Nell’analisi della disuguaglianza di proprietà e ricchezza condotta, come sottolinea l’autrice e come facilmente si desume dalla stessa lettura, la questione dei diritti delle donne in materia di proprietà, soprattutto della terra, ha messo in discussione i presupposti standard dell’economia agricola e marxista, e ha portato a una crescente mole di studi in molti paesi negli ultimi anni.
Allo stesso tempo, si rende necessario mettere in dubbio l’idea che le scienze sociali tradizionali debbano essere il punto di riferimento principale per giudicare i contributi dell’analisi di genere.
Esiste infatti, per Agarwal, anche una responsabilità intellettuale nei confronti della comprensione della natura e delle cause della disuguaglianza di genere in tutte le sue forme.
C’è la necessità di concepire criteri che siano rilevanti per l’obiettivo più ampio, ovvero plasmare gli sforzi intellettuali in modo da contribuire non solo al mondo della conoscenza con rigore scientifico, ma anche a migliorare la vita delle donne, come anche degli uomini, intorno a noi, specialmente di quelle meno fortunate. Perché, alla fin fine, è sempre su di esse che ricade il peso maggiore di violazione dei diritti, violenze e soprusi.
Le donne in famiglie povere spesso tendono a essere abbandonate dai loro coniugi in periodi particolarmente disagiati.
Esaminando le testimonianze storiche della Grande carestia del Bengala del 1943, Bina Agarwal mette in evidenza che tale abbandono si è verificato proprio quando le donne hanno perso i loro limitati beni o le opportunità di guadagno, mentre gli uomini conservavano ancora parte dei loro beni e diritti. Di conseguenza, alle donne rimaneva poco da offrire in termini materiali, il che riduceva notevolmente il loro potere negoziale in famiglia.
È proprio sulla nozione-pilastro di potere negoziale che Agarwal costruisce la struttura portante del suo ragionamento, edificato analizzando i dati frutto di anni di studio, ricerca e indagine.
Il modello unitario della famiglia presuppone che tutte le risorse e i redditi siano messi in comune, che i membri della famiglia condividano interessi e preferenze comuni e che un capofamiglia altruista, che rappresenta i gusti e le preferenze della famiglia, allochi le risorse per massimizzare l’utilità della famiglia.
Questa è la teoria.
La realtà, osservata da Agarwal in Asia ma visibile in gran parte del pianeta, è molto diversa.
Esiste e persiste una notevole diseguaglianza di genere all’interno delle famiglie per quanto riguarda l’accesso a cibo, assistenza sanitaria, cure mediche, istruzione e risorse economiche.
Tenendo in considerazione queste diseguaglianze, alcuni economisti hanno proposto modelli alternativi di famiglia e, soprattutto, modelli di negoziazione, in cui le interazioni intra-famigliari sono viste come caratterizzate da elementi sia di cooperazione che di conflitto. Il risultato che ne deriva dipende, appunto, dalla capacità di negoziazione di ciascun membro della famiglia.
L’approccio alla negoziazione si estende anche al di là della famiglia, alle aree interconnesse del mercato, della comunità e dello Stato. E i fattori alla base del potere di negoziazione devono essere ampliati fino a includere il controllo, da parte delle donne, della proprietà privata e della comunità, così come le norme e le percezioni sociali.
Una riforma giuridica dello Stato che rafforzi, per esempio, i diritti delle donne sulla proprietà può rafforzare il loro potere negoziale all’interno delle famiglie, migliorando il loro accesso alle risorse economiche e aumentando le loro vie d’uscita.
Nei suoi studi Bina Agarwal ha potuto constatare che il fattore più importante incidente sul potere negoziale delle donne, ma anche sul loro status economico, sociale e politico, è il possesso di beni, soprattutto della terra, sottolineando l’idea di controllo sulla proprietà che implica non solo il suo possesso ma anche il potere di controllo su di essa.
Da un’indagine condotta su 502 famiglie rurali e urbane selezionate in modo causale in Kerala (India) Agarwal, unitamente ad altri studiosi, ha potuto constatare come esista uno stretto legame tra il possesso di beni immobili da parte delle donne, come terra e abitazioni, e il rischio di subire violenze coniugali.
A livello empirico, la ricerca dimostra che il possesso di una casa o di un terreno, o di entrambi, riduce significativamente il rischio di violenza coniugale per una donna. Si potrebbe quindi ipotizzare che i beni immobili offrano alla donna sicurezza economica e fisica, aumentino la loro autostima e, cosa non da poco, il loro potere negoziale.
Succede esattamente il contrario per impiego e occupazione. Le donne con un impiego migliore dei loro mariti sembrano ingenerare in loro molta ostilità.
Oggi, la letteratura che mette a confronto la produttività relativa degli agricoltori maschi e femmine ha stabilito che le differenze di genere sono attribuibili al minore accesso delle donne alla terra, alla tecnologica e ai fattori di produzione, piuttosto che alle scarse capacità manageriali o fisiche. Eppure persistono pregiudizi di genere, reminiscenza della vecchia cultura novecentesca.
Negli anni ’70, per esempio, gli economisti agrari, nell’aggregare gli impieghi totali di manodopera, avevano la tendenza a considerare il tempo di lavoro delle donne come la metà o i tre quarti del tempo di lavoro degli uomini. Ciò era considerato motivo sufficiente per giustificare anche la disparità nei salari.
Utilizzando i dati forniti da uno studio condotto dall’Università agraria del Punjab, che ha testato l’uso di attrezzature per lo scavo di patate, Agarwal ha facilmente smontato le teorie appena esposte: le donne sono risultate essere diverse volte più efficienti degli uomini.
Quando Bina Agarwal ha iniziato a condurre i suoi studi di genere, alla fine degli anni ’70, era talmente rara da essere quasi unica nel panorama internazionale. Oggi invece c’è una grande quantità di analisi su una vasta gamma di argomenti che cercano di mettere in discussione l’economia mainstream. L’intera società mainstream. E viene da sé che tanto lavoro ancora da fare c’è anche in quei paesi, come l’Italia ad esempio, che si vedono distanti dalle economie in via di sviluppo dove si presuppone, dove si sa che le disuguaglianze di genere sono solchi più profondi. Ma i dati, i numeri, le statistiche… ci dicono con estrema chiarezza che gli obiettivi da raggiungere sono anch’essi ancora molto distanti, troppo.E lo sono per le economie in via di sviluppo ma anche per le economie che invece si ritengono già parecchio sviluppate.
La pubblicazione, in Italia, di questo compendio di articoli e studi di Bina Agarwal è senz’altro positivo, istruttivo e motivazionale. Il lavoro condotto da Agarwal in tutti questi anni è monumentale, non solo dal punto di vista quantitativo ma, soprattutto, qualitativo. Un lavoro che ha giovato alla teoria, soprattutto a quella della contrattazione, ma anche alla pratica, alla economia applicata.
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Bibliografia di riferimento
Bina Agarwal, Disuguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo, Alberto Quadrio Curzio (a cura di), il Mulino, Bologna, 2021.
L’autrice
Bina Agarwal: È docente di Development Economics and Enviroment all’Università di Manchester; già docente di Economics e direttore dell’Institute of Economics Growth, University of Delhi. Membro dell’Accademia dei Lincei. Ha partecipato alla Commission for the Measurement of Economics Performance and Social Progress.
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Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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