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Irma Loredana Galgano

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“Pecorelli deve morire” di Valter Biscotti (Baldini+Castoldi, 2019)

07 martedì Mag 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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BaldiniCastoldi, Pecorellidevemorire, recensione, saggio, ValterBiscotti

È da poco uscito il rapporto 2019 di Reporters Sans Frontières sulla libertà di stampa, sempre a rischio anche in quelle che si dichiarano democrazie avanzate e consolidate. Rapporto che definisce il quadro allarmante di una situazione diffusa in cui «l’odio verso i giornalisti è degenerato in violenza». Una violenza che va da minacce verbali ad aggressioni fisiche, da intimidazioni e querele temerarie a veri e propri attentati. Violenza che proviene da malavitosi e criminali ma anche, purtroppo, dalla società civile e dalle istituzioni.
Quando un giornalista sa fare il proprio lavoro e non ha timore di rendere pubblico quanto è riuscito a scoprire deve essere pronto davvero a tutto. Purtroppo. Ed è sempre stato così. Purtroppo.

Il 20 marzo del 1979, quaranta anni fa, fu ucciso Mino Pecorelli, un giornalista le cui inchieste ma, soprattutto, la cui morte violenta si intreccia con nomi tristemente celebri come Giulio Andreotti, Licio Gelli, Massimo Carminati, Claudio Vitalone, Pippo Calò… e a tutta quella rete grigia fatta di politica, massoneria, servizi segreti, banche, mafia. Quaranta anni, un processo durato quattro anni, fiumi di parole e neanche un colpevole accertato, finora.

Verso la fine degli anni Sessanta, Carmine Pecorelli, detto Mino, fonda a Roma OP-Osservatore Politico, un’agenzia quotidiana stampata in ciclostile. Fin dal primo momento, gli inquirenti hanno cercato tra gli articoli pubblicati dal giornalista, inchieste spesso scomode anche per politici, magistrati, militari, alla ricerca del possibile movente dell’omicidio.
Pecorelli aveva scritto sul caso Moro, sul traffico illecito di petrolio con la Libia, per fare alcuni esempi. Inchieste “terribili” per il potere, o meglio per quella parte di potere corrotta.

A marzo di quest’anno esce per Baldini+Castoldi Pecorelli deve morire di Valter Biscotti, avvocato scrittore che attualmente rappresenta legalmente Rosita Pecorelli, sorella del giornalista, in una nuova istanza avanzata per tentare di far riaprire le indagini sulla base, in prevalenza, di quanto scoperto dalla giornalista d’inchiesta Raffaella Fanelli. Un libro che racconta l’omicidio, le indagini e il processo come anche il Pecorelli uomo, ciò reso possibile grazie ai racconti della sorella Rosita fatti direttamente a Biscotti. Un resoconto che vuol narrare i fatti, quanto accaduto e, soprattutto, quanto è stato omesso o trascurato.

Un libro, Pecorelli deve morire, che sembra un dettagliato resoconto d’inchiesta, o meglio di raccolta fonti e testimonianze, con dei risvolti da legal thriller, soprattutto nella parte di narrazione legata al processo e agli atti giudiziari. Il tutto scritto con un registro narrativo lontano da quello comunemente utilizzato per opere letterarie di argomento simile. Una scrittura molto romanzata quella preferita e utilizzata da Valter Biscotti nel testo. Forse per la volontà dell’autore di far arrivare la storia raccontata a un pubblico più vasto, a tutta quella fetta di lettori che sarebbero, o avrebbero potuto essere scoraggiati da un saggio scritto e inteso in senso stretto.

Un libro, quello scritto da Valter Biscotti, che sembra voler essere anche un omaggio a un uomo, Carmine Pecorelli. Un simbolo di rispetto per la coerenza e la rettitudine, che invano si è cercato di scalfire, anche se solo nel ricordo, e per la grande professionalità nei lavori di indagine e di inchiesta svolti e che diventavano articoli per OP, lavoro che, purtroppo, gli è costato la vita. Per certo c’è la volontà di illuminare una parte ancora tristemente oscura della storia italiana del secolo scorso, una storia che, nelle parole del pentito Buscetta, si intreccia con quella del generale Dalla Chiesa, altra vittima della parte marcia del sistema. Si intreccia con i troppi misteri ancora irrisolti della prima come anche della seconda Repubblica.

Molto preoccupante l’allarme lanciato dalla ong Ossigeno per l’informazione riguardo gli oltre mille giornalisti uccisi nel mondo negli ultimi dieci anni. L’Italia, purtroppo, lo conosce bene il sacrificio in termini di vite umane pagato da chi non si arrende al compromesso o al silenzio: Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Mino Pecorelli, Mauro de Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Alfano… una lista che fa rabbrividire, inorridire.
Secondo i dati forniti dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), sono centinaia gli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti durante l’esercizio della loro professione, la gran parte delle quali poste in essere in maniera pubblica, sui canali web o in modo verbale, ma anche con missive, danneggiamenti e telefonate anonime. Ma l’aspetto che più fa riflettere sono le matrici o motivazioni, riconducibili a quella che viene definita una “natura politico-sportiva” e poste in essere dalla criminalità organizzata o da afferenti ad ambienti di illegalità diffusa o di degrado sociale.

Nell’elenco di violenze, aggressioni, minacce e intimidazioni varie ai danni dei giornalisti investigativi raccolto da Index on Censorship per il progetto Mapping Media Freedom 2014-2018, 387 risultano quelle a carico di giornalisti italiani. Dati che Ossigeno per l’informazione, inclusa nel progetto con un’intervista, si appresta a chiarire: «sono migliaia i giornalisti investigativi che hanno subito minacce, aggressioni, danneggiamenti. Ossigeno ne ha censiti quattromila, ma sono molti di più».

«indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la CIA, uso illecito di enti, come il SID, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità. questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come si usa dire, paurosa delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono «selvaggio» delle campagne, responsabilità dell’esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari anche distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori…»

Si tratta di un breve stralcio del lungo articolo pubblicato a firma di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera del 24 agosto 1975, noto come Il Processo. Un pezzo che sintetizza tutto ciò contro cui hanno lottato e lottano i giornalisti d’inchiesta, come Pasolini e Pecorelli, come gli altri i quali, paradossalmente, spesso si ritrovano a dover subire essi stessi un processo anche fuori dalle aule del tribunale, a causa della manipolazione errata dell’opinione pubblica che vuol farli diventare visionari, corrotti, violenti, pedanti, guastafeste, complottisti, esibizionisti… Motivi tutti per cui libri come quello scritto da Valter Biscotti diventano a loro volta veri e propri atti di coraggio.


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

“Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani”. Intervista a Roberto Paolo 

“Ammazzati l’onorevole”. L’omicidio di Francesco Fortugno dieci anni dopo. La nostra mala-Italia. Intervista a Enrico Fierro 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

11 giovedì Mag 2017

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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BaldiniCastoldi, misoginia, RaulMontanari, recensione, romanzo, Semprepiuvicino, stroncatura, violenza

Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

Esce quest’anno con Baldini & Castoldi Sempre più vicino di Raul Montanari, un libro con un ritmo narrativo simile a quello di un romanzo d’appendice su cui pesano come macigni le continue divagazioni e descrizioni che distolgono, o almeno ci provano, l’attenzione del lettore dalla vicenda principale ripresa, in maniera avvincente e incalzante, all’incirca alla pagina duecentocinquanta per essere poi nuovamente marginalizzata già a pagina duecentosessanta. Anche se appare chiaro fin da subito che l’obiettivo dell’autore è quello di creare una struttura labirintica all’interno della quale tessere la trama dell’intricata vicenda, il ripetere enne volte ad esempio che lo zio Willy è stato misteriosamente assassinato e che svolgeva una professione e dei riti occulti in odore di satanismo non aiuta a mantenere alto l’interesse di chi legge, il quale ha già letto di questo e vorrebbe saperne di più. Non si viene purtroppo accontentati, in quanto la risoluzione del mistero sull’uccisione del povero zio Willy è rimandata a data da destinarsi. L’arcano che viene svelato in Sempre più vicino invece riguarda il tesoro da questi lasciato e mai ritrovato, almeno così si pensava. Sarà proprio la brama di impadronirsi dei milioni nascosti da Willy a generare l’intero filone principale della vicenda.

Il protagonista è un giovane ragazzo che vive a Milano e cerca la sua indipendenza da un padre pressante che si è costruito da solo, dopo essersi trasferito dall’Abruzzo insieme al fratello. Valerio ha “ereditato” l’appartamento dello zio Willy e, per arrotondare, lo subaffitta a turisti e viaggiatori, lasciandosi ospitare in quei giorni dall’amico di sempre. Un personaggio, Valerio, che è stato definito “vero e tenerissimo”. Sul fatto che una persona come lui possa essere ritenuta “vera”, nel senso che in giro ci sono o ci possono essere tanti come lui, nulla da obiettare ma sul “tenerissimo” qualche precisazione va fatta. Come si fa a considerare tenero un giovane uomo che si reca di nascosto nell’appartamento dato in affitto a donne e uomini sconosciuti e si masturba sfregandosi con la loro biancheria intima? Come si fa a scrivere in un libro diffuso sull’intero territorio nazionale e su tutti gli store online che “in fondo tutti hanno i propri vizi”, quando sulle pagine del medesimo testo le donne sono state indicate con tutti gli epiteti negativi immaginabili?

Quasi come se si volesse far quadrare un cerchio che perfetto non potrà mai essere, l’autore si sofferma ripetutamente sul racconto delle voluttuose richieste intime dell’amante di Valerio che desidera con fervore essere sottomessa e trattata al pari di una schiava o di una geisha. In tutta questa dilagante misoginia quasi si perde la linea del racconto, il mistero sul tesoro accumulato dallo zio, la trappola in cui cade Valerio, il tradimento da parte di coloro che amava, l’amicizia inattesa con l’investigatore Velardi e il nuovo inizio insieme al padre al quale è servito il buio di una nuova separazione per riuscire a vedere e riconoscere il proprio figlio.

Mistero e misoginia in “Sempre più vicino” di Raul Montanari

LEGGI ANCHE – Denunciare la violenza sulle donne: la storia di Najaa

Una storia, quella da raccontata da Raul Montanari in Sempre più vicino che sembra racchiudere in sé diversi generi letterari. Un testo di narrativa che a lungo si sofferma sulla situazione dei giovani di oggi, sulla loro mancanza di certezze e punti di riferimento. Un romanzo di formazione che cerca di tirare le somme su una generazione maturata negli anni del boom economico del secolo scorso e che si è “fatta” con le proprie mani, riuscendo a guadagnarsi una posizione economica e sociale superiore rispetto ai propri genitori, per la gran parte braccianti e agricoltori. Una generazione che rischia il sorpasso anche sui propri figli. Un giallo che sconfina nell’investigativo su scala internazionale allorquando la scena si sposta, nel resoconto dell’investigatore Velardi, dalle strade di Milano alle favelas e alle foreste brasiliane. Un libro che abbraccia tanto, forse troppo, e che di sicuro senza alcune forzature sessiste avrebbe avuto agli occhi del lettore un aspetto anche migliore.

http://www.sulromanzo.it/blog/mistero-e-misoginia-in-sempre-piu-vicino-di-raul-montanari

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Quando la fantasia racconta la realtà. “Appalermo Appalermo” di Carlo Loforti

24 mercoledì Ago 2016

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AppalermoAppalermo, BaldiniCastoldi, CarloLoforti, recensione, romanzo, Sicilia

 

Quando la fantasia racconta la realtà. “Appalermo, Appalermo” di Carlo Loforti

Finalista alla XXVIII edizione del Premio Italo Calvino col titolo di Il calcio è un bastardo, il romanzo d’esordio di Carlo Loforti è stato pubblicato da Baldini&Castoldi come Appalermo, Appalermo.

La giuria del premio lo ha definito un «romanzo spiritoso, leggero e senza pudore. In cui tutto viene raccontato con un umorismo che regala momenti di autentico spasso».

È vero, a volerlo leggere per la sola storia che racconta è un libro “spassoso”. Se invece lo si vuol guardare come uno spaccato della città di Palermo, della Sicilia e dell’Italia intera allora sono numerose le considerazioni che induce nel lettore.

Carlo Loforti è un palermitano che conosce a fondo la sua città e i suoi abitanti e, intorno a ciò, costruisce il suo romanzo che è la storia di Domenico Calò, detto Mimmo, ma potrebbe, indistintamente, essere quella di centinaia di altri giovani come lui. Ragazzi cresciuti nei cortili, per le vie strette di una città che può diventare stretta come un imbuto.

Quando la fantasia racconta la realtà. “Appalermo, Appalermo” di Carlo Loforti

Incomprensioni con i genitori e gli adulti in generale, un pallone e i primi approcci col sesso. Questo il background socio-culturale che si devono far bastare per diventare a loro volta degli adulti. E Mimmuzzo, non essendo particolarmente dotato per la pratica, si allena incessantemente sulla teoria, diventando un esperto cronista sportivo.

Dopo venti anni Mimmo Calò perde il suo lavoro di giornalista e deve cercare di reinventarsi dibattendo tra una moglie sempre pronta a prenderlo in castagna, supportata dall’invadente suocera, dei genitori che dalla pensione invece del sollievo trovano la separazione, i soldi che non bastano mai e la criminalità che invece ti trova sempre. Tutta una serie di rocambolesche avventure e, soprattutto, disavventure, lo portano sull’orlo del precipizio. Situazioni che lui affronterà sempre stoicamente convinto di essere talmente “sfigato” da valere quasi il contrario e uscirne sempre in piedi.

Carlo Loforti in Appalermo, Appalermo descrive dettagliatamente un adolescente alle prese con i cambiamenti del suo corpo, un ragazzo che si sente uomo dopo aver perso la verginità, un adulto che tenta di sopravvivere nella giungla degli affetti e del lavoro ma, soprattutto, regala al lettore una fotografia della situazione in cui si trovano centinaia di giovani delle periferie che si divincolano tra la poca voglia di studiare, l’attrazione-repulsione verso la criminalità, il desiderio di divertirsi e il “sogno di farcela”, di lasciare la mediocrità e avere successo. Il fatto è che spesso, quasi sempre, ciò è legato al gioco del calcio e alla speranza di essere “scoperti” come talenti o fenomeni e ascendere all’Olimpo dei vip. L’impatto con la realtà, in questi casi, è ancora peggiore del solito perché ci si ritrova adulti, senza “talento” e senza un’adeguata formazione-istruzione e non si ha altra possibilità che accontentarsi fingendo disinteresse.

Quando la fantasia racconta la realtà. “Appalermo, Appalermo” di Carlo Loforti

Mimmo Calò è uno, che alla fine, sceglie di accontentarsi con l’unico rammarico di averci messo troppo a capire che era l’univa via per regalargli un po’ di tranquillità.

Lo stile della scrittura di Loforti è gradevole. Frasi brevi, riflessioni intervallate da dialoghi ricchi di battute e allusioni. Pesante a volte, soprattutto in periodi protratti, l’uso di espressioni o termini tipicamente dialettali che costringono chi legge, e non è siciliano, a consultare il glossario a fine libro. La narrazione segue il ritmo delle vicende creando i giusti pathos e curiosità nel lettore che è sempre invogliato a leggere il capitolo successivo.

Appalermo, Appalermo di Carlo Loforti si rivela fuor di dubbio una lettura interessante, piacevole che può regalare a lettore alcune ore di svago oppure invogliarlo in riflessioni sulla società e l’attualità. Sarà chi legge a scegliere e decidere cosa vuol trovare o cercare, in ogni caso ne vale sempre la pena.

http://www.sulromanzo.it/blog/quando-la-fantasia-racconta-la-realta-appalermo-appalermo-di-carlo-loforti

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