fruttano denaro illegale alla mafia cinese ma anche alla giunta militare. Compound all’interno dei quali c’è tutto: ristoranti, parrucchieri, negozi. Manca però la libertà, soprattutto relativa alle comunicazioni e alle visite all’esterno. Sono almeno 15 le aree edificate intorno alla città birmana di Miawaddy. Decine di luoghi che promettono espansione edilizia con sbancamenti per nuove costruzioni.3

Le operazioni di truffa sono radicate nell’ascesa dei casinò e delle operazioni di gioco d’azzardo online nella regione del sud-est asiatico. In Myanmar, gli attori della criminalità organizzata operano nel paese da anni, ma la situazione è peggiorata dal colpo di Stato militare.4

Il primo febbraio 2021 i militari hanno preso il potere con un colpo di Stato guidato dal generale Min Aung Hlaing (già a capo di Tatmadaw, l’esercito birmano), rovesciando il Governo civile di Aung San Suu Kyi, arrestata col Presidente Win Myint e altri esponenti della Lega nazionale per la democrazia. Dopo il golpe, è iniziata in tutto il Myanmar una protesta pacifica con centinaia di migliaia di persone nelle piazze e una sorta di sciopero diffuso in tutti i settori vitali dell’economia. Ma questo movimento di disobbedienza civile ha dovuto affrontare una repressione durissima. La protesta pacifica si è trasformata, con il tempo, in una guerra diffusa di alta e bassa intensità, portata avanti sia dalle Forze di difesa popolari (Pdf), che fanno capo al Governo di unità nazionale (Nug – in clandestinità), sia alla resistenza delle milizie armate regionali, i cosiddetti eserciti etnici (Eao, oltre una ventina) che in parte negoziano con la Giunta e in parte vi si oppongono, specie nelle aree delle comunità karen, kachin e dell’Arakan. I più forti sostenitori della Giunta sono i russi, ma Tatmadaw ha potuto godere dell’appoggio più o meno diretto anche di Cina, India e Vietnam. La collocazione strategica del Myanmar lo rende una tessera fondamentale del dominio asiatico: per i cinesi, è lo sbocco sull’Oceano Indiano, dove sbarcano energia e beni indispensabili allo sviluppo della Repubblica popolare; per l’Occidente è un terreno di scontro con Pechino; per i Paesi del Golfo, la connessione tra Indonesia e Bangladesh.5

La guerra per il controllo del centro frontaliero di Myawaddy, sul fiume Moei, davanti alla città tailandese di Mae Sot, è stata resa ancora più complessa dalla presenza di tanti piccoli agglomerati urbani affacciati sul fiume che segnano il confine tra Myanmar e Thailandia, ovvero le scam city. Nate alcuni anni fa lungo i confini con la Cina o con la Thailandia come grandi o piccoli centri d’azzardo frontalieri, dopo l’Operazione 1027 con la quale la Resistenza ha riconquistato gli agglomerati sul confine cinese, gli affari si sono spostati e intensificati sul confine tailandese. Pare, inoltre, che le alleanze variabili – e quindi le sorti della guerra – dipendano in sostanza anche da chi potrà controllare e gestire le scam city.6

Le Bgf/Kna sono guidate da Saw Chit Thu, colonnello, segretario generale e consigliere senior del gruppo di miliziani, diventato una figura di spicco nel gruppo scissionista Dkba – Esercito Democratico Buddista Karen, che firmò il cessate il fuoco con l’allora giunta militare. Nel 2010 la Dkba è stata trasformata in Forza di guardia di frontiera beneficiando, in cambio dell’integrazione nel comando militare del Myanmar, del sostegno materiale sul campo di battaglia fornito dall’esercito e dello spazio per costruire lucrative attività criminali. L’esercito del Myanmar ha beneficiato a sua volta delle entrate che da queste derivano.7 I flussi finanziari nella regione del Mekong suggeriscono che l’industria della truffa in un solo Paese della regione potrebbe generare tra i 7.5 e i 12.5 miliardi di dollari, ovvero la metà del prodotto interno lordo del Paese stesso.8

La pandemia di Covid-19 e le misure di risposta associate hanno avuto un impatto drastico su tali attività illecite in tutta la regione. Le misure di sanità pubblica hanno chiuso i casinò in molti paesi e, in risposta, gli operatori dei casinò hanno spostato le operazioni in territori meno regolamentati e nello spazio online sempre più redditizio. Di fronte a nuove realtà operative, le bande criminali hanno preso di mira sempre più i lavoratori migranti, bloccati in questi paesi e senza lavoro a causa delle chiusure delle frontiere e delle attività commerciali, per lavorare nei centri di truffa. Allo stesso tempo, le misure di risposta alla pandemia hanno visto milioni di persone costrette a casa a trascorrere più tempo online, rendendole veri e facili bersagli. 

Approfittando della mancanza di opportunità di lavoro in molti paesi, delle ridotte opportunità di lavoro per i giovani laureati, i trafficanti sono stati facilmente in grado di reclutare fraudolentemente persone in operazioni criminali con il pretesto di offrire loro lavori veri. Le piattaforme digitali hanno notevolmente ampliato la portata degli attori criminali organizzati coinvolti in frodi online, consentendo loro di prendere di mira per il reclutamento persone in diversi paesi e di diversi gruppi linguistici. 

I casi di tratta documentati nel sud-est asiatico hanno solitamente coinvolto persone che hanno avuto un accesso limitato all’istruzione e sono impiegate in lavori sottopagati. Tuttavia, il profilo delle persone truffate in queste recenti operazioni di truffa online è diverso: molte delle vittime sono istruite, a volte provenienti da lavori professionali o con lauree, esperti di computer e di lingue. 

Gli uomini costituiscono la maggioranza delle vittime, sebbene anche le donne siano state prese di mira e, sebbene la gran parte delle vittime sono adulti, i rapporti evidenziano la presenza anche di adolescenti. 

Il ruolo di primo piano dei social media e di altre piattaforme digitali è una caratteristica intrinseca e sorprendente di queste operazioni di truffa online. Negli ultimi anni, il sud-est asiatico ha assistito a una crescita esponenziale della tecnologia digitale, del business e dell’e-commerce, nonché a una crescente digitalizzazione e “appification” nella regione.

Le principali piattaforme digitali sono state utilizzate dai trafficanti per ingannare le persone nel sud-est asiatico e oltre con falsi annunci di lavoro per reclutarle in operazioni fraudolente. Vengono inoltre utilizzate in dette operazioni per frodare persone in tutto il mondo.

Molti dei centri in cui le persone sono costrette a commettere attività criminali online si trovano fisicamente in giurisdizioni in cui la governance e lo stato di diritto sono deboli e l’autorità è contestata. Il colpo di Stato militare, la violenza in corso e i conflitti armati in Myanmar, e il conseguente crollo dello stato di diritto, hanno fornito terreno fertile per un aumento esponenziale dell’attività criminale. Molti dei centri truffa in Myanmar si trovano in aree di confine scarsamente regolamentate, e spesso porose, caratterizzate da una mancanza di strutture formali di applicazione della legge. Molti centri di truffe online della regione hanno sede in zone economiche speciali (SEZ), istituite dai rispettivi Stati, che sono caratterizzate da una regolamentazione opaca e dalla proliferazione di molteplici economie illecite, tra cui il traffico di esseri umani, il commercio illegale di animali selvatici o rari e la produzione di droga. Nel 2019 c’erano oltre 5.300 SEZ in 147 economie in tutto il mondo, con altre in programma di essere istituite.9

Sebbene possano svolgere un ruolo nello stimolare lo sviluppo economico, le SEZ hanno spesso sollevato una serie di preoccupazioni sui diritti umani, dai processi attraverso i quali vengono istituite al loro funzionamento, all’interno di un quadro generale di limitata supervisione legale. I rapporti indicano che non sono state condotte indagini sulle accuse di collusione tra gli attori criminali dietro queste operazioni fraudolente e alti funzionari governativi, politici, forze dell’ordine locali e influenti imprenditori.

Dai report emergenti, così come dagli screening e dalle identificazioni effettuati da alcuni paesi della regione, è chiaro che gli individui costretti a lavorare in questi centri truffaldini rientrano nella definizione legale di persone vittime di tratta. 

Nel caso delle truffe online, le persone vengono reclutate principalmente per fittizi ruoli professionali quali programmatori, addetti al marketing o specialisti delle risorse umane, attraverso quelle che sembrano essere procedure legittime e persino elaborate che possono includere colloqui, nonché test di lingua e altro. Alcune vittime hanno riferito di essere state prese di mira dai reclutatori nel loro paese di origine o da un paese terzo, mentre altre sono state reclutate quando erano già presenti nel paese di destinazione. I trafficanti si mostrano disponibili anche ad aiutare con il trasporto, inclusa in alcuni casi la documentazione necessaria. All’arrivo, i migranti vengono solitamente accolti dai trafficanti che li prelevano all’aeroporto e li accompagnano in alloggi temporanei o li trasferiscono direttamente nei complessi recintati o nei centri dove operano le truffe, ospitandoli lì, dove vengono sorvegliati da guardie di sicurezza spesso pesantemente armate. Viene loro tolto il passaporto in tutti i casi. 

Questo uso dell’inganno per reclutare persone nelle truffe online costituisce l’elemento “mezzo” della definizione di tratta di persone. In alcuni casi, gli individui potrebbero aver capito di essere stati reclutati per condurre frodi online, ma sono stati ingannati sulle condizioni, ad esempio non erano a conoscenza del fatto che sarebbero stati detenuti nei compound, sottopagati o non pagati, soggetti a percosse e altre forme di violenza, o costretti a pagare un riscatto per andarsene. 

Gli individui sono costretti a perpetrare frodi online utilizzando una serie di piattaforme tra cui falsi siti Web di gioco d’azzardo e piattaforme di investimento in criptovaluta, nonché truffe romantiche e finanziarie – pig-butchering, in cui false relazioni romantiche o amicizie vengono utilizzate per frodare gli utenti online di ingenti somme di danaro.10

Appare quindi evidente che, all’interno di questo fenomeno delle scam city, si configurano due grandi categorie di truffati: i “reclutati” e i “truffati online”. 

I criminali che mettono in atto truffe romantiche utilizzano dinamiche psicosociali in modo non etico, ma molto efficace, per manipolare la vittima. E, laddove si pensa che questi “truffatori” sono, nella gran parte dei casi, dei “truffati” a loro volta, il quadro si complica notevolmente.

Le truffe romantiche online sono un fenomeno criminale in forte crescita in alcuni paesi (Usa, Gran Bretagna, Germania, Italia), ma molto probabilmente si sta espandendo in tutti quei paesi dove è diffuso l’uso di social network. I criminali sfruttano a loro favore il fisiologico bisogno di relazionarsi, socialmente espresso più o meno consapevolmente dalla vittima, per costruire un copione, una narrazione convincente per arrivare a “spingerla” nella condizione di prestare aiuto (quasi sempre economico) facendo leva sul solido e coinvolgente rapporto di fiducia precedentemente stabilito. Questa dinamica psicosociale avviene con modalità piuttosto veloci per il fatto che si tratta quasi sempre di rapporti a distanza che prevedono di conseguenza interazioni comunicative molto diverse da quelle più tradizionali vis à vis. Sono presenti, nello sviluppo di relazioni a distanza di questo tipo, sia processi di maggiore disinibizione che di maggiore idealizzazione del potenziale partner, il che rende il rapporto contemporaneamente e inizialmente più veloce e intenso rispetto allo scenario tradizionale dove invece si percepiscono più informazioni (sia positive che non) durante la conoscenza diretta. L’abilità persuasiva del criminale consiste nell’utilizzare le specifiche conoscenze di queste dinamiche psicosociali in modo non etico, ma molto efficace, per manipolare il comportamento della vittima. Oltre ai danni finanziari diretti – ovvero quanto effettivamente i criminali riescono a estorcere alle vittime – vi sono da considerare i danni economici indiretti dovuti al deterioramento dello stato finanziario/patrimoniale e le problematiche psicosociali – problematiche stress correlate, ansia, depressione, rischio suicidiario – provocate alle vittime e alla rete sociale connessa a loro, in particolare la famiglia. 

La frode avviene perché vi è la concomitanza di vari elementi che rendono maggiormente vulnerabile la vittima. Questi elementi concernono sia caratteristiche psicologiche delle vittime (basso autocontrollo, impulsività, il forte desiderio di trovare un partner), sia fattori contestuali relativi ai truffati (un evento traumatico o comunque fortemente stressante come una separazione o altro) sia la capacità persuasiva del criminale. 

Nel settore della psicologia scientifica vi è stato molto recentemente lo sforzo di individuare alcune caratteristiche psicologiche che rendono le vittime più vulnerabili nei confronti delle truffe romantiche, ma rimane da chiarire se alcune dimensioni quali, ad esempio, l’impulsività e lo scarso autocontrollo riscontrato in queste ricerche siano caratteristiche precedenti all’interazione manipolatoria o siano la conseguenza del processo di innamoramento molto frequente nel caso delle truffe sentimentali. Analizzare attraverso la prospettiva della persuasione il fenomeno delle romance scam può aiutare meglio come fenomeno psicosociale. I processi persuasivi presi in considerazione sono: la reciprocità (dobbiamo contraccambiare ciò che ci viene offerto/proposto), l’autorità (siamo più propensi ad accettare una richiesta se arriva da chi giudichiamo come autorevole/competente), il consenso sociale (a parità di altre condizioni, tendiamo ad adottare scelte comportamentali condivise da un gruppo numeroso di persone), la scarsità (siamo propensi ad attribuire un valore maggiore a qualcosa che percepiamo come scarsamente disponibile), l’impegno e la coerenza (abbiamo la tendenza a effettuare scelte o comportamenti coerenti con quelli effettuati precedentemente) e la piacevolezza percepita di chi emette il messaggio persuasivo (preferiamo accettare richieste da persone che ci piacciono o, in misura maggiore, che abbiamo la percezione che piacciamo loro).11

Nonostante siano generazioni native digitali, sono Gen Z e Millennial le vittime maggiori di fenomeni che vanno dalle frodi con carte di credito al phishing. Tra il 2022 e il 2023 è stato registrato un incremento del 6 per cento dei tentativi di truffa online e l’importo del denaro sottratto è passato da 114 milioni di euro e 137 milioni di euro.12

La Rete e, in particolare, i social media sono entrati a far parte della vita di ciascuno di noi in tempi e modi differenti e, dunque, il loro utilizzo varia da generazione a generazione. A oggi le fasce generazionali entrate in contatto con il mondo digitale sono state descritte in quattro categorie: i Baby Boomers, la Generazione X, la Generazione Y e la Generazione Z. Ognuna di queste si è rapportata in maniera differente al Web e alla tecnologia, sviluppando competenze e comportamenti diversi tra loro. 

I boomers sono nati in un periodo storico (1946/1964) caratterizzato da un forte benessere economico e sono la generazione economicamente più stabile. Questo li rende mediamente più ottimisti e consente loro di vivere la vita con un atteggiamento di relativa sicurezza. Sebbene prediligano ancora la comunicazione face-to-face sono ormai presenti anche sui social network. Tuttavia, la loro inesperienza li porta spesso a utilizzare i vari dispositivi elettronici in maniera inadeguata e ad avere scarsa capacità critica nei confronti delle notizie che scorrono in Rete sotto i loro occhi. La Generazione X (1965/1979) manca di un’identità sociale ben strutturata e si caratterizza dall’incertezza seguita all’ottimismo dei loro predecessori. Gli appartenenti a questa generazione hanno sviluppato un atteggiamento disincantato caratterizzato da apatia, scetticismo e pessimismo verso il futuro, oltre che da una mancanza di fiducia verso le istituzioni. Sono nati in un mondo analogico ma hanno abbracciato sin dall’inizio la trasformazione tecnologica digitale. Al contrario dei boomers, utilizzano i social in maniera più consapevole e con un atteggiamento critico che li porta a verificare le fonti delle informazioni che stanno consultando online. 

La Generazione Y (o Millennials, Nativi Digitali, Net Generation) comprende i nati tra il 1980 e il 1995, cresciuti insieme alla digitalizzazione, alla globalizzazione e all’accelerazione tecnologica. Un contesto in continuo mutamento caratterizzato dalla convergenza tra le varie piattaforme tecnologiche e da un ambiente comunicativo sempre più ibrido traonline e offline. Al contrario dei loro predecessori, i Millennials hanno sviluppato sin dall’infanzia una buona propensione al networking e all’interazione digitale e sono aperti a ogni forma di innovazione e assimilano con velocità i cambiamenti. Comunicano principalmente attraverso i social network. Se le generazioni precedenti tendono a utilizzare i new media soprattutto come mezzi informativi, i Nativi Digitali, oltre ad avere in generale una maggiore familiarità con i nuovi strumenti tecnologici, vedono i social come un vero e proprio mezzo di espressione personale. 

La Generazione Z si compone di tutti i nati dal 1996 a oggi. Diversamente dalle generazioni precedenti, i “post-millennials” non conoscono una vita senza digitale, in quanto per loro la tecnologia è un linguaggio innato e naturale sin dalla tenera età. Si tratta della generazione più globalizzata e iperconnessa della storia. Di fatto, la maggior parte della loro vita relazionale si svolge sulle piattaforme social, in particolare quelle di recente sviluppo, che incidono quindi significativamente nel loro processo di socializzazione. 

L’intenso sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha portato le nuove generazioni a vivere valori e visioni del mondo completamente diversi rispetto a quelli dei propri genitori o di chi li ha preceduti. Contaminando ogni aspetto della vita sociale dei giovanissimi, Internet diventa un vero e proprio bisogno generazionale: fa parte di quelle esigenze necessarie alla stregua di qualunque altra attività vitale. I mezzi di comunicazione non sono strumenti neutrali assoggettabili in toto alla funzione che assegniamo loro, ma mezzi che modificano il nostro pensiero e il nostro modo di agire indipendentemente dall’uso buono o cattivo che ne facciamo, influenzando profondamente il rapporto dell’uomo con i propri simili e il mondo circostante. È inevitabile, dunque, che l’espandersi dei rapporti umani da una dimensione esclusivamente offline a una online provochi una virata decisiva nel cammino attraverso cui i giovani, i “nativi digitali”, fondano la costruzione del loro sé.13

I consumi dei media si sono caratterizzati per un’esplosione continua, mentre i tassi della formazione sono stati determinati da ampliamenti modesti, più incoraggianti che in passato, ma deludenti se paragonati al modo in cui la comunicazione coltiva la struttura sociale.14 L’uomo contemporaneo, in particolare le nuove generazioni, vivono infatti sempre più immersi in un universo strutturato intorno a realtà sempre più artificiali, autonome e indipendenti, un mondo rispetto al quale la “natura” appare come una realtà estranea e distante. Questo universo tecnologico emergente dispone di alcune grandi attrattive, prima fra tutte quella di una promessa di coinvolgimento in un universo rassicurante, prevedibile, pregno di emozioni, di pathos e, dunque, di senso. Una realtà, insomma, nella quale con-fondersi. Nel mondo contemporaneo, le tecnologie elettroniche sembrerebbero aver trovato, a partire dal paradigma costituito dal medium televisivo, il più straordinario e insuperabile strumento di destabilizzazione della realtà sociale. In tale ambito, l’attuale sviluppo e diffusione dei nuovi media stimola frequentemente una sorta di panico mediatico, ovvero un tipo di angoscia derivante dal conflitto tra le necessità del reale e la seducente corruzione dell’immaginazione. 

Nella società contemporanea stiamo assistendo, tra l’altro, a un ritorno in grande stile di un atteggiamento di stampo neo-romantico, caratterizzato principalmente da una sempre più diffusa rivalutazione degli aspetti affettivo-emotivi come valore fondamentale per l’essere umano.15

Esistono due differenti tipo di emozione le quali esprimono diversi rapporti con il mondo circostante. La prima s’iscrive nell’istante. Essa scoppia in una sorta di folgorazione. Il suo regime è la successione rapida, la varietà. Impaziente di godere nuove vibrazioni, il soggetto dimentica subito quelle appena provate, in attesa di quelle che stanno per giungere. La seconda forma di emozione s’iscrive invece nella durata. Essa è più elaborata della prima. Il soggetto che la prova lascia all’avvenimento affettivo il tempo di approfondire e svilupparsi.16 Il primo tipo di emozione uccide la sensibilità. Tutto avviene di colpo e lo stato affettivo non ha il tempo necessario per diversificarsi e maturare. La capacità emotiva viene appagata prima di essere trasformata in sentimento. Il rapporto con il mondo è in questo caso orientato verso l’azione e la reazione rapida. Si tratta insomma di un tipo di emozione molto primitivo in quanto direttamente correlato a quelle finalità di carattere evolutivo necessarie alla sopravvivenza. Il secondo genere di emozione emerge quando, a differenza della prima, ci si pone di fronte al mondo in un atteggiamento di tipo “contemplativo”. 

Diversamente dalla società razionale moderna, in cui l’imprevedibilità emotiva era stata bandita perché ritenuta pericolosa, oggi ci si sente realizzati solo nel momento in cui si possono esprimere liberamente le proprie emozioni. Naturalmente i media accentuano questa esigenza. L’emozione suscitata dai media è fondamentale soprattutto per consentire una forma di identificazione. Questo emergente culto delle emozioni inverte di fatto la scala dei valori, concependo il mondo non come oggetto di conoscenza, bensì come strumento per ottenere la felicità, finendo confusamente per proporre una vera e propria filosofia anti-intellettualistica e anti-scientifica. Per gli individui contemporanei la condivisione dei sentimenti e delle emozioni sembrerebbe dunque chiaramente soppiantare la ricerca di un impegno orientato verso la costruzione di sentimenti durevoli e stabili.17

L’individuo delle “tribù” contemporanee è un enfant eternel, un bambino completamente assorbito in un suo universo affettivo-emotivo. Usciti definitivamente dalla cultura “eroica” giudaico-cristiana che ha caratterizzato la modernità, basata sulla concezione di un individuo attivo e padrone di sé e dell’ambiente circostante, si sarebbe entrati nell’universo del “vitalismo” delle tribù postmoderne, fondato non più sulla pianificazione e sulla realizzazione di determinati progetti ma prevalentemente orientato a lasciar godere del piacere di stare insieme, di condividere l’intensità del momento, di prendere il mondo per quello che è.18

Quello che stiamo vivendo oggi sembra dunque un processo di slittamento da un individuo dotato di un’identità stabile che esercita le sue funzioni sulla base di rapporti contrattuali ben definiti, a una persona fornita di molteplici possibili identificazioni, in grado di ricoprire indifferentemente svariati ruoli all’interno di “tribù affettivo-emotive”. Le identificazioni multiple trovano uno straordinario alleato tecno-culturale nell’ambito delle nuove tecnologie della comunicazione, in particolare nella possibilità fornita da internet e dai videogiochi di potersi creare una serie indefinita di personalità e di poterle interpretare in una condizione di coinvolgimento vieppiù crescente. L’uomo emozionale si presenta dunque come un essere dall’identità relativamente immatura, abitante di un mondo che confusamente promuove un infantilismo di fondo. 

Consumismo, infantilizzazione e reincanto tecnologico vanno a braccetto con un ulteriore polo che caratterizza la nostra epoca: l’invasione di un atteggiamento ludico nei confronti della realtà.19

Sulle spalle dell’individuo occidentale incombeva, circa un secolo fa, una patologia psichica definita clinicamente nevrosi. Oggi incombe la depressione. Se la nevrosi va considerata un “dramma della colpa”, la depressione è una “tragedia dell’insufficienza”. La conquista della definitiva emancipazione dell’individuo finalmente sovrano, il diritto di scegliere, il dovere di diventare se stessi, senza poter fare appello ad alcun ordine esterno, avrebbe imposto un pesante tributo, rappresentato appunto in una forma alternativa di dipendenza: la dipendenza da se stessi.20

Le peculiarità socio-psicologiche che caratterizzano l’attuale fase del processo di individualizzazione, sarebbero legate fondamentalmente alla paralisi dettata da una sorta di terrore: quello che l’uomo contemporaneo ha di scoprire in se stesso i motivi della sua dipendenza, la sua fragilità, la sua inevitabile mortalità, in breve tutto ciò che gli ricorda la sgradevole verità dei suoi limiti. Egli soffre della “malattia di non saper soffrire”.21

L’epoca che stiamo vivendo si caratterizza per una inondazione globale di immagini, che produce un paradossale effetto di accecamento e persino un ottundimento della coscienza. Se, da una parte, l’eccedenza accecante di immagini finisce per annullarne i significati, dall’altra, l’ipervisibilità diventa un autovalore o, addirittura, attiva un meccanismo di godimento. È attraverso questo meccanismo che può generarsi la produzione di un nuovo tipo di soggettività, in quanto le nuove tecnologie non operano soltanto a livello di dispositivo simbolico – tramite una manipolazione dei segni e delle rappresentazioni mentali – ma anche a livello dei dispositivi materiali: producendo effetti di risignificazione esperenziale delle dimensioni del tempo, dello spazio e del corpo. I sistemi multimediali, dunque, lontano dall’essere banali “mezzi di” – comunicazione, calcolo, diffusione di contenuti, ecc. – sono attivi generatori di “materializzazioni”, di “rifigurazioni mentali”. Le tecnologie multimediali sono, dunque, performative; ossia hanno la capacità non solo di formare discorsivamente il soggetto ma anche di produrre effetti materiali sul corpo.22

Un ulteriore aspetto che andrebbe indagato a fondo è la solitudine e l’isolamento di chi è iperconnesso. Ricordando la teoria degli usi e delle gratificazioni e riproponendo l’ordine dei bisogni sociali individuato nella piramide di Abraham Maslow, si può affermare che i social appagano:

  • Il bisogno di sicurezza, ossia il desiderio di protezione e tranquillità. All’interno della rete dei contatti non ci sono persone ostili e, se ci sono, vengono agevolmente “rimossi”.
  • Il bisogno associativo, vale a dire l’esigenza di sentirsi parte di un gruppo, di essere apprezzati, amati e di interagire e collaborare con altri.
  • Il bisogno di autostima, ovvero la necessità continua di sentirsi tenuti in considerazione.
  • Il bisogno di autorealizzazione, ovvero l’esigenza di sviluppare ed esternare la propria personalità, realizzare le proprie aspettative e raggiungere una posizione gratificante e pregevole all’interno del gruppo sociale. 

Tutti questi sono sì bisogni eterogenei che i social network soddisfano, ma paradossalmente sono anche necessità che vengono accresciute in maniera esponenziale proprio dagli stessi social. Ed è proprio questo il motivo per cui Bauman definiva confessionale la società odierna, nella quale tutti sembrano non avvertire più la gioia di custodire un segreto. 

Con i social network sembra realizzarsi quella particolare forma di sociazione che, per Simmel, è rappresentata dalla socievolezza. Una singolare modalità d’interazione nell’ambito della quale il processo di associazione integra un valore in sé: una relazione sviluppata nella modalità del gioco, che si contraddistingue per l’assenza di tutte quelle tensioni che, invece, sono proprie dei rapporti e dei vincoli politici, economici e giuridici. Contrariamente alle finalità per le quali sono stati pensati, i social stanno diventando sempre più autoreferenziali, determinando lo sviluppo di vere e proprie comunità personalizzate e io-centriche, modellate sui gusti e sulle preferenze dell’individuo.  Entro questa cornice, si inseriscono quello che può essere considerato il paradosso dei social network, ovvero l’emergere di forme di isolamento sociale – di eremiti di massa – e la conseguente diffusione di forme di rifiuto della vita reale. Al fascino del mondo virtuale fa da contrappeso tutta una serie di criticità, che vanno dagli atteggiamenti scorretti e/o disfunzionali sino ai cosiddetti cyber crimes. Comportamenti lesivi che, non di rado, si annidano tra le pieghe dei social e che, per certi versi, sono incentivati dalla struttura e dalle caratteristiche proprie dei network. La virtualità, sommata alla semplicità di accesso e di utilizzo, fa sì che i social vengano percepiti alla stregua di ambienti prettamente ludici e privi di conseguenze. Per un verso, si crede che il virtuale si contrapponga al reale e che tutto ciò che accade online (in quanto appunto non-reale) non possa determinare né ricadute sociali né, men che meno, conseguenze e/o sanzioni di tipo giuridico. Per un altro verso poi, si pensa che in Rete ( e, dunque, anche sui social) regni l’anonimato più assoluto.23

Le tipologie di truffa online sono varie. E molte fanno leva sulla voglia della vittima di guadagnare soldi. Alcuni tipi si basano su schemi piramidali dove la leva è il desiderio della vittima di ottenere soldi facili e quindi la si induce a investire in cryptomonete. In altre situazioni, dopo aver instaurato una relazione di tipo romantico, si chiede un prestito che non verrà mai restituito. 

Da sempre le frodi sono figlie dell’avidità e, senza cadere in depressione, i truffati dovrebbero comunque prendersela in primis con sé stessi. Cedere alle lusinghe dei guadagni facili e cadere nel vortice del trading online è un attimo. Per operare in crypto o sui mercati finanziari non è possibile improvvisarsi.24

Ragionamento parallelo vale per le romance scam. Uno scarso contatto con il reale, un’elevata tendenza ad avere credenze romantiche e un’elevata tendenza all’idealizzazione delle relazioni predicono un più alto rischio di essere vittime. Mentre altri fattori psicologici non hanno un effetto significativo (tendenza alla solitudine, estroversione, amabilità, nevroticismo e sensation seeking).25

Quando l’uomo diventa consapevole che in qualsiasi momento può servirsi della ragione e delle proprie capacità calcolatorie per conoscere le condizioni del proprio agire pratico e quindi orientarlo, allora il mondo si rivela privo di un senso proprio ma diventa anche facilmente dominabile.26

Il reincanto tecnologico è la versione newmediale di quel più vasto fenomeno socioculturale che da qualche anno viene indagato e definito come reincanto o reincantamento. Riprendendo la formulazione weberiana di Disincanto, le riflessioni sul reincanto (non necessariamente tecnologico) hanno messo finora in risalto soprattutto il ritorno all’arcaico, la dimensione nostalgica di una visione “infantile” che si apre verso il mondo dei sogni collettivi, dei miti, delle grandi configurazioni dell’immaginario: idoli, archetipi, icone depositate in un altrove psicologico e sociale che oggi riaffiorano, filtrate da quel neo-tribalismo che guarda con sospetto le grandi narrazioni razionali che hanno dominato durante tutto il corso del Novecento. Una b-side o dark-side culturale che a volte rischia di giustificare sotto argomentazioni postmoderniste i più spericolati eccessi di ciò che resta dei media di massa.27

Forse più di quanto non faccia il sapere razionale scientifico, che si fonda su procedure esplicite e quindi costantemente verificabili e rinegoziabili, l’immaginario svolge un ruolo di legante profondo, spesso inconscio: un deposito di modelli di comportamento, un luogo di mediazione dei conflitti di mentalità, un terreno dove si confrontano configurazioni mentali, desideri, paure che agiscono sulle scelte di vita. 

Strettamente legata all’idea di una presenza profonda è l’immagine della rete, infrastruttura sottostante che garantisce la connessione fra tutti gli aspetti del sistema (big/open data, interoperabilità, standardizzazione di formati e protocolli, etc.), Ma l’impronta figurale della rete ha riportato allo scoperto anche un antichissimo archetipo dell’immaginario narrativo e iconico: il labirinto. Tema che risale al mito di Teseo e del Minotauro e che ben rappresenta una condizione percettiva ed epistemologica (ma anche psicologica) di perdita della linearità, della sequenzialità direzionale, a favore di una continua molteplicità di scelte possibili. Il digitale non è solo una tecnologia ma anche e soprattutto un linguaggio e una logica, in grado di dar vita anche alla rappresentazione dei bisogni emozionali, della sensibilità, dei desideri, della dimensione onirica.28

Evidente appare il carattere onnivoro e onnicomprensivo del digitale che da una parte è diventato ormai il gestore di tutta la dimensione organizzativa e produttiva di aziende, amministrazioni , istituzioni scientifiche: in una parola il gestore del razionale; ma d’altra parte – e con gli stessi strumenti e linguaggi – può dar corpo alla dimensione estetica e fantastica, ed essere il gestore dell’immaginario.29 I soggetti sono oggi chiamati a ricostruire, nell’ambito di un dialogo sempre aperto con altri soggetti e altre tecnologie, il significato complessivo del processo comunicativo. Se in apparenza potrebbe trattarsi di strumenti intuitivi, potenzialmente per “tutti”, allo stesso tempo, per la implicita conoscenza informatica che richiedono, è necessario mettere gli individui nelle condizioni di agire consapevolmente nel mondo simulato.30


1J. Tower, Jason Tower on the Dangerous Proliferation of Scam Compounds in Southeast Asia, United States Institute of Peace, 13 maggio 2024.

2L. Gabriele, 12,7 milioni di Italiani vittime di truffe on line. Arriva il reato, consumerismo, 13 maggio 2024.

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4Online scam operations and trafficking into forced criminality in southeast asia: Recommendations for a human rights response, United Nations Human Rights – Office of the High Commission, 2023.

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8Policy report: Casinos, cyber fraud, and trafficking in person for forced criminality in Southeast Asia, UNODC – United Nations Office on Drugs and Crime, September 2023.

9Online scam operations and trafficking into forced criminality in southeast asia: Recommendations for a human rights response, United Nations Human Rights – Office of the High Commission, 2023.

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11M. Agnoletti, Le truffe romantiche o sentimentali (romance scam) online come fenomeno psicosociale persuasivo, in State of Mind di inTHERAPY, 29 novembre 2019.

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28G. Lughi, Il ruolo dell’immaginario nella cultura digitale, Culture Digitali, n° 9 maggio-settembre 2023.

29G. Lughi, op.cit.

30V. Neri, Nuove tecnologie per la comunicazione del patrimonio culturale. Per un’etica tecno-mediale, in V. Neri (a cura di), Nuove tecnologie, immagini e orizzonti di senso. Prospettive interdisciplinari contemporanee, Pisa University Press, Pisa, 2017.


Articolo pubblicato su Satisfction.eu


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Neuromarketing e potere subipnotico dell’era digitale. “Il cervello aumentato l’uomo diminuito” di Miguel Benasayag (Erickson, 2016)

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Rivoluzione digitale: cultura come bene globale o rifeudalizzazione dei saperi?

10 giovedì Apr 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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La digitalizzazione ha cambiato il nostro modo di comunicare, ma anche di recepire le informazioni, e dunque di trasmettere la conoscenza. Questa pervasività riguarda sempre più da vicino il mondo della cultura, inteso nell’accezione più ampia del termine e nella duplice dimensione di materialità e immaterialità. La rivoluzione digitale è stata un vero e proprio cambio di paradigma. 

Il cuore del sistema oggi è la rete ma è il concetto stesso di cultura a essere molto diverso. La sua trasformazione è iniziata già a partire dal secondo dopoguerra, allorquando andava a inglobare attività umane sino ad allora ritenute non legittimate a far parte della famiglia dell’arte in senso tradizionale. Ma la rivoluzione digitale sta trasformando la cultura in un bene globale oppure stiamo inconsciamente assistendo a una rifeudalizzazione dei saperi?

Per i filosofi greci la cultura consiste nella paidéia, termine che fa esplicito riferimento all’apprendimento delle belle arti, come la poesia, la filosofia, la retorica. Tramite lo studio di queste ultime, l’uomo acquisisce la conoscenza di sé e del mondo, e allo stesso tempo viene guidato nella ricerca della verità.  Per i classici, la cultura è un valore, un obiettivo che l’individuo deve raggiungere: non riflette quindi uno stato di cose, quanto piuttosto un ideale da conquistare, uno stato da realizzare, un progetto, una tensione verso qualcosa di migliore. 

I latini, successivamente, sintetizzano il concetto di cultura in un altro termine, humanitas, intendendo con esso una formazione dell’uomo che sia la più complessa possibile, da cui però vengono escluse tutte le forme di attività utilitaristica, tra cui il lavoro manuale o l’applicazione delle arti. Il termine humanitas ha quindi un’accezione più estesa rispetto al passato, dato che in senso metaforico essa racchiude in sé aspetti come la coltivazione dello spirito. Cicerone, nelle Disputationes Tusculanae (45 a.C.), parla ad esempio di una cultura animi, nel senso di una cultura sinonimo di crescita e di affinamento interiori, che produce un cambiamento radicale tale da trasformare la persona. Ciò significa che chi si accultura riesce a separarsi dalla “massa”. Si vengono così a formare élites di dotti che posseggono conoscenze precluse ai più. 

Similmente, il Medioevo accetta il carattere elitario della cultura e affida alla filosofia il compito di far comprendere all’uomo il mondo soprasensibile. In questo periodo il termine cultura si caratterizza in maniera ancora più estesa arrivando a comprendere anche lo studio delle lingue, dell’arte, delle lettere e delle scienze. 

L’Illuminismo delinea l’evoluzione umana nei termini di progresso, dove il più alto gradino della scala culturale è occupato dalla società che aveva raggiunto un alto livello di civilizzazione. Arnold vede la cultura come «il meglio che sia stato pensato e detto ovunque nel mondo contemporaneo».

Questa nozione di cultura come affinamento dello spirito e delle conoscenze, prerogativa delle classi dirigenti, e la sua connotazione come fattore di distinzione (e/o discriminazione) sociale, rimangono immutate fino a quando entra in crisi l’immagine del mondo classico come età dell’oro e in quanto civiltà depositaria della perfezione.

A partire dalla fine dell’Ottocento, si passa da una concezione della cultura umanistico-classsico a una concezione di tipo socio-antropologico. Herder afferma che ogni nazione ha la sua cultura «egualmente meritevole».  La cultura ora non si riferisce più unicamente a un ideale di realizzazione, formazione del singolo individuo, ma si arriva a concepirla secondo un aspetto più multiforme che riguarda l’intera società; la cultura diventa qualcosa che gli individui acquisiscono in quanto membri di una società, socialmente.

Nei decenni successivi al secondo dopoguerra, le società occidentali hanno una rivoluzione dei consumi che ha contribuito non poco a modificare contenuti e forme dell’informazione culturale. L’aumento del benessere e del tempo libero nonché lo sviluppo macroscopico dell’industria dell’intrattenimento hanno cambiato radicalmente le abitudini di vita delle persone. Sono cresciute moltissimo domanda e offerta di prodotti culturali che riguardano la sfera “estetica” o del tempo libero degli individui. 

Ecco allora che la cultura sembra diventare la bussola di orientamento di una intera società preda dell’entusiasmo. 

Già Durkheim aveva parlato della funzione orientativa dell’agire sociale posto in essere dalla cultura. Egli conferisce alla cultura importanza soprattutto nei momenti in cui entra in crisi un determinato sistema culturale. Poiché ciclicamente le situazioni sociali sono soggette a mutamento e poste in discussione, si renderebbe necessario un continuo aggiustamento delle forme culturali ai bisogni che la società esprime di volta in volta; la cultura in simili circostanze orienta invece l’agire sociale poiché rappresenta «qualcosa di sempre già dato che si impone agli individui».

Simmel, al pari di Weber, sottolinea invece la dimensione creativa di idee e cultura, che non possono essere considerate mero riflesso delle condizioni sociali. La cultura inoltre non è solo consuetudine, ossia abitudini trasmesse da una generazione all’altra in maniera passiva, ma anche innovazione e in questo giocano un ruolo attivo proprio le idee. 

Burnett definisce la cultura o civiltà «intesa nel suo ampio senso etnografico, come quell’insieme complesso che include la conoscenza, la credenza, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società». Uno dei tratti innovativi di questa definizione è l’allargamento dell’etichetta culturale a dimensioni che non sono propriamente intellettuali.

A differenza della tradizione umanistica, che poneva l’accento sull’esclusività aristocratica della cultura, Tylor riconosce che ogni soggetto ha libero accesso alla cultura e ciò è possibile perché ogni individuo è membro di una società. La connessione tra cultura e società diviene così imprescindibile: non vi è apprendimento della cultura senza un’azione socializzatrice, e allo stesso tempo non c’è cultura senza l’appartenenza a una società. Ma questo può esser veritiero per le società piccole, omogenee, isolate. 

La società attuale è continuamente oggetto di trasformazioni e cambiamenti che ne mutano la fisionomia. Le tessere del mosaico culturale non sono più separate fra loro, anzi si mescolano fino a comporre nuovi puzzle culturali. All’interno di un singolo Stato non troviamo unità di religione, lingua, consuetudini, ma una amalgama disomogenea composta dalla sommatoria delle diverse fotografie culturali. 

Si assiste quindi a una sorta di “globalizzazione culturale” che riflette quella economica, la medesima che, per Screpanti, sta dando origine a una forma di imperialismo fondamentalmente diverso da quello affermatosi nell’Ottocento e nel Novecento. La novità più importante consiste nel fatto che le grandi imprese capitalistiche, diventando multinazionali, hanno rotto l’involucro spaziale entro cui si muovevano e di cui si servivano nell’epoca dei grandi imperi coloniali. Oggi il capitale si accumula su un mercato che è mondiale. Perciò ha un interesse predominante l’abbattimento di ogni barriera, di ogni remora, di ogni condizionamento politico che gli stati possono porre ai suoi movimenti. Un’ulteriore novità è che nell’impero delle multinazionali cambia la natura della relazione tra stato e capitale. Sta venendo meno quel rapporto simbiotico basato sulla convergenza dell’interesse statale alla costruzione della potenza politica e dell’interesse capitalistico alla creazione di un mercato imperiale protetto. Oggi il grande capitale si pone al di sopra dello stato nazionale, nei confronti del quale tende ad assumere una relazione strumentale e conflittuale. 

All’interno di questo sistema di “costruzione e conquista” del mercato globale non può non aver un ruolo determinante la cultura, in particolare nell’accezione di significato a essa attribuita da Grossberg.

Parafrasando Marx, se le persone fanno la storia ma in condizioni che non dipendono da loro, i cultural studies esplorano il modo in cui ciò avviene entro e attraverso le pratiche culturali, e il posto di queste ultime entro specifiche formazioni storiche. La cultura, da questo punto di vista, è il luogo dove si produce e si lotta per il potere; non un potere necessariamente inteso come dominio, quanto piuttosto come un rapporto sbilanciato di forze che tendono al controllo di determinate fasce di popolazione. 

Metabolizzare il ruolo dominante della cultura per la sopravvivenza sociale di un popolo aiuta a meglio comprendere anche gli attacchi perpetrati al suo patrimonio.

La cultura riveste una notevole importanza per ogni gruppo umano, etnia o nazione. L’espressione genocidio culturale indica proprio quei fenomeni di annichilimento della cultura che diventano lo strumento con cui distruggere un gruppo umano. Esso è attuato senza attacchi diretti, fisici o biologici, alle persone. Il patrimonio culturale è la parte visibile della cultura e il suo valore risiede nel significato. La cultura è simbolica e rappresenta cose intangibili. Il patrimonio culturale, pertanto, è costituito dal valore che i beni cultuali e del paesaggio assumono in seno alla società e alla comunità cui appartengono. Essi riflettono l’identità di una comunità. Il patrimonio culturale può essere identificato come espressione di quella identità culturale propria di un popolo. Esso diviene la stessa rappresentazione di un popolo, del modo di agire, dell’interiorità composta da affetti, della concezione etica ed estetica e, più in generale, manifesta l’essere di tale comunità e degli individui che sono e si sentono parte della medesima. 

Nei primi anni Settanta, Abruzzese parlava dei principali cambiamenti che cominciavano a intravedersi nella cultura delle società avanzate. In quell’epoca pre-digitale, l’immaginario sociale era fortemente dominato dal linguaggio cinematografico, ma Abruzzese indicava che si era avviata una fase sociale di superamento del modello della società dello spettacolo. Affermava infatti che «la tecnologia dell’informazione distrugge finalmente ogni vecchio discorso sull’immagine spettacolare».

Ancora agli inizia degli anni Sessanta del Novecento la cultura di massa veniva socialmente considerata un fenomeno di scarsa rilevanza rispetto alla cultura tradizionale, cioè alla letteratura, al teatro oppure alla filosofia. D’altronde, la sua immagine era notevolmente influenzata da quella posizione radicalmente critica che era stata adottata nei suoi confronti, a partire dagli anni Quaranta, dagli autori della Scuola di Francoforte. In particolare Horkheimer e Adorno i quali hanno esplicitamente accusato la produzione culturale di adottare un modello tipicamente industriale basato sull’omogeneizzazione e sulla standardizzazione. 

Assolutamente degna di critica era invece per Eco la cultura di massa, tale perché doveva essere considerata con il massimo rispetto e interesse. Negli anni Sessanta non erano in tanti a pensarla così. Pochissimi intellettuali, tra i quali Morin, che riteneva necessario adottare una visione dialettica del rapporto esistente tra il sistema di produzione culturale e i bisogni degli individui, poiché la produzione ha la necessità vitale di sfruttare l’esistenza di una relazione costante tra la ripetizione e l’innovazione, la standardizzazione e la creatività. Ciò fondamentalmente avviene perché le industrie culturali non possono fare a meno di mantenere vive delle aree d’innovazione e creatività dalle quali attingere di volta in volta idee e talenti per le loro attività commerciali. Hanno costantemente bisogno di nuove energie da riversare all’interno dei loro prodotti. 

Dagli anni Sessanta a oggi, è trascorso un periodo piuttosto lungo nel quale si è presentato il rilevante fenomeno della diffusione delle tecnologie digitali, che hanno profondamente cambiato la condizione di vita delle persone. 

La digitalizzazione sta influendo sul mondo reale, come già fatto in passato dal cinema. Si assiste all’indebolimento della capacità di elaborare spiegazioni, ragionamenti razionali e concetti astratti, con la successione di immagini che vanno a sostituirsi progressivamente alle parole e alle frasi che, invece, richiedono impegno e attenzione. Il “capitalismo digitale” semplifica, facilità e rende comodo l’uso di prodotti e servizi che, però, sono volti alla creazione di posizioni monopolistiche che mirano a carpire l’attenzione degli utenti, tramite i loro stessi dati, per indurli sempre più a rimanere sulle piattaforme e acquistare tramite le pubblicità mirate in esse inserite. Codeluppi sottolinea i problemi legati al sovraccarico informativo, alla produzione e all’elaborazione dei dati attraverso algoritmi con attenzione al comportamento online delle persone, appiattimento e superficialità di contenuti e relazioni, con omologazione dei gusti e di quello che viene considerato di successo. A conclusioni differenti erano giunti invece Lash e Lury nel 2007. 

Affrontando l’analisi della cultura di massa contemporanea con una prospettiva di tipo globale e dinamico, il loro studio ha confermato che i beni culturali, più che essere interessati da quel processo di omogeneizzazione evidenziato in passato anche da Horkheimer e Adorno, tendono a produrre delle forme di differenziazione che sono particolarmente intense. 

Una frammentazione tale da portare l’universo culturale verso quel “culto del banale” di cui si è interessato Jost, evidenziato anche dal filosofo americano Danto: il forte orientamento dell’arte del ventesimo secolo verso il tentativo di trasfigurare il banale in un’opera d’arte. Anche nel mondo dei media si è sviluppato qualcosa del genere, basti pensare al grande successo dei reality show. Da “finestra sul mondo” la televisione si è così trasformata in una finestra sullo spazio intimo di vita delle persone. Poi è iniziato il periodo, tutt’ora in corso, dei social network. 

Evidentemente, ci troviamo di fronte a un fenomeno che non è più un processo di trasmissione di messaggi dotati di un contenuto, ma una pura forma di circolazione. Cioè una connessione costante basata su un flusso ininterrotto di contenuti irrilevanti e finalizzati solamente a ottenere questo risultato. 

Guardando al passato, si può suddividere la cultura in diverse fasi: la cultura dell’oralità, la cultura della scrittura e della stampa, la cultura dei mass media, la cultura digitale. Ognuna di queste grandi stagioni culturali ha sviluppato il proprio immaginario, in stretta relazione con le concrete potenzialità offerte dal relativo contesto di comunicazione. L’età dell’oralità si basava soprattutto sul racconto del mito il quale rimane centrale anche nell’età della scrittura manuale, condensandosi però in opere più strutturate. Durante l’età della stampa compare un fattore destinato a diventare sempre più rilevante: la diversificazione della tradizione culturale. Un fenomeno, quello della frantumazione culturale, che diventa macroscopico con l’età dei mass media. La cultura digitale poi porta all’estremo la diversificazione delle voci e dei soggetti di produzione culturale. Dal punto di vista dell’immaginario, la cultura digitale presenta un duplice aspetto: da una parte vi è l’immaginario digitale “derivato”, ovvero quello ripreso dal patrimonio culturale del passato grazie a processi sempre più avanzati di digitalizzazione di musei, biblioteche, foto- e cinte-teche, archivi musicali, raccolte di documenti; dall’altra c’è l’immaginario digitale “originale”, quello generato dalle potenzialità tecnologiche specifiche dei linguaggi digitali, che hanno creato configurazioni mentali e culturali impossibili da realizzare – e anche solo da pensare – nel mondo analogico. 

La diversificazione delle fonti e la grande flessibilità degli strumenti digitali hanno dato luogo alla remix culture: la ripresa di elementi dell’immaginario tradizionale che vengono reinterpretati e rielaborati per costruire nuovi prodotti. Una modalità tipica dei videogiochi, i quali spesso incorporano elementi della mitologia, del folklore, della cinematografia e della letteratura, adattandoli ad ambienti digitali interattivi. A rappresentare questo nuovo assetto culturale sembra esserci una profonda ibridazione di linguaggi, generi, contenuti, tuttavia va rilevata la persistenza – proprio nel digitale – di alcuni ben determinati generi e stili novecenteschi. Una persistenza che sembra quasi voler mantenere un legame tra i media analogici del secolo scorso e l’età digitale, così da costituire una sorta di “classicità del contemporaneo”. 

Basti pensare alla fantascienza e al profondo impatto che ha avuto sulla cultura digitale. Molti progressi tecnologici e concetti rappresentati nella letteratura e nei film di fantascienza sono serviti da ispirazione per i nuovi scenari del mondo digitale. Opere come 1984 di Orwell, Neuromancer di Gibson e i film Blade Runner e Matrix, diretti rispettivamente da Scott e Wachowski, hanno influenzato sia lo sviluppo di narrazioni distopiche, sia l’estetica cyberpunk, sia gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale e delle tecnologie futuribili, evidenziando anche le problematiche legate alla stessa intelligenza artificiale, alle riflessioni filosofiche e psicologiche sulle realtà virtuali, sul potere degli hacker, sulla fusione di corpi umani con la tecnologia. 

Una delle questioni più discusse, lungo l’intera storia della ricerca sui media, è il rapporto tra la quantità dei contenuti in circolazione e la loro qualità. Da un lato, infatti, la rete rende disponibile al consumo una quantità di immagini, contenuti e informazioni enormemente maggiore rispetto al passato; e dall’altro, soprattutto, la comunicazione a due vie propria del Web abbassa anche le soglie di accesso alla produzione, rendendo possibile, per la prima volta in termini tanto ampi, una partecipazione diffusa alla scrittura e alla pubblicazione dei contenuti. L’innovazione fondamentale della rete va ricercata proprio nella pratica mash-up o remix, ovvero nella produzione e/o nel riuso attivo dei materiali che può tradursi in mille forme, come il ritocco delle fotografie digitali, il montaggio video su YouTube, la scrittura e la revisione di testi su Wikipedia e via discorrendo. 

Mentre Lessig considerava le pratiche mash-up emblematiche di una nuova sensibilità culturale, per Lanier il Web attuale non concede più spazio alcuno alla produzione originale, ma costringe gli utenti a operare all’interno di parametri di composizione particolarmente rigidi, limitandone la creatività e imponendo pratiche di riscrittura continua degli stessi contenuti. 

Le applicazioni diffuse sul Web non fanno altro che nascondere le reali potenzialità del computer, così che l’utente è costretto a rispettare le regole dettate dalla combinazione dei diversi software, anziché piegare la macchina ai propri scopi. La condizione definita da Lanier loch-in: l’utente è imprigionato in una struttura di senso rigida e chiusa, imposta dai software, e vincolato al rispetto di regole di esecuzione che paradossalmente limitano le possibilità stesse dell’hardware a disposizione.  Le pratiche di remix dei contenuti sono viste in una prospettiva critica perché contrapposte all’unico vero esercizio di creatività, che è il controllo dei codici di programmazione che consentono di modificare concretamente la struttura di rete. 

Ancora più radicale è stata la critica di Keen,  per l’immissione in circolo di elementi culturali rozzi, reportage informativi poco curati, notizie non verificate e tentativi artistici velleitari. Questa sorta di rivolta dei dilettanti contro i professionisti della cultura ha ispirato una pericolosa tendenza di pensiero, avversa allo specialismo e fautrice di un’equivoca democrazia dell’eccesso. 

La produzione amatoriale ha avuto però anche il merito di aver fatto emergere la cultura del quotidiano, quel sottofondo di attività che le persone hanno sempre svolto nel corso del tempo – gli hobby, i giochi e l’artigianato, il riuso spontaneo delle forme culturali, i modi del folk – e che attraverso il Web guadagnano oggi una visibilità inedita. In questo senso, il remix digitale non va valutato come atto artistico, soggetto di conseguenza a giudizi estetici e di valore, ma come fenomeno di massa puro e semplice, che affonda le sue radici nel vuoto del tempo libero e nelle pratiche di imitazione e di bricolage che lo hanno storicamente riempito. 

Eppure, nella critica di Carr, questa enorme quantità di stimoli messa in circolo dalla rete rende impossibile la concentrazione, e produce una forma mentale meno capace di esercitare ragionamenti in profondità.

Il cervello umano viene di continuo equiparato a una Macchina di Turing, capace di elaborare una quantità enorme di dati e di “trarre conclusioni” a partire dall’utilizzazione degli algoritmi e del programma incorporato. Ma il cervello umano è altro. Innanzitutto questo è legato e strutturato al corpo che lo contiene e la deterritorializzazione imposta dalla digitalizzazione sta creando una vera e propria distanza fra l’uomo e il mondo, e fra l’uomo e sé stesso.

Stiamo assistendo a una frammentazione eccessiva, a una deterritorializzazione selvaggia e a una rifeudalizzazione del sapere oppure stiamo semplicemente valutando la cultura emergente con parametri vecchi?

In quest’ottica, quello che il Web sta facendo non è aumentare la quantità di informazione ma mostrare, in modo definitivo e più onesto, il fatto che il mondo è sempre stato too big to know, troppo grande per essere conosciuto. 

Prima si filtra e poi si pubblica, era la regola dell’industria culturale moderna; nella rete, all’opposto, prima si pubblica e poi si filtra. Per cui questo surplus cognitivo risulterebbe essere tipico di tutte le fasi in cui l’innovazione cambia i metodi di produzione, abbatte i costi e sommerge il mercato con una quantità ingovernabile di contenuti.


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D. Weinberger, Too Big to Know, Basic Book, New York, 2011.

C. Shirky, Cognitive Surplus. Creativity and Generosity in a Connected Age, Penguin, New York, 2010.

Articolo pubblicato su Satisfiction.eu


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Editoria al femminile e femminilità in letteratura

06 giovedì Mar 2025

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, cultura, editoria, editoriaalfemminile, femminilitàinletteratura, letteratura

Il trend occupazionale femminile nel settore dell’editoria è in continua crescita. Ci sono donne che hanno fatto la storia dell’editoria italiana e altre che questa storia la stanno facendo. La loro non è solo la voce della femminilità in letteratura ma, soprattutto, dell’editoria al femminile.

Si può individuare negli anni Settanta una vera e propria svolta culturale, un momento a partire dal quale alle rivendicazioni politiche e civili si affiancarono una presa di coscienza del valore del lavoro e della riflessione intellettuale e la richiesta e la conquista, seppur parziale, di una centralità su questo piano da parte delle donne. È allora che irrompe sulla scena un folto numero di donne impiegate a vario titolo nel settore dell’editoria libraria e periodica, mentre cambia l’ottica con cui si guarda alla funzione della lettura e della scrittura. A quel punto, la necessità e l’urgenza della conoscenza e del riconoscimento del lavoro creativo delle donne inaugura una stagione di scoperte e riscoperte letterarie e saggistiche, di valorizzazione e/o risignificazione dell’autorialità femminile, e di un inedito protagonismo delle intellettuali. Inge Feltrinelli, al riguardo, parlava di esplosione di energie da anni soffocate, e di porte chiuse che ora le donne hanno finalmente forzato (I. Schoenthal Feltrinelli, Energie esplose, in La Stampa-Tuttolibri, 3 settembre 1977). 

Numerose imprese “generaliste”, sia case editrici librarie – da Feltrinelli a Einaudi, da Editori Riuniti a Bompiani, da Savelli a Guaraldi – sia testate giornalistiche – dalla Stampa al Corriere della Sera, dall’Unità al Manifesto – sono fondamentali per promuovere le opere delle scrittrici, per riproporre le cosiddette “madri” della letteratura femminile, per tradurre e diffondere quelli che sarebbero diventati i classici del pensiero femminista.

Intanto alcune autrici raggiungono traguardi di tirature, al di fuori dei consueti recinti del romanzo sentimentale, e una notorietà eccezionali, come Elsa Morante con La Storia, Camilla Cederna con le sue inchieste, Oriana Fallaci con i suoi reportage e le opere autobiografiche (E. Rasy, La lingua della nutrice. Percorsi e tracce dell’espressione femminile con una introduzione di Julia Kristeva, Edizioni delle donne, Roma,1978).

Se alcune sigle preferiscono rimanere fedeli a un lavoro “interno” e a una scelta categoricamente separatista – come gli Scritti di Rivolta femminile – altre – come le Edizioni delle donne, Dalla parte delle bambine, a ancor di più La Tartaruga edizioni – in dialogo e in sintonia con affini esperienze internazionali, finiscono per stabilire una connessione tra discorso femminista e discorso culturale tout court, oltre che tra progetto culturale e mercato, e dunque per costituire un altro forte impulso alla valorizzazione della saggistica e della letteratura delle donne. 

Gli anni Settanta sono costellati anche di “non femministe” che si guadagnano la ribalta del discorso pubblico e della vita culturale. Natalia Ginzburg è una di queste. La sua figura è emblematica sotto molti aspetti: per la sua condizione di marginalità nella compagine tutta al maschile della Einaudi, nonostante l’autorevolezza del suo contributo, oltre che il talento di “scopritrice” di scrittori e scrittrici di valore; per la perentorietà della sua voce dalle tribune di stampa, radio e televisione; per la sua complessa, a tratti contraddittoria, posizione sulla questione femminista. Per molte di queste donne in editoria la conquista di una mansione significa la conquista di uno spazio creativo e di una visibilità anche in campi editoriali da sempre dominati da firme maschili, come il fumetto: è il caso di Grazia Nidasio, protagonista di un suo radicale rinnovamento stilistico e tematico oltre che in prima linea nella fondazione dell’Associazione Illustratori e del Sindacato dei lavoratori del fumetto (R. Cesana, I. Piazzoni, (a cura di) Libri e rose: le donne nell’editoria italiana degli anni Settanta, Milano University Press, Milano, 2024).

Quando si pensa all’editoria al femminile in Italia oltre a Inge Feltrinelli si pensa subito a Elvira Sellerio ed Emilia Lodigiani. Più di recente a Marina Berlusconi ed Elisabetta Sgarbi. Ma esiste tutto un universo di piccole e medie realtà editoriali che quotidianamente lavorano per crescere ma, soprattutto, per portare avanti idee e ideali. Una costellazione di “punti fermi” editoriali i quali, a volte, per non perdersi si uniscono creando reti, collaborazioni, associazioni, cooperative. 

R-esistenze è un progetto corale di nove case editrici: 8tto edizioni, Astarte Edizioni, Asterisco edizioni, Capovolte, Edizioni Le As-sassine, Le Commari edizioni, le plurali editrice, Oso Melero Edizioni e Settenove. Un progetto nato dall’idea di mettersi in rete per valorizzare percorsi condivisi, per evidenziare la presenza come imprenditrici nel mondo culturale. Alla costituzione sono state previste due fasi: la prima, svoltasi tra settembre e novembre 2024, la seconda che si svolgerà tra marzo e maggio 2025. Partendo dal tema dell’identità, tutte le case editrici aderenti hanno proposto e proporranno un titolo del proprio catalogo, per esplorarlo da diversi punti di vista, con diverse modalità di scrittura, narrazione, sguardi e possibilità. 

L’identità non è un dato innato e statico, ma qualcosa sempre in divenire, fatto di processi cognitivi e affettivi allo stesso tempo. È il modo in cui l’individuo considera e costruisce se stesso come membro di una comunità. 

Trovare la propria identità, a volte, significa rifiutare il concetto stesso di identità, attuando una serrata critica anti-identitaria. È il caso di Judith Butler, eclettica intellettuale americana per la quale fare filosofia significa farlo in modo civilmente e politicamente impegnato. A lei si deve la teoria della “performatività del genere”, secondo la quale il genere che “marchia i corpi” diviene tale solo grazie alle ripetizione continua, quasi rituale, di atti che finiscono per ingenerare una conformità di comportamento. In altre parole, non si nasce “donne” o “uomini” ma lo si diventa, a seconda delle pressioni che il contesto sociale esercita su ciascuno di noi e delle norme alle quali ciascuno di noi deve adeguarsi (M.G. Bernardini, Judith Butler, Carocci, Roma, 2025). 

La differenziazione sessuale da sempre è stata un fondamentale criterio di organizzazione dello spazio e delle relazioni fra gli esseri umani. La prospettiva del genere è frequente negli studi sulla condizione delle donne, negli studi cioè dove si tentato di tracciare il profilo di un attore sociale svalutato e poco conosciuto. Il sex-gender system è l’insieme dei processi, delle modalità di comportamento e dei rapporti attraverso i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotto dell’attività umana e pianifica la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne, differenziandoli l’uno dall’altro (G. Rubin, The Traffic in Women, 1975). 

C’è chi ha voluto opporsi con tutte le proprie forze a questi “ingabbiamenti” i quali, unitamente a quelli razziali ed economici, sono stati per secoli la giustificazione per tanti. María Galindo ha utilizzato la sua “scrittura bastarda” per passare in rassegna le questioni fondamentali del femminismo analizzate da una prospettiva anarchica e decoloniale (M. Galindo, Femminismo bastardo, Mimesis, Sesto San Giovanni – Milano, 2024).

Articolo uscito sul numero di marzo 2025 della rivista cartacea Leggere:Tutti


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Il tempo tra vita e letteratura

04 lunedì Nov 2024

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo

Il tempo è una categoria fondamentale in letteratura. Gli scrittori riflettono sullo scorrere della vita e raccontano le emozioni del tempo. Non dovrebbero anche gli altri umani riflettere sulla reale importanza del tempo?

Il tempo interviene in letteratura in modi diversi. Ci sono autori che trattano il tempo come un problema. Un esempio è il racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano in cui, sotto l’insolita veste del thriller, l’autore presenta una suggestiva teoria del tempo secondo la quale questo è plurimo e a ogni istante della vita si aprono tracce temporali diverse, che si biforcano. C’è poi chi rappresenta il tempo nel suo fluire, confuso, immenso. È il caso della Recherche di Proust. Il tempo è un ente sempre più complesso, proprio come conferma l’intuizione. Ne sono esempi: La macchina del tempo di Wells, I fiori blu di Queneau, in cui la storia è vista come un sogno, deposito tangibile del nostro inconscio, e «il mio racconto Ti con zero» (intervista a Italo Calvino, 1985, in L. Baranelli, Sono nato in America, Mondadori, 2022). 

Il tempo è una categoria fondamentale della narrativa, poiché non può esserci narrazione senza l’azione dei personaggi nel corso del tempo. Nella poesia, invece, la funzione strutturante del tempo è meno importante: impressioni emotive o visive possono essere elencate come se avvenissero in un unico istante, senza un primo e un dopo. Tuttavia, il tempo è comunque un tema fra i più frequenti e importanti. L’io lirico, infatti, nel momento in cui rileva la propria interiorità, tende a confrontare momenti diversi della propria vita, come ricordarsi di quand’era bambino, rievocare un amore finito o una felicità perduta, oppure immaginare la propria vecchiaia (Il tempo e la memoria, Edizioni Atlas).

«Ci sono giorni in cui il tempo sembra non scorrere mai e giorni in cui, invece, la lancetta dell’orologio gira così velocemente da non riuscire a seguirla», affermava Joyce nell’Ulisse. Al tempo cronologico e lineare del romanzo ottocentesco, egli contrappone il tempo della coscienza, La tecnica dello stream of consciousness che permette di raccontare i pensieri e il loro fluire anche senza una logica apparente. Il tempo della coscienza è fatto di momenti indistinguibili che trapassano l’uno nell’altro e formano un flusso che continuamente si arricchisce. Se nei poemi omerici venivano esaltate le qualità positive di questo eroe, con il romanzo di Joyce Ulisse diventa l’archetipo delle peregrinazioni e delle angosce quotidiane dell’uomo contemporaneo, il simbolo di una nuova e rivoluzionaria percezione del tempo (S. Galeone, L’Ulisse di Joyce e la rivoluzione nel modo di concepire il tempo, in Libreriamo is Culthic, 2023). 

«Esiste un grande eppur quotidiano mistero. Questo mistero è il tempo. Esistono calendari e orologi per misurarlo, misure di ben poco significato, perché tutti sappiamo che, talvolta, un’unica ora ci può sembrare un’eternità e un’altra invece passa in un attimo. Dipende da quel che viviamo in questa ora. Perché il tempo è vita. E la vita dimora nel cuore» (M. Ende, Momo, 1973). 

Nel libro di Ende i Signori Grigi hanno lo scopo di procacciarsi ciò che è necessario alla loro stessa sopravvivenza: il tempo degli esseri umani. Negli ultimi due decenni Internet ha rivoluzionato il modo in cui si acquista, si comunica e si consumano i media. Per molti aspetti ha reso la vita più facile e veloce, ma ha anche portato sfide ed effetti collaterali, La tecnologia può aver semplificato molti compiti, na ha anche aumentato le distrazioni. Non è che i Signori Grigii mmaginati da Ende si siano nascosti dentro i dispositivi digitali di uomini ignari che stanno sprecando il loro prezioso tempo?


Articolo pubblicato sul numero di novembre 2024 della rivista cartacea Leggere:Tutti


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La scienza come narrativa e la letteratura scientifica: incontro, scontro o necessità?

01 martedì Ott 2024

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I temi e i problemi trattati da scienza e letteratura a ben guardare non sono così dissimili, eppure la vicinanza tra le due è sempre stato motivo di accese discussioni, sia in ambito scientifico che letterario. I campi del sapere devono restare separati oppure dalla loro unione possono nascere nuove forme del sapere?

«La scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura: costruisce modelli del mondo continuamente messi in crisi, alterna metodo induttivo e deduttivo, e deve sempre stare attenta a non scambiare per leggi obiettive le proprie convinzioni linguistiche» (I. Calvino, Filosofia e Letteratura, 1967). In realtà, nell’ambito della cultura ufficiale, il rapporto tra ricerca scientifica e letteraria è stato quasi sempre marginalizzato, non solo per la tendenza accademica a distinguere i campi del sapere ma anche per la diffidenza antitecnologica palesata dagli intellettuali più influenti. In Italia questa diffidenza si è concretizzata dapprima nel crocianesimo e nella riforma scolastica gentiliana e, successivamente, in un diffuso idealismo e in un’inclinazione estetizzante che hanno osteggiato la visione materialistica della realtà (C. D’Amicis, Scienza e Letteratura, Treccani, 2007). 

L’ipotesi della contrapposizione tra scienza e letteratura spesso è basata su una presunta dicotomia di strutture linguistiche: il linguaggio scientifico sarebbe meno ridondante e ambiguo e, contemporaneamente, più strutturato e rigido. Il linguaggio letterario sarebbe invece più teso alla comunicazione di emozioni, retorico, libero e basato più su analogie e giustapposizioni che su deduzioni. La lingua italiana però è nata anche come strumento di comunicazione scientifica. Il Convivio di Dante Alighieri è un manifesto di diffusione e democratizzazione della cultura, un trattato di scienza laica del mondo moderno definito un “banchetto di scienza e sapienza”. In esso Dante spiega che l’uso della lingua volgare era funzionale soprattutto alla diffusione del sapere, ribaltando l’allora comune paradigma dell’uso del latino e della divulgazione delle idee solo per pochi studiosi (L. Ristori, Scienza e Letteratura, discipline in equilibrio dinamico, MaCSIS, 2012).

L’atto del “fare” letteratura presuppone che chi scrive sia al contempo artigiano e scienziato; che l’artificio letterario venga realizzato con un progetto: con elementi ponderati e misurati, tratti dal serbatoio di combinazioni evolutive della natura, concetto che in senso esteso viene a coincidere con tutta la realtà, sia vera che immaginata. Si delinea così un profilo “fabbrile” dello scrittore, alla maniera di Ezra Pound, che opera in un laboratorio con strumenti pratici per realizzare l’artefatto letterario in modo non dissimile dallo scienziato. La scrittura non incontra la scienza, perché la scrittura, se ben fatta, è già scienza – e viceversa – con norme, regole, architetture, un’estetica elaborata nei millenni mimando proprio forme e proporzioni naturali. Così come la scienza è a sua volta una narrazione umana, scritta con una sintassi e con caratteri più complicati di quelli alfabetici, pur sempre ideati dalla nostra specie. La migliore letteratura sembra così essere quella scientifica. La letteratura incontra la scienza nell’analisi, nello stupore per l’osservazione dei dettagli, delle regole e delle eccezioni che strutturano le forme sensibili della natura (T. Lisa, Fare letteratura con la natura. Quando la scrittura incontra la scienza, L’Indiscreto, 2024).

La nostra è un’epoca scientifica, se con questa denominazione intendiamo riferirci ai periodi in cui la scienza ha avuto il suo massimo sviluppo. Ma se intendiamo che oggigiorno la scienza svolge un ruolo nella visione del mondo della gente, ebbene, in tal caso, quest’epoca ha ben poco di scientifico. Esiste un palese e diffuso analfabetismo scientifico. Si potrebbe combatterlo con la narrativa: partire da un brano di narrativa, dai versi di una poesia, da una citazione tratta da un film o da un fumetto per affrontare singoli e importanti problemi legati all’immagine, spesso distorta, che la scienza ha nell’opinione pubblica (M. Salucci, Dalla mela di Newton all’Arancia di Kubrick. La scienza spiegata con la letteratura, thedotcompany edizioni, 2022). 

«I mass media confondono l’immagine della scienza con quella della tecnologia e questa confusione trasmettono ai loro utenti che ritengono scientifico tutto ciò che è tecnologico, in effetti ignorando quale sia la dimensione propria della scienza, di quella – dico – di cui la tecnologia è certo un’applicazione e una conseguenza ma non certo la sostanza primaria. La tecnologia è quella che ti dà tutto e subito, mentre la scienza procede adagio. Questa abitudine alla tecnologia non ha nulla a che fare con l’abitudine alla scienza. Ha piuttosto a che fare con l’eterno ricorso alla magia» (U. Eco, Il mago e lo scienziato, La Repubblica, 2002). 

Letteratura e scienza sono discipline ben distinte, ma non isolate. Invece di essere trattate come isole, le varie culture andrebbero viste come spazi approssimativamente definiti, ma con confini porosi. Non ci sono muri tra le culture, ma frontiere e spazi di transizione. Dall’incontro tra scienza e letteratura, tra l’altro, è nato il genere della fantascienza. Molti autori di tale genere sono stati scienziati: Fred Hoyle, Carl Sagan, Isaac Asimov, Michael Crichton. Edgar Allan Poe invece può essere citato come esempio di letterato che muove passi in ambiente scientifico. Egli ha proposto un nuovo modo di deduzione come modello scientifico, mentre ha sostenuto la necessità dell’intuizione e dell’immaginazione nel suo modus operandi. Il premio Nobel per la poesia 1979, Odysseas Elytis, ha scritto opere intrise di concetti matematici e geometrici, ai quali ha saputo attribuire un grande effetto emotivo e simbolico (D.G. Berta, Distanti, ma unite: la simbiosi tra scienza e letteratura, Trust in Science, 2020). 

Nelle opere di Primo Levi il lettore non può non cogliere l’impressione che attraverso la letteratura il chimico abbia tentato di scavarsi un varco nell’impenetrabile oscurità della materia vivente e pulsante, dell’universo misterioso o dell’uomo. Uno spiraglio per comprendere il meccanismo con cui si incatenano le molecole, una chiave per capire le regole del Lager, regno della distorsione di ogni logica umana. Scrivere per capire, è questa la funzione dell’esperimento letterario di Se questo è un uomo, scritto non per formulare nuovi capi d’accusa, bensì per fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. La salvezza delle parole garantisce ordine e sistema, dona uno spessore da frapporre tra due regni, il notturno e il diurno, le stelle e gli abissi. Tale è la funzione della letteratura in Levi, un argine all’insania generata dal grembo stesso della ragione umana e per questo ripetibile. Il laboratorio scientifico offre a quello creativo specifici strumenti da impiegare nell’esperimento della scrittura, impiegata come setaccio per distillare l’essenziale dal superfluo, per sciogliere il groviglio confuso dell’essere umano e della sua esperienza nella storia, un coacervo in cui convivono forze e tensioni opposte. Allo stesso modo, lo scrittore passa al vaglio della lente del chimico l’esperimento più atroce del XX secolo. Scienza e letteratura, dunque, sono due strumenti diversi nelle mani di un centauro che ha sperimentato la gioia del volo creativo e il rigore del chimico e di entrambi si serve per non scivolare nel fondo, nell’abisso assordante e babelico dove l’uomo è nemico all’uomo e domina la legge impietosa della lotta per la sopravvivenza (A. Carta, Parole come molecole: scienza e letteratura in Primo Levi, ADI, 2015). 


Articolo pubblicato sul numero di ottobre 2024 della Rivista cartacea Leggere:Tutti


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L’importanza della scienza e della cultura nelle parole di Lucia Votano. “La via della seta. La fisica da Enrico Fermi alla Cina” (Di Renzo Editore, 2017)

Come la scienza combatte la cattiva informazione? Intervista a Dario Bressanini


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Il rapporto antropologico tra uomo e albero è un archetipo senza tempo

04 martedì Giu 2024

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Il legame tra uomo e albero, tra uomo e foresta, è sempre stato strettissimo. Da essa egli ha ricavato il sostentamento vitale che non si è mai ridotto alla mera nutrizione. La forza di questo legame si trova nella grande spiritualità che lo caratterizza.

Uomo e albero è una correlazione primaria della civiltà. Nel sistema antropologico e mitologico del secolo scorso, come in quello simbolistico attuale, le piante hanno la stessa valenza delle pietre e degli animali. Nella storia religiosa europea il culto degli alberi ha avuto una parte importante. Nulla di più naturale, poiché agli albori della storia l’Europa era coperta di una immensa foresta primigenia, dove le sparse radure devono essere sembrate delle isolette in un oceano di verde. Gli scavi di antichi villaggi di palafitte nella valle del Po hanno mostrato che molto tempo prima del sorgere e probabilmente della fondazione di Roma, il Nord dell’Italia era tutto coperto di di fitte selve di olmi e di castagni e specialmente di querce (J.G. Frazer, Il ramo d’oro, Einaudi, 1950).  L’esistenza di boschi sacri e la sacralità di boschi naturali, prima che venisse instaurato il culto degli dei, è attestata presso i popoli antichi. La letteratura medievale romanza e germanica è piena di tradizioni legate a culti dell’albero trasmessi dall’antichità etnologica e storica, che acquistano significati nuovi (G.B. Bronzini, 1993). Si pensi a Dante pellegrino nell’aldilà che sentì ribellarsi con voce umana il pruno da cui tolse soltanto un ramoscello. (Inf. XIII, vv. 31-33). La stessa selva nera fitta e oscura in cui Dante si ritrova sperduto è un campione reale, prima che simbolico e allegorico, delle molte foreste che occupavano l’Europa alto-medievale. 

La foresta ha sempre rappresentato per le comunità umane un’importante fonte di risorse da cui ricavare cibo e acqua essenziali per la sopravvivenza, piante e funghi medicinali con cui curare le malattie, così come legno e altri materiali da costruzione. L’importanza della foresta, però, non si esaurisce nella mera dimensione materiale legata al sostentamento degli individui, ma abbraccia anche la componente spirituale. Questo è probabilmente il motivo per cui numerosi rituali associati a una iniziativa religiosa, a elementi taumaturgici o a una comunione con l’universo, sono tradizionalmente praticati in luoghi particolari situati nel cuore di una foresta, come dimostrano gli studi condotti nelle regioni più disparate del globo: dalla Siberia all’Amazzonia (S.V. Beyer, Singing to the Plants: A Guide to Mestizo Shamanism in the Upper Amazon, UNM Press, 2010; G. Harvey, The Handbook of Contemporary Animism, Acumen Publishing, 2014). I ritrovamenti di reperti preistorici sull’Appennino hanno da tempo confermato la presenza di attività umana nelle foreste di queste montagne sin dall’antichità. 

Tra gli archetipi – simboli arcaici e universali dell’inconscio collettivo, ben radicati nella psiche di qualunque essere umano, a prescindere dalla specifica estrazione, etnia o retroterra culturale – vi è quello della foresta, che rappresenta il mistero e la trasformazione. Lo stretto legame dell’uomo con la foresta e i benefici psicofisici che ne derivano si possono leggere nella cornice della cosiddetta “biofilia”, ovvero dell’attrazione istintiva che l’uomo prova per la natura e le altre forme di vita. (M. Antonelli, D. Donelli, F. Firenzuoli, S. Nardini, L’uomo e la foresta: le radici lontane di un rapporto naturale in “Terapia Forestale”, CNR Edizioni, 2020). Un’immagine aulica che rimanda alla lirica dannunziana, alle sensazioni prodotte dalla pioggia che cade intensamente sulla pineta in cui si sono introdotti il poeta ed Ermione, i quali, purificati dall’acqua piovana e inebriati dai suoni e dalla musicalità della stessa, sembrano immergersi progressivamente nella natura divenendo parte di essa (G. D’Annunzio, La pioggia nel pineto, 1902). 


Articolo pubblicato sul numero di giugno 2024 della rivista cartacea Leggere:Tutti


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Ognuno guarda il mondo convinto di esserne il centro: Razzismi e Identità


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L’arte è libera. L’arte è libertà

06 lunedì Mag 2024

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articolo, EnnioFlaiano, libertà, RinnovamentoCulturaleItaliano

L’arte è libera perché permette di indagare ogni aspetto dell’essere umano. L’arte è libertà perché permette di vivere una vita lontano dai condizionamenti. Per Flaiano l’arte è un modo per riappropriarsi della vita.

“L’arte è libertà: di creare, di pensare. Libertà dai condizionamenti. Risiede in questa attitudine il suo potenziale rivoluzionario: e non è un caso che i regimi autoritari guardino con sospetto agli artisti e vigilino su di loro con spasmodica attenzione, spiandoli, censurandoli, persino incarcerandoli. Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di Stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici.” Importanti e profonde le parole del presidente Mattarella pronunciate durante il discorso al Quirinale dell’8 marzo. 

L’opera d’arte è il prodotto di quell’attività umana che esprime lo spirituale nella concretezza sensibile della materia e genera, in questo modo, l’unione esteriore di concetto e natura che Hegel individua come arte bella e chiama ideale estetico. 

“È affare dell’arte presentare anche esteriormente la manifestazione della vitalità e principalmente della vitalità spirituale nella sua libertà, render conforme al concetto la manifestazione sensibile, ricondurre l’indigenza della natura, il fenomeno, alla verità, al concetto” (Hotho, 1823). 

L’opera d’arte, l’ideale dell’arte come unione di spirito e natura, manifesta attraverso la concretezza esteriore la vitalità dello spirito “nella sua libertà” e si tratta proprio di capire quali caratteristiche costituiscano una simile libertà. L’opera d’arte è, per chi la produce e per chi ne fruisce, fonte di liberazione. Essa sembra produrre quella quiete, per lo meno interiore, che emancipa lo spirito da uno stato di minorità. La coincidenza tra l’arte particolare più libera, ovvero la poesia, e l’epoca romantica trova una propria sintesi nell’individuazione del contenuto fondamentale della rappresentazione artistica in età moderna, ovvero l’essere umano in quanto tale, in tutta la molteplicità dei tratti del suo carattere. Questa delimitazione, a conti fatti, si traduce in un ampliamento della materia a disposizione dell’artista (Campana, 2017).

Tra gli “artisti” italiani che più hanno saputo indagare l’essere umano va per certo annoverato Ennio Flaiano. Da un punto di vista minoritario ed esterno, egli osserva quell’insieme di contraddizioni storiche e psicologiche che è l’Italia, non solo quella del benessere, e quell’individuo che è l’italiano, comico nella sua indefinibilità e unico nel suo sentirsi fuori casa ovunque, anche in casa propria (Torre, 2021). 

“Crediamo soltanto nei fenomeni soprannaturali, cioè nel teatro, che è un’esistenza più vera della vita quotidiana. Al presente crediamo tanto poco da viverlo anni e anni in una continua impazienza.” Il teatro, per Flaiano, è un luogo dove si saggia, in un complesso gioco di simulazione, un’ipotesi di società e di linguaggio. “Ho imparato che il teatro è tutto meno che spettacolo, è parola, attesa, speranza, un’altra ipotesi di noi stessi.” Il suo è stato per certo un teatro tascabile, anche perché ha sempre voluto rompere le tasche dei bacchettoni e dei conformisti, attraverso un acuto spirito satirico che critichi della società i miti e i costumi, le nevrosi e le abitudini, e cerchi di “rendere disperata una situazione, sottolineandone il lato comico.”


Articolo pubblicato sul munero di maggio 2024 della Rivista cartacea Leggere:Tutti


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Ernest Hemingway: la conoscenza attraverso il viaggio

12 venerdì Apr 2024

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«Di Gilgamesh che vide ogni cosa voglio io narrare al mondo; di colui che apprese ogni cosa rendendosi esperto di tutto. Egli andò alla ricerca dei paesi più lontani e in ogni cosa raggiunse la completa saggezza. Egli vide cose segrete, scoprì cose nascoste, riferì le leggende prima del diluvio. Egli percorse vie lontane, finché stanco e abbattuto non si fermò e fece incidere tutte le sue fatiche su una stele.» La più antica scrittura tematizzata sul viaggio, l’Epopea di Gilgamesh, presenta l’eroe eponimo glorificato come “uomo che conobbe i paesi del mondo”, che svelerà le “cose segrete” che ha appreso (Treccani, 2007). 

Il rapporto tra viaggio e letteratura è molto stretto. Il viaggiatore, durante il suo percorso, si relaziona alla realtà che gli sta attorno in maniera diacronica, in quanto si interroga su quest’ultima e la scopre attraverso la successione degli elementi che la costituiscono, proprio come fossero le pagine di un libro (J. Baudrillard, Amérique, Grasset-Fasquelle, Paris, 1986). La scoperta però, in diversi casi, non riguarda soltanto la realtà in cui ci si muove. Un importante elemento spesso presente nella letteratura odeporica è la conquista del sé da parte di chi scrive (E. J. Leed, La mente del viaggiatore: dall’Odissea al turismo globale, Il Mulino, Bologna, 2007). 

L’editore che pubblicò Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway affermò che il libro «potesse fare da epilogo a tutto quello che aveva imparato o aveva cercato di imparare mentre scriveva e cercava di vivere». Hemingway può essere definito un giovane individualista il quale, stanco del proprio nido borghese, esce nel mondo avventurosamente, a caccia di esperienze attraverso le quali realizzarsi. Egli è figlio dell’individualismo che ispirò la rivoluzione democratica, dello “spirito della frontiera”, ma è un figlio nato fuori dal tempo, con un’eredità di valori che subito si dimostra non più attiva, fonte solo di delusione e sconfitta. Pieno di fiducia nel proprio sogno americano, si avventura nel mondo del profitto e delle grandi guerre e il mondo spietato lo ferisce e lo disinganna (N. D.Agostino, Ernest Hemingway, Belfagor, vol.11, n.1, gennaio 1956). 

La fitta descrittività che farcisce le migliaia di pagine dei romanzi di Hemingway non è eccessivo e ossessivo particolarismo, la sua attenzione è rivolta alla descrizione di ciò che accade intorno a lui, nel tentativo di tracciarne le linee essenziali. Un fare dovuto forse alla sua formazione giornalistica (A. Dalla Libera, Riportare l’antropologia. Hemingway e un sogno letterario, Dialegesthai Rivista di Filosofia, aprile 2021). Vista in quest’ottica, la funzione attribuita alla letteratura da Hemingway non è molto distante da quella di Gilgamesh. 

La letteratura americana moderna nasce con Mark Twain ma la tradizione letteraria in America nasce con i pionieri, con gli europei che si scontrarono per primi con realtà inimmaginabili, diversissime dalle vite urbane nel vecchio continente e nelle neonate città di frontiera. Un leitmotiv che sembra aver accompagnato anche la produzione letteraria successiva e i pionieri di tutti i continenti. 

Durante il suo viaggio in Tanzania, Hemingway affermò di voler «scrivere qualcosa sul paese e gli animali, così come sono, per chi non ne sa proprio niente» (E. Hemingway, Green Hills of Africa, Vintage Publishing, New York, 2004). A colloquio con Pop, compagno di ventura e di caccia, Hemingway rivela la sua impotenza di fronte agli spettacoli straordinari che l’Africa gli regala ogni giorno e che difficilmente riuscirà a rendere sulla pagina (A. Dalla Libera, art.cit.). 

Il mondo etichettato indistintamente come indigeno racchiude la suo interno una infinità di popoli, etnie, culture differenti e uniche. È importante conoscere le usanze e, soprattutto, la spiritualità in modo da riuscire a comprendere le evoluzioni compiute da ricercatori, esploratori, studiosi e viaggiatori i quali, partiti carichi di nozioni e aspettative ben precise, hanno poi dovuto fare i conti con la realtà dei vari luoghi e dei differenti popoli incontrati. Quasi come fossero partiti con un film in bianco e nero proiettato dinanzi agli occhi e abbiano poi ben presto realizzato di trovarsi dinanzi a una tale varietà di colori da poterne restare quasi abbagliati (E. V. De Castro, Lo sguardo del giaguaro. Introduzione al prospettivismo amerindio, Meltemi Editore, Milano, 2023). 

Esattamente come accaduto a Ernest Hemingway in Tanzania. 

«La prima impressione che si ha di un paese è molto importante, ma probabilmente più per noi che per gli altri: questo è il male» (E. Hemingway, Green Hills of Africa). Hemingway ha cercato di rendere la propria letteratura la più convincente possibile. Per lui la prosa deve essere realistica, deve riportare ciò che realmente abbiamo vissuto e dobbiamo vivere. Lo scrittore, dice, deve organizzarsi non solo professionalmente ma nel suo essere uomo al mondo, che scopre il mondo e lo racconta. 


Articolo pubblicato sul numero cartaceo di aprile di Leggere:Tutti


Disclosure: Per le immagini, tranne le copertine dei libri, credits www.pixabay.com


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Tornare alla ruralità o sfruttare la tecnologia digitale? Le soluzioni per consumare di meno

20 sabato Gen 2024

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, benessereambientale, crescitademografica, demografia, innovazione, inquinamento, ruralità

Il benessere ambientale è un ritorno al passato o una proiezione verso il futuro? La correlazione tra demografia e inquinamento: il controllo delle nascite e il consumo delle risorse plasmano il mondo globale

Demografia e inquinamento, nell’era del cambiamento climatico: come trovare l’equilibrio per il benessere, dall’allarmismo anni Settanta alla fiducia nelle innovazioni tecnologiche

Il dibattito sull’impatto del numero della popolazione mondiale è riemerso a partire dal novembre 2022, quando si è raggiunto il traguardo degli 8 miliardi di persone – ma le visioni allarmistiche sulla crescita esponenziale della popolazione animavano già il dibattito negli anni Settanta.

Lo slancio demografico è pre-programmato, occorre agire su consumi ed ecologia

La crescita della popolazione mondiale nel medio termine è guidata dalla struttura dell’età giovane di alcune popolazioni mondiali. Il cosiddetto slancio demografico implica che gran parte dell’ulteriore crescita della popolazione totale nei prossimi decenni è già pre-programmata nella composizione per fasce di età della popolazione. Pertanto, le soluzioni immediate per ridurre le emissioni fino al 2050 devono provenire principalmente dall’ecologizzazione dell’economia mondiale e da un cambiamento nel consumo pro capite. 

Ciò non significa che i cambiamenti nella dimensione della popolazione globale siano irrilevanti. Nel lungo termine, l’entità della popolazione avrà un impatto in termini di vulnerabilità e capacità della popolazione di adattarsi al già inevitabile cambiamento climatico. Considerando le emissioni future, la dimensione della popolazione degli attuali paesi a basse emissioni farà una grande differenza man mano che le loro economie cresceranno e i livelli di consumo aumenteranno. 

La futura crescita della popolazione si concentrerà nelle regioni del mondo che attualmente presentano le emissioni pro capite più basse e una responsabilità limitata per le emissioni passate, come l’Africa. Pur partendo da un livello basso, si prevede che queste regioni registreranno i progressi più lenti in termini di decarbonizzazione, miglioramento dell’efficienza energetica e disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni. Spetta all’Unione Europea e alle altre regioni del primo mondo, che hanno contribuito a gran parte delle emissioni passate, guidare gli sforzi di coordinamento per ridurre l’intensità energetica, sviluppare tecnologie green e adottare modelli di consumo più sostenibili.

Tecno-ottimisti e futuristi puntano tutto su ingegno umano e tecnologia

Mentre le visioni allarmistiche di una crescita esponenziale della popolazione sono ormai scartate dalla maggior parte degli analisti, anche le preoccupazioni più moderate sull’impatto di una popolazione mondiale ancora in espansione vengono spesso minimizzate con l’argomentazione, in ultima analisi, che le emissioni sono influenzate più dal reddito che dalle dimensioni della popolazione. 

Lo spostamento dell’attenzione verso il reddito è generalmente accompagnato dalla fiducia nell’ingegno umano e nel ruolo che la tecnologia può svolgere negli sforzi per decarbonizzare le economie. Alcuni studiosi, tra i quali Ian Goldin, vedono in un maggior numero di persone sul pianeta opportunità che si presentano per l’arricchimento del capitale umano e della diversità che consentiranno di affrontare al meglio le sfide globali. 

I tecno-ottimisti confidano nella forza dell’innovazione e tendono a ignorare la dipendenza fondamentale delle economie dai bisogni materiali dei combustibili fossili. Ancora più estremisti sono i futuristi come Harari e Kurzweil, i quali invocano le upcoming singularities – trasformazione digitale, intelligenza artificiale, energia da fusione –, quali supporti indispensabili che consentiranno alla specie umana di continuare lungo il suo percorso di espansione economica esponenziale, indipendentemente dall’entità della popolazione e dai confini planetari. 

Cambiamenti climatici e popolazione che invecchia sono le sfide europee – anziani e residenti urbani inquinano di più

Stando ai dati del Report 2023 del Joint Research Centre, considerando le emissioni in termini pro capite, è possibile osservare come le persone anziane tendono a emettere in media più delle generazioni giovani. Nelle città le emissioni sono inferiori grazie alle economie di scala urbane – ad esempio, dalla condivisione dei trasporti pubblici. D’altra parte, queste efficienze sono contrastate dal reddito più elevato dei residenti urbani, che normalmente si traduce in maggiori consumi ed emissioni. Inoltre, le persone che vivono in città sono penalizzate dal fatto che le le famiglie, in genere, tendono a essere più piccole rispetto alle aree rurali e quindi le emissioni sono divise per un numero minore di membri della famiglia.

Piuttosto che sulla dimensione e sulla crescita della popolazione, la maggior parte dei riferimenti demografici nelle politiche di mitigazione e adattamento climatico dell’Unione Europea sono legati alla necessità di far fronte alla vulnerabilità di una popolazione che invecchia, a uno status di basso reddito e al luogo di vita rurale.

La popolazione europea sta invecchiando rapidamente. Eurostat prevede che entro il 2050 nell’UE-27 ci saranno quasi mezzo milione di centenari. Questo cambiamento nella struttura per età della popolazione europea avviene parallelamente ai cambiamenti climatici. Ondate di caldo, siccità ed eventi meteorologici estremi sempre più frequenti incidono sui tassi di mortalità complessivi, sul benessere e sui mezzi di sussistenza delle persone. 

Stando ai dati del Report 2023 del Joint Research Centre, considerando le emissioni in termini pro capite, è possibile osservare come le persone anziane tendono a emettere in media più delle generazioni giovani. Nelle città le emissioni sono inferiori grazie alle economie di scala urbane – ad esempio, dalla condivisione dei trasporti pubblici. D’altra parte, queste efficienze sono contrastate dal reddito più elevato dei residenti urbani, che normalmente si traduce in maggiori consumi ed emissioni. Inoltre, le persone che vivono in città sono penalizzate dal fatto che le le famiglie, in genere, tendono a essere più piccole rispetto alle aree rurali e quindi le emissioni sono divise per un numero minore di membri della famiglia.

Crescita demografica ed emissioni di carbonio nel mondo: la trappola malthusiana

Il premio Nobel Nordhaus sottolinea che esistono tre modi per ridurre le emissioni: minore crescita della popolazione, minore crescita del tenore di vita, minore intensità di CO2 – decarbonizzazione. C’è una discrepanza della popolazione e di livelli di emissioni tra i paesi. I principali emettitori, storici e attuali, Stati Uniti, Cina e Unione Europea, sono regioni in cui la popolazione ha smesso di crescere o sta crescendo a un ritmo lento. Le regioni in cui la popolazione cresce più forte sono quelle che contribuiscono solo in minima parte al riscaldamento globale. 

Dal finire del Diciottesimo secolo in poi, le richieste di risorse sono aumentate costantemente mentre sono emerse conseguenze ecologiche negative come il peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, il declino delle risorse idriche e terrestri e, con il tempo, il cambiamento climatico… continua a leggere su Lampoon.it

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Dakar: le manifatture di Mauro Petroni e l’anima della città senegalese

13 sabato Gen 2024

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, intervista, mauropetroni, partcours, partcours12

Il festival artistico senegalese Partcours 12 ha ospitato la mostra dedicata a Mauro Petroni e alle sue manifatture in ceramica – «Non fingo di essere integrato: sono un viaggiatore, che guarda tutto e capisce poco»

Partcours – la mostra Petroni 40, organizzata dall’Ambasciata Italiana e dall’Istituto Italiano di Cultura

Un evento a Dakar lega arte e territorio. Si è conclusa il 10 dicembre la manifestazione artistica Partcours iniziata lo scorso 24 novembre e giunta alla dodicesima edizione. Il festival itinerante è un’esplorazione dinamica del tessuto urbano di Dakar, a cui partecipano Artisti, curatori, galleristi e pubblico.

Partcours ha ospitato quest’anno la mostra Petroni 40, organizzata dall’Ambasciata Italiana e dall’Istituto Italiano di Cultura per omaggiare l’artista italiano Mauro Petroni e il suo lavoro creativo in Senegal. Ma numerosi sono stati gli eventi e le esposizioni che hanno visto la partecipazione di oltre cento artisti.

I luoghi di Partcours 12: Almadies Ceramics Workshop

Mauro Petroni ha esposto nell’hangar di Almadies Ceramics Workshop. Costruito all’inizio degli anni Sessanta nella foresta di Almadies, questo capannone aperto ospitava la produzione di prefabbricati in cemento, utilizzando le rocce della vicina scogliera. Dal 1984 è sede del laboratorio di Petroni, che ha prodotto interventi in ceramica per l’architettura e il patrimonio senegalese: dalla ricostruzione del mercato Kemel nel 1996 al restauro della stazione ferroviaria di Dakar nel 2018. Tutta la sua produzione è realizzata a mano con la terra rossa del Senegal, che si lega agli smalti nel forno a gas di Limoges risalente al XIX secolo. 

Le ceramiche prodotte nel laboratorio di Petroni sono una commistione di radici italiane liberamente ispirate all’estetica africana. L’artista sottolinea di non aver praticamente mai lavorato la ceramica in Italia, mentre il suo lavoro in Senegal ruota completamente intorno a essa. «Ho poco dell’artista e dell’artigiano – ma amo il rigore. Non ho mai fatto ceramica in Italia. Ho bevuto tanto da tante parti e quando faccio dei pezzi che mi dico del Sahel, forse sono di una matrice etrusca, o ancora c’è un po’ di Oriente. In fin dei conti il viaggiatore quando diventa sedentario vive di sogni, e di segni».

Il viaggio artistico di Petroni fa tappa a la Gare de Dakar

Un viaggiatore, Petroni, che ha ricreato un ‘viaggio architettonico’ sui muri di Dakar – sono circa 240 i suoi interventi nella città, per creare un percorso nel tempo e attraverso il Paese. Intorno al concetto di viaggio ruota anche uno dei monumenti storici della città: la Gare de Dakar, tra le opere architettoniche pubbliche forse quella che più di tutte rappresenta l’impegno di coniugare e unire culture e tradizioni. Un’opera che vuole rappresentare il progresso, l’infrastruttura, il viaggio. 

Petroni stesso ha percorso migliaia di chilometri nella sua vita. Ha vissuto più tempo in Senegal che in Italia e si sente ancora un viaggiatore e uno straniero. «In questa casa atelier dove abito ho vissuto quarant’anni, più del tempo che ho dormito in un letto italiano. Non ho mai fatto le treccine, non fingo di essere integrato: sono ‘straniero’, privilegiato, più libero di chi deve sottoporsi a regole sociali. Non so se questo si traduce anche in quello che faccio, forse sì. La lettura che posso fare delle cose è simile a quella del viaggiatore, che guarda tutto e capisce poco».

Petroni, il mercato di Kermel e l’arabisance

Un’altra opera rappresentativa dell’architettura urbana di Dakar è il mercato di Kermel, cuore vivo della città, meta anche di turisti. L’originale architettura è a pianta centrale – una struttura in acciaio e mattoni colorati, con ringhiere di ferro battuto plasmate secondo motivi floreali, richiamati anche dalle ceramiche decorative. Un edificio che parla di sogni, di fantasia, di allegria. Esso è testimonianza del padiglione a pianta centrale con struttura in acciaio secondo i modelli importati dalla Francia ma è, al tempo stesso, il volto esotico della arabisance – arabizzazione. Petroni ha lavorato alla sua restaurazione. Un lavoro per il quale nutriva molte aspettative.

«Avevo entusiasmo per quello che era il mio primo grosso cantiere, legato alla storia della città. Un mercato. Il posto di tutti gli scambi e di tutti i sogni. Quelli che avevano disegnato i decori non avevano capito niente, pensavano all’Africa come alle Mille e una notte, ma proprio lì sta la genialità. Ancora una volta la mescolanza, i fischi per fiaschi: le lune dell’Arabia nel loro decoro somigliavano a delle banane».

Petroni 40: il labirinto multiculturale dove non ci si perde ma ci si trova

Ad aprire il festival Partcours quest’anno c’è stata proprio la mostra in due parti dedicata ai 40 anni di lavoro creativo in Senegal di Mauro Petroni. Petroni 40 all’Istituto Italiano di Cultura di Dakar sarà allestita fino al 24 febbraio 2024 mentre quella all’Atelier Céramiques Almadies fino al 1 marzo 2024. La prima è proiettata verso le opere di architettura urbana e la seconda incentrata, invece, su otto collezioni iconiche dell’artista. 

Petroni ha definito le sue ceramiche il filo di Arianna che gli hanno permesso di creare la tela sulla città. La tela su una città che egli definisce un labirinto nel quale invece di perdersi ci si trova. «Facile rispondere che Dakar è un labirinto – non di quelli dove ci si perde, piuttosto quelli dove ci si trova. E questo grazie al suo senso multiculturale, una città dove molte anime convivono».

I chiaroscuri della cultura e della società senegalese

Dakar è la città più grande del Senegal. Situata sulla costa occidentale dell’Africa è un centro multiculturale vibrante e vivace. Fondata dai colonizzatori francesi nel 1857, ospita numerosi gruppi etnici: Wolof, Serer, Puhl, Diola, Mandingo. La presenza francese è evidente nella ristorazione, nel commercio e nell’architettura, con gli edifici coloniali che si affiancano a moderne strutture africane. Un labirinto di strade, case, arte, cultura le cui caratteristiche si intrecciano per creare quella peculiare società che Petroni definisce una vera e propria rampa di lancio.

Cambiamenti bruschi, radicali. Petroni ha iniziato a frequentare il Senegal dagli anni Settanta e vi si è trasferito in maniera definitiva nel 1983. Una nazione dove ha trovato, al suo arrivo, la libertà di espressione e movimento. «Era un posto dove trovavo la libertà di essere, di muovermi, di esprimermi. Prima tutto era largo, ora tutto sembra essere così stretto. Non voglio dire che era meglio, era così»... continua a leggere su Lampoon.it

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