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Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

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“Il capitalismo oggi e la sua incidenza su popoli ed economie”

31 sabato Ott 2020

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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articolo, Capitalism, capitalismo, economia, geopolitica, politica

La modernità del mondo occidentale è davvero così inscindibile dal sistema capitalistico oppure esistono, o dovrebbero esistere, forme e processi economici differenti, paralleli o alternativi?
Il dibattito è aperto e animato, richiede inoltre uno sguardo a quei paesi e alle rispettive economie che sono emergenti e, a tratti, emulative dei processi economici occidentali senza dimenticare le idee di coloro i quali, al contrario, vedono nelle dinamiche del mondo occidentale l’imitazione di sistemi e strutture pregressi, avanzando il bisogno di allungare indietro lo sguardo fino ai tempi del colonialismo.

CAPITALISMO E CAPITALE

Il capitalismo ha presentato, fin dalle origini, un accentuato dualismo simbolico e concreto. Da un lato è visto come il metodo migliore per lo sviluppo economico di un paese essendo basato su una economia di libero mercato, su una divisione netta tra proprietà privata e pubblica. Un metodo di sviluppo quindi con un potenziale altissimo che ha consentito a paesi, come gli Stati Uniti d’America, di diventare potenze economiche di livello mondiale. D’altro canto però è stato sempre criticato e per le medesime ragioni, generando un sistema nel quale il lavoro diventa lavoro salariato, sfruttato al fine ultimo di ottenere il massimo profitto, utile all’illimitato bisogno di accumulo di capitale.

A partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, allorquando ha iniziato a diffondersi, il capitalismo si è sviluppato in maniera non univoca nei diversi paesi del blocco occidentale, garantendo comunque alti livelli di crescita economica e generando, per restare negli Usa, quello che Elizabeth Warren ha definito “il più grande ceto medio che il mondo abbia mai conosciuto”. Una classe sociale nata e sviluppatasi proprio grazie al lavoro e al profitto generatosi da esso.
Uno sviluppo e una crescita enormi che hanno ingenerato però una grande quantità di problemi dovuti, in larga parte, proprio alle difficoltà inerenti l’impossibilità o quasi di sostenere gli stessi ritmi e i medesimi consumi.

CAPITALISMO, MA A QUALE PREZZO?

È la domanda che si è posta Michel Martone analizzando la situazione economica dell’Italia all’indomani della grande crisi economica che, inevitabilmente, ha riportato l’attenzione sulle dinamiche di un sistema economico, che da tempo ormai strizza l’occhio alle grandi economie libere dei paesi capitalisti per tradizione, ritenuto da molti il principale responsabile.
Oggi, nel mercato globale, per soddisfare le richieste sempre più esigenti, sia sotto il profilo della qualità che sotto quello del costo dei prodotti, si finisce per sacrificare le retribuzioni e la stabilità degli stessi lavoratori.

Ragionamento eguale a quello portato avanti dalla Warren nella sua analisi al sistema americano dove il ceto medio, una volta grande, è ormai ridotto allo stremo. Il passaggio dal capitalismo economico a quello finanziario ha lasciato indietro tanti lavoratori, un’intera classe di lavoratori, il ceto medio appunto, trasformando quelli che erano i punti cardine dello sviluppo economico (risorse e manodopera) in aspetti secondari di un sistema che è tutt’ora in continua espansione e crescita.

L'AFROMODERNITÀ COME CONDIZIONE GLOBALE?

Diversi fenomeni osservabili in Africa hanno indotto Jean e John Comaroff a considerarli prodromi e non imitazioni di quanto sta accadendo in Europa e Nordamerica.
Un’economia emergente, quella africana, tutt’altro che priva di contraddizioni, basata sul desiderio degli stati post-coloniali e dei loro governanti di guadagnare entrate spendibili nelle forme più flessibili e deregolate, a scapito della protezione dei lavoratori, dei controlli ambientali, delle imposizioni fiscali.
Così lo sviluppo economico si è spesso manifestato in forme rapinose, che massimizzano il profitto al minimo costo realizzando pochi investimenti strutturali. Soluzioni ispirate a dottrine neoliberiste ma realizzate con formulazioni estreme e incontrollabili, con il conseguente aumento di fenomeni come conflittualità, xenofobia, criminalità, esclusione sociale, corruzione.
Una violenza strutturale sembra dunque accompagnare i più recenti sviluppi di un’economia deregolamentata che inizia a diffondersi a livello globale.

La modernità è sempre stata indissociabile dal capitalismo, dalle sue determinazioni e dalle sue logiche sociali, come ricordava già Amin nel 1989, per quanto ovviamente fascismo e socialismo abbiano provato a costruire delle loro versioni.
Così, la modernità capitalista, si è realizzata, per quanto in maniera molto ineguale, nelle grandi aspirazioni del liberalismo, tra cui l’edificio politico-giuridico della democrazia, il libero mercato, i diritti e la società civile, lo stato di diritto, la separazione tra pubblico e privato, sacro e laico. Ma, per i Comaroff, ha anche privato diverse popolazioni di queste cose, in primis quelle dislocate nei vari teatri coloniali. E, per Elizabeth Warren, il contemporaneo capitalismo finanziario sta privando gli stessi americani e occidentali in generale di queste medesime cose.

IL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA

Il capitalismo sembra evolversi in risposta ai bisogni delle persone in un tempo e in un luogo determinati. È in questo modo che si sarebbe giunti, nella visione di Shoshana Zuboff, alla attuale forma di capitalismo della sorveglianza. Una logica che permea la tecnologia e la trasforma in azione. Una forma di mercato inimmaginabile fuori dal contesto digitale ma non coincidente con esso. Si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti.

I capitalisti della sorveglianza hanno scoperto che i dati più predittivi si ottengono intervenendo attivamente sui comportamenti delle persone, consigliandole o persuadendole ad assumere quelli che generano maggiore profitto. Come il capitalismo industriale era spinto dalla continua crescita dei mezzi di produzione, così il capitalismo della sorveglianza e i suoi operatori di mercato sono costretti ad accrescere continuamente i mezzi per la modifica dei comportamenti e il potere strumentalizzante.

Karl Marx paragonava il capitalismo a un vampiro che si ciba di lavoro, nell’accezione attuale il nutrimento non è il lavoro bensì ogni aspetto della vita umana.
Come le civiltà industriali hanno potuto prosperare a discapito della natura e delle sue risorse, così una civiltà dell’informazione segnata dal capitalismo della sorveglianza prospererà, per Zuboff, a discapito della natura umana.
In questa nuova forma di capitalismo per certo ci sarà un drastico calo nello sfruttamento delle risorse della natura e questo, per Andrew McAfee, è indubbiamente un aspetto positivo.

IL NUOVO MOTTO SARÀ: DI PIÙ CON MENO?

Per quasi tutta la storia del genere umano la prosperità è stata strettamente connessa alla capacità di attingere risorse dalla Terra, ma adesso le cose sono cambiate. Negli ultimi anni abbiamo visto emergere un modello diverso: il modello del di più con meno.

Le forze gemelle del progresso tecnologico e del capitalismo scatenate durante l’Era industriale sembravano spingere verso una direzione ben precisa: la crescita della popolazione umana e dei consumi, e il concomitante degrado del pianeta.
Se il capitalismo ha proseguito per la sua strada diffondendosi sempre più, il progresso tecnologico ha permesso di consumare sempre più attingendo sempre meno dal pianeta.

I dati forniti dall’agenzia Eurostat, oggetto di attenzione da parte della Commissione Europea, mostrano come, negli ultimi anni, paesi come Germania, Francia e Italia, hanno visto generalmente stabile, se non addirittura in calo, il loro consumo totale di metalli, prodotti chimici e fertilizzanti.

I paesi in via di sviluppo, in particolare quelli con la crescita più rapida, come India e Cina, probabilmente non hanno ancora raggiunto la fase di dematerializzazione.

Attraversiamo una fase nella quale il capitalismo non è molto ben visto da tanti, eppure Andrew McAfee è di tutt’altro parere, convinto che sia stata proprio la combinazione tra innovazione incessante e mercati contendibili, in cui un gran numero di competitor cerca di ridurre le spese per i materiali, a traghettare le economie occidentali nell’era post-picco di consumo delle risorse.

OCCIDENTE O ORIENTE: CHI PERDE E CHI VINCE NELLA GRANDE 
SFIDA DELLA CRESCITA ECONOMICA?

La quota occidentale dell’economia globale continua a ridursi. Il processo sembra inevitabile e inarrestabile poiché altre realtà hanno imparato a emulare le best practices dell’Occidente.
Fino a tempi anche molto recenti, gran parte della crescita globale è venuta dalle economie del G7, non da quelle degli E7. Negli ultimi decenni la situazione si è nettamente rovesciata. Nel 2015, ad esempio, le economie del G7 hanno contribuito alla crescita globale per il 31.5 per cento, gli E7 per il 36.3 per cento.

Nell’analisi di Kishore Mahbubani, la fine della Guerra Fredda non ha significato la definitiva vittoria del mondo occidentale, bensì il suo lento e progressivo declino. La convinzione di essere insuperabile lo ha spinto a sottovalutare, tra l’altro, il risveglio dei due grandi giganti asiatici – Cina e India -, e l’ingresso della Cina nel 2001 nella World Trade Organization.
L’ingresso di quasi un miliardo di lavoratori nel sistema mondiale degli scambi avrebbe avuto per forza come risultato una massiccia “distruzione creativa” e la perdita di molti posti di lavoro in Occidente.

Nell’agosto 2017, una relazione della Banca dei Regolamenti Internazionali confermava che l’ingresso di nuovi lavoratori provenienti dalla Cina e dall’Europa Orientale nel mercato del lavoro era la causa di salari in declino e della contrazione della quota del lavoro nel reddito nazionale. Tutto ciò, ovviamente, avrebbe significato, per le economie occidentali, un aumento della diseguaglianza.

L’Unione Sovietica vedeva l’America come un avversario sul piano militare. In realtà, l’America era il suo avversario economico, ed è stato il collasso dell’economia sovietica a decretare la vittoria degli Stati Uniti.
Allo stesso modo, per l’America la Cina è un avversario economico, non militare. Più l’America accresce le sue spese militari, meno capace sarà nel lungo andare nel gestire i rapporti con un’economia cinese più forte e più grande.

La sfida che attende gli Stati Uniti tuttavia non è la stessa dell’Europa. Per i primi la sfida è la Cina. Per la seconda è “il mondo islamico sulla porta di casa”.
Finché nel Nord Africa e nel Medio Oriente saranno presenti stati in gravi difficoltà, ci saranno dei migranti che cercano di arrivare in Europa, infiammando i partiti populisti. Una possibile soluzione potrebbe essere lavorare con la Cina e non contro di essa per la crescita e lo sviluppo dell’Africa settentrionale.

PER UN MODELLO DI SVILUPPO ALTERNATIVO

Dunque, ciò che necessita ai paesi economicamente avanzati così come a quelli emergenti sono delle politiche di mutuo soccorso, per così dire. Connettere prospettive differenti con l’obiettivo precipuo di individuare una crescita equilibrata. Individuare un nuovo modello di sviluppo globale, alternativo a quello esistente, capace di coniugare le esigenze dei paesi industrializzati, quelle dei paesi in via di sviluppo nonché di quelli poveri, anche di materie prime.
Idee già espresse nel North-South, a Program for Survival, noto come Rapporto Brandt, redatto nel 1980 e basato sostanzialmente su una coppia concettuale ben definita: interdipendenza e interesse comune. Per molti, ancora oggi il Rapporto Brandt rappresenta l’unica vera alternativa sistemica alla globalizzazione neoliberista.

Per Brandt e gli altri commissari si trattava di lavorare per far sì che nel medio termine alcuni interessi, a nord come a sud, si inter-connettessero, secondo la tesi per cui un più rapido sviluppo a sud sarebbe stato vantaggioso anche per la gente del nord. Il pre-requisito di questo tentativo non poteva che essere un maggior aiuto degli Stati industrialmente avanzati a quelli più deboli, sia attraverso forme di finanziamento dirette sia mettendo in campo dei programmi di prestiti a lunga scadenza.

Sulla scia delle idee di Kenneth Arrow, Stglitz e Greenwald invitano a riflettere sui modi possibili di intervento governativo sul mercato per migliorare l’efficienza e il benessere collettivo, tenendo sempre a mente che buona parte degli innalzamenti degli standard di vita sono associati al progresso tecnologico e all’apprendimento.
Nei quattro decenni trascorsi dalla fine degli anni Quaranta alla fine degli anni Ottanta, le economie socialiste si concentrarono con decisione sulle ricette di solito associate alla crescita, ossia l’accumulazione di capitale e l’istruzione. Presentavano tassi di risparmio e investimento elevati – in molti casi molto più elevati di quelli presenti in Occidente – e investirono seriamente nell’istruzione. Tuttavia, alla fine di questo periodo, presentavano risultati economici inferiori, spesso di molto.
Le economie non centralizzate si erano sviluppate migliorando costantemente la performance economica.

La situazione oggi si sta invertendo. Mahbubani afferma che il dono più grande che l’Occidente ha fatto al Resto del Mondo è stato la potenza del ragionamento logico. Filtrando nelle società asiatiche, lo spirito di razionalità e, potremmo aggiungere, conoscenza occidentale ha portato a un crescendo di ambizione, che a sua volta ha generato i molti miracoli asiatici che stanno sviluppandosi.

ALL'ALBA DI UN NUOVO MONDO

La cupa profezia sull’incipiente tramonto dell’Occidente sembra trovare sempre maggiore consenso e certezze ma, per Angelo Panebianco, è fin troppo scontato affermare che la società aperta occidentale con i suoi gioielli (rule of law, governo limitato, diritti individuali di libertà, democrazia, mercato, scienza) sia oggi a rischio. Un fenomeno caratterizzato dall’indebolimento degli intermediari politici che, secondo Bernard Manin, ha accompagnato il passaggio dalle vecchie democrazie di partito alle nuove democrazie di pubblico.

Crisi demografica e difficoltà di fronteggiare le conseguenze sociali, economiche e politiche dell’immigrazione extraeuropea – in Europa -, o latinoamericana – negli Stati Uniti – segnalano quella che viene indicata come una crisi morale che sta minando la fiducia in sé stesse delle società occidentali.
L’idea più diffusa è che siamo entrati in una nuova fase nella quale si assisterà al passaggio dalla breve stagione dell’unipolarismo americano a un nuovo multipolarismo, nel quale Stati Uniti e Cina, pur essendo le potenze più forti, dovranno comunque fare i conti con altre potenze, quali Russia, India e fors’anche Brasile, Indonesia e Sud Africa.

Bibliografia di riferimento

Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019. Traduzione di Paolo Bassotti.
Michel Martone, A che prezzo. L’emergenza retributiva tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale, Luiss University Press, Roma, 2019.
Jean Comaroff, John L. Comaroff, Teoria dal Sud del mondo. Ovvero, come l’Euro-America sta evolvendo verso l’Africa, Rosenberg&Sellier, Torino, 2019. Traduzione di Mario Capello.
Andrew McAfee, Di più con meno. La sorprendente storia di come abbiamo imparato a prosperare usando meno risorse, Egea UniBocconi, Milano, 2020. Traduzione di Giuseppe Maugeri.
Jacopo Perazzoli (a cura di), Per un modello di sviluppo alternativo. A quarant’anni dal Rapporto Brandt, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano, 2019.
Kishore Mahbubani, Occidente e Oriente chi vince e chi perde, Bocconi Editore, Milano, 2019. Traduzione di Giuseppe Barile.
Angelo Panebianco, Sergio Belardinelli, All’alba di un nuovo mondo, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2019.
Elizabeth Warren, Questa lotta è la nostra lotta, Garzanti, Milano, 2020. Traduzione di Paolo Lucca.
Joseph E. Stiglitz, Bruce C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2018. Traduzione di Maria Lorenza Chiesara.


Articolo disponibile anche qui


Disclosure: Per i grafici si rimanda alla Bibliografia di riferimento. Per le immagini credits www.pixabay.com


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PLUTONOMY vs DEMOCRACY: far vincere la Democrazia contro la Shock Economy è il vero potere del popolo

09 sabato Giu 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Articoli

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Capitalism, Democracy, Democraziadiretta, Europa, Italia, italiani, NWO, Occidente, Piigs, ShockEconomy, terrore, TheCorporation

«Questo è il Capitalismo: tutti cercano di guadagnare sulle disgrazie altrui.»

A dirlo è un agente immobiliare della Florida ai microfoni del documentarista Michael Moore per Capitalism: a love story, lavoro che risale all’anno 2009.

Ma se il Capitalismo è il male, come ha fatto a resistere così a lungo?

Il sistema sarebbe costituito e basato su quella che viene definita propaganda, ovvero l’abilità di convincere le persone, che restano quindi vittime dello stesso sistema, a sostenere il medesimo e a credere che sia buono, la scelta migliore.

Ma come si fa a convincere milioni di persone in tutto il mondo che l’unica scelta utile per il benessere collettivo sia il Capitalismo?

Naomi Klein in Shock Economy, pubblicato la prima volta nel 2007, racconta la privazione sensoriale. Tecniche di persuasione volte a indurre la monotonia, la perdita di capacità critica, il vuoto mentale. Ma che significa “perdita di capacità critica”?

Sostanzialmente si tratta dell’incapacità, troppo spesso indotta anche da istruzione, informazione e pubblicità pilotate, di porsi delle domande, di analizzare dati e fatti con spirito critico appunto, invece di immagazzinare passivamente notizie e, soprattutto, immagini stereotipate e artefatte.

«Se ti è stato ripetuto per un’intera vita che le cose stanno come ti dicono gli altri, iniziare a pensare di cambiarle è una cosa grossa.»

A dirlo è un’operaia della Republic in sciopero da giorni con i colleghi contro la repentina chiusura della fabbrica e la ferma volontà di non corrispondere ai lavoratori i salari e la liquidazione già maturata. La lotta civile da loro portata avanti si è conclusa con il riconoscimento dei propri diritti e il versamento di quanto dovuto.

Combattere, lottare, protestare, scioperare solo per vedere riconosciuti i«servizi basilari»o essenziali, che in realtà sarebbero diritti. Perché in fondo ha ragione Erri De Luca che in Piigs sostiene che, con il Capitalismo sfrenato e deregolato, «i diritti sono diventati servizi. E i servizi hanno un costo e quindi vi può accedere solo chi se li può permettere».

Ea coloro che non possono permetterseli che succede? Già.

Questa «corrente selvaggia del Capitalismo» nel quale viviamo, il Capitalismo senza limiti, «ha conquistato il pianeta». Ed è basato sulle idee di un economista di nome Milton Friedman, per il quale tutto deve essere privatizzato tranne «la spesa militare, i tribunali e alcune strade e autostrade». Ma quando i doveri a cui dovrebbe adempiere il governo, lo Stato, vengono delegati a società private, che hanno naturalmente scopo di lucro, che succede?

Nel Rapporto 2005 della Citibank, stilato per i suoi investitori più ricchi, gli operatori di uno dei gruppi bancari più grandi che opera e ha interessi praticamente in tutto il mondo, compresa l’Italia, giungevano alla conclusione che «gli Stati Uniti non erano più una Democrazia, ma erano diventati una Plutonomia». Una società controllata esclusivamente da e per l’1% dell’élite che dispone di ricchezze maggiori di quelle del 95% della popolazione. «I ricchi sono la nuova aristocrazia e non si vede la fine della miniera che stanno sfruttando». Tutto bello, dal loro punto di vista, se non fosse per un problema, un intoppo cui ancora non erano riusciti a trovare la soluzione. Secondo Citigroup la minaccia peggiore e a breve termine sarebbe stata la richiesta, da parte della società, di una suddivisione più equa della ricchezza. Citigroup lamentava il fatto che i non ricchi potessero anche non avere potere economico, ma avevano lo stesso potere di voto dei ricchi. Infatti ogni persona ha diritto a un voto, indipendentemente dal suo potere economico. «Ed ecco quello che davvero li spaventa: che i non ricchi possano ancora votare. E hanno il 99% dei voti».

C‘è qualcosa che non torna però in questo ragionamento. Se i non ricchi rappresentano il 99% e hanno quindi un potere di voto enorme perché il tutto non cambia e loro lo sopportano passivamente? Per la propaganda?

In parte è vero ma ciò sarebbe dovuto a un effetto indiretto di essa. L’emulazione. Secondo quanto si legge nel Rapporto Citigroup, i non ricchi sopportano tutto perché «la maggior parte di essi è convinta che un giorno potrà anch’essa diventare ricca».

Cosa succede quando realizza che non accadrà mai? Succedono le rivolte, le rivoluzioni, gli scioperi, gli scontri, le proteste… a volte pacifici e consumati nelle cabine elettorali, altre volte nelle piazzecon risultati più o meno tragici, ma sempre per i non ricchi. Il Cile di Pinochet, i Desaparecidos in Argentina, la Gran Bretagna della Iron Lady Margaret Thatcher, la Russia di Yeltsin e poi ci sono le rivolte in Grecia e in Spagna contro l’austerità dell’Unione Europea… Tutte duramente represse in nome del benessere del Capitalismo.

Il Capitalismo per poter funzionare necessita ancora del consenso e dell’appoggio incontrastato della popolazione, di quel 95% di cui scrivono i relatori della Citigroup che ha il diritto di voto e quindi il potere di mandare al governo esecutori o meno degli interessi degli investitori, degli operatori finanziari, delle Corporation, delle banche… Un metodo per aggirare l’ostacolo del diritto di voto, o quantomeno indirizzarlo verso la direzione voluta,però è stato trovato.

«Se ti servi della paura riesci a far fare alla gente ciò che vuoi».

Ancora Friedman, quando insegnava economia all’Università di Chicago, durante le sue lezioni affermava: «la terapia di shock economico può stimolare le società ad accettare la più pura forma di capitalismo deregolato». La Dottrina dello Shock, che la Klein ha studiato e analizzato nel suo libro, ovvero «il sistematico saccheggio della sfera pubblica dopo un disastro», quando le persone sono molto concentrate su un’emergenza, su una catastrofe che può essere un evento naturale o il risultato di politiche e tattiche, può essere un terremoto, un’alluvione, uno tsunami oppure una rivolta, un conflitto, un attentato terroristico… Non importa, perché sempre e comunque il Capitalismo, deregolato e senza limiti, per tramite dei suoi fautori e operatori, troverà il modo per trarne profitto, un grande profitto che finirà sempre e comunque nelle mani di quella élite dell’1% che da sola detiene in mano le ricchezze praticamente dell’intero pianeta. E per ricchezze non vanno intesi solo denaro e preziosi ma i beni, quelli sìdavvero preziosi, che il pianeta fornisce per la vita dei suoi abitanti, come l’acqua e l’aria pulite, per esempio.

L‘opinione di Michael Moore sul Capitalismo è molto drastica, per lui «è il male. Non si può regolamentare. Bisogna sostituirlo con qualcosa di buono. E questo qualcosa si chiama Democrazia». Ma per farlo è necessario, innanzitutto, che le popolazioni sviluppino la «resistenza allo shock» con la conoscenza, la lotta pacifica, la resilienza, lo sciopero, l’organizzazione e la solidarietà. Non da ultimo, e di pari passo con la conoscenza, il mantenimento della memoria collettiva, la rivalutazione degli insegnamenti del passato, della Storia, frutto di uno studio critico e diapprofondimento non di mnemonica assimilazione di contenuti e concetti preconfezionati. In maniera tale che i non ricchi smettano di desiderare, di sognare di diventare ricchi pensando che questo porti loro felicità e benessere e non avidità e insano potere, come invece accade, e ritrovino o trovino in prima istanza l’importanza, la sacralità della vita, degli esseri umani, delle risorse del nostro pianeta e smettano di idolatrare persone, come Phil Gramm, per esempio, ex-senatore Usa e vice-presidente di UBS Investment Bank, il quale ha dichiarato di considerare Wall Street «un luogo sacro».In realtà è tutt’altro che un luogo sacro. Somiglia piuttosto a «un folle Casinò, dove si scommette su qualunque cosa».Anche sulla vita umana.

Nel suo intervento durante il dibattimento in Senato precedente la votazione per il governo del cambiamento, Mario Monti ha detto: «Non il Presidente del Consiglio, ma l’intero vostro Governo nascerebbe oggi come governo dimezzato se altre forze politiche non avessero dato, in un momento difficilissimo della vita del Paese, prova di grande responsabilità». Ovvero l’appoggio al suo governo e alle misure di austerità imposte come “sacrificio necessario” per evitare al Paese, cioè all’Italia, la “vergogna” dellaGrecia, ossia la Troika. Ma attenzione, avverte ancora Monti, «non è escluso che l’Italia possa dover subire ciò che ha evitato allora, l’umiliazione della Troika». Shock Economy.

Le misure economiche poste in essere dall’allora Governo presieduto dallo stesso Monti e che egli dichiara hanno portato l’Italia «fuori dalla grave crisi finanziaria»hanno riguardato, soprattutto, e continuano a riguardare il taglio della spesa pubblica per diminuire il deficit di Bilancio.

Detto in parole più semplici, il taglio della spesa pubblica diviene quasi sempre un taglio alle spese sociali, che equivalea diretaglio dei servizi.

In Italia, stando ai dati diffusi dal Censis, i finanziamenti dati alle Regioni e legati ai servizi sociali si sono ridotti di circa l’80% dal 2007 al 2014 (da 1.600milioni di euro a 297milioni di euro). Per quantificare un esempio, ma i tagli dal 2007 a oggi hanno riguardato anche la scuola pubblica e quindi l’istruzione, la sanità e quindi la salute dei cittadini e la loro assistenza. E via discorrendo…

Sempre del Censis i dati relativi all’indebitamento di oltre 7milioni di italiani per pagare le cure mediche. Ci sono poi anche quelli che non si indebitano ma, semplicemente, rinunciano a curarsi perché i soldi non li hanno. E questa è l’amara realtà conseguenza diretta dell’austerità, di quel “sacrificio necessario” richiesto da Monti, dal suo governo e da quelli successivi.

Una domanda però bisogna porsela: perché c’è stata la cosiddetta esplosione del debito pubblico italiano che ha reso necessario gli interventi di riordino dei conti pubblici pena la Troika?

Sul sito della Consob, l’Autorità italiana per la vigilanza dei mercati finanziari, si legge che la crisi finanziaria del 2007 ha avuto inizio, in realtà, negli Stati Uniti già a partire dal 2003, allorquando «cominciò ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio», ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito perché «non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie». Ciò è stato reso possibile dalla cosiddetta bolla immobiliare, favorita dalla Federal Reserve che ha consentito al prezzo degli immobili di salire mantenendo tassi di interesse bassi. Ma, soprattutto, dalla cartolarizzazione, ovvero dalla possibilità per gli istituti di credito, le banche, di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in titoli, a soggetti terzi e recuperare così buona parte del credito vantato. In questo modo le istituzioni finanziarie «poterono espandere enormemente le attività in rapporto al capitale proprio», realizzando profitti molto elevati, ma esponendosi anche al «rischio di perdite ingenti».

«I titoli cartolarizzati sono stati sottoscritti da molti investitori sia negli Usa che in Europa».

Bill Black, uno dei supervisori bancari americani, ricorda, intervistato in Capitalism di Moore, che l’FBI «iniziò ad allertare l’opinione pubblica nel settembre del 2004 sul fatto che ci fosse un’epidemia di frodi sui mutui messa in atto dalle banche». Ma l’amministrazione Bush destinò centinaia di agenti specializzati in crimini finanziari ad altre mansioni, nonostante «stavamo entrando, durante tutto il periodo dell’amministrazione Bush, nella più grande ondata di crimini finanziari del Paese ma, in realtà, della storia mondiale».

Ritornando all’analisi della crisi fatta dalla Consob, si legge che le operazioni di cartolarizzazione generavano prodotti strutturati molto complessi, poco standardizzati e poco liquidi. I prodotti strutturati, inoltre, venivano scambiati prevalentemente over the counter (OTC), ossia «al di fuori dei mercati regolamentati, e in assenza di prezzi significativi, cioè di prezzi utilizzabili per una loro valutazione condivisa dagli operatori di mercato». In quella circostanza fu palese che le agenzie «avevano assegnato rating troppo generosi (anche per effetto di conflitti di interessi che creavano incentivi in tale direzione) e si erano dimostrate troppo caute nel rivedere il proprio giudizio sugli emittenti che incominciavano a manifestare i primi segnali di crisi».

«Le istituzioni finanziarie coinvolte nell’erogazione dei mutui subprime registrarono pesanti perdite».Tali titoli, ormai ampiamente diffusi sul mercato, persero ogni valore e diventarono illiquidabili. La banca di investimento Lehman Brothers avviò le procedure fallimentari il 15 settembre del 2008 e questo innescò un ulteriore processo di «tensione e incertezza sui mercati».

La crisi apparve sempre più nella sua «natura sistemica», con “turbolenze” senza precedenti che si estesero dal mercato dei prodotti strutturati ai mercati azionari e, progressivamente, all’intero sistema finanziario evidenziando un «elevato grado di interconnessione».

In breve tempo la crisi dei mutui si trasferì all’economia reale statunitense ed europea provocando «una caduta di reddito e occupazione». Sempre sul sito della Consob si legge che, nel complesso, gli aiuti erogati alle banche dei rispettivi sistemi nazionali in Europa ammontano a 3.166miliardi di euro, sotto forma di «garanzie (2.443miliardi), ricapitalizzazioni (472miliardi) e linee di credito e prestiti (251miliardi)». La Consob dichiara di far riferimento a dati MBRES del dicembre 2013.

3.166miliardi di euro.

«I salvataggi bancari accrebbero in modo significativo il debito pubblico dei paesi coinvolti, gettando i presupposti per la cosiddetta crisi del debito sovrano».

La crisi del debito sovrano dei paesi europei è dovuta quindi alla crisi finanziaria partita da Wall Street ed estesasi fino agli istituti finanziari europei che hanno poi ricevuto, in complesso, 3.166miliardi di euro di aiuti.

Ora la domanda che viene da porsi è: perché per far rientrare il debito pubblico non è stato richiesto un sacrificio alle banche invece che ai cittadini?

Ma sorgono anche altri interrogativi. Ipotizzando anche e volendo dare per buona la versione che sostiene l’effetto sorpresa della crisi del 2007, ovvero che ha avuto un effetto domino perché inaspettata, allora ci si chiede cosa in concreto sia stato fatto per evitare che accada di nuovo. I mercati finanziari deregolati sono stati regolamentati? Se gli aiuti a sostegno delle banche hanno come conseguenza l’esplosione dei debiti pubblici degli Stati è stato previsto un piano differente di intervento in caso di nuova crisi? Invece di darli alle banche tutti quei miliardi di euro non potrebbero essere destinati direttamente all’economia reale? Al welfare? Al pubblico impiego? Al sociale? All’istruzione? Alla sanità? Cosa hanno poi fatto le banche con quei soldi pubblici? Contano di restituirli?

Ripensando alle parole di Mario Monti sembrerebbe proprio di no. Piuttosto pare ci sia una qualche tanto grave quanto incomprensibile responsabilità dei cittadini e dell’allora opposizioni incapaci di comprendere fino in fondo la serietà della “vergogna della Troika”. Con il 92% del consenso in Parlamento il governo Monti sarebbe riuscito a portare l’Italia fuori dalla crisi finanziaria e ad avviare una «seppur lenta, ripresa». Forza Italia, Partito Democratico, Fratelli d’Italia… li nomina tutti come sostenitori tranne la Lega, unica forza politica di opposizione nel Parlamento di allora, e Movimento Cinque Stelle come esterno alle istituzioni. All’epoca c’erano solo il blog di Grillo e i meetup.

Uno dei punti chiave su cui si è tanto insistito, lo ha fatto il governo Monti e lo ha fatto anche il governo Renzi, era il precetto del 3%. Se il deficit restava al di sotto di questa percentuale la ripresa e con essa la crescita dell’Italia sarebbero arrivate più fervide che mai. In più sedi istituzionali e conferenze Matteo Renzi ha sottolineato la coerenza del suo esecutivo nel rispettare questa direttiva.

Restare al di sotto del 3% significa mantenere la politica di tagli alla spesa pubblica.

Ma da dove viene fuori questo 3%? Funziona davvero?

Guy Abeille, ex funzionario del Ministero delle Finanze francese, ai microfoni dei giornalisti di PresaDiretta, intervista poi ripresa anche nel documentario Piigs, dichiara che, una sera del 1981, l’allora Presidente Mitterrand lo chiama perché necessita di una norma che fissasse il tetto del debito pubblico. «Il Presidente voleva qualcosa di semplice, di pratico. Non cercava una teoria economica ma uno strumento a uso interno». Siccome tutte le soluzioni sembravano complicate, Abeille e colleghi hanno pensato di rapportare il deficit al Pil. Il risultato di questa elementare operazione matematica è stato 3. Ed ecco il 3%. «Nessun criterio scientifico».

Qualche anno più tardi, quando a Maastricht bisogna trovare una regola per l’unione monetaria, Trichet disse: «Noi abbiamo un numero che ha funzionato benissimo in Francia». Da quando il 3% è diventato una regola, continua Abeille, «tutti hanno dovuto legittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica, della gente che vota», gli economisti hanno elaborato mille spiegazioni scientifiche, ma «io posso garantire che le cose sono andate esattamente come ho raccontato».

Sembra una barzelletta ma in realtà è molto triste. Sarà per questo motivo, forse, che alla prima votazione utile il popolo italiano ha premiato proprio quelle forze politiche che hanno scelto, nel tempo, di rimanere fuori da quel 92% che ha preferito invece imporre “sacrifici” alla popolazione tra cui proprio la regola del 3%.

In effetti lo scrivevano anche i relatori del Rapporto Citigroup in America che il diritto di voto equanime può essere un grande problema, perché i non ricchi non hanno potere economico ma sono in tanti, tantissimi, e siccome ogni persona ha diritto a un solo voto, il loro complessivamente supera di gran lunga quello delle élite, ovvero di coloro che, da questa immensa crisi finanziaria che ha investito l’economia reale di praticamente tutti i Paesi, sono riusciti forse anche a guadagnarci. Ho scritto forse ma penso di sicuro.

La Consob segnala che, nel novembre 2012, è stato adottato il nuovo Regolamento europeo come contromossa della crisi che ha messo in discussione anche «la capacità di tenuta di quasi tutti i comparti della regolamentazione del sistema finanziario», per l’attitudine a «creare un sistema di incentivi distorto e deresponsabilizzante». Gli eventi occorsi hanno messo in evidenza «la necessità di una riforma degli assetti istituzionali della supervisione finanziaria in Europa e negli Usa» e di rivedere «l’approccio tradizionalmente improntato all’autodisciplina» in alcuni settori del mercato finanziario, tra i quali «quello relativo ad agenzie di rating, fondi speculativi e mercati cosiddetti over the counter». In Europa è stata disegnata una nuova «architettura istituzionale» volta a promuovere «regole armonizzate e prassi uniformi di vigilanza e applicazione delle norme».

Sulle politiche di austerity invece permane la visione condivisa di governi locali e comunitari.

Riacquistare la capacità critica, la forza di volontà, creare gli anticorpi alla dottrina della shock economy, riappropriarsi degli strumenti utili a dar voce alle popolazioni e ai loro diritti, lo sciopero, la piazza, la cabina elettorale… Ecco la vera forza del popolo, della Democrazia.

Michael Moore sostiene che, nonostante i contenuti, le case di produzione e distribuzione cinematografica scelgano di produrre e distribuire egualmente i suoi documentari perché convinte che forniranno comunque un incasso e che la gente, anche se li guarderà, poi non farà nulla di così rivoluzionario da mettere in bilico il sistema. Moore è convinto del contrario e continua a lavorare a sempre nuovi documentari-inchiesta. Chi ha ragione? Solo il popolo, le scelte e le decisioni che prenderà potranno dirlo.

Le parole dell’operaia della Republic in sciopero per far valere i propri diritti di lavoratrice e cittadina sintetizzano alla perfezione il mix di meraviglia ed entusiasmo che accompagna la scoperta della possibilità di liberarsi della privazione sensoriale cui si viene costantemente sottoposti: «Se ti è stato ripetuto per un’intera vita che le cose stanno come ti dicono gli altri, iniziare a pensare di cambiarle è una cosa grossa». Immaginate riuscirsi cosa sarà.


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