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Irma Loredana Galgano

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Rivoluzione digitale sì, ma “Non essere una macchina”

09 sabato Mag 2020

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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ControRivoluzione, lavoro, LuissUniversityPress, NicholasAgar, Nonessereunamacchina, recensione, rivoluzionedigitale, saggio

Una guida per orientarsi nel dibattito sul tema, per comprendere in cosa consista in realtà la cosiddetta Rivoluzione digitale, su come vada collocata nella prospettiva di lungo corso della storia dell’umanità e, sopratutto, per conoscere più da vicino le IA – intelligenze artificiali – e il valore dei dati. È in questo modo che Andrea Prencipe, rettore della Luiss University, definisce il libro di Nicholas Agar, docente di etica al MIT.
Un testo che di sicuro si rivela essere tutt’altro che una lettura scontata sul tema della Rivoluzione digitale che interessa la contemporaneità ma la cui percorrenza determinerà quello che sarà il futuro prossimo e remoto dell’intero pianeta.

La Rivoluzione digitale sta trasformando le vite umane. Buona parte dello sconvolgimento provocato dalla Rivoluzione industriale fu dovuta all’automazione della forza muscolare. La Rivoluzione digitale invece, sottolinea Agar, sta automatizzando il lavoro mentale umano. Rappresenta perciò una minaccia per le occupazioni il cui contenuto intellettuale è alto, ovvero quelle occupazioni che di norma richiedono lunghi anni di studi e riservano salari elevati.
I progressi nell’intelligenza artificiale paiono condurre a una progressiva polverizzazione dell’agentività umana. Sembra proprio che dovremo affrontare un futuro nel quale il controllo sulle società e sulle vite umane sarà sempre più e inesorabilmente ceduto alle tecnologie digitali “con poteri decisionali palesemente superiori”.

Agar ritiene che gli uomini, in generale, hanno la tendenza a supporre che le cose continueranno esattamente come adesso. Si tende a sottovalutare la minaccia all’agentività umana – human agency – da parte delle macchine. Questo accade anche perché molte delle odierne intelligenze artificiali non sembrano rappresentare una reale minaccia per il nostro posto di lavoro. Così facendo si ignora però il rapido ritmo di miglioramento che esse hanno in assoluto e in confronto a quello umano.
Gli uomini manifestano quindi un pregiudizio verso le capacità delle macchine future e, parallelamente, una visione alterata delle reali abilità umane. Agar sostiene che questo bias a favore degli esseri umani sia tanto insostenibile quanto il geocentrismo precopernicano.

Lo scopo che Agar si è prefisso scrivendo il saggio Non essere una macchina è descrivere ciò che è indispensabile fare per salvaguardare l’agentività umana nell’Era digitale. Salvaguardare il contributo umano non significa di certo respingere le meraviglie tecnologiche che la Rivoluzione digitale ha portato, richiederà piuttosto un’attenta considerazione degli ambiti dell’attività umana che cederemo alle macchine.

Le società che emergeranno dalla Rivoluzione digitale dovrebbero essere strutturate intorno a quelle che Agar chiama economie sociodigitali.
Il valore principale dell’economia digitale è l’efficienza.
Il valore principale dell’economia sociale è l’umanità.
In un’economia sociale completamente allargata dovremmo essere liberi di scegliere il lavoro che si desidera svolgere. Questo tipo di economia, per l’autore, potrebbe costituire una risposta a uno dei mali tipici della nostra epoca: l’isolamento sociale.
Spodestati dalle posizioni lavorative basate sull’efficienza, dovremmo essere liberi dunque di dedicarci a “nuove tipologie di lavoro che soddisfino le esigenze sociali degli esseri umani”. Lavori che dovremo anche essere in grado di inventarci ex-novo in quanto, con ogni probabilità, “se non le creeremo, quelle mansioni non esisteranno”.

Alcuni sostengono che dovremmo reagire ai progressi digitali offrendo agli uomini un reddito universale di base. Ma per Agar senza il collante sociale del lavoro si dovrebbe trovare un altro modo per evitare che le nostre società si disgreghino in sotto-comunità definite da appartenenza etnica, affiliazione religiosa e altre caratteristiche apprezzabili a livello sociale. Quando lavoriamo insieme, in un certo senso, superiamo i confini tra razza, religione, genere e capacità. Agar definisce il lavoro come il collante sociale che aiuta a trasformare gli estranei in società coese che si fidano l’una dell’altra. Quando avalla la regola del lavoro però Agar lo fa su concetti che esulano molte delle forme che il lavoro assume in questi tempi di incertezza economica. Egli ritiene infatti che “buona parte del lavoro odierno è insoddisfacente”.
Un altro contesto nel quale bisogna lavorare con gli altri per ottenere risultati e successo è lo sport.
Altre visioni sul futuro vedono tutta la ricchezza generata dalle macchine digitali nelle mani dei pochi che le posseggono.

La visione del futuro secondo Agar vedrebbe un’Era digitale nella quale saremo circondati da favolose tecnologie digitali ma riusciremo ancora a godere di esistenze intensamente sociali.
Sia nel caso del cambiamento di clima, sia in quello della minaccia all’agentività umana proveniente dalla Rivoluzione digitale, le ricompense per il successo e le sanzioni per il fallimento sono talmente alte da obbligarci a compiere gli sforzi più grandi.

Più volte l’autore ritorna sul tema dei dati, da considerare come la vera forma di ricchezza che contraddistingue la Rivoluzione digitale: “Noi abdichiamo al controllo dei nostri dati a favore di Google, Facebook e 23andMe, proprio come all’inizio del XX secolo i coltivatori texani furono felici di accettare misere somme di denaro in cambio del diritto di altri a sondare i loro terreni alla ricerca di petrolio, inutile per la loro attività di coltivatori o allevatori”. E invece sono proprio questi dati il nuovo oro che sembra dettare le regole della “borsa digitale”.

Si potrebbe anche scegliere di non realizzare l’ideale dell’economia sociodigitale, chiosa Agar, e continuare a considerare le tecnologie come influenze di principio sull’esperienza umana collettiva, però dovremmo allora attenderci o temere un futuro disumanizzato, dominato in tutto e per tutto dal valore dell’efficienza. Una vera e propria scelta di estinzione programmata con consapevolezza, avendo volutamente optato per “cedere le nostre occupazioni alle versioni robotiche e migliori di noi stessi”.
Del resto, in un mondo dove sono le macchine a farla da padrone, rischiamo davvero di diventare una sorta di nuovi gladiatori, e Prencipe nella prefazione al libro di Agar si chiede se arriveremo a dipendere da “un algoritmo-imperatore che deciderà della nostra vita e della nostra morte con un pollice verso”.
I gladiatori facevano appello alla pietas degli imperatori, ma sembra davvero arduo poter contare su un sentimento così umano quando si ha a che fare con le macchine. E conviene anch’egli con l’autore che “conservare l’umanità anche nell’era digitale, o almeno rendere quest’ultima più umana, può allora essere l’unica via di uscita da questo apparente vicolo cieco”.

Bibliografia di riferimento

Nicholas Agar, Non essere una macchina. Come restare umani nell’era digitale, Luiss University Press, Roma, 2020.
Traduzione di Anna Bissanti dal testo originale in lingua inglese How to be human in the digital economy, MIT Press (Massachusetts Institute of Technology Press), Stati Uniti d’America, 2019.
Edizione italiana con prefazione di Andrea Prencipe


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Luiss University Press per la disponibilità e il materiale


Articolo originale qui


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© 2020, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Quale futuro per le democrazie del post liberalismo e populismo? Jan Zielonka “Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale” (Editori Laterza, 2018)

01 venerdì Mar 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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ControRivoluzione, JanZielonka, Laterza, recensione, saggio

La democrazia liberale era mal concepita o semplicemente è stata mal realizzata? Quale futuro avranno le democrazie del post liberalismo e populismo? Quali sono le caratteristiche della contro-rivoluzione in atto? E dove condurrà i paesi del blocco democratico liberale?

Da Washington a Varsavia, Atene e Berlino, i politici anti-establishment continuano ad avanzare a spese di quelli di centro-sinistra e centro-destra. Questa sembra essere diventata la nuova normalità e le elezioni italiane del 4 marzo 2018 non hanno fatto che confermare «in maniera abbastanza spettacolare una tendenza generale». L’Italia di oggi rappresenta «un caso da manuale di contro-rivoluzione».

Jan Zielonka, docente di Politiche europee all’Università di Oxford e liberale convinto, scrive un saggio, Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, edito in Italia da Laterza, sotto forma di lunga e articolata lettera al suo ormai scomparso mentore Ralph Dahrendorf, seguendo anche in questo le orme del suo maestro, il quale anni addietro aveva scritto un’opera utilizzando il medesimo registro narrativo. Zielonka analizza quanto accaduto nelle democrazie liberali negli ultimi trent’anni e, con spirito molto critico, ne definisce gli errori ammettendo la sconfitta di quel sistema in cui, nonostante tutto, egli ancora crede ma che necessita di profondi e strutturali cambiamenti e adeguamenti.

Rivoluzioni e contro-rivoluzioni sono sempre portatrici di turbolenze, e «non abbiamo ancora assistito alle peggiori manifestazioni della confusione e del conflitto generati dall’attuale delirio politico». I “nuovi arrivati” hanno sollevato una gran quantità di valide critiche all’establishment liberale, ma saper distruggere un vecchio ordine non implica essere capaci di costruirne uno nuovo: «l’universo del governo è altra cosa rispetto al cosmo dell’opposizione».
È probabile che tutti i notevoli sforzi di aumentare la spesa dello Stato e di allargare i diritti degli occupati scatenino una reazione dei mercati, un trasferimento degli affari all’estero e una conseguente delusione negli elettori e «il nuovo governo deve sapere in anticipo come affrontare queste situazioni».

Ai media piace concentrarsi sulle individualità e i retroscena politici, ma dovrebbero invece «dare spazio ai dilemmi politici che questi nuovi governi con programmi radicali di cambiamento devono affrontare». Puntando l’obiettivo sui valori e le norme che si nascondono dietro gli slogan politici, guardare all’Italia come a un «caso particolare dell’affascinante esperimento storico» che va sviluppandosi in Europa. Un esperimento che è al contempo un pericolo e un’opportunità.
Alcuni, molti in realtà, sarebbero contenti di preservare lo status quo o, addirittura, riportare indietro l’orologio a un «mitico passato». Molti liberali auspicano il ritorno «ai bei tempi andati del regno liberale» e non vogliono vedere alcun cambiamento.

Negli ultimi trent’anni essi hanno dato la priorità alla libertà sull’uguaglianza, i beni economici hanno ricevuto più attenzione e protezione di quelli politici, i valori privati sono stati accarezzati più di quelli pubblici, ora «queste priorità vanno rivisitate». Per Zielonka le riforme dei parlamenti non produrranno miracoli, necessita quindi costruire o ricostruire la democrazia su altri pilastri oltre la rappresentanza: «in particolare la partecipazione, lo scambio di opinione e la contestazione». Il liberalismo ormai non può votarsi «né alla difesa dello status quo né all’imposizione di un qualsiasi dogma».

Il populismo è diventato un tema di discussione pressoché universale. I liberali si sono dimostrati «più abili nel puntare il dito contro gli altri che nel riflettere su se stessi». Dedicano molto più tempo a spiegare la nascita e i difetti del populismo che non a illuminare i motivi della «caduta del liberismo». Il libro di Jan Zielonka intende concentrare l’attenzione proprio su questo squilibrio, è «il libro autocritico di uno che è liberale da sempre».

Oggi è l’intera Europa a versare in «uno stato di confusione», i cittadini si sentono insicuri e arrabbiati, «i loro leader si rivelano incompetenti e disonesti», i loro imprenditori appaiono furibondi e la violenza politica è in aumento. Si chiede Zielonka se sia possibile invertire il pendolo della storia e in che modo bisogna farlo.
La «deviazione neoliberista ha fatto molti danni», ma l’autore non ritiene plausibile abbandonare alcuni punti centrali della «fede liberale»: la razionalità, la libertà, l’individualità, il potere sotto controllo e il progresso. Egli si dichiara convinto che le attuali difficoltà della situazione europea possano trasformarsi «in un altro meraviglioso Rinascimento», ma ciò richiederà una seria riflessione di quanto finora è andato storto.

In Europa, la politica si è configurata sempre più come «un’arte di ingegneria istituzionale» anziché come «arte di negoziazione fra le élite e l’elettorato». Poteri in numero sempre maggiore sono stati delegati a istituzioni non elettive – banche centrali, corti costituzionali, agenzie regolatorie – . «La politica incline a cedere alla pressione pubblica era considerata irresponsabile, se non pericolosa».
I politici contro-rivoluzionari sono spessi appellati populisti, ma «questo termine è fuorviante e stigmatizzante» e, secondo Zielonka, non coglie quello che è il loro obiettivo chiave, ovvero abolire l’ordine stabilito a partire dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e sostituire le élite che lo hanno generato.

Da intellettuali, non bisogna coltivare un «pensiero manicheo di bianco o nero».
Da democratici, non si deve mai ironizzare sulle scelte elettorali.
Da attivisti pubblici, non bisogna illudersi che la gente “si svegli” all’improvviso e «si accomodi nuovamente dietro di noi».
Lo scopo, sottolinea Zielonka, non è dimostrare semplicemente che le critiche erano sbagliate, bensì vedere se gli ideali liberali reggono di fronte ai cambiamenti sociali e tecnologici.
La spiegazione più frequente dell’odierna difficoltà dei liberali è la svolta neoliberista. Ma «il liberalismo è stato sequestrato da avidi banchieri oppure è stato un terreno di coltura ideale per l’autoindulgenza?»
La rivoluzione del 1989 ruotava intorno a concetti quali democrazia, sicurezza, Europa, confini e cultura. La gente voleva essere governata da un diverso tipo di politico e l’autore teme che «la situazione di oggi sia simile». I politici contro-rivoluzionari non si oppongono soltanto a singole politiche liberali, ma ne sfidano l’intera logica, e «tentano di introdurre una nuova normalità».

Che un paese possa o meno permettersi una più incisiva politica sociale non è solo «funzione di fatti statistici ma anche di scelte politiche». Molto dipende dalla concezione che si ha del bene e della giustizia. E invece, per assurdo, quelli che suggeriscono un salario minimo o un bonus per ogni figlio che si aggiunge alla famiglia finiscono per essere «etichettati dai neoliberisti come irresponsabili populisti». Allora Zielonka cita Andrew Calcutt, il quale sostiene che, anziché prendersela con il populismo perché «realizza quello che noi abbiamo messo in moto», sarebbe meglio riconoscere «la parte vergognosa che noi abbiamo avuto in tutto ciò».

Solo attraverso una profonda e articolata autocritica il liberalismo e i liberisti riusciranno a non soccombere all’avanzata dei contro-rivoluzionari. Solamente ciò consentirà loro di rivedere principi e dogmi adeguandosi ai tempi ormai mutati. È questa l’unica strada percorribile per Jan Zielonka il quale più volte nel testo sottolinea la sua ferrea convinzione nei valori puri e originari del liberalismo. Quelli che non vanno abbandonati, piuttosto ritrovati. Ed è con questa seppur flebile speranza ch’egli congeda il lettore di Contro-Rivoluzione. Un libro che racconta le degenerazioni dell’attuale sistema come anche quelle di chi vorrebbe combatterlo e cambiarlo. Un libro che è un’accorata richiesta di cambiamento, di adeguamento e, soprattutto, di equilibrio.

Bibliografia di riferimento

Jan Zielonka, Contro-Rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, Editori Laterza, 2018. Traduzione di Michele Sampaolo dall’edizione originale Counter-Revolution. Liberal Europe in Retreat, Oxford University Press, 2018.

Biografia dell’autore

Jan Zielonka insegna Politiche europee alla University of Oxford ed è Ralf Dahrendorf Fellow al St Antony’s College.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Editori Laterza per la disponibilità e il materiale.


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© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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