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Irma Loredana Galgano

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Recensione a “L’affare Modigliani” di Dania Mondini e Claudio Loiodice (Chiarelettere, 2019)

31 giovedì Ott 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, ClaudioLoiodice, DaniaMondini, LaffareModigliani, recensione, saggio

L’affare Modigliani di Dania Mondini e Claudio Loiodice, edito da Chiarelettere in prima edizione a ottobre 2019, è una palese denuncia. Contro i troppi intrecci, misteri, errori, omissioni, leggerezze… che hanno ruotato e ruotano intorno alla figura dell’artista di origini livornesi.
Un libro scritto in “chiave criminologica”, una vera e propria inchiesta che, partendo da una ricostruzione geo-cronologica dei fatti, indaga a fondo sui particolari, sulle sviste, sui processi, le sentenze, le false certificazioni e gli alibi altrettanto dubbi che hanno caratterizzato questo vero e proprio business stimato dagli autori in almeno 11miliardi di euro. Cresciuto a dismisura proprio in seguito alla prematura scomparsa dell’artista le cui opere, prima vendute per mero bisogno di sussistenza, hanno poi visto lievitare il loro valore in maniera imponente. Lo stesso è accaduto per i tanti falsi in circolazione.

Sei sono i protagonisti principali della narrazione: Amedeo Modigliani e la sua compagna Jeanne Hébuterne, la loro figlia Jeanne e la nipote Laure, l’archivista piemontese Christian Parisot e “il tenace alfiere e cacciatore di falsi” Carlo Pepi. Sei personaggi principali intorno a cui si muovono tutta una serie di comparse su quello che gli autori hanno indicato e descritto come un immaginario palcoscenico sul quale si snoda l’intera vicenda ma, soprattutto, si consumano gli otto capitoli che vanno a comporre il libro. Otto capitoli per altrettante “scene del crimine”, minuziosamente descritte e analizzate, con precisi e definiti riferimenti al materiale cartaceo e non su cui gli autori si sono basati e che permane in loro possesso, a testimonianza e prova delle loro affermazioni.

Scopo del libro infatti non è solo la divulgazione della intera vicenda, ma una vera e propria denuncia di fatti criminali. Il testo contiene diverse ipotesi di reato. Le prime copie del libro sono state infatti consegnate alle procure competenti, in Italia e all’estero.

Cento anni di storia raccontati da Dania Mondini e Claudio Loiodice impiegando un registro narrativo molto rigoroso, forte, deciso e preciso. Affermazioni secche. Dichiarazioni che lasciano poco o nulla spazio a fraintendimenti. Esposizioni dei fatti e delle opinioni o testimonianze chiara e concisa.
Un rigore stilistico che non può non essere ricondotto al fine ultimo per cui il libro è stato scritto. Un atto di denuncia volto a ridare dignità all’artista Modigliani, al suo estro come al suo essere una persona che ha pensato fuori dagli schemi ma non per questo merita o ha meritato discredito.
“Anarchico, folle, violento, alcolizzato, drogato, attaccabrighe, dispotico, irascibile, puttaniere, irresponsabile, egocentrico” sono solo alcuni dei dispregiativi con i quali è passato alla storia “il più grande dei pittori italiani del Novecento”.

Un libro, L’affare Modigliani, scritto da Mondini e Loiodice anche per rivalutare e preservare l’immenso patrimonio culturale, artistico e architettonico dell’Italia, troppo spesso oggetto di interesse solo economico. Un patrimonio dal valore inestimabile che non può non aver attirato l’interesse anche dei corrotti e del malaffare.

Un testo molto interessante, quello scritto da Dania Mondini e Claudio Loiodice. Una lettura a tratti anche impegnativa, nei contenuti, ma sempre scorrevole e accattivante per lo stile di scrittura e lo studio della struttura dell’opera nel suo complesso, sicuramente oggetto di attento e preventivo interesse da parte degli stessi autori. Un libro che essi dedicano a Giordano Bruno, “eretico rivoluzionario” perché a volte è proprio nell’eresia la vera rivoluzione. Perché l’eresia non è ciò che non va detto, bensì ciò che non si vuole venga detto. In questo senso anche L’affare Modigliani è una vera e propria “eresia”.



Articolo originale qui


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“Il Patto sporco” di Nino di Matteo e Saverio Lodato (Chiarelettere, 2018) 


Immagine in evidenza: Amedeo Modigliani, Bambina in abito azzurro, 1918, Collezione privata Jonas Netter


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Il diritto alla salute passa attraverso gli ingranaggi della white economy. È questo il futuro della Sanità?

10 domenica Mar 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, FrancescoCarraro, Italia, MassimoQuezel, recensione, saggio, salute, SaluteSpA

Stando a quanto si legge sui giornali, si ascolta nei talk show e si commenta sui social, la transazione graduale del comparto sanitario da un sistema in prevalenza pubblico a uno in prevalenza privato sembrerebbe la scelta più sensata. Necessaria per azzerare, o quantomeno ridurre al minimo le lunghe e improponibili liste di attesa, per essere curati in strutture migliori e all’avanguardia nel settore. E via discorrendo. Non si intravedono all’orizzonte valide opzioni alternative. Del resto i politici, in questi anni, ci hanno messo il carico da novanta con i continui tagli ai fondi destinati alla sanità pubblica e innescando, non si sa quanto consciamente, un circolo vizioso per cui «i servizi peggiorano, le condizioni in cui operano i sanitari diventano sempre più difficili e, inevitabilmente, i rischi di errori gravi aumentano». Come in aumento sono pure le denunce e le richieste di risarcimento contro, pressoché esclusivamente, i medici ospedalieri del comparto sanitario pubblico.

I medici, le Asl per cui lavorano e le Regioni possono tutelarsi stipulando polizze assicurative che coprano i rischi per errori, che purtroppo accadono. Tuttavia l’aumento esponenziale di denunce e richieste di risarcimento hanno reso il comparto molto poco appetibile per le compagnie assicuratrici, molte delle quali si sono ritrovate, nel tempo, anche a dover gestire, o tentare di farlo, ingenti perdite legate proprio alla responsabilità civile medica.

«A dimostrarlo bastano tre casi esemplari riportati dall’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, ndr) nel suo dossier del 2014»:
– Lloyd’s di Londra che, nel 2012, ha dovuto immettere 10milioni di sterline – dei 30 richiesti a tutti i soci per l’aumento di capitale – nelle casse della Lloyd’s Market-form, in crisi di liquidità proprio per le perdite sul mercato italiano della responsabilità medica.
– Faro Assicurazioni, una piccola compagnia genovese cui avevano fatto ricorso molte Regioni e aziende ospedaliere d’Italia. «In poco tempo l’azienda è stata subissata da una mole ingestibile di richieste risarcitorie».
– La compagnia rumena Societatea de Asigurare-Reasigurare City Insurance S.A., gestita quasi per intero da italiani e che proprio in Italia vantava il 90 per cento dei contratti. «Una serie di indagini ha portato ad accertare la sua incapienza e, il 2 luglio 2012, l’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, ndr) le ha proibito di stipulare nuove polizze nel nostro paese».

Ciò ha favorito la nascita di un nuovo fenomeno, «la cosiddetta autoassicurazione». La singola azienda ospedaliera o la Regione da cui essa dipende si fa carico del pagamento dei risarcimenti, «in pratica, una polveriera».

Secondo l’Ania, le principali cause dell’aumento del numero di denunce per malpractice e di risarcimento sarebbero tre:
– Una maggiore consapevolezza e attenzione dei pazienti alle cure ricevute, a volte anche favorita, soprattutto recentemente, da alcuni fornitori di servizi di gestione del contenzioso.
– Un deciso aumento degli importi dei risarcimenti riconosciuti dai tribunali.
– L’ampliamento dei diritti e dei casi da risarcire da parte della giurisprudenza.

Per migliorare la situazione l’Ania, in audizione alla Camera dei deputati nel 2013, ha avanzato tre proposte:
– Passare a un sistema in cui, per determinate casistiche di eventi, sia previsto un risarcimento, o meglio un indennizzo standardizzato, senza la ricerca e l’attribuzione della responsabilità.
– La rivisitazione del concetto di responsabilità attraverso l’introduzione di protocolli che esimano gli operatori dalla responsabilità se essi sono in grado di dimostrare di averli correttamente eseguiti, o attraverso una più precisa delimitazione del perimetro della responsabilità.
– Il contenimento del ricorso alla giustizia ordinaria tramite meccanismi alternativi di risoluzione del contenzioso e la disincentivazione delle richieste infondate.

Per Carraro e Quezel il metodo migliore per ridurre i rischi legati alla malpractice è dotare la sanità di più risorse e migliorare «le condizioni di lavoro degli addetti, fornendoli di mezzi adeguati e di occasioni più frequenti per aggiornare le loro conoscenze scientifiche e le loro competenze tecniche».
Del resto, se da un lato l’Ania teme sviluppi negativi conseguenti all’autoassicurazione di Asl e Regioni, dovuti in prevalenza all’inesperienza nel settore degli stessi, rispetto a una compagnia assicuratrice, dall’altro la stessa Ania che propone l’introduzione di rigidi protocolli dimostra la medesima ignoranza, in campo medico. La casistica cui vanno incontro quotidianamente medici, chirurghi e operatori sanitari è tale da renderle improponibile una simile opzione. Piuttosto necessita una maggiore diffusione e un costante aggiornamento delle linee guida scientifiche, già parzialmente in uso.

Le scelte della politica, «declinate in mille modi diversi e perversi» (dal blocco del turnover alla riduzione dei posti letti, dall’accorpamento degli ospedali all’aumento dei ticket, dal ritocco dei Lea – Livelli essenziali di assistenza – all’eliminazione dei servizi essenziali), sembrano «scientificamente concepite per agevolare il processo di destrutturalizzazione del sistema sanitario italiano». Francesco Carraro e Massimo Quezel sottolineano le due conseguenze di questa situazione:
– Gli italiani rinunciano a curarsi, non avendo risparmi sufficienti per farlo.
– Come in molti altri settori della vita quotidiana, anche in quello della salute il cittadino è costretto a fare un mutuo.
Nel 2017 gli istituti specializzati nel credito hanno erogato 400milioni di euro a pazienti costretti a indebitarsi per garantirsi le cure.

Non vi sono dubbi quindi che questo fenomeno ha generato «un business dai contorni appetibilissimi» per quelle stesse compagnie di assicurazione che stanno scappando dal campo della responsabilità civile medica. «La chiamano white economy».
Stando ai dati forniti dall’Ania, «tra il 2013 e il 2014 gli italiani hanno sborsato per le polizze malattia 2 miliardi di premi». Ma c’è un risvolto alquanto inquietante e a raccontarlo agli autori di Salute S.p.A. è proprio un broker assicurativo: «Le polizze sono concepite per pagare il meno possibile».

Parafrasando il motto molto in voga tra i banker della city londinese, come riporta il giornalista del «Guardian» Joris Luyendijk nel saggio Nuotare con gli squali. Il mio viaggio nel mondo dei banchieri: «It’s only Opm (other people’s money)», si potrebbe quasi affermare che i broker assicurativi operano seguendo il mantra: It’s only other people’s lives.

Salute S.p.A., il libro-inchiesta di Francesco Carraro e Massimo Quezel, edito in prima edizione da Chiarelettere a settembre 2018, è un testo molto articolato e analitico, che affronta il problema della malpractice nella sanità pubblica ma, soprattutto, ne indaga le cause. Molto interessanti le tre interviste, poste a conclusione del testo, a un broker assicurativo, a un liquidatore e a un medico legale, perché entrano nel vivo del discorso. Raccontano in concreto il nocciolo della questione. Del diritto alla salute, se è poi veramente ancora tale e se lo è mai davvero stato. Delle lacune della sanità pubblica. Delle carenze di quello che vorrebbe tanto porsi come “il secondo pilastro”, ovvero il comparto assicurativo ma di come, in realtà, questo difetti proprio, anche se non esclusivamente, in quello che è il cardine su cui si fonda e si regge la pubblica sanità: il principio mutualistico. Destrutturare il comparto sanitario pubblico a favore di quello privato significa, inesorabilmente, abbandonare detto principio. Se si ritiene la soluzione migliore la si può anche intraprendere in via definitiva purché lo si faccia con cognizione di causa e, soprattutto, informando correttamente i cittadini in merito.

Salute S.p.A. si rivela essere senz’altro una lettura interessante, non da ultimo perché invoglia alla riflessione su tematiche fondamentali date, troppo spesso e con troppa leggerezza, per scontate ormai. Un libro da leggere.

Bibliografia di riferimento

Salute S.p.A., Francesco Carraro, Massimo Quezel, Chiarelettere (prima edizione settembre 2018).

Biografia degli autori

Francesco Carraro, avvocato e scrittore, si occupa da anni di responsabilità civile, medica in particolare, e di azioni di risarcimento danni. È autore di “KrisiKo. La via d’uscita nel grande gioco della crisi” (con Vito Monaco) e di “Post scriptum. Tutta la verità sulla post verità”, entrambi pubblicati dalla casa editrice padovana Il Torchio.

Massimo Quezel, patrocinatore stragiudiziale, ha dedicato anni allo studio e alla formazione in materia di infortunistica, risarcimento danni e responsabilità professionale medica, con l’obiettivo di fare da controcanto allo strapotere delle assicurazioni. Nel 2001 ha fondato un network nazionale di studi di consulenza il cui obiettivo è tutelare i diritti dei danneggiati al fine di garantirgli la possibilità di ottenere il giusto risarcimento. È autore del libro “Assicurazione a delinquere” (Chiarelettere 2016).


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Chiarelettere edizioni per la disponibilità e il materiale


LEGGI ANCHE

Cosa significa davvero scegliere di essere un medico in Italia? “Dal profondo del cuore” di Ciro Campanella (Di Renzo Editore, 2017) 

“10 cosa da sapere sui vaccini” di Giulio Tarro (Newton Compton Editori, 2018) 

Liberi dall’amianto? I numeri parlano chiaro e non danno certo conforto 

“È solo denaro altrui”. L’incredibile viaggio nel mondo dei banchieri di Joris Luyendijk raccontato in “Nuotare con gli squali” (Einaudi, 2016) 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Il Patto sporco” di Nino Di Matteo e Saverio Lodato (Chiarelettere, 2018)

28 giovedì Feb 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, IlPattosporco, mafia, NinoDiMatteo, paura, recensione, saggio, SaverioLodato

«Era un processo che faceva paura».

Così chiosa Saverio Lodato nell’appendice al libro, scritto con il pm Antonino Di Matteo, che racconta per esteso e nel dettaglio quel “Patto sporco” tra Stato e anti-Stato che mai avrebbe dovuto esserci. A spaventare l’Italia e gli italiani, molti di essi, sembrava però più l’azione investigativa prima e giudiziaria poi e che ha portato al processo noto come “sulla Trattativa” e alla relativa condanna degli imputati, rei di minaccia a corpo politico dello Stato, un «terribile reato», come lo definisce lo stesso Lodato.
La sentenza del 20 aprile 2018 della seconda Corte di assise di Palermo sancisce il reato e la condanna e decreta, indirettamente, che la vera “boiata pazzesca” non è stato il processo, che aveva un valido e solido impianto accusatorio, bensì il tentativo di chi ha cercato di sminuire il lavoro della magistratura e il tentativo di far luce sui tanti punti scuri e oscuri che hanno sancito la nascita della seconda Repubblica, ne hanno accompagnato il corso e velano tutt’ora la storia e la cronaca del nostro Paese.

«Era un processo che faceva paura».

Non è certo facile ammettere che lo Stato si è piegato, ha accettato il compromesso con l’anti-Stato che ufficialmente dichiara sempre di combattere. E, soprattutto, che non lo ha fatto per fermare morti e stragi.
Gli ufficiali del Ros non hanno lasciato alcuna traccia scritta della esistenza e della evoluzione dei loro rapporti con Vito Ciancimino. «È assolutamente grave e oltremodo significativo il fatto che, nel lungo periodo dei loro contatti con Vito Ciancimino, gli ufficiali del Ros non adottarono alcuna iniziativa investigativa» e invece, «a dimostrazione che la loro era una iniziativa “politica”, si siano rivolti e abbiano riferito dei loro contatti con Ciancimino a esponenti del governo e del Parlamento».

In questi lunghissimi venticinque anni, man mano che il racconto dei collaboratori di giustizia si è unito alle prove investigative raccolte, il puzzle è apparso sempre più completo, e chiaro. Dal resoconto di coloro che lo hanno vissuto in prima linea emerge un ulteriore aspetto che deve davvero “fare paura”. Quella che Nino Di Matteo, nella sua requisitoria finale al processo “sulla Trattativa” definisce «omertà istituzionale». Un paradosso che è tale solo in apparenza. Lo Stato che collabora alle indagini e all’inchiesta meno dell’anti-Stato.

Il Patto sporco, di Nino Di Matteo e Saverio Lodato, edito da Chiarelettere è un libro «scritto da entrambi con passione e rabbia». Perché se in tutti questi anni la stampa, i giornali, i telegiornali, i grandi opinionisti avessero offerto all’opinione pubblica «un minimo sindacale di informazione» sull’argomento, «difficilmente questo libro avrebbe avuto un senso». Sarebbero notizie già note. Invece così non è stato.

*****

“Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, gli omicidi di valorosi commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri. Lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrificati. Ma mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, proprio in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico.
La sentenza di condanna di Palermo, contro l’opinione di molti “negazionisti”, ha provato che la trattativa non solo ci fu ma non evitò altro sangue. Anzi, lo provocò. Come racconta il pm Di Matteo a Saverio Lodato in questa appassionata ricostruzione, per la prima volta una sentenza accosta il protagonismo della mafia a Berlusconi esponente politico, e per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di aver tradito le loro divise. Troppi i non ricordo e gli errori di politici e forze dell’ordine dietro vicende altrimenti inspiegabili come l’interminabile latitanza di Provenzano, la cattura di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, il siluramento del capo delle carceri, Nicolò Amato, la sospensione del carcere duro per 334 boss mafiosi.
Anni di silenzi, depistaggi, pressioni ai massimi livelli (anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini. Ora, dopo questa prima sentenza che si può dire storica, le istituzioni appaiono più forti e possono spazzare via per sempre il tanfo maleodorante delle complicità e della convivenza segreta con la mafia.”

*****

Il testo si presenta come una lunga e articolata intervista che, in realtà, somiglia più a una memoria a due voci nella quale Lodato irrompe con più impeto nelle parti ufficiali e professionali della narrazione, lasciando maggiore adito al pm quando questi racconta i risvolti e le conseguenze di tutto ciò sulla sua vita privata. Laddove Di Matteo parla delle inchieste e dei processi, Lodato dimostra la sua grande esperienza e determinazione in merito. Le sue sono le parole di chi non si è mai arreso, nonostante tutto, e ha sempre continuato a svolgere il proprio lavoro.
Egual ragionamento va fatto per le parole, per le azioni, il comportamento e il lavoro tutto svolto da Antonino Di Matteo. In maniera amplificata, visto che da oltre cinque anni vive secondo i dettami e le regole di quello che in gergo viene definito “primo livello di protezione eccezionale”.

C’è poi la parte di narrazione nella quale il pubblico ministero abbandona per alcuni attimi gli abiti ufficiali e professionali per vestire, “semplicemente”, quelli di uomo, di padre, di marito. Brevi racconti che aiutano il lettore a meglio comprendere il reale significato nonché le conseguenze di scelte che sono per certo coraggiose, ammirevoli e che non possono e non devono, o meglio non dovrebbero mai andare incontro a critiche e facili opinioni da parte di chi non sa, non comprende o finge di non farlo perché pur predicando l’antimafia di facciata in realtà ne è poi attratto o, peggio, coinvolto a vario titolo, molto più di quanto non vorrebbe ammettere neanche con se stesso.
E questo accade tra i cittadini, tra i colleghi, tra le forze dell’ordine e i servizi segreti, tra gli operatori dell’informazione e della comunicazione, tra i politici e gli imprenditori. In quella parte dello Stato che è in qualche modo legata a doppio filo all’anti-Stato.

In uno scenario del genere, di queste dimensioni, «non si può parlare di un merito della magistratura», bensì del «demerito di chi ha volutamente ignorato che, per lunghi tratti di strada, Stato e mafia hanno camminato di pari passo».

Un libro, Il Patto sporco di Di Matteo e Lodato, che si legge con l’adrenalina in circolo e il battito del cuore in accelerazione.
Con la voglia di conoscere fin dove la bravura di magistrati come Di Matteo, eredi professionali e morali di Falcone e Borsellino, li ha portati a svelare i tanti, troppi misteri e segreti dei legami marci tra Stato e anti-Stato.
Con il desiderio di una diffusione e condivisione sempre maggiore di questi traguardi.
Con la speranza che l’Italia della terza Repubblica sia o diventi davvero altro rispetto a quello che, purtroppo, è stata la nascita e la storia della seconda appena conclusa.
Un libro, Il Patto sporco di Di Matteo e Lodato, assolutamente necessario. Da leggere. Da comprendere. Da condividere.


Biografia degli autori

Sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e poi a Palermo, Nino Di Matteo è ora sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Ha indagato sulle stragi dei magistrati Chinnici, Falcone, Borsellino e delle loro scorte, e sull’omicidio del giudice Saetta. Pm in processi a carico dell’ala militare di Cosa Nostra, si è occupato anche dei processi a Cuffaro, al deputato regionale Mercadante, al funzionario dei servizi segreti D’Antone, e alle “talpe” alla procura di Palermo. Diverse amministrazioni comunali (tra queste Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova) gli hanno conferito la cittadinanza onoraria per il suo impegno nella ricerca della verità. È autore dei libri “Assedio alla toga” (con Loris Mazzetti, Aliberti) e “Collusi” (con Salvo Palazzolo, Rizzoli).

Saverio Lodato è tra i più autorevoli giornalisti italiani in materia di mafia, antimafia e Sicilia. Per trent’anni è stato inviato de “l’Unità” in Sicilia e oggi scrive sul sito antimafiaduemila.com. Ha scritto: “Avanti mafia!” (Corsiero Editore); “Quarant’anni di mafia” (Rizzoli); “I miei giorni a Palermo” (con Antonino Caponnetto, Garzanti); “Dall’altare contro la mafia” (Rizzoli); “Ho ucciso Giovanni Falcone” (con Giovanni Brusca, Mondadori); “La linea della palma” (con Andrea Camilleri, Rizzoli); “Intoccabili” (con Marco Travaglio, Rizzoli); “Il ritorno del Principe” (con Roberto Scarpinato, Chiarelettere); “Un inverno italiano” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere); “Di testa nostra” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere).


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Chiarelettere per la disponibilità e il materiale


LEGGI ANCHE

Stragismo e depistaggi della mafia nera nei primi settantadue anni della Repubblica italiana. “La mafia nera” di Vincenzo Ceruso (Newton Compton, 2018) 

La vera lotta alla mafia passa anche attraverso una memoria storica che racconti la verità. “Le Trattative” di Antonio Ingroia e Pietro Orsatti (Imprimatur, 2018) 

Ci sono verità che si vorrebbe tenere nascoste per sempre eppure “Quel terribile ’92″… 

Non diventeremo onesti per decreto legge: “Guardare la mafia negli occhi” di Elia Minari (Rizzoli, 2017) 

Quando inizieremo a fare sul serio contro le mafie? “L’inganno della mafia” di Gratteri e Nicaso (RaiEri, 2017) 

“Il linguaggio mafioso. Scritto, parlato, non detto” di Giuseppe Paternostro (Aut Aut Edizioni, 2017) 

 “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli (Rizzoli, 2015) 

“Sbirritudine” di Giorgio Glaviano (Rizzoli, 2015) 


 

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La Chiesa esemplare è solo un miraggio? “Peccato originale” di Gianluigi Nuzzi (Chiarelettere, 2017)

10 domenica Dic 2017

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Chiarelettere, GianluigiNuzzi, PeccatoOriginale, recensione, saggio, Vatileaks

«Per essere ascoltati dobbiamo essere esemplari». Con queste parole papa Ratzinger ammonisce il cardinale Bertone riguardo la linea dell’Istituto per le Opere di Religione , sottolineando che bisogna essere esemplari nei confronti del mondo finanziario internazionale. Gli imperativi categorici sono esempio e trasparenza. Per lo Ior come per tutto il resto.

Come si spiegano allora la controversa morte di Albino Luciani, ovvero papa Giovanni Paolo I? La scomparsa di Emanuela Orlandi? I progetti di riforma e trasparenza continuamente arenati? Le accuse di pedofilia e pratiche coatte di omosessualità?

«Noi dobbiamo essere tra quelli che cambiano le regole, per essere inattaccabili». Invece la strada che sembra essere stata scelta il più delle volte è quella della «impunità» che «rafforza gli autori delle violenze» o delle violazioni. Favorendo o comunque non ostacolando gli attacchi delegittimanti le vittime e ingenerando in questo modo la formazione di vere e proprie roccaforti di potere e «lobby gay».

Esce in prima edizione a novembre 2017 con Chiarelettere Peccato originale. Conti segreti, verità nascoste, ricatti: il blocco di potere che ostacola la rivoluzione di Francesco di Gianluigi Nuzzi. Un libro scritto con l’intento preciso di dare una risposta a sette interrogativi, ovvero i sette tasselli mancanti nel lavoro di ricerca, condotto dall’autore ormai da oltre dieci anni, sui segreti e sugli scandali in Vaticano.

Per trovare le risposte Nuzzi si è affidato agli insegnamenti del giudice Giovanni Falcone e ha «seguito il filo del denaro», che «in ogni storia di potere s’intreccia a quello del sangue e a quello del sesso». Tre infatti sono le parti in cui il libro è suddiviso: Sangue, Soldi, Sesso. Più l’appendice che riporta per esteso i documenti fonte della ricerca e dell’inchiesta dell’autore.

Uno stile, quello di Nuzzi, che ricorda gli scalpitii di un mustang imbrigliato. Un cavallo indomabile costretto dalle briglie a frenarsi mentre il suo desiderio è battere in lungo e in largo le praterie americane. È così l’autore, che vorrebbe raccontare apertamente tutto ciò che sa, che ha scoperto, che gli è stato raccontato… deve dosare e misurare ogni passaggio. Dicendo egualmente quanto necessario a comprendere la profondità e lo spessore dei «tre fili narrati», ma costretto a stare attento ai risvolti giudiziari che il resoconto potrebbe portare, per lui stesso, per i testimoni e le fonti, anche quando non vengono direttamente citati.

L‘autore ritorna più volte sullo stesso concetto o passaggio e sembra farlo non solo per essere certo della chiarezza della narrazione, ma anche per sincerarsi di essere rimasto fedele a quanto prefissosi di raccontare.

Nuzzi si sofferma in descrizioni e resoconti molto analitici e dettagliati eppure questo non sembra avere lo scopo di “illudere” il lettore lasciandogli credere di aver letto tutto quanto c’era da sapere. Il modo in cui egli presenta i fatti lascia agevolmente intendere sia solamente la superficie, appena rischiarata, del profondo pozzo nero di segreti custoditi tra le mura pluricentenarie dello Stato della Città del Vaticano.

Si percepisce in Peccato originale una grande volontà di fare chiarezza, di esporre i fatti in maniera tale che il tutto risulti il più comprensibile possibile nonostante, come nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, la durata infinita delle indagini, i sotterfugi, i depistaggi, gli intrighi, le dichiarazioni contraddittorie, le ritrattazioni, le sparizioni, gli occultamenti e gli eclissamenti, i decessi e l’improvvisa follia dilagante…

Forse perché un po’ plasmato sul linguaggio e sui tempi televisivi, lo stile narrativo di Nuzzi è puntellato di frasi che annunciano, di lì a breve, una rivelazione importante, un colpo di scena o comunque un qualcosa che deve per forza di cosa tenere lo “spettatore” incollato. In realtà, in un libro-inchiesta come il suo non servono questi espedienti. Il lettore è già invogliato a proseguire la lettura per l’interesse che suscita il narrato e non per queste intercalari che lo “preannunciano”.

Un libro, Peccato originale di Gianluigi Nuzzi, che è come una goccia d’acqua che perfora la roccia. La “testardaggine” dell’autore nel voler comunque continuare il suo lavoro d’indagine nonostante gli ostacoli e le difficoltà sono paragonabili proprio alla forza dell’acqua la quale riesce sempre a infiltrarsi e trovare la sua via di fuga, esattamente come la verità tanto cercata nelle buie stanze dello Stato Vaticano e che emerge, attraverso il lavoro dell’autore, illuminando lentamente ma sempre più tasselli di questa gigantesca “installazione” religiosa.

Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Chiarelettere Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Fonte biografia dell’autore www.chiarelettere.it

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Milano, convegno sulla famiglia. Tra il pubblico don Mauro Inzoli accusato di pedofilia

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Articolo disponibile anche qui

© 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

L’Italia, colonia degli inglesi

26 giovedì Nov 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Chiarelettere, ColoniaItalia, GiovanniFasanella, intervista, MarioJoseCereghino, NWO, ordinemondiale, saggio

L'Italia, colonia degli inglesi

Perché per tutto il Novecento gli inglesi hanno considerato l’Italia una loro “colonia”? Perché hanno messo in moto una vera e propria “macchina della propaganda occulta” per pilotare le decisioni dei governi attraverso il condizionamento dell’opinione pubblica? Cosa sarebbe accaduto se così non fosse stato? Cosa è diventata l’Italia oggi?

Ne abbiamo parlato con Giovanni Fasanella, co-autore con Mario José Cereghino, di Colonia Italia. Giornali, Radio e Tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top-secret di Londra (Chiarelettere, 2015).

Tramite lo studio incrociato dei documenti desecretati, custoditi negli Archivi di Stato di Londra, e di articoli e reportage dell’epoca, Fasanella e Cereghino hanno ricostruito i vari passaggi seguiti, e a volte precedenti, ai grandi eventi della Storia italiana del secolo scorso nonché delle vicende legate a grandi personaggi, uomini politici e membri noti della classe dirigente: la Disinformatia che ha preceduto l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, la propaganda fascista, gli scandali De Gasperi e Piccioni, Mattei e la politica energetica dell’Eni, il caso Moro, la strage di piazza Fontana… focalizzando su ciò che ha rappresentato il mezzo per arrivare alla società contemporanea, il motore dello sviluppo industriale e capitalistico, il motivo di tanti conflitti, il destino di intere popolazioni: l’oro nero.

Il titolo del libro è tanto preciso quanto inquietante. Davvero possiamo parlare dell’Italia come di una vera e propria colonia inglese?

Così l’Italia è stata considerata dagli inglesi. Perché la posizione geografica del nostro Paese, proprio al centro del Mediterraneo, era di fondamentale importanza strategica per gli interessi inglesi in mare, nel Nord e nell’Africa tutta, nel Medio Oriente. Quindi, dal punto di vista britannico, controllare l’Italia significava controllare meglio i propri interessi, le proprie rotte commerciali e i propri domini coloniali. Per esercitare con più efficacia questo controllo sulle scelte politiche dei partiti e dei governi italiani, era necessario innanzitutto avere il controllo dei mezzi di comunicazione: giornali, radio, televisioni, ma anche intellettuali e opinion leader. Controllare i mezzi di comunicazione di massa che potevano influenzare l’opinione pubblica la quale, a sua volta, poteva condizionare le scelte dei governi.

L'Italia, colonia degli inglesi

A partire da quale momento storico si comincia a parlare di “colonia Italia”?

Va precisato che questo ovviamente non significa che tale, ovvero “colonia”, si sentisse e operasse la classe dirigente italiana del dopoguerra.

L’idea che gli inglesi avevano dell’Italia come di un loro protettorato nasceva dai tempi del Risorgimento visto il contributo offerto dagli inglesi al processo unitario italiano, ma anche e soprattutto dall’esito della seconda guerra mondiale. Dal punto di vista britannico, l’Italia questa guerra l’aveva persa e c’è una differenza tra il modo in cui americani e inglesi hanno considerato il “problema italiano”. Per gli americani eravamo un Paese co-belligerante, con cui insieme si era sconfitto il fascismo. Mentre gli inglesi ci consideravano vinti, battutti. Quando, dopo la guerra, le potenze vincitrici si divisero il mondo in aree di influenza, da un lato i Paesi-satellite dell’Unione sovietica, dall’altro la Nato, dentro il contesto atlantico l’Italia venne considerata dagli inglesi, con il beneplacito degli americani, un loro protettorato, una loro “colonia”.

Con quali mezzi veniva effettuato il controllo?

Dai documenti visionati è emersa l’esistenza di una vera e propria macchina della propaganda occulta attraverso la quale gli inglesi controllavano il sistema italiano dell’informazione e quindi l’opinione pubblica. Documenti custoditi negli archivi di Stato di Londra, desecretati, anche se non completamente. Da questi abbiamo appreso anche i meccanismi di reclutamento e di funzionamento. Questa “macchina” produceva veline vere e proprie, analisi sui grandi fatti, sulle situazioni… e, a volte, persino articoli già preconfezionati destinati alla pubblicazione sui giornali italiani.

Ci sono testimonianze dell’effettivo impiego di questi articoli?

Purtroppo sì e portano anche la firma di autorevoli giornalisti. È necessaria però una precisazione: nel libro noi raccontiamo il punto di vista degli inglesi e, in appendice, pubblichiamo una lista di trecento nomi, che rappresentano la mera punta dell’iceberg di quelli che gli stessi inglesi chiamano “clienti” della propaganda occulta, cioè i destinatari diretti dei loro materiali, avvicinati e/o attenzionati. Parliamo di giornalisti, opinionisti, direttori di testate… Ma non è dato stabilire il grado di consapevolezza con cui hanno agito, fino a prova contraria dobbiamo immaginare che sia avvenuto a loro insaputa.

L'Italia, colonia degli inglesi

Ci sono stati dei periodi in cui questa “macchina della propaganda occulta” ha agito con più fervore?

È successo alla vigilia della prima guerra mondiale, quando attraverso la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, le nostre autorità politiche furono indotte a rompere l’alleanza con gli imperi centrali, Germania e Austro-Ungheria, e passare prima alla neutralità e poi a entrare direttamente in guerra al fianco degli Alleati.

Saltiamo il periodo fascista e la seconda guerra mondiale, che sono contesti molto particolari, ma nell’immediato dopoguerra, ad esempio, questa macchina della propaganda fu trasformata addirittura in “macchina del fango” contro Alcide de Gasperi e il suo erede politico Attilio Piccioni.

Nel submandato britannico il governo italiano mise Enrico Mattei alla presidenza dell’Agip per scioglierla, perché gli inglesi non volevano che l’Italia avesse una compagnia petrolifera di Stato. Perché alla fine il filo che attraversa tutta questa storia è il petrolio.

Senonché Mattei, con l’appoggio di De Gasperi, fonda l’Eni che da subito inizia una politica molto aggressiva in Nord Africa e Medio Oriente, aree che gli inglesi consideravano «seconde soltanto alla Gran Bretagna stessa».

La reazione di Winston Churchill, premier del governo britannico allorquando l’Eni violò l’embargo imposto dalla Gran Bretagna all’Iran di Mossadeq, il quale aveva espulso dalla Persia le compagnie petrolifere britanniche, come si legge in un documento, fu di imporre ai propri apparati una lezione agli italiani per far loro capire quanto quella politica disturbasse gli interessi del governo inglese. Mentre in Iran organizzavano il colpo di Stato per rovesciare Mossadeq, contemporaneamente in Italia attivarono la macchina del fango contro De Gasperi e Piccioni.

Due grandi scandali del dopoguerra che esplosero contestualmente furono quello delle false lettere Guareschi-De Gasperi e il casoWilma Montesi che vide coinvolto Piero, figlio di Attilio Piccioni. Alla fine sia De Gasperi che Piccioni, travolti dalla macchina del fango, furono entrambi costretti a uscire dalla scena politica italiana.

L'Italia, colonia degli inglesi

Noi abbiamo ricostruito, con lo studio dei documenti inglesi, tutte le varie fasi di quegli scandali e abbiamo scoperto come a innescarli prima e alimentarli poi fossero stati giornali anglofili, giornali e giornalisti in contatto con la macchina della propaganda occulta britannica e, quando questi scandali scemavano, a riaccenderli ci pensavano ancora giornali e giornalisti di area anglofila.

Tutto ciò è successo con Enrico Mattei, negli anni della presidenza Eni, ed è successo anche con Aldo Moro. C’era una grande parte della classe dirigente italiana che non accettava l’idea di essere un protettorato britannico e conduceva una politica, soprattutto energetica, in contrasto con i diktat degli interessi britannici.

Mattei nei documenti viene definito «un pericolo mortale per gli interessi nel mondo, una verruca, un’escrescenza da rimuovere con ogni mezzo». Nel 1972, tre mesi prima che morisse nell’incidente aereo, che incidente non fu bensì un sabotaggio, in un documento si legge: «abbiamo tentato di fermare Mattei in ogni modo, non ci siamo riusciti, forse è arrivato il momento di cablare la pratica alla nostra intelligence».

L'Italia, colonia degli inglesi

E lo stesso trattamento venne riservato poi ad Aldo Moro. Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, diversi furono i tentativi di colpo di Stato per fermare la politica morotea, compreso il famoso golpe borghese bloccato sul filo di lana dagli americani. Nella prima metà del 1976 dopo l’ennesimo tentativo fallito, a causa dell’intervento americano e tedesco non francese, leggiamo ancora nei documenti: «Impossibile attuare un colpo di Stato militare classico, approccio a una diversa azione sovversiva contro Moro». Quale potesse essere questa diversa azione sovversiva non è dato conoscere perché quella parte di documento è ancora secretata.

Un ruolo simile possono averlo avuto anche in quella che è stata definita “strategia della tensione” seguita alla strage di piazza Fontana?

Nel libro adombriamo il sospetto, direi anche qualcosa di più di un sospetto, sul ruolo di una mente britannica, con ovviamente una mano o una manovalanza italiana, nella strage di piazza Fontana e in tutto quello che venne dopo. Fra i tanti documenti che pubblichiamo, ce n’è uno importante, del capo della macchina della propaganda occulta dell’Ambasciata britannica a Roma nel quale si sottolineano gli scarsi effetti avuti, paragonati a «una pallina di ping pong scagliata contro Golia. Bisogna passare ad altri metodi e spetta a noi architettarli».

Quali altri metodi? Ancora una volta non ci è dato conoscere. Siamo nel 1979 e sappiamo quello che accadde successivamente. Ricostruendo la Storia tramite i quotidiani e i documenti dell’epoca dimostriamo nel testo che già una settimana prima della strage di piazza Fontana la stampa britannica dà la chiave di lettura politica di quello che sarebbe successo dopo.

La strategia della tensione è strage di Stato, cioè un fenomeno tutto interno che esclude completamente il contesto internazionale. Questo fu una sorta di depistaggio preventivo teso a dare un’interpretazione distorta dei fatti.

Senza l’influenza britannica come sarebbe stata la storia dell’Italia del secolo scorso?

È difficile fare la Storia con i se e con i ma. Possiamo dire tuttavia che, nonostante tutto, si annoverano tanti nomi di grande spessore nella classe dirigente italiana del Novecento. Grazie a loro il nostro Paese è cresciuto, ha fortificato il proprio tessuto economico, ha avuto un grande prestigio internazionale, capace di esercitare la propria egemonia e la propria leadership nel Mediterraneo, un punto di riferimento per i Paesi in via di sviluppo. Grazie a quella politica l’Italia, un Paese che secondo gli inglesi si sarebbe ripreso dalla guerra ma moderatamente, è arrivata a un certo punto ad essere la quarta, la quinta potenza economica a livello mondiale, scavalcando persino la Gran Bretagna. Mentre l’Italia cresceva, la Gran Bretagna perdeva via via il proprio status di impero coloniale, di grande potenza globale.

Poi tutto questo si è interrotto bruscamente, drammaticamente col sequestro e l’assassinio di Aldo Moro a cui ha fatto seguito un periodo di crisi, sempre più profonda, politica, istituzionale, economica, di leadership. L’Italia ha perso prestigio sia dal punto di vista interno che internazionale. Quello che è oggi lo vediamo tutti: il Paese più povero, che ha smantellato gran parte del proprio apparato produttivo nei settori di eccellenza, svenduto attraverso le privatizzazioni gestite dalle grandi banche d’affari anglosassoni, con una classe dirigente mediocre, povera sotto ogni punto di vista, incapace di una visione strategica e screditata sulla scena internazionale.

http://www.sulromanzo.it/blog/l-italia-colonia-degli-inglesi

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“Professione Lolita” di Daniele Autieri (Chiarelettere, 2015)

05 martedì Mag 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, DanieleAutieri, Italia, italiani, mafia, ProfessioneLolita, recensione, romanzo

Daniele Autieri, Professione Lolita

Lo scorso gennaio è uscito per Chiarelettere Professione Lolita, del giornalista di «Repubblica» Daniele Autieri, le cui inchieste hanno condotto all’arresto di Furio Fusco, il cosiddetto “fotografo delle minorenni”, e permesso ai carabinieri di sventare un giro internazionale di produzione di materiale pedopornografico.

Professione Lolita non è il “racconto giornalistico” dello scandalo delle baby squillo dei Parioli che ha interessato la capitale e sconvolto la nazione, bensì un romanzo di fantasia nel quale i riferimenti a luoghi e persone sono casuali e complementari alla narrazione. Quello che sembra un desiderio di occultarsi del giornalista, a favore dell’autore, si rivela un espediente vincente perché riesce a penetrare nel lettore con maggiore irruenza che non la semplice lettura di un reportage giornalistico. Perché Lalla, Jenny, Chicca, Fairy, Trilly, Malphas e Je Na potrebbero essere chiunque. I figli di qualcun altro ma anche i nostri figli.

«Perché un sito di professioniste dovrebbe scegliere proprio noi?!»

«Perché siamo carne fresca»

In questo modo si chiude il proscenio curato dal vignettista Vincenzo Bizzarri e si apre il libro di Autieri. Carne fresca, adolescenti che pensano di aver capito come funziona il mondo ma soprattutto che vogliono conquistarlo questo mondo fatto di successo, di potere e di denaro che li circonda e li schiaccia da quando erano in fasce. Un universo nel quale sono cresciuti o dentro il quale vogliono entrare a ogni costo. Vengono da famiglie disagiate, hanno genitori separati, problemi di inserimento, oppure sono viziati fino all’inverosimile e comunque insoddisfatti e alla continua ricerca di uno sballo che faccia dimenticare le paure, le incertezze, le delusioni che vengono annegate in modo sistematico nell’alcol, fumo, droghe di vario genere e piccoli approcci alla delinquenza di strada.

Quando non è una questione di soldi ma di rivalsa, il solo scopo è quello di ferire i propri genitori assenti, silenziosi, distratti, per attirare la loro attenzione. Quando invece alla base di tutto c’è il denaro, quello che non si ha e che si vorrebbe possedere, allora si ricorre ai metodi più antichi ma anche più brutali: delinquenza e prostituzione. Ragazzini che si ritrovano al baretto o all’incrocio, in piccoli o grandi gruppi, sotto gli occhi di tutti, passanti e turisti, adulti e anziani che vedono solo la loro adolescenza, non i loro demoni, ben nascosti dietro la pelle liscia, i capelli lunghi, la visiera di un casco o le lenti scure di un occhiale alla moda. Eppure scalpitano, questi demoni, insistenti più che mai, rendendo i ragazzi e le ragazze sempre più vulnerabili, disponibili a farsi sopraffare o a infliggere violenza e auto-infliggersela, a diventare, alla fin fine, i peggiori nemici di se stessi.

Foto di Gustavo Gomes

Fairy ha trascorso gran parte degli ultimi mesi in bagno a vomitare anche l’anima, fino a quando non si è sentita finalmente pronta a guardare e apprezzare la sua immagine riflessa in quello specchio che comunque non riesce a frenare l’inquietudine dei suoi pensieri, il vortice dei suoi tormenti e finisce nelle mani di un fotografo di mezza età che, promettendo successo, regala vergogna.Jenny e Lalla vogliono a tutti i costi riuscire a comprarsi le borse migliori, le scarpe più belle, la bamba più forte, l’accesso ai locali più in. Un posto d’onore in quel mondo dorato di chi ce l’ha fatta ed è “arrivato”. Per farlo pensano di sfruttare il proprio giovane e bel corpo e solo quando è ormai troppo tardi realizzano di essere solamente state fottute.

«E se bastasse urlare? Se la sua gola fosse in grado di emettere un solo grido capace di risvegliare tutte le coscienze addormentate, forse non servirebbe altro. Neanche vendere se stessa».

Foto di Gustavo Gomes

Dietro ogni ragazzo o ragazza inquieta c’è una famiglia problematica o assente che con le urla o i silenzi spinge a imboccare un tunnel buio ma pieno di abbagli, dove pronti ad accoglierli ci sono altri adulti, urlanti o silenti ma molto più pericolosi. E allora ci si domanda: “In quale futuro possono mai credere questi ragazzi che hanno imparato a proprie spese che dei grandi non ci si deve fidare?”

Daniele Autieri

Ragazzi e adulti della capitale che, con in tasca qualche piotta o in banca molto di più, si sentono pronti ad affrontare e vincere contro il mondo intero. Politici, giudici, professionisti, borghesi che pensano di essere imbattibili e furbi. Tutti crollano miseramente di fronte alla paura, quella vera, che viene dal sentirsi una pistola alla tempia o la vita che sfugge. Il terrore generato da chi non si lascia impressionare dai vestiti di sartoria, dalle scarpe lucenti o promesse da marinaio. Davanti ai criminali seri crollano tutti, grandi e piccini, e lo fanno perché si rendono conto che il tempo degli inganni è finito, che non possono cavarsela con scuse a buon mercato come quelle accampate, per esempio, dai politici in campagna elettorale per giustificare il non fatto o il malfatto. Quando ti trovi dinanzi a un boss o un affiliato capisci che il “codice d’onore” vale più di ogni altra cosa e che la parola data, se non mantenuta, non fornisce vie d’uscita.

Per salvare la vita al figlio, il padre di Malphas è costretto a scavare nel suo passato da militante di estrema destra, per ritrovare compagni di fila che possano aiutarlo nell’intento. All’incontro porta anche il ragazzo, il quale ha smesso ormai gli abiti da “duro” per assumere un atteggiamento più remissivo. Entrambi, padre e figlio, si ritrovano a sedere, da principianti, a un tavolo da poker per professionisti, con il terrore di non uscirne vivi, col ricordo ancora caldo di Je Na steso sull’asfalto, con un proiettile nel petto. Così Malphas vende il segreto di Jenny e Lalla al Camaleonte, che gradisce molto l’informazione perché siamo nella Capitale e se un mafioso scopre un giro di prostituzione minorile, in uno dei quartieri più esclusivi di Roma, non pensa a ricavarci denaro bensì grossi favori, la possibilità di tenere in pugno, ricattandola, la gente che conta. Politici, giudici e professionisti diventano suoi burattini all’interno delle Istituzioni. «La conosci la teoria del mondo di mezzo, compa’? Ci stanno, come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. […] E allora vuol dire che ci sta un mondo, un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano. Tu mi dici cazzo come è possibile che quello… com’è possibile, che ne so, che un domani io posso stare a cena con Berlusconi? […] È impossibile tu mi dici… capito? E invece no, perché secondo la teoria del mondo di mezzo c’è un mondo invece dove tutto si incontra».

In Professione Lolita di Daniele Autieri tutto si consuma tra le vie e i palazzi di una «città che si concede a tutti, ma non ama davvero nessuno», una capitale dove convive di tutto: spettacolo, potere, politica, affare e malaffare. Ogni categoria, ogni persona, anche i ragazzini e le ragazzine sono convinti di poter fregare gli altri e conquistarsi il tanto agognato posto nel “mondo che conta”, sono tutti illusi di aver le giuste carte in mano che gli consentiranno di chiudere la partita, e tutti sono destinati a schiantarsi o contro il muro della paura o contro quello della giustizia. Sia nel primo che nel secondo caso capiranno che hanno nuotato in un mare dove a vincere è la regola che il pesce più grande mangia quello più piccolo. Stop. La giustizia segue regole diverse, il denaro e il potere ritornano a contare di nuovo. Jenny e Lalla finiscono con gli assistenti sociali, il fotografo in prigione, insieme con i mafiosi, mentre i giudici, i politici, i professionisti immischiati a vario titolo nella vicenda si ritrovano liberi di vivere le proprie vite, illudendosi di poter ripulire la propria anima comprando, per esempio, vestiti e auto nuove.

Foto di Gustavo Gomes

«Abbiamo venduto l’anima al diavolo e quello non ce la restituirà».

Per tutte le trecento pagine, per ogni singola pagina, il testo porta il lettore a conoscere un mondo ai più sconosciuto, oppure ignorato, e lo fa con un linguaggio colloquiale, ricco di citazioni dialettali che comunque non disturbano la lettura essendo termini di un romanesco noto praticamente a tutti. Un libro che lascia un grande amaro in bocca ma che aiuta a guardare il mondo con occhi nuovi, sicuramente diversi, Professione Lolita di Daniele Autieri.

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“Sono i deboli le prime vittime dell’evasione fiscale”. Intervista a Angelo Mincuzzi

14 sabato Mar 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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AngeloMincuzzi, Chiarelettere, HerveFalciani, intervista, LaCassafortedegliEvasori, NWO, ordinemondiale, saggio

 

La-cassaforte-degli-evasori-piatto-fascetta

La cassaforte degli Evasori, scritto a quattro mani daHervé Falciani e Angelo Mincuzzi ed edito dalla casa editrice Chiarelettere, è il libro che racconta «la verità dell’uomo che ha svelato i segreti dei paradisi fiscali». Rendendo pubblica la cosiddetta ‘Lista Falciani’ è stato sferrato un duro colpo al segreto bancario svizzero. 100mila nomi di cui 7.499 italiani: politici, imprenditori, capitani d’industria, uomini d’affari, vip… «in banca esisteva una struttura per aiutare i clienti a evadere le tasse e io volevo impadronirmi delle prove» (cit. Hervé Falciani). Angelo Mincuzzi è un giornalista italiano, caporedattore e inviato de «Il Sole 24 Ore», autore di importanti inchieste su politica ed economia.

Partiamo dalle conseguenze. Dal 2010 a oggi l’inchiesta ‘Lista Falciani’ si è sviluppata sottobanco in diversi Paesi europei, all’interno di Procure che hanno continuato a indagare sui dati e sui nomi. Gli sviluppi però sono molto variabili e strettamente dipendenti dalle leggi di ogni Stato. Quale sarà l’esito in Italia?
L’esito in Italia purtroppo credo che sia già scritto, nel senso che i vari fascicoli che sono stati aperti dalle Procure sono stati poi chiusi, archiviati, quasi tutti per problemi legati sia alle leggi sia alle prescrizioni, che spesso hanno tempi molti rapidi. Ma anche ai condoni che ci sono stati negli ultimi anni. Per cui non si poteva procedere. La Procura che sta lavorando ancora è quella di Torino, che dispone di materiali nuovi, materiali che sono stati chiesti e ottenuti dai giudici della Procura anticorruzione di Madrid, per cui credo che gli sviluppi potrebbero arrivare da Torino.

Il whistleblowing si sta diffondendo a macchia d’olio sia nel settore pubblico che in quello privato ed è sicuramente uno strumento utile per rassicurare i lavoratori intenzionati a denunciare garantendo loro l’anonimato. Ed è proprio grazie alla diffusione di simili piattaforme che lo stesso Hervé Falciani si è dichiarato convinto del fatto che swiss-leaks rappresenti in realtà solo la punta di un grosso iceberg. Secondo lei gli istituti bancari e finanziari lasceranno che ciò accada?
Sicuramente no. Faranno qualcosa per evitare che questo accada, perché in gioco ci sono miliardi e miliardi di euro e quindi la gestione di questi soldi è una questione molto importante per le banche. I mezzi che queste usano sono soprattutto quelli di lobbing, di pressione verso i politici per far approvare delle leggi che contengano delle scappatoie. Delle leggi che magari a prima vista possono sembrare dei passi avanti nella lotta al segreto bancario ma che in realtà hanno delle falle, dei buchi che consentono poi alle banche di poter utilizzare degli strumenti per continuare a fare ciò che hanno sempre fatto.
Questo lo si vede molto bene dai documenti interni della HSBC, perché nel 2005 fu approvata una Direttiva europea sul risparmio per tassare i guadagni delle persone fisiche, allora i gestori della HSBC proponevano ai clienti di trasferire i soldi da conti intestati a loro individualmente, quindi alla persona fisica, a delle società, società panamensi il più delle volte o domiciliate nelle Isole Vergini britanniche, perché in questo modo non avrebbero pagato la ritenuta fiscale, non avrebbero pagato questa imposta europea sul risparmio. Quindi come si vede, fu approvata una legge che serviva a far pagare le tasse ma il rimedio all’interno delle banche fu trovato in maniera molto rapida.

La Lista Falciani conta 100mila nomi di clienti della Banca Svizzera HSBC che secondo lo stesso Falciani «cercano il segreto, per nasconder qualcosa». Gli italiani sono 7.499. Politici, uomini d’affari, capitani d’industria, vip e imprenditori vari… ce n’è per tutti i gusti e per tutti gli importi. Alcuni hanno asserito di aver già provveduto a regolare i conti con il fisco, altri di non essere i diretti titolari e di esserne stati all’oscuro fino alla pubblicazione della lista, altri ancora accusano Falciani di essere un truffatore. Le recenti leggi italiane, come ad esempio lo scudo fiscale, a parer suo giocano a favore o contro questi sistemi di deposito e spostamento di capitali?
Gli scudi fiscali così come stati approvati nel 2009 e anche prima, sempre dai governi Berlusconi – Tremonti, non hanno fatto altro che favorire l’evasione fiscale. Perché innanzitutto si sono dimostrati un flop per i soldi che sono stati recuperati, secondo hanno dato un salvacondotto agli evasori fiscali. Gli evasori dichiarando quello che avevano, rimanendo anonimi tra l’altro, avevano questo salvacondotto nel senso che pagavano il 5% o il 6% a seconda dei condoni di imposte e non erano più perseguibili, né fiscalmente né penalmente e gli effetti appunto si sono visti sulla lista Falciani, per cui appunto, come dicevo prima, i magistrati non hanno potuto far niente.
La nuova voluntary disclosure dell’ultimo governo è sicuramente molto meglio rispetto ai condoni del passato però in qualche modo è sempre una sanatoria. Alla fine non fa altro che perpetrare il principio secondo cui i grossi evasori o comunque chi commette un reato alla fine, in qualche modo, la fa franca. Mentre i cittadini onesti sono costretti a pagare fino all’ultimo centesimo.
Rispetto ai cittadini onesti che se non pagano un euro vengono multati con una cifra sproporzionata i grandi evasori, quelli che portano i soldi all’estero e che quindi hanno più soldi, riescono in qualche modo a farla franca o comunque hanno un trattamento privilegiato. Ci sono due pesi e due misure.

Tra i clienti della HSBC si contano almeno 2.000 commercianti di diamanti. Michael Gibb ha affermato che «i diamanti sono legati a conflitti e violenze. La facilità con cui possono essere convertiti in strumenti di guerra è sorprendente». In Belgio sarebbero già in corso delle indagini relative a questi tipi di traffici. In queste situazioni, al di là della gravità economica, finanziaria e legale di dette operazioni, entra in gioco anche l’aspetto umano o umanitario, la coscienza, il senso civico di responsabilità che dovrebbe gravare come un macigno e che invece viene scansato come un moscerino per far largo all’avidità, agli interessi… è scontato ma neanche poi tanto affermare che bisogna agire per cambiare le cose, esattamente come avete fatto voi. Che idea si è fatto di tutta questa situazione?
In Belgio è in corso un’indagine molto delicata e molto importante sul commercio dei diamanti. Potremmo dire ‘diamanti insanguinati’ perché nel libro spieghiamo il meccanismo che veniva usato per commercializzare i diamanti insanguinati, attraverso triangolazioni in Africa e a Dubai, il tutto chiaramente avveniva grazie ai canali messi a disposizione dalla banca. Tant’è vero che in Belgio la banca è sotto inchiesta per riciclaggio. Ma non è l’unico Paese che ha messo sotto inchiesta per riciclaggio la banca, lo ha fatto anche la Francia, lo ha fatto anche l’Argentina, l’India sta lavorando in maniera molto veloce su questo fronte e anche la Svizzera recentemente, dopo lo scandalo, dopo la diffusione delle liste il mese scorso ha aperto un’inchiesta per riciclaggio aggravato nei confronti della HSBC e addirittura hanno perquisito, con un’azione eclatante che in Svizzera è davvero eccezionale, la sede di Ginevra della HSBC in cerca di documenti per trovare queste prove di riciclaggio.
Le inchieste che sono in corso in diversi paesi del mondo stanno mettendo in evidenza come attraverso i canali della HSBC, ma voglio aggiungere una cosa che è importante: questo non riguarda solo la HSBC perché questi meccanismi li potremmo ritrovare in tutte le grandi banche internazionali. Chiudo questa parentesi… hanno messo in evidenza come questi canali venissero utilizzati da trafficanti di diamanti, trafficanti di droga, mafiosi, dittatori e così via… quindi è una cosa enorme quella che si è messa in moto.

Per la lista di nomi trafugata alla HSBC Hervé Falciani ha ricevuto delle denunce e nei suoi confronti sono stati spiccati dei mandati di cattura, è stato in prigione anche se questo si è rivelato un boomerang contro chi lo voleva fermare e lui si dichiara sempre più intenzionato ad andare avanti. Invece per lei, che comunque lavora insieme a Falciani dal 2010 per la realizzazione del libro, quali sono state, se ce ne sono state, le conseguenze della sua decisione?
Non ci sono state conseguenze nel senso che io continuo a fare liberamente il mio lavoro di giornalista. Questi cinque anni sono stati caratterizzati da momenti anche di difficoltà, io sono stato seguito, il mio telefono è stato controllato e per comunicare dovevamo utilizzare delle precauzioni di un certo tipo, dovevamo insomma stare molto attenti perché Falciani era in costante pericolo. Tant’è vero che a un certo punto per alcuni mesi si è dovuto nascondere, è stato protetto con una persona che lo seguiva costantemente. Le difficoltà sono state più che altro quelle.
La spinta che mi ha portato a occuparmi di questa vicenda per cinque anni è l’amore verso la verità, cioè cercare di capire effettivamente cosa era successo e raccontarla. Perché, per tutte le cose che abbiamo detto prima, questa è una storia che ha moltissime implicazioni.
Questo libro noi lo abbiamo dedicato ai deboli perché l’evasione fiscale ha come prime vittime loro, perché non fa altro che drenare risorse che dovrebbero essere utilizzate per costruire ospedali, scuola, assistenza ai disabili… risorse che ci sono in realtà ma che vengono nascoste nei paradisi fiscali da chi ha molti soldi ma comunque non li vuole condividere con la comunità nella quale vive. Tra i documenti della banca risulta chiaramente come i clienti della HSBC preferissero perdere i soldi in operazioni finanziarie sbagliate a volte anche venire truffati dai gestori ma la cosa che non volevano assolutamente era pagare le tasse su quei soldi. Ecco io questa la trovo una cosa aberrante, credo che in ogni Paese, soprattutto in Italia dove l’evasione fiscale è una piaga enorme, le coscienze debbano svegliarsi perché l’evasione fiscale distrugge il tessuto democratico di un paese. E deve essere una priorità la lotta all’evasione.

Il recente Accordo siglato da Italia e Svizzera avrà dei concreti sviluppi positivi in materia di trasparenza bancaria?
Rappresenta sicuramente un passo avanti ma non è la fine del segreto bancario. Io trovo molto ingenui i titoli dei giornali che sono stati fatti in questi giorni sulla fine del segreto bancario tra Italia e Svizzera. Ingenui e fuorvianti, perché non si può pensare che questo accordo metta fine all’evasione fiscale quando ci sono interessi miliardari in gioco. I soldi, come dice qualcuno, sono come l’acqua, trovano sempre una fessura nella quale incanalarsi e questo è il motivo per cui l’evasione fiscale continuerà e non smetterà. Questo per quanto riguarda l’ingenuità e fuorvianti in quanto lasciar credere che d’ora in poi sarà impossibile evadere le tasse e che quindi non hanno più nulla da temere, questi soldi rientreranno in Italia… ecco non si fa un’operazione di verità dicendo questo. Basta vedere quello che succede in queste grandi banche internazionali per capire che, come dicevo prima, le scappatoie le hanno già trovate e ne troveranno ancora. Probabilmente sarà più costoso evadere le tasse, quindi forse i piccoli evasori saranno scoraggiati, ma la grande evasione che è in grado di spendere soldi per creare strutture societarie e fondazioni nei paradisi fiscali continuerà a esserci… dovrà solo pagare un po’ di più. Le banche riceveranno solo più benefici, probabilmente, perché chiederanno più soldi ai clienti per creare queste strutture societarie nei paradisi fiscali.

“Sono i deboli le prime vittime dell’evasione fiscale”. Intervista a Angelo Mincuzzi

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“L’intoccabile. Matteo Renzi. La vera storia” di Davide Vecchi (Chiarelettere, 2014)

13 sabato Dic 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Lintoccabile_Vecchi_piatto

A Ottobre di quest’anno la Chiarelettere ha pubblicato la prima edizione de L’intoccabile di Davide Vecchi, giornalista de «Il Fatto Quotidiano».

Il libro non vuole essere una critica, in esso infatti non si trovano opinioni personali o commenti dell’autore, piuttosto un resoconto, dettagliato e sistematico, delle vicende che hanno portato all’ascesa politica dell’attuale Presidente del Consiglio, gli incontri, i fondi, le amicizie, le nomine, le cariche e anche le sue parole. Non solo e non tanto quelle che espone pubblicamente davanti a un microfono o dietro una telecamera, quanto quelle trascritte dagli inquirenti relative alle intercettazioni, ambientali e telefoniche, sue e di persone a lui molto vicine.

Basta già la lettura della prefazione, firmata da Marco Travaglio, a far capire al lettore l’importanza di un libro come questo. La necessità di raccontare ciò che per ovvie convenienze viene taciuto, per capire i retroscena del ‘palco luccicante della politica’.

«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come il ‘Bomba’ per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo. A spiegare la strepitosa arrampicata non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, rimasta a digiuno dopo il ventennio berlusconiano. Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è» (dalla prefazione).

Il testo di Vecchi lascia intendere che dietro ci sia stato un grande lavoro di ricerca e indagine, sia documentale che sul campo, per ricostruire e allineare tutti i tasselli della vicenda. La scrittura è molto attenta e curata, l’autore soppesa le parole conscio del fatto che sta raccontando di una ‘bomba a orologeria’ e non desidera certo gli scoppi in mano. Cita sistematicamente le fonti, le date e i nomi, e riporta inoltre tutta la documentazione atta a testimoniare non soltanto le sue parole ma gli accadimenti di cui parlano. L’ultima parte del libro infatti è una carrellata di documenti, interessantissimi da visionare.

L’intento informativo del testo è evidenziato dal fatto che l’autore ha stilato una lista di dieci domande, le cui risposte potevano tornare molto utili per confermare, smentire o spiegare alcuni avvenimenti riportati nel libro, e l’ha fatta pervenire a Matteo Renzi tramite il suo portavoce. Non vi è stata risposta alcuna. Gli interrogativi comunque sono riportati per esteso.

È recentissimo, risale infatti ai primi mesi di questo 2014, lo scandalo dell’attico di via degli Alfani  8 sito a pochi passi da Palazzo Vecchio e abitato da Matteo Renzi dal marzo 2011 «nulla di male, se non fosse che a pagare l’affitto per il primo cittadino è Marco Carrai, all’epoca amministratore delegato della controllata del Comune Firenze Parcheggi». La libertà di stampa come a pari-merito quella di opinione sono indiscutibilmente diritti inviolabili, tuttavia qualche perplessità sorge nel momento in cui ci si è ritrovati a leggere su un quotidiano a tiratura nazionale qual è  «La Stampa» l’opinione in merito di Massimo Gramellini «di tutte le forme di favoritismo questa mi sembra, se non la migliore, per lo meno la più umana».

Invece a noi questo modo di fare informazione sembra tutt’altro che il migliore o il più umano. Ed è anche per questo che è importante leggere libri come L’intoccabile di Davide Vecchi, poi ognuno potrà scegliere in tutta libertà la strada o l’opinione da seguire e fare propria.

© 2014 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“I Buoni” di Luca Rastello (Chiarelettere, 2014)

23 mercoledì Lug 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Chiarelettere, Ibuoni, LucaRastello, monocolooccidentale, Occidente, Oriente, recensione, romanzo

Luca Rastello, I buoni

A marzo di quest’anno Chiarelettere ha pubblicato la prima edizione de I buoni di Luca Rastello. Un romanzo che si impone nella mente del lettore fin dalle primissime battute: penetranti, intense, a volte ambigue e apparentemente incomprensibili. Va letto tutto, fino in fondo, va assimilato per poter essere davvero capito. Il registro utilizzato dall’autore è quello del linguaggio parlato e trattandosi di un misto di lingue, almeno all’inizio, c’è il rischio di perdersi nei meandri del percorso costruito ad arte da Rastello; percorso che condurrà il lettore fino alla riga più nascosta, lasciandolo poi libero di comprenderne il significato reso ormai evidente.

Nella prima parte l’autore ci porta a conoscere i posti più ignoti di una città che a noi sembra tanto lontana come le persone che la abitano. Un luogo accessibile solo agli autoctoni e agli operatori umanitari i quali, sotto l’egida del Cristianesimo, si spingono sempre più oltre nel loro cammino che dovrebbe condurli alla salvezza, non solo propria ma di tutte le anime incontrate, aiutate, soccorse, salvate. Già. Dovrebbe. Invece quello stesso mondo sotterraneo di malattie, di violenza, di soprusi, di aggressioni verbali e fisiche, di imbrogli, di ricatti… lo ritroviamo pari pari all’interno del palazzo di cristallo, la sede della ong internazionale di cui fanno parte i protagonisti, un colosso del volontariato umanitario, l’ennesimo fallimento della società occidentale moderna.

«Abbiamo bisogno di convivere con il male, fingendo di combatterlo, abbiamo bisogno di accettare un mondo inaccettabile che ci stritola, e abbiamo bisogno di abitarlo sotto anestesia». Si sa, lo sanno tutti ormai, che non è possibile credere veramente di salvare il mondo e i suoi abitanti con le donazioni, eppure è l’unica cosa che riscuote ancora successo. Ci sono quelli che pensano di lavarsi la coscienza donando uno, due, cinque, otto, dieci euro o anche di più, magari riuscendo a detrarre dalle tasse qualcosa, e quelli che spalancano le braccia a questi donatori famelici di riscatto, che si proclamano i salvatori delle anime perse. I moderni pastori che accolgono nel loro gregge i più bisognosi, a patto che i donatori non cessino mai di donare altrimenti non se ne fa più nulla.

«Lascialo stare, don Silvano. Lui si nutre del disperato bisogno di conciliazione che nasce dalle nostre vite in cattività. Lui è la forma del mondo com’è». Ed ecco che questo esercito di anime da salvare, da redimere, diventa una grossa opportunità di business, una macchina che macina soldi e potere. Andrea Vitaliano, operatore umanitario, e Mauro Bulgarelli, fotografo, iniziano la loro avventura incontrandosi nel Centro che accoglie i bambini di Singurei, vittime di un’epidemia assurda di AIDS che li ha colpiti tutti, proprio loro, figli di genitori sani. Il perché lo si comprende in seguito. Incontrano Aza nella città degli invisibili, piena di mondi sotterranei, dove lei è cresciuta e da dove ne è uscita, nonostante vi resti legata, come un bimbo alla madre attraverso il cordone ombelicale. Aza, Adrian, sua moglie e tutti gli altri… vite spezzate, stordite, bisognose di aiuto. Eppure, quando la ragazza arriva in Italia, sembra essere la più equilibrata all’interno del gruppo degli operatori della sede centrale dell’organizzazione di don Silvano.

Luca Rastello

Azalea, Aza oppure ancora Lea, a seconda di chi la chiama, in un batter d’occhio da profuga diventa un’opportunità per chi, anche inconsciamente, continua a pensare di essere parte del mondo dei giusti, dei forti, dei popoli evoluti… dei buoni. Nel libro di Rastello l’onere del riscatto se lo accolla per intero Adrian, ma nella vita reale sembra ancora che queste persone siano degli ingrati, dei ladri, degli assassini, dei drogati… i cattivi.

L’autore si sofferma anche nel racconto di tragici fatti di cronaca italiana che aiutano il lettore a mettere nella giusta prospettiva il mondo occidentale e i suoi abitanti. Anche Torino mostra i suoi cunicoli sotterranei, nascosti, con i suoi abitanti che brulicano e vivono all’ombra di un mondo che non sa fare di meglio che dimenticare, o fingere di ricordarli. «Le lacrime della città operaia per i suoi figli. Figli invisibili ormai. Forzati, oggi come trenta, quarant’anni fa a cercare, per quanto è possibile, spazi di umanità dentro i ritmi spietati della fabbrica».

I buoni di Luca Rastello è un profondo viaggio nei luoghi dell’Italia e della Romania di cui non si parla mai. È il cammino attraverso il sentiero dell’ipocrisia del mondo. È il racconto di vite spezzate in nome di un Dio che nulla ha a che vedere con la religione e la spiritualità ma che si chiama potere.

http://www.sulromanzo.it/blog/i-buoni-di-luca-rastello

© 2014 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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