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Irma Loredana Galgano

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I fiumi sono i ponti tra i territori e le epoche

16 mercoledì Giu 2021

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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CarloGrande, CiviltaAppennino, DonatellaDiPietrantonio, Donzelli, GiuseppeLupo, GuidoConti, LauraBosio, LauraPariani, Leviedell'acqua, RaffaeleNigro

I fiumi sono in movimento continuo. Partono dalle montagne per raggiungere i posti più lontani della pianura. Gli autori ci ricordano che, man mano che viaggiano, i fiumi si caricano di storie, di vicende sempre diverse, si imbattono in presenze in grado di affidare all’acqua il riassunto della quotidianità e del passato, nonché le speranze del futuro. 

Il fiume diventa così una metafora della storia. E, partendo dai fiumi, anche la letteratura tende ad affidarsi alla storia, a raccogliere le vicende degli uomini, il loro cammino. 

Ed è proprio contro un’idea asfittica e minimalista di letteratura che gli autori propongono invece un ritorno al racconto epico, un’epica che ponga nuovamente il flusso narrativo tra le sponde di un fiume, con un inizio, un percorso e una fine. 

L’acqua è vita ma anche civiltà. Ovunque si è scoperto un rivolo naturale che sgorgasse da una sorgente, la vita sociale delle comunità si è sviluppata ed è progredita. Ecco allora che, nella presentazione di Piero e Gianni Lacorazza, si intravede il parallelismo tra il destino dei fiumi e quelli degli uomini. Anche la civiltà, come il fiume, nasce sulla montagna, dove nasce l’acqua, e si sviluppa accompagnata per le valli fino al mare. I fiumi non solo hanno i ponti, si legge ancora nella presentazione, ma sono essi stessi ponti. Ponti tra epoche e ponti tra territori. 

Il testo Le vie dell’acqua si sviluppa seguendo il diverso ritmo narrativo dei sette contributi a firma di altrettanti scrittori, i quali raccontano sette fiumi che in comune hanno l’acqua, storie da raccontare e l’Appennino, la lunga dorsale che si snoda anch’essa come un fiume lungo tutta l’Italia, dalle alte montagne fino al profondo mare. 

Ognuno degli autori racconta della propria terra, della parte di Appennino che lo ha visto bambino oppure adulto. Raccontano i luoghi, le tradizioni, gli odori, i sapori, i suoni… ma descrivono, commentano e interpretano anche il modo in cui altri lo hanno fatto, nel bene e nel male. 

Leggendo i contributi che vanno a comporre il testo, il lettore percepisce la vastità del mondo che ruota e ha ruotato intorno ai fiumi, ai ruscelli, ai rivoli sorgivi intorno ai quali ogni comunità, grande o piccola che sia, si è riunita. 

Si passa dai gesti semplici e anche umili del fare il bucato o lavare il bestiame alla ricerca della propria identità, individuale e di gruppo, fino alla rievocazione storica e letteraria. In tutti i casi, comunque, emerge la ricchezza culturale, oltre che ambientale, dell’acqua di un fiume con tutto il suo carico, a volte ingombrante, di sapere e tradizione.

L’acqua è anche movimento. Un movimento che non conosce i confini geografici e politici, che valica anche quelli naturali. Un movimento che ricorda quello degli uomini, da sempre in cammino verso nuove mete, nuovi orizzonti, anch’essi portandosi dietro un carico di storia, di conoscenza, di cultura, di speranza. Forme di vita e di natura in continuo cambiamento, evoluzione. 

Bibliografia di riferimento

Laura Bosio, Guido Conti, Donatella di Pietrantonio, Carlo Grande, Giuseppe Lupo, Raffaele Nigro, Laura Pariani, Le vie dell’acqua. L’Appennino raccontato attraverso i fiumi, Donzelli Editore, Roma, 2020

Volume della Serie Civiltà Appennino a cura della Fondazione Appennino. 

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Articolo disponibile anche qui

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Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Donzelli Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com

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“Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni” di Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo (Donzelli, 2020)

“Oro Nero o Oro Blu?”

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© 2021, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni” di Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo (Donzelli, 2020)

26 domenica Lug 2020

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CiviltaAppennino, Donzelli, GiuseppeLupo, RaffaeleNigro, recensione, saggio

La Storia ci ha insegnato e abituato a un’Italia divisa, frammentata nei vari stati e contesa da stirpi, rami, dinastie e imperi che l’hanno sempre pensata come composta da tre ampie zone: un Nord, un Centro e un Sud. Ancora oggi questa distinzione, più di tanto altro, sembra esserne una delle caratteristiche più ampiamente riconosciute.

Si chiede però Raffaele Nigro perché debba essere così suddivisa l’Italia e non, per esempio, in senso opposto, ovvero come egualmente tre zone ma disposte in senso verticale. Avremo quindi una fascia tirrenica, una adriatica e una lunga e sinuosa lisca centrale formata dalla dorsale che per intero l’attraversa. Ecco allora apparire la catena montuosa degli Appennini non solo e non tanto nella sua accezione geo-morfologica più classica, ma come vera e propria anima di una civiltà che ad essa si conforma, da essa prende forma e con essa si trasforma.

Ogni luogo natio imprime nel carattere e nella mente dell’individuo il suo tratto peculiare ma l’Appennino, nelle parole di Giuseppe Lupo, fin da subito insegna ai suoi “figli” a vivere in uno stato di sospensione, «non appartenere più alla geografia che ci ha originati e tuttavia non essere legati nemmeno al luogo dove ci si ferma per mettere radici».

Uno stato di sospensione che sembra caratterizzare anche la narrazione dell’intero saggio: tra passato, presente e futuro; tra antico, rurale e moderno; tra suggestione, tradizione e innovazione; tra identità, somiglianza e ribellione.

Ma qual è lo scopo di una visione verticale dell’Italia appenninica?

Lo scopo degli autori, come anche della Fondazione cui il loro lavoro di scrittura è legato, non sembra essere tanto quello di ricercare un’affinità, un’omologazione che renda l’Italia tutta uguale, unita e indistinta, quanto piuttosto quello di trovare l’unione proprio nella diversità, in quelle differenze che, a ben guardare, acquistano il sapore della somiglianza. In quello spirito di adattamento a un territorio che sa essere impervio e ostile, almeno quanto può essere dolce e ospitale. Un adattamento diverso, che ha generato luoghi diversi eppure affini, nell’animo di chi li abita.

È un’idea, quella di Civiltà Appennino. Un’idea cui ha fatto seguito un progetto. Un’idea e un progetto ambiziosi ma non presuntuosi. Una ricerca che vuol condurre la civiltà a ripensare questi luoghi, a riabitare, a rivivere l’Appennino ma non nel senso, o almeno non soltanto, di una riscoperta del passato, dell’antico, del rurale. Piuttosto nel pensare un modo nuovo di abitarli, che non sia slegato dalla contemporaneità e, soprattutto, che sia proiettato verso il futuro.

Un sogno forse, che ad alcuni potrebbe anche apparire come un’inutile utopia eppure nel senso profondo che spinge gli autori a portare avanti le loro idee si intravede una potente resilienza che non è animata da nostalgia bensì da una grande passione, per la vita, per un’esistenza che sia scandita dai ritmi dell’uomo e perché no, anche della natura, fermo restando il suo essere una vita moderna.

Bibliografia di riferimento

Raffaele Nigro, Giuseppe Lupo, Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni, Roma, Donzelli Editore, 2020


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Donzelli Editore per la disponibilità e il materiale


Disclosure: Credits per le immagini, tranne la copertina del libro, www.pixabay.com


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Ognuno guarda il mondo convinto di esserne il centro: Razzismi e Identità. “Classificare, Separare, Escludere” di Marco Aime (Einaudi, 2020) 

L’Altra-Africa: come l’Afromodernità sta diventando una condizione globale 


 

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“Un’anima. Cosa serve alla sinistra per non perdersi” di Gianni Cuperlo (Donzelli “Editore, 2019)

03 venerdì Gen 2020

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Donzelli, GianniCuperlo, recensione, saggio, UnAnima

Quale sarà il destino dell’alleanza imbastita dopo la crisi di Ferragosto tra le forze “più ostinatamente rivali”?
“L’estate folle del 2019” è destinata a inaugurare davvero una «terza Repubblica»?
E, soprattutto, come si muoverà “il partito maggiore” nel dedalo politico italiano cercando di salvare se stesso e la sinistra tutta?

Gianni Cuperlo, a pochi mesi dalla nascita del nuovo governo giallorosso, riprende i post da lui stesso scritti sul social network Facebook come una sorta di diario della crisi estiva, li riordina, li attualizza e li fa diventare un libro, Un’anima. Cosa serve alla sinistra per non perdersi, edito a dicembre 2019 da Donzelli Editore.

Pur ammettendo che il cammino da compiere non sarà facile né scontato, Cuperlo sembra avere le idee chiare su cosa va fatto e su cosa effettivamente serva al Partito Democratico e alla sinistra tutta per dare una portentosa sferzata alla politica italiana, ponendo resistenti argini alla pericolosa ascesa di nazionalismi e populismi.

Innanzitutto non bisogna volgere l’attenzione solo sul programma di governo, ma sarà necessario restituire un’anima al partito, ai componenti di esso come anche agli stessi elettori. Per farlo bisognerà abbandonare luoghi comuni, stereotipi e menzogne. Perché, per invertire davvero la rotta, “alcune verità devi dirle”, anche se sono scomode. Meglio ancora sarebbe dirle tutte.
Contro tutti gli allarmismi su migranti, immigrazioni e presunte invasioni, ricorda Cuperlo che da qui al prossimo decennio l’Europa avrà bisogno di almeno cinquanta milioni di nuovi cittadini, e questo solo per tenere in piedi il sistema pensionistico.

Tre sono i pilastri cardine della ricostruzione che ha in mente l’autore: Sud, formazione, governo locale. Tre nodi che, inevitabilmente finiscono con il tormentarlo il pettine di chi si confronta con l’amministrazione dello Stato e il suo governo.
La scuola, con i suoi alunni demotivati e apatici e con gli insegnati apatici, demotivati e sottopagati. Tutti poco qualificati. Un divario che continua a crescere e a pesare. Istruzione, formazione e cultura ne risentono da anni ormai. Innalzamento dell’obbligo scolastico fino al 18° anno come fatto in Portogallo e adeguamento delle retribuzioni per i docenti. Queste la riforma a costo zero e l’investimento da considerare prioritario per Gianni Cuperlo.
I governi locali, i Comuni abbandonati a se stessi, sotto finanziati e troppo spesso ignorati.
Il Sud che continua a essere considerato, a torto o ragione, il tallone di Achille di un intero Stato che fatica a reggere gli standard internazionali. Un Sud che va raccontato in chiave di risorse, certo necessarie, ma anche di emancipazione e giustizia.

Andrebbe poi svecchiato l’ordinamento stesso dell’economia. Il diritto societario, favorendo e valorizzando la funzione di fare impresa. Il diritto fallimentare, incentivando l’allarme precoce, la riallocazione delle risorse e un’ingerenza regolata del giudice. Il processo civile e la sfera amministrativa: minore burocrazia, un codice appalti meno esposto “alle bizze del vento” e procedure rapide al Tar. Lotta all’evasione, grande e piccola, e sgravi fiscali.
Mettere inoltre mano al “capitolo enorme” della parità di genere che, mai come oggi, assume i contorni di una vera e propria battaglia per l’universalità dei diritti.

Per Cuperlo, c’è da ricostruire un assetto delle istituzioni, un sistema politico tutt’altro che a regime. Bisogna ripensare un congresso vero: “serve una Costituente”. La sfida è convincere a entrare in scena “energie di frontiera” nell’impegno civico, sociale, ambientalista, del praticare solidarietà e fare democrazia.
Ricorda l’autore l’esistenza di forum su temi oggetto di cura per milioni di persone, reti delle quali spesso si tace l’esistenza. Risorse interne a dipartimenti e facoltà dove la ricerca sul mondo per come cambiava è avanzata producendo teoria, progetto, affinità sparse e per questo “meno a rischio di cristallizzarsi”.
Cuperlo ritiene necessario andarlo a cercare quel mondo, scomodarlo, disturbarlo, perché è questo che farebbe davvero la differenza e “scaverebbe un fossato col prima che nessuna distrazione di massa saprebbe colmare”.

La destra la sua formula pare averla trovata. Ha riscritto le gerarchie al suo interno e confinato “l’ala sedicente liberale” ai margini, anche per il mancato rinnovamento dentro Forza Italia. Ha inoltre arruolato “qualche scheggia estremista” e attende impaziente la resa dei conti alle urne.
Il destino della sinistra invece è ancora un’incognita. Non è certo scontato. Ma per Cuperlo spetta a loro comprendere come condizionarlo, invertendo una “percezione divenuta sondaggio e poi conferma dentro le urne”. Perché l’autore considera proprio questo il nodo centrale: decidere se l’approdo al governo vissuto in quel modo inatteso e fulmineo vada inteso come un cigno nero oppure sia il sentiero, “per quanto accidentato”, di un riassetto del sistema politico tutto.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Donzelli Editore per la disponibilità e il materiale


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È l’ingiustizia economica il volano dei populismi? “Questa non è l’Italia” di Alan Friedman (NewtonCompton Editori, 2019) 

Recensione a “La società non esiste. La fine della classe media occidentale” di Christophe Guilluy (Luiss University Press, 2019) 

Chi perde e chi vince nella nuova epoca storica? “Occidente e Oriente” di Kishore Mahbubani (Bocconi Editore, 2019) 

Lo sbandamento dell’Occidente e “Il futuro contro” di Andrea Graziosi (IlMulino, 2019) 

All’alba di un nuovo mondo: l’Occidente, il sé e l’altro. Analisi del testo “All’alba di un nuovo mondo” di Angelo Panebianco e Sergio Belardinelli (IlMulino, 2019) 

Gli elettori devono assumersi la propria responsabilità civile e civica per riuscire a risolvere i problemi delle loro famiglie e del loro Paese. “La conoscenza e i suoi nemici” di Tom Nichols (Luiss University Press, 2018) 


 

© 2020, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“La parabola d’Europa. I trent’anni dopo la caduta del Muro tra conquiste e difficoltà” di Marco Piantini (Donzelli, 2019)

26 venerdì Lug 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Donzelli, LaparaboladEuropa, MarcoPiantini, recensione, saggio

Diventa sempre più evidente il legame tra la questione europea e quella nazionale, ovvero di come le fratture politiche ed economiche tra l’Italia e gli altri paesi dell’Unione si ripercuotano inevitabilmente in spaccature all’interno del nostro stesso Paese.
Marco Piantini, nel saggio La parabola d’Europa. I trent’anni dopo la caduta del Muro tra conquiste e difficoltà edito da Donzelli nel 2019 con prefazione di Giorgio Napolitano e postfazione di Giuliano Amato, racconta per esteso la storia politica economica finanziaria e sociale dell’Unione europea degli ultimi trent’anni. Dalla caduta del Muro di Berlino, con tutto il carico di sogni e speranze generatosi come contraltare a quello fisico e materiale dei cumuli di macerie, all’evoluzione e, per certi versi, involuzione delle democrazie occidentali. Dal progresso tecnologico e digitale, vero trampolino di lancio della globalizzazione, alle incertezze della società attuale, italiana ed europea.

Un libro che raccoglie e sviluppa riflessioni e interventi dell’autore maturati o esternati in anni e sedi differenti, voluto dallo stesso Piantini per due motivazioni principali:
– Offrire elementi di riflessione e analisi su quella che viene solitamente indicata come la “vecchia” politica e sulla sua alternativa, ossia la “nuova” politica post-novecentesca.
– Esternare la preoccupazione sulle sorti dell’Unione europea e dell’Italia in Europa.
Un legame oramai inscindibile, quello che unisce il nostro paese all’Unione e agli altri paesi membri, che potrebbe essere riconsolidato solo dopo aver sciolto i nodi del rapporto difficile, ma anch’esso indispensabile per il rilancio dell’UE, tra Germania e Italia.
Piantini ritiene che entrambi i paesi soffrano, al pari dell’intera Unione, di una “crisi di senso” dello sviluppo capitalistico. Al di là delle idee, delle ideologie, dei sogni e delle speranze, il confronto con la realtà impone di affrontare la questione europea come questione politica del nostro tempo, collegata alla crisi delle democrazie liberali. E Piantini fa bene a ricordarlo.

Le divisioni e i pregiudizi affiorati nel dibattito politico di entrambi i paesi (Italia e Germania) sono stati paradigmatici di ancor più grandi divisioni nell’Unione europea. Responsabilità di classi dirigenti molto più concentrate su una visione nazionale che non su una visione di ampio respiro. I problemi comuni degli Stati europei sì è preferito considerarli straordinari. La corsa a risolvere insieme “situazioni di emergenza” non ha avuto il sostegno di una visione di insieme solida e condivisa per il futuro. Al contempo, si è addossata spesso all’Europa, intesa come entità distinta da ogni singolo paese, l’incapacità di ben governare «ciò che la storia e la geografia ci assegnano nei confini nazionali, e talvolta anche in quelli regionali o locali».
Una visione caricaturale della “cattiva Germania” ha limitato l’impatto di critiche fondate ai limiti della visione politica egemone in Germania e in Europa. Per Piantini è necessario uscire dalla narrazione semplicistica e far maturare un confronto serrato e di merito a livello europeo e bilateralmente. Condizione utile a rendere più palesi gli errori compiuti in particolare in ambito di politiche economiche e di un contraddittorio e lento sviluppo dell’assetto del sistema di governo dell’euro. La moneta unica viene indicata dall’autore come uno straordinario progetto di unità tra i popoli europei e di salvaguardia per il futuro in termini di sostenibilità finanziaria e coesione sociale ma «il costo del non completamento del suo sistema di governo è molto alto, e può mettere a repentaglio l’unità dell’Unione europea».

L’Europa tutta e ogni Paese membro devono prendere coscienza e atto che la sola Nigeria tra pochi decenni avrà più abitanti dell’UE, e che oggi la sola Cina spende il 20% degli investimenti globali in ricerca. Ancora, che con i trend attuali in circa trent’anni le economie di Cina e India varranno più di tutte quelle dell’attuale G7. Per Piantini c’è bisogno dell’Italia, di un’Italia unita e credibile, per condurre nei prossimi anni una battaglia culturale e politica a favore di un’Europa che costruisca il proprio futuro in termini di progresso. Necessitano la continuità e la flessibilità italiane. La continuità avuta sinora nelle linee essenziali di politica estera ed europea. La flessibilità intesa come capacità di presenza, azione e mediazione, impostata su linee guida fondamentali ma adattabile nelle forme e nei contesti.

Marco Piantini sottolinea come l’Italia e i suoi governi, nel tempo, non siano stati capaci di sviluppare politiche nazionali degne di un grande paese e come abbiano poi caricato di ogni questione l’Europa. Prevedibile quindi l’euroscetticismo che ne è derivato. Ma il grande paradosso per l’europeismo italiano è che mai come oggi è forte la domanda di standard, regole e livelli di vita europei, eppure mai prima d’ora l’euroscetticismo era stato così invasivo.
È impossibile pensare realisticamente a un ritorno indietro della politica contemporanea. Ma è lecito esigere una rifondazione degli ideali della politica e chiedere un rinnovato impegno per l’Europa come motore di inclusione sociale e di partecipazione democratica. L’abuso del termine “populismo” è stato un alibi perfetto per una politica scarsa di contenuti e incapace di riconoscere che «la complessità è il perimetro della democrazia».

Lo sviluppo economico ha determinato una crisi di senso che accompagna una ricchezza senza precedenti, nella sua sproporzionata e iniqua distribuzione. Una ricchezza che in molti casi non crea opportunità e «finisce per essere percepita da tanti come inutile». Ne derivano irrisolte questioni materiali e identitarie, segnali di un «possibile declino della civiltà europea».
Piantini espone nel dettaglio la sua analisi della crisi inglese sfociata poi nella richiesta di uscire dall’Unione, ovvero la Brexit. Una crisi sviluppatasi tra la vicina Calais, con un campo migranti diventato simbolo delle disastrose impreparazioni sul tema migrazioni, e la torre di Grenfell andata a fuoco a Londra causando morte e disperazione, «un concentrato del penoso quadro abitativo e sociale quasi al centro del polmone finanziario europeo».
Calais e Grenfell sono, per l’autore, due cupi richiami di questi anni, di quanto potrebbe restare nel lungo tempo della politica europea:
– Incredulità: per come la storia del mondo sia andata avanti in questi decenni, per come l’interdipendenza si presenti con gli occhi dei migranti alle porte di casa e riesca ancora incredibilmente a sorprenderci.
– Rabbia: per il disagio sociale, accresciuto dalla trasformazione delle nostre città da luoghi ricchi di tolleranza a luoghi impoveriti dall’indifferenza.

L’autore è fuor di dubbio un europeista convinto e, a tratti, nostalgico delle emozioni per questo grande “sogno” collettivo, o meglio comunitario, in parte realizzato, in parte naufragato. Vede nei diritti, conseguiti e conseguibili, e nella dimensione della cittadinanza e della socialità l’unica via concreta e percorribile per rianimare la politica europea. Una politica, a livello nazionale e comunitario, che non si concentri sul successo personale di un singolo leader, chiunque esso sia, bensì sia espressione di un “movimento collettivo” che abbia un serio e valido progetto volto, soprattutto, alla creazione di un nuovo welfare. Intorno alla scienza e allo sviluppo che la tecnologia permette deve nascere una società nuova, rinnovata, che veda una riduzione del tempo di lavoro e una crescita nell’accesso a servizi di avanguardia, «luoghi di vita e lavoro pensati secondo principi fondamentali».
Solo i regimi autoritari sono in grado di offrire punti fermi e certi che facilmente fanno presa sui cittadini disorientati e impauriti. La democrazia invece è per sua stessa natura mutevole e incerta. Ora è il momento di cambiare quella strutturatasi nei paesi europei a partire dal crollo del Muro e della divisione tra Occidente e Oriente.
Questa, per Marco Piantini, la vera sfida del Terzo Millennio, che dovrà perentoriamente condurre i Paesi e l’Unione alla “nuova” democrazia. Pena la disfatta totale.


Articolo originale qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Donzelli Editore per la disponibilità e il materiale


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L’Italia e “L’illusione del cambiamento” nella metamorfosi della Tecnica. Recensione al testo di Alessandro Aleotti (Bocconi Editore, 2019) 

“Per amor proprio. Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa” di Federico Fubini (Longanesi, 2019) 

“Euroinomani: Come l’euro ha ucciso l’Europa. Il risveglio dei popoli contro le élite” di Alessandro Montanari (UnoEditori, 2018) 

99 vs 1: queste le percentuali di una ricchezza che impoverisce tutti. “99%” di Gianluca Ferrara, il libro sui paradossi del mondo moderno (Dissensi, 2016) 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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