Dopo I guardiani della storia Elisabetta Cametti ritorna in libreria con K –Nel mare del tempo, sempre con la casa editrice Giunti; ancora una volta un thriller contemporaneo che parla di etruschi. Nuove avventure per Katherine Sinclaire, il suo fidanzato Jethro e la cagnetta Tremilla. La storia riprende il filo del primo romanzo; mentre la protagonista cerca di riprendersi dalle vicissitudini precedenti, si ritrova a dover affrontare nuovi ostacoli e intrighi che causeranno la morte o il ferimento di praticamente tutti coloro che le stanno intorno.
La mole del testo, come di quello precedente, è imponente: 576 pagine per un giallo sono davvero tante; a tratti sembra di essere incappati in un mistero senza fine, aggravato da nuovi, tetri sviluppi e omicidi ripetuti. È impensabile una lettura continuativa per un libro di queste dimensioni, così va a finire che l’adrenalina ricercata dagli appassionati del genere scema di pagina in pagina e ci si ritrova sospinti verso la fine, solo per correttezza, dalla volontà di ultimare la lettura. Troppe interruzioni, troppi cambi di registro appesantiscono il testo. Ne sono un esempio lampante le ripetute dissertazioni sul popolo etrusco, sulla magia, sul passato collegato al presente, su delucidazioni tecniche e teoriche che non servono alla lettura né alla risoluzione del mistero.
In Nel mare del tempo i buoni e i cattivi si intuiscono facilmente, come l’epilogo. Troppo romanzato, per un thriller, un lieto fine che finisce per irritare il lettore. Una protagonista trattata alla stregua di una principessa da troppe persone, finanche da coloro che un attimo prima hanno dichiarato di odiarla e di volerla uccidere. Non si può dire che non sia una bella storia quella raccontata da Elisabetta Cametti, che non siano interessanti le narrazioni sugli etruschi; traspare certamente il lavoro di ricerca compiuto dalla stessa autrice, ma quello che non funziona è l’aver assemblato tanto materiale e averlo offerto al lettore per esteso.
Il testo ricorda molto, per struttura, le opere di Dan Brown, ma gli americani in generale hanno una maggiore propensione alla spettacolarizzazione, con la capacità di rendere interessanti anche cose scontate. Gli italiani non sono così e quando cercano di somigliare ai cugini d’oltreoceano, l’esito finale risulta un po’ artefatto. La stessa protagonista è forzatamente una persona normale, banale. Si notano tutti gli sforzi dell’autrice per renderla una persona comune, anche se poi gli atteggiamenti cozzano, a volte, con le parole, l’abbigliamento con il guardaroba, la professione con la quotidianità.
Fin dalle prime pagine si intuisce che Katherine non è solo la prescelta dai “guardiani del tempo” ma anche il birillo che deve assolutamente rimanere in piedi; tutti gli altri personaggi, come l’intera vicenda, sembrano costruiti per raggiungere questo scopo. Gli argomenti affrontati nel libro sono molteplici e spaziano dalla storia all’architettura, dalla religione alla spiritualità, dalla geo-morfologia dei terreni all’astronomia, dal racconto di drammi familiari a quello di gravi patologie psichiche; eppure nel lettore non resta nulla.L’autrice si limita a un’esposizione asettica dei contenuti e situazioni anche gravi scorrono in maniera neutra. A fine lettura restano le medesime sensazioni di quando si legge uno scrittore che potrebbe essere Dan Brown o un autore analogo per stile e tematiche: una grande quantità di immagini, anche cruente, di atmosfere, di luoghi, di persone e poche sensazioni, emozioni, riflessioni.
Abbandonando il tentativo di emulare altri e tralasciando i timori di svelare se stessa, unitamente alla forza delle conoscenze relative all’antico popolo degli etruschi e alla passione per il mistero, Elisabetta Cametti potrebbe orientarsi verso un tipo di scrittura più spontanea di quella impiegata per Nel mare del tempo.
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