Perché per tutto il Novecento gli inglesi hanno considerato l’Italia una loro “colonia”? Perché hanno messo in moto una vera e propria “macchina della propaganda occulta” per pilotare le decisioni dei governi attraverso il condizionamento dell’opinione pubblica? Cosa sarebbe accaduto se così non fosse stato? Cosa è diventata l’Italia oggi?
Ne abbiamo parlato con Giovanni Fasanella, co-autore con Mario José Cereghino, di Colonia Italia. Giornali, Radio e Tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top-secret di Londra (Chiarelettere, 2015).
Tramite lo studio incrociato dei documenti desecretati, custoditi negli Archivi di Stato di Londra, e di articoli e reportage dell’epoca, Fasanella e Cereghino hanno ricostruito i vari passaggi seguiti, e a volte precedenti, ai grandi eventi della Storia italiana del secolo scorso nonché delle vicende legate a grandi personaggi, uomini politici e membri noti della classe dirigente: la Disinformatia che ha preceduto l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, la propaganda fascista, gli scandali De Gasperi e Piccioni, Mattei e la politica energetica dell’Eni, il caso Moro, la strage di piazza Fontana… focalizzando su ciò che ha rappresentato il mezzo per arrivare alla società contemporanea, il motore dello sviluppo industriale e capitalistico, il motivo di tanti conflitti, il destino di intere popolazioni: l’oro nero.
Il titolo del libro è tanto preciso quanto inquietante. Davvero possiamo parlare dell’Italia come di una vera e propria colonia inglese?
Così l’Italia è stata considerata dagli inglesi. Perché la posizione geografica del nostro Paese, proprio al centro del Mediterraneo, era di fondamentale importanza strategica per gli interessi inglesi in mare, nel Nord e nell’Africa tutta, nel Medio Oriente. Quindi, dal punto di vista britannico, controllare l’Italia significava controllare meglio i propri interessi, le proprie rotte commerciali e i propri domini coloniali. Per esercitare con più efficacia questo controllo sulle scelte politiche dei partiti e dei governi italiani, era necessario innanzitutto avere il controllo dei mezzi di comunicazione: giornali, radio, televisioni, ma anche intellettuali e opinion leader. Controllare i mezzi di comunicazione di massa che potevano influenzare l’opinione pubblica la quale, a sua volta, poteva condizionare le scelte dei governi.
A partire da quale momento storico si comincia a parlare di “colonia Italia”?
Va precisato che questo ovviamente non significa che tale, ovvero “colonia”, si sentisse e operasse la classe dirigente italiana del dopoguerra.
L’idea che gli inglesi avevano dell’Italia come di un loro protettorato nasceva dai tempi del Risorgimento visto il contributo offerto dagli inglesi al processo unitario italiano, ma anche e soprattutto dall’esito della seconda guerra mondiale. Dal punto di vista britannico, l’Italia questa guerra l’aveva persa e c’è una differenza tra il modo in cui americani e inglesi hanno considerato il “problema italiano”. Per gli americani eravamo un Paese co-belligerante, con cui insieme si era sconfitto il fascismo. Mentre gli inglesi ci consideravano vinti, battutti. Quando, dopo la guerra, le potenze vincitrici si divisero il mondo in aree di influenza, da un lato i Paesi-satellite dell’Unione sovietica, dall’altro la Nato, dentro il contesto atlantico l’Italia venne considerata dagli inglesi, con il beneplacito degli americani, un loro protettorato, una loro “colonia”.
Con quali mezzi veniva effettuato il controllo?
Dai documenti visionati è emersa l’esistenza di una vera e propria macchina della propaganda occulta attraverso la quale gli inglesi controllavano il sistema italiano dell’informazione e quindi l’opinione pubblica. Documenti custoditi negli archivi di Stato di Londra, desecretati, anche se non completamente. Da questi abbiamo appreso anche i meccanismi di reclutamento e di funzionamento. Questa “macchina” produceva veline vere e proprie, analisi sui grandi fatti, sulle situazioni… e, a volte, persino articoli già preconfezionati destinati alla pubblicazione sui giornali italiani.
Ci sono testimonianze dell’effettivo impiego di questi articoli?
Purtroppo sì e portano anche la firma di autorevoli giornalisti. È necessaria però una precisazione: nel libro noi raccontiamo il punto di vista degli inglesi e, in appendice, pubblichiamo una lista di trecento nomi, che rappresentano la mera punta dell’iceberg di quelli che gli stessi inglesi chiamano “clienti” della propaganda occulta, cioè i destinatari diretti dei loro materiali, avvicinati e/o attenzionati. Parliamo di giornalisti, opinionisti, direttori di testate… Ma non è dato stabilire il grado di consapevolezza con cui hanno agito, fino a prova contraria dobbiamo immaginare che sia avvenuto a loro insaputa.
Ci sono stati dei periodi in cui questa “macchina della propaganda occulta” ha agito con più fervore?
È successo alla vigilia della prima guerra mondiale, quando attraverso la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, le nostre autorità politiche furono indotte a rompere l’alleanza con gli imperi centrali, Germania e Austro-Ungheria, e passare prima alla neutralità e poi a entrare direttamente in guerra al fianco degli Alleati.
Saltiamo il periodo fascista e la seconda guerra mondiale, che sono contesti molto particolari, ma nell’immediato dopoguerra, ad esempio, questa macchina della propaganda fu trasformata addirittura in “macchina del fango” contro Alcide de Gasperi e il suo erede politico Attilio Piccioni.
Nel submandato britannico il governo italiano mise Enrico Mattei alla presidenza dell’Agip per scioglierla, perché gli inglesi non volevano che l’Italia avesse una compagnia petrolifera di Stato. Perché alla fine il filo che attraversa tutta questa storia è il petrolio.
Senonché Mattei, con l’appoggio di De Gasperi, fonda l’Eni che da subito inizia una politica molto aggressiva in Nord Africa e Medio Oriente, aree che gli inglesi consideravano «seconde soltanto alla Gran Bretagna stessa».
La reazione di Winston Churchill, premier del governo britannico allorquando l’Eni violò l’embargo imposto dalla Gran Bretagna all’Iran di Mossadeq, il quale aveva espulso dalla Persia le compagnie petrolifere britanniche, come si legge in un documento, fu di imporre ai propri apparati una lezione agli italiani per far loro capire quanto quella politica disturbasse gli interessi del governo inglese. Mentre in Iran organizzavano il colpo di Stato per rovesciare Mossadeq, contemporaneamente in Italia attivarono la macchina del fango contro De Gasperi e Piccioni.
Due grandi scandali del dopoguerra che esplosero contestualmente furono quello delle false lettere Guareschi-De Gasperi e il casoWilma Montesi che vide coinvolto Piero, figlio di Attilio Piccioni. Alla fine sia De Gasperi che Piccioni, travolti dalla macchina del fango, furono entrambi costretti a uscire dalla scena politica italiana.
Noi abbiamo ricostruito, con lo studio dei documenti inglesi, tutte le varie fasi di quegli scandali e abbiamo scoperto come a innescarli prima e alimentarli poi fossero stati giornali anglofili, giornali e giornalisti in contatto con la macchina della propaganda occulta britannica e, quando questi scandali scemavano, a riaccenderli ci pensavano ancora giornali e giornalisti di area anglofila.
Tutto ciò è successo con Enrico Mattei, negli anni della presidenza Eni, ed è successo anche con Aldo Moro. C’era una grande parte della classe dirigente italiana che non accettava l’idea di essere un protettorato britannico e conduceva una politica, soprattutto energetica, in contrasto con i diktat degli interessi britannici.
Mattei nei documenti viene definito «un pericolo mortale per gli interessi nel mondo, una verruca, un’escrescenza da rimuovere con ogni mezzo». Nel 1972, tre mesi prima che morisse nell’incidente aereo, che incidente non fu bensì un sabotaggio, in un documento si legge: «abbiamo tentato di fermare Mattei in ogni modo, non ci siamo riusciti, forse è arrivato il momento di cablare la pratica alla nostra intelligence».
E lo stesso trattamento venne riservato poi ad Aldo Moro. Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, diversi furono i tentativi di colpo di Stato per fermare la politica morotea, compreso il famoso golpe borghese bloccato sul filo di lana dagli americani. Nella prima metà del 1976 dopo l’ennesimo tentativo fallito, a causa dell’intervento americano e tedesco non francese, leggiamo ancora nei documenti: «Impossibile attuare un colpo di Stato militare classico, approccio a una diversa azione sovversiva contro Moro». Quale potesse essere questa diversa azione sovversiva non è dato conoscere perché quella parte di documento è ancora secretata.
Un ruolo simile possono averlo avuto anche in quella che è stata definita “strategia della tensione” seguita alla strage di piazza Fontana?
Nel libro adombriamo il sospetto, direi anche qualcosa di più di un sospetto, sul ruolo di una mente britannica, con ovviamente una mano o una manovalanza italiana, nella strage di piazza Fontana e in tutto quello che venne dopo. Fra i tanti documenti che pubblichiamo, ce n’è uno importante, del capo della macchina della propaganda occulta dell’Ambasciata britannica a Roma nel quale si sottolineano gli scarsi effetti avuti, paragonati a «una pallina di ping pong scagliata contro Golia. Bisogna passare ad altri metodi e spetta a noi architettarli».
Quali altri metodi? Ancora una volta non ci è dato conoscere. Siamo nel 1979 e sappiamo quello che accadde successivamente. Ricostruendo la Storia tramite i quotidiani e i documenti dell’epoca dimostriamo nel testo che già una settimana prima della strage di piazza Fontana la stampa britannica dà la chiave di lettura politica di quello che sarebbe successo dopo.
La strategia della tensione è strage di Stato, cioè un fenomeno tutto interno che esclude completamente il contesto internazionale. Questo fu una sorta di depistaggio preventivo teso a dare un’interpretazione distorta dei fatti.
Senza l’influenza britannica come sarebbe stata la storia dell’Italia del secolo scorso?
È difficile fare la Storia con i se e con i ma. Possiamo dire tuttavia che, nonostante tutto, si annoverano tanti nomi di grande spessore nella classe dirigente italiana del Novecento. Grazie a loro il nostro Paese è cresciuto, ha fortificato il proprio tessuto economico, ha avuto un grande prestigio internazionale, capace di esercitare la propria egemonia e la propria leadership nel Mediterraneo, un punto di riferimento per i Paesi in via di sviluppo. Grazie a quella politica l’Italia, un Paese che secondo gli inglesi si sarebbe ripreso dalla guerra ma moderatamente, è arrivata a un certo punto ad essere la quarta, la quinta potenza economica a livello mondiale, scavalcando persino la Gran Bretagna. Mentre l’Italia cresceva, la Gran Bretagna perdeva via via il proprio status di impero coloniale, di grande potenza globale.
Poi tutto questo si è interrotto bruscamente, drammaticamente col sequestro e l’assassinio di Aldo Moro a cui ha fatto seguito un periodo di crisi, sempre più profonda, politica, istituzionale, economica, di leadership. L’Italia ha perso prestigio sia dal punto di vista interno che internazionale. Quello che è oggi lo vediamo tutti: il Paese più povero, che ha smantellato gran parte del proprio apparato produttivo nei settori di eccellenza, svenduto attraverso le privatizzazioni gestite dalle grandi banche d’affari anglosassoni, con una classe dirigente mediocre, povera sotto ogni punto di vista, incapace di una visione strategica e screditata sulla scena internazionale.
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