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Irma Loredana Galgano

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“Madri” di Marisa Fasanella (Castelvecchi, 2021)

04 lunedì Apr 2022

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Castelvecchi, Madri, MarisaFasanella, recensione, romanzo

Nei vicoli storti, fuori e dentro le mura del manicomio,

Lena si appunta su foglietti di carta

le storie che ha udito, per non dimenticarle,

e le custodisce in una borsa di tela rossa.

L’uomo che suonava l’organetto sotto le finestre del manicomio la aspetta sul molo. 

Ti racconto una storia, gli sussurra lei all’orecchio, e poi un’altra e un’altra e ancora un’altra…

Sono storie di confino, dal luogo dove rinchiudono le donne che urlano per le strade e non si lavano e non si pettinano;

storie di uomini che vogliono le donne come proprietà, 

animali per figliare, serve per accudire.

Sono storie di morti e nascite violente, di case-prigioni. 

Nell’immaginario collettivo, la Calabria è come il dio bifronte Giano. O la amatissima meta turistica con il suo splendido mare e l’ottimo cibo, oppure la temutissima terra aspra come le sue montagne, piena di covi, nascondigli, segreti e Male.

Ma la Calabria raccontata da Fasanella nei suoi libri non appartiene ad alcuno di questi fronti, oppure a entrambi. 

L’autrice narra la storia delle donne che vivono o che hanno vissuto quel territorio. Le cui vite sono scivolate attraverso i muri, i pavimenti, i camini sempre accesi e sono giunte fino a noi.

Hanno fatto sentire così la loro voce, altrimenti muta e silenziosa, come i granelli non della sabbia delle spiagge ma della cenere del fuoco con la brace ancora viva, ardente come l’amore, la passione, la sofferenza, il dolore… come i sentimenti che le vanno a comporre quelle vite che Fasanella tramanda. 

Racconta la vita, Fasanella, ma quella intima, quotidiana, personale. Una vita che si consuma tra le mura di abitazioni che possono anche essere o diventare prigioni, o tra quelle di manicomi che prigioni lo sono davvero.

Aliti di vita che sembrano entrare in ogni seppur minima crepa di questi muri, negli oggetti, nei tessuti, come nelle persone, nella loro anima egualmente scalfita dalle crepe lasciate dalla stessa vita. 

Il registro narrativo di Madri è molto introspettivo, come le storie di cui racconta. Frasi brevi, spesso minime, periodi che sembrano la trascrizione letterale dei pensieri e delle immagini presenti nella mente dei protagonisti, delle protagoniste, le cui azioni reali, concrete, si fondono e si confondono con i pensieri, i ricordi, i desideri, i tormenti. 

Ricorre nei racconti di Madri l’immagine di queste donne che cercano la luce, l’aria, il respiro attraverso i vetri delle finestre e più ancora affacciandosi al balcone, in gesti assolutamente ordinari che assumono nelle parole dell’autrice una valenza simbolica di straordinaria importanza e significato. È l’anelito di libertà che, nonostante tutto, muove ancora la mente e il corpo di queste martoriate donne, di queste “indegne” madri. 

Madri che si sentono immeritevoli oppure schiacciate, soffocate quasi da questo ruolo come da quello di mogli, e lo sono o lo diventano perché vittime di umiliazioni e vessazioni psichiche e fisiche. 

Madri, donne che si guardano a vicenda, si studiano, si cercano ma senza mai trovarsi davvero. Senza volerlo in realtà perché, pur nella loro somiglianza, rifiutano di identificarsi le una nelle altre, proprio in virtù di ciò che esse rappresentano per la società: donne di scarto, madri folli, persone indegne, rifiuti umani. 

Tutta questa oppressione influenza e condiziona la mente di queste donne al punto che esse, nel sentirsi inadeguate e inutili, finiscono col desiderare la fine, la morte, il suicidio. 

«Abito questo luogo chiuso da muri e cancelli. Sono finestre alte fino al soffitto 

quelle si affacciano sul parco, chiuse dalle grate, profonde come nicchie, 

si vede solo il cielo nuvolo di questo giorno di fine ottobre, 

si vede che è ancora giorno ma sembra notte. 

Una nebbia fitta ha avvolto il mondo.

Non li chiamano più manicomi. Lo stesso ci legano le braccia,

frugano nelle nostre carni, scavano nelle pupille: siamo merce di scarto.»

Paul Cezanne, Madre dell’artista, olio su tela, 1867

Le donne, le madri di cui scrive Fasanella sono anime e corpi inquieti. Tormentate dai ricordi, dai sogni infranti, dagli amori sbagliati, dai comportamenti “storti” che originano conseguenze “storte”, punizioni spesso malvagie e crudeli, ingiuste e dolorose. 

Più volte si forma nella mente di chi legge un’immagine che rimanda al torso ormai spolpato di una mela, una pera oppure di un qualsiasi frutto. Ai raspi acerbi privati di ogni acino d’uva. 

Queste donne, che hanno imparato fin da piccole la durezza della vita, mostrano sul loro corpo i segni di questa brutalità quasi primitiva, certamente arcaica, ma è soprattutto nella loro anima che si leggono chiaramente i segni dei traumi, scalfiti e profondi come solchi rigati da un grosso aratro. 

Queste donne che per secoli non hanno avuto voce, vittime di una cultura che le relega a un ruolo marginale all’interno della società e della casa. Donne la cui voce resterebbe ancora muta se non fosse la ribellione e il coraggio di chi sceglie, comunque, di parlare, di urlare a gran voce il diritto di esistere, di amare, di sognare, di sbagliare. 

Durante la sua indagine, condotta in lungo e in largo per l’Italia, ciò che ha meravigliato molto Gaia van der Esch è stata la reticenza, l’insicurezza, la riservatezza mostrate dalle donne italiane. Mentre gli uomini, per la maggiore, si sono mostrati più spavaldi e sicuri, per così dire, nelle risposte, le donne esternavano spesso un’insicurezza e un’indecisione non necessariamente dovute a lacune o ignoranza.1 A ciò facilmente si potrebbe obiettare che si è trattato di una casualità. Potrebbe anche darsi ma più probabilmente ciò è il riflesso preciso della realtà, basterebbe osservarla con più attenzione. Come ha fatto Gaia van der Esch. Come fa Marisa Fasanella.

Scrive Peter May ne L’uomo di Lewis che la piccola Ceit ha dovuto imparare presto quanto il mondo può essere più difficile per una giovane donna rispetto a un uomo e che doveva imparare quanto prima a difendersi dagli adulti che la consideravano un peso o peggio un’occasione.2

Rispetto ai libri precedenti, la scrittura di Marisa Fasanella è diventata ancora più intimistica, anche se con ogni probabilità non strettamente personale. Appare fortissimo il legame tra i personaggi e la scrittura che li ha originati. Un certo distacco invece si evince tra i personaggi e la mente di chi li ha originati. Quasi come se l’autrice volesse lasciarli liberi di parlare, di raccontare da sé la loro storia. È questo un “artificio” narrativo di straordinario interesse. 

Sembra quasi che Fasanella non volesse prendersi il merito di averli creati, generati, lasciando il cono di luce e l’intero palcoscenico a loro. 

Una situazione che a tratti ricorda quella generatasi in Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello.3 Qui le protagoniste, le donne, le madri sembrano cercare la loro autrice, il suo assenso, come nel timore di poterla in qualche modo deludere. Il tutto potrebbe anche essere un grande gioco, perfettamente riuscito, della stessa autrice. 

Le storie raccontate in Madri sono dei labirinti intrecciati di vita, ricordi, speranze e sogni infranti, dolore, amore e passione sfioriti, paura e follia. Un viluppo che si inerpica tra le parole tentando di vincerle, di uscire dalle pagine del libro e al contempo restarne imprigionate. Quasi come queste, tutto sommato, rimandano in loro un certo senso di sicurezza e stabilità, esattamente come accade con i muri e le inferriate dei manicomi, all’interno dei quali e in una maniera forse incomprensibile le donne arrivano addirittura a sentirsi a proprio agio, come a casa, più che a casa.

«Da questo luogo non è mai uscito nessuno fino a quando non li hanno chiusi. 

Mi hanno liberata nel mondo e non sapevo dove andare.»

Marc Chagall, Madre per il forno, olio su tela, 1914

Fasanella racconta storie dure, tristi. Storie di soprusi, dolore, violenza. Aggressività fisica e verbale di uomini contro donne. Ma racconta anche quello che c’è dietro o prima. Le privazioni, le umiliazioni perpetrate da altre donne, le stesse cui è stato universalmente riconosciuto il compito di crescere, educare, accudire, amare. Madri. Nonne. Zie. 

Traspaiono così dai racconti dell’autrice tutte le pecche di una cultura che è ancora molto indietro, per rispetto reciproco e senso civico. Una cultura nella quale chi non si allinea, chi è diverso viene additato come malato o pazzo.

Eppure in ognuno di noi albergano follia e malvagità. Bisogna solo vedere in che misura. 

Di certo il libro di Marisa Fasanella non è una lettura distensiva. Il lettore capisce fin da subito di trovarsi tra le mani un testo con uno scopo. Che il suo raccontare «storie che vengono da lontano» serve a non lasciare «al buio le donne che sono venute prima e quelle che verranno». L’importante è sapersene prendere cura. 

Un libro, Madri di Marisa Fasanella, che è un insieme di storie ma è soprattutto un ottimo romanzo moderno. 


Il libro

Marisa Fasanella, Madri. Storie di Lena di luna e di maree, Castelvecchi Editore, Roma, 2021.

L’autrice

Marisa Fasanella: autrice di numerosi romanzi e racconti. Vincitrice dei Premi Letterari Corrado Alvaro e Vincenzo Padula. Menzione della giuria del Rapallo-Carige.


1Gaia van der Esch, Volti d’Italia. Viaggio nei nostri pensieri, desideri e paure, Il Saggiatore, Milano, 2021.

2Peter May, L’uomo di Lewis, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2013.

3Luigi Pirandello, Guido Davico Bonino (a cura di), Sei personaggi in cerca d’autore, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2014.


Pablo Picasso, Maternità, olio su tela, 1867

Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’autrice per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per l’immagine in evidenza, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

“Doppia pena. Il carcere delle donne” di Nicoletta Gandus e Cristina Tonelli (Mimesis, 2019)

“Resti tra noi. Etnografia di un manicomio criminale” di Luigigiovanni Quarta (Meltemi, 2019)

“Il male in corpo” di Marisa Fasanella (Castelvecchi, 2019)

“Volti d’Italia. Viaggio nei nostri pensieri, desideri e paure” di Gaia van Der Esch (ilSaggiatore, 2021)

“L’uomo di Lewis” di Peter May (Einaudi Stile Libero, 2013)

Le regole di condotta: il comportamento in pubblico tra impegno e partecipazione. Analisi a “Il comportamento in pubblico” di Erving Goffman (Einaudi, 2019)

Melancholica deliria multiformia: “L’anatomia della malinconia” di Robert Burton (Giunti/Bompiani, 2020)


© 2022, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Il male in corpo” di Marisa Fasanella (Castelvecchi, 2019)

14 martedì Gen 2020

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Castelvecchi, Ilmaleincorpo, MarisaFasanella, recensione, romanzo

«Il cielo ha il colore del piombo e una nube maleodorante galleggia sul borgo vecchio: si spande fino alla nuova strada, entra nelle case, nel letto delle creature. La terra si rivolta e butta fuori gli acidi e i rifiuti e i bambini muoiono e gli adulti se ne vanno con il male in corpo.»

Incisivo e potente il nuovo libro di Marisa Fasanella, Il male in corpo, uscito in prima edizione a luglio 2019 con Castelvecchi Editore.

Indaga Marisa Fasanella la vita e le persone, osserva, assimila e metabolizza emozioni, sentimenti, male e dolore, lo trasforma in carne, in viscere, e poi rende il tutto di nuovo libero attraverso la scrittura. Per questo nei suoi scritti appare quasi tangibile la “carnalità” del narrato, storie che raccontano vita e vite tormentate dalla storia.

«l’urina si sciolse e le bagnò le cosce»
«nel sangue del mestruo che mi scorre tra le gambe»

Utilizza con frequenza l’autrice queste figure stilistiche, impiegate per dare incisività alla descrizione di particolari momenti di tensione emotiva, di situazioni di forte stress, di shock. L’impatto fisico e sensoriale cui sono sottoposte le protagoniste del libro all’improvviso, senza preavviso. E mente e corpo neanche hanno il tempo di reagire, semplicemente cedono e scorrono via, come i fluidi corporei.

Il dolore, unito a una incrollabile voglia di riscatto e giustizia, è il leitmotiv principale del libro. Persone che divengono fin da subito dei personaggi, ingabbiati più che inquadrati nella struttura narrativa, nella storia che è proprio la loro e che non potrà mai condurre a un “bel” finale, perché a muovere l’azione non è la speranza bensì il dolore, la mancanza, la sofferenza. Sono infatti le assenze più ancora delle presenze le caratterizzanti la figura della protagonista Miriam.
Sarà l’assenza di Massimo a far incrociare la sua esistenza con quella di Mairim, l’altra importante figura del libro.

Marisa Fasanella ha da sempre abituato i suoi lettori a una narrazione basata sul noto, intessuta nei luoghi del suo vissuto, quindi presenti in se stessa prima ancora che nella sua scrittura. Ne Il male in corpo questo aspetto tende a scemare, non perché Fasanella parli di luoghi a lei ignoti bensì perché racconta di una cittadina la quale, seppur bene geolocalizzata nella mente e nella conoscenza dell’autrice, non ha una identità geografica specifica. Potrebbe essere una qualsiasi città. Si presume sia una scelta voluta della stessa autrice, in considerazione del secondo tema portante la narrazione, la denuncia per i danni ambientali, per i crimini a danno dell’ambiente e dell’uomo protratti nel tempo e largamente diffusi, purtroppo.

Il male in corpo conferma lo stile narrativo potente e incisivo di Marisa Fasanella, caratterizzato da una visceralità quasi ancestrale. Una scrittura che esprime a fondo il legame di anima e corpo ma anche quello ancor più profondo tra uomo e territorio.

Una lettura che rischia di essere emotivamente molto impegnativa ma assolutamente consigliata.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’autrice per la disponibilità e il materiale


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“Nina” di Marisa Fasanella (EIR, 2014) 

 “Rimorsi” di Marisa Fasanella (Tullio Pironti Editore, 2014) 

“Il male dentro” di MariaGiovanna Luini (Cairo, 2014) 

 “Cellophane” di Cinzia Leone (Bompiani, 2013) 


 

© 2020, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“L’ultimo salto del canguro” di Paolo Vanacore (Castelvecchi, 2017)

17 mercoledì Gen 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Castelvecchi, Lultimosaltodelcanguro, omosessualità, PaoloVanacore, recensione, romanzo

Uscito in prima edizione con Castelvecchi Editore a luglio 2017, L’ultimo salto del canguro di Paolo Vanacore è un testo molto originale, non tanto nella forma quanto nel contenuto. Mente e pensieri raccontati attraverso i piccoli gesti quotidiani, il lavoro, le riunioni famigliari, gli amori, i tradimenti, le passioni… il tutto condito con una pungente ironia e un crudo realismo che contribuiscono a rendere l’insieme una gradevole lettura, un’amara riflessione, un’acuta eredità letteraria.

La prefazione, curata da Andrea Carraro, prepara il lettore a quanto ritroverà poi nel testo. Una storia nella quale i protagonisti “recitano a soggetto”, per così dire, “all’insaputa degli altri”. Una storia raccontata solo in apparenza con un linguaggio semplice. Un libro caratterizzato invece da uno stile narrativo proprio della formazione professionale dell’autore, che è anche autore e regista teatrale. Spiccano infatti i dialoghi e la loro incisività, passaggi che invece rappresentano spesso incognite o delusioni nei testi di narrativa.

Una storia raccontata al lettore dallo stesso protagonista, Edo, che enfatizza con molta auto-ironia i propri “disastri” amorosi. Auto-ironia e riservatezza che forse sono solo tentativi di difesa dai pregiudizi degli altri, soprattutto quando sono “vicini” e provengono da amici e parenti.

Edo è cresciuto a Roma, come l’autore, in una città che insegna presto a guardare al mondo senza troppe illusioni. Lavora al Bioparco. Ogni giorno attraversa la giungla cittadina prima e quella animale poi osservandole entrambe, riflettendo sui comportamenti umani e su quelli animali, sorridendo e facendo sorridere il lettore con argute considerazioni, spiritose meditazioni e una piccante ironia.

Source: Si ringrazia l’addetta stampa per la disponibilità e il materiale

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Esiste una realtà che dipende solo da noi? “Io e Henry” di Giuliano Pesce (Marcos y Marcos, 2016)

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© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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