Un viaggio alla scoperta del mondo attraverso trecento città vissute immaginate sognate amate odiate pensate. Questo è il libro di Affinati. Un percorso che il lettore potrà compiere insieme all’autore oppure inventarne uno proprio.
Simbolicamente Affinati ha scelto di partire da New York, matrice urbana della modernità sfregiata e ricostruita, e concludere con Gerusalemme, una città in grado di riassumere tutti i grovigli irrisolti del mondo. Ogni descrizione di città è un romanzo in miniatura e si è quasi tentati di pensare di poterli leggere singolarmente, isolandoli gli uni dagli altri. Ma in questo risiede la grandezza di questo libro, nella consapevolezza di quanto ogni luogo sia legato all’altro, in un’interconnessione che unisce siti e persone in questo enorme fragile e incasinato pianeta.
Il ventunesimo secolo si è aperto con nuove forme di lotta armata: attacchi terroristici che hanno confini labili sia all’interno dei perimetri di guerra che al di fuori. L’esempio più noto è stato l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, simbolo di questa nuova forma di violenza liquida che ha rivelato in modo drammatico l’esistenza di una consistente rete terroristica globale. Lo scopo non è tanto e non solo l’occupazione di territori e il controllo di essi, quanto la distruzione delle ideologie religiose storiche e culturali di un popolo. Una vera e propria “pulizia culturale”. L’identificazione di una comunità con il proprio patrimonio culturale è stata sempre un fondamentale fattore di coesione sociale.
Si è pensato che questo sarebbe stato il nuovo modo di combattere le guerre e invece sono tornate anche le guerre combattute tra stati. Il viaggio di Affinati da New York giunge a Charkiv dove incombe il fantasma della seconda guerra mondiale.
Molti studiosi hanno sostenuto che notevole influenza sulla genesi e la crescita dell’imperialismo ebbero lo sviluppo e la larga diffusione nei principali paesi europei del nazionalismo, considerato un elemento inscindibile dall’idea stessa di imperialismo (Bruna Bagnato, L’Europa e il mondo. Origini, sviluppo e crisi dell’imperialismo coloniale, Le Monnier Università, Firenze, 2006).
“A Bruxelles, nella città dove si decidono i destini dell’Europa, ho avuto la sensazione di ascoltare il battito del cuore di tenebra del Vecchio Continente: man mano che scendevo lungo le strade che dalla stazione conducono in centro, dove ci sono i palazzi del potere, gli alberghi più lussuosi e i centri commerciali sempre attivi, scrutinavo dentro me stesso la storia tormentata di questo piccolo paese, la cui tragica avventura coloniale, soprattutto congolese, è scritta a caratteri indelebili nelle fisionomie di molti cittadini belgi, i cui genitori giunsero qui, provenienti da Kinshasa e dintorni, alla ricerca di lavoro e dignità, come fecero molti italiani, compreso mio nonno, che circa cent’anni fa vennero ingaggiati nelle miniere di carbone, a rischio della loro stessa vita. Dall’atmosfera turistica e festante della Grand Place feci presto a raggiungere Molenbeck, il quartiere di origine dei terroristi che nel novembre 2015 compirono le stragi di Parigi. Se non fosse stato per la pulizia delle strade, avrei potuto essere a Rabat o Algeri. Donne col velo, uomini barbuti, bancarelle di frutta e dolci.”
Tra le strade di Bruxelles Affinati sembra incontrare il volto storico dell’imperialismo e quello contemporaneo dei flussi migratori.
I migranti sono letteralmente prodotti dall’ordine del nostro legiferare sul mondo e ridotti a un fattore esclusivamente economico o legati a una crisi politica. I migranti, affermando il loro diritto di muoversi migrare fuggire spostarsi, non solo rompono gli schemi e si oppongono al rispetto del posto assegnato loro dalla storia, ma segnalano anche la modalità precaria della vita planetaria. La nascita della modernità non sta unilateralmente nella storia dell’espansione europea e nelle modalità di rifacimento del mondo a sua immagine e somiglianza, ma anche e nella stessa misura nella cruda repressione dell’alterità etnica religiosa culturale, nella brutalità della diaspora nera africana, nello schiavismo razzista atlantico, nei pogrom etnici e nel saccheggio imperiale del globo. Quando l’immaginario dell’Occidente, per dirla con Edward Said, non sta più fisicamente altrove ma migra dalla periferia per eleggere il proprio domicilio nella metropoli contemporanea, allora la nostra storia cambia, è costretta a farlo (Iain Chambers, Paesaggi migratori. Cultura e identità nell’era postcoloniale, Meltemi, Sesto San Giovanni – Milano, 2018).
“Washington è la capitale degli Usa e, come tale, potrebbe simbolicamente esserlo del mondo intero. Percorrerla a piedi significa riflettere sulla potenza e la fragilità del potere. Washington è la clinica dell’inconscio contemporaneo. Se volessi psicoanalizzare l’America, dovresti venire qui, davanti ai cancelli della Casa Bianca: anche architettonicamente, il più grande computer portatile della Terra.”
L’America, figlia dell’imperialismo più sentito, patria del capitalismo più estremo eppure identificata come simbolo della libertà, della democrazia. Un Paese che della lotta agli estremismi e al terrorismo ne ha fatto una vera e propria crociata. Anzi una guerra. Una città che, per Affinati, ci porta nell’inconscio contemporaneo. “il più grande computer portatile della Terra”, ha definito l’autore la Casa Bianca e la sua famigerata stanza dei bottoni. Ma cosa rappresenta davvero l’America per il mondo intero in questo Terzo Millennio?
All’inizio del XXI secolo, la Storia ha svoltato, ma l’Occidente ancora si rifiuta di ammetterlo e di adattarsi a questa “nuova epoca storica”. La quota occidentale dell’economia globale si riduce e continuerà a farlo. Fino a tempi recenti, gran parte della crescita globale è venuta dalle economie del G7 ma, negli ultimi due decenni, la situazione si è invertita. Nel 2015 le economie del G7 hanno contribuito alla crescita globale per il 31.5% mentre quelle degli E7 per il 36.3% (Kishore Mahbubani, Occidente e Oriente. Chi vince e chi perde, Bocconi Editore, Milano, 2019).
L’America ha costruito il più grande ceto medio che il mondo abbia mai conosciuto e lo hanno fatto gli stessi americani, con il duro lavoro e il supporto di politiche governative volte a creare maggiori opportunità per milioni di persone. Ma ora tutta questa gente è, giustamente, arrabbiata e preoccupata. L’attuale situazione sta impoverendo il ceto medio e distruggendo la democrazia. Una condizione analoga a quella di tanti altri paesi occidentali, compresa l’Italia. Ovvero in tutte o quasi le potenze del vecchio mondo (Elizabeth Warren, Questa lotta è la nostra lotta, Garzanti, Milano, 2020).
Nel mondo post-bipolare del XXI secolo, lo stato nazionale continua a essere l’incarnazione istituzionale dell’autorità politica, l’attore chiave delle relazioni internazionali e il contesto dato per scontato della vita quotidiana degli individui nella maggior parte del mondo. Non c’è quindi da stupirsi se la sua ideologia, il nazionalismo, sia altrettanto viva e vitale e costituisca uno strumento potente di creazione di identità, mobilitazione collettiva e criterio di giudizio dell’agire politico. La questione del nazionalismo è al centro delle due principali contraddizioni della odierna politica dell’Unione Europea: costruire un’unione sovranazionale usando gli stati nazionali come elementi costitutivi ma liberandosi dei nazionalismi e trasferire porzioni crescenti di sovranità nazionale dal livello statale a quello sopranazionale senza avere dei cittadini consapevoli e consenzienti di ciò che sta o dovrebbe accadere (Alberto Martinelli, I nazionalismi e l’unità europea, Istituto lombardo (Rend. Lettere) 147, Milano, 2013).
“Norimberga è oggi un gioiellino conservativo in bacheca per turisti che viaggiano in torpedone. Molte città tedesche assomigliano a questa che tuttavia resta unica a causa dello straordinario processo che vi si svolse a conclusione della seconda guerra mondiale quando le potenze vincitrici misero alla sbarra quella sconfitta secondo un procedimento giuridico anomalo ma necessario, vista la dimensione inaudita della Shoah.”
Dal Nuovo Mondo al Sudafrica, dalla Germania a Israele, fino al Sudan, gli stati coloniali e gli stati-nazione si sono costituiti sulla politicizzazione di una maggioranza religiosa o etnica e a spese delle minoranze. Oggi il mondo può essere governato tanto dalle reti sovranazionali e internazionali quanto dai governi degli stati-nazione, ma ciò che queste reti tengono unito sono ancora i cittadini degli stati-nazioni. Abbracciare la modernità ha significato abbracciare la condizione epistemica che gli europei hanno creato per definire una nazione come civilizzata e, quindi, giustificare l’espansione della nazione a spese degli “incivili”. La sostanza di questa condizione epistemica risiede nelle soggettivazioni politiche che essa impone (Anthony Pagden, Oltre gli stati. Poteri, popoli e ordine globale, Il Mulino, Bologna, 2023).
Il XX secolo è stato un periodo di straordinarie conquiste civili sociali scientifiche, ma è stato anche un secolo in cui più volte il potere politico, per pure esigenze di dominio, ha schiacciato i diritti umani fondamentali. All’inizio del secolo gli inglesi segregarono in Sudafrica più di 120mila boeri. Negli stessi anni gli Stati Uniti davano avvio a campagne di sterilizzazione di persone portatrici di handicap e di malati di mente. Nel 1923 Lenin inaugura in Unione Sovietica le attività dei Gulag. Le democrazie scandinave, tra gli anni ’30 e gli anni ’70 realizzano pratiche di sterilizzazione dei “diversi”. Nel 1939 Hitler dà il via allo sterminio di oltre 10milioni di persone. A partire dal 1910, in Sudafrica i bianchi, soprattutto boeri, segregano i neri con una feroce legislazione razziale. Questo breve e incompleto elenco quadro di sintesi serve a capire quale sia la dimensione dei fenomeni di sopraffazione dell’uomo sull’uomo (La deformazione dell’Altro nelle ideologie politiche del XX secolo e la sua attualità nel secolo che si apre, I Corso multidisciplinare di educazione allo sviluppo, Firenze, 3/9/2000).
“La stazione di Kyoto è fatta di vetro e cemento armato, cubi rifrangenti nella città che il segretario di guerra statunitense Henry Stimson decise di risparmiare dal disastro atomico dopo averla ammirata nel 1926 insieme alla moglie. Tornando in albergo ripenso alla guerra americana contro il Giappone: si fronteggiavano, usando le stesse armi, due soldati dalle opposte concezioni. Gli dei, o chi per loro, avranno sghignazzato, seduti a gambe larghe sui gloriosi scanni, assistendo a questo strano spettacolo.”
Il libro
Eraldo Affinati, Le città del mondo, Feltrinelli, Milano, 2024
Articolo pubblicato sul numero di luglio 2024 della rivista cartacea Leggere:Tutti.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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