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Irma Loredana Galgano

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“Armilla Meccanica” di Fabio Carta

04 martedì Apr 2023

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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ArmillaMeccanica, FabioCarta, recensione, romanzo, WMI

Per raccontare lo scontro generazionale tra i queer, idealisti e romantici, e i loro precursori, pionieri e truci operai spaziali, Fabio Carta fa attraversare al lettore l’intera Via Lattea. In una narrazione tanto futuristica quanto attuale. Ne nasce un romanzo di fantascienza quasi paradossalmente ancorato alla realtà in maniera incredibile, che racconta e analizza tematiche di stretta attualità con una visione d’insieme certamente originale.

Su una remota miniera extrasolare denominata Geuse, un vecchio mek-operaio, giorno dopo giorno, vede i frutti del suo duro lavoro sfumare a causa di una crisi economica senza precedenti, che coinvolge tutte le colonie della Via Lattea. Come molti altri medita di prendere ciò che gli spetta e cambiare vita. Ma non è così facile.

Ad anni luce da lì la Metrobubble, la capitale finanziaria della galassia, è stravolta dallo slittamento temporale tra sistemi planetari, dai disordini e dalle rivoluzioni. Ora a regnare è un feroce dittatore che si fa chiamare Meklord. I nativi del pianeta, i queer, gli fanno guerra per quanto possono, mentre attendono l’aiuto della Terra o di chiunque avrà il coraggio di sfidare per loro le maree del tempo e le armate meccaniche del tiranno. 

Armilla Meccanica è una space opera senza alieni, ma con molte società, culture e sub-culture umane “alienate” o conformi al grande consesso cosmico informatico a governo della Via Lattea, l’Armilla appunto. 

Una space opera dove forte è la presenza di veri e propri mecha japan-style, ovvero meka, delle macchine industriali bipedi pilotate come mezzi corazzati. 

Grazie allo slittamento temporale tra vari sistemi planetari, Carta propone al lettore una lotta generazionale che vede scontrarsi due opposti schieramenti dotati del vigore, dell’incoscienza e della tenacia della gioventù. Singolare la scelta dell’autore di far emergere da questo blocco di giovani il “vecchio eroe” come figura che riuscirà a dare la svolta decisiva all’intera vicenda. 

Il libro di Carta si apre al lettore con una citazione di Dostoevskij:

«Nell’Apocalisse l’angelo giura che il tempo non esisterà più. Quando tutto l’uomo raggiungerà la felicità, il tempo non vi sarà più, perché non occorrerà. È una idea molto giusta. Dunque dove lo nasconderanno? In nessun posto lo nasconderanno. Il tempo non è un oggetto, è un’idea. Si spegnerà nella mente.»

L’idea del tempo che si trova in Armilla Meccanica rimanda alla visione religiosa di esso ma anche a quella esistenziale analizzata da tanti studiosi e pensatori.

Il tempo è la limitazione stessa dell’essere finito o è la relazione dell’essere finito con Dio?

Relazione che non assicurerebbe tuttavia all’essere un’infinità opposta alla finitezza, né una autosufficienza opposta al bisogno, ma che, al di là della soddisfazione e dell’insoddisfazione, significherebbe il sovrappiù della socialità. 

Il tempo non sarebbe quindi l’orizzonte ontologico dell’essere dell’essente, ma modo dell’al di là dell’essere, una relazione del pensiero con l’Altro e – attraverso diverse figure della socialità posta di fronte al volto dell’altro uomo: erotismo, paternità, responsabilità per il prossimo – come relazione con il tutt’Altro, con il Trascendente, con l’Infinito. Il tempo non è una degradazione dell’eternità ma una relazione con ciò che, di per sé inassimilabile, assolutamente altro, non si lascerebbe assimilare dall’esperienza, o con ciò che, di per sé infinito, non si lascerebbe comprendere. 

Il tempo non fa parte del modo d’essere di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa del soggetto con altri, non si tratta quindi dell’idea del tempo ma del tempo in se stesso.1

Gli argomenti trattati da Carta nel libro sono molteplici e spaziano dall’ambientalismo ai danni prodotti dal capitalismo sfrenato, dalla guerra agli scontri per il potere. Ma l’altro argomento si cui si vuole focalizzare ha anch’esso, in qualche modo, a che fare con il tempo, questa volta “rubato” alle persone e in particolare agli operai, costretti a un lavoro durissimo, vittime di allucinazioni metacroniche. 

«Si diceva che alcuni operai fossero impazziti a causa di queste continue cronovisioni, incapaci di distinguere il presente degli eventi, anche quelli fisicamente più prossimi e semplici, ma anche impossibilitati a elaborare la realtà in termini di passato e futuro, secondo il legame eziologico tra causa ed effetto.»

Come si può recuperare il tempo perduto nel vortice turbolento di un’esistenza che costringe le persone a impegnare gran parte della loro vita in attività svolte per il guadagno soprattutto altrui? Come possono gli esseri umani ritrovare se stessi e il loro equilibrio?

Carta identifica nel testo la meditazione degli yogi quale ottimo compromesso tra un pacifico credo religioso e tollerante e una pratica via di fuga mentale dalle nevrosi, dalla solitudine e dalla claustrofobia riscontrata nei primi e sovraffollati habitat artificiali.

La solitudine è un’assenza di tempo. Gli esseri possono scambiarsi tutto reciprocamente, fuorché l’esistere. In questo senso, essere significa isolarsi per il fatto di esistere. 

L’esistere allora rifiuta ogni sorta di rapporto, ogni sorta di molteplicità. Non riguarda nessun altro all’infuori dell’esistente. La solitudine sta proprio nel fatto che ci sono esistenti. 

Concepire una situazione in cui la solitudine è superata significa sondare il principio del legame che unisce l’esistente al suo esistere. Il soggetto è solo perché è uno. È necessario che ci sia una solitudine perché si dia la libertà del cambiamento, il dominio dell’esistente sull’esistere, cioè, in definitiva, perché ci sia l’esistente.

La solitudine non è dunque soltanto disperazione e abbandono, ma anche virilità e fierezza e sovranità. Caratteri questi che l’analisi esistenzialistica della solitudine, condotta esclusivamente in termini di disperazione, è riuscita a cancellare, facendo cadere nella dimenticanza tutti i motivi della letteratura e della psicologia romantica e byroniana che esaltano la solitudine fiera, aristocratica, geniale.2

Diverse culture predispongono “vie di fuga” come soluzioni indispensabili e salutari all’effetto “gabbia” che ognuna di esse tende a produrre. La megacultura occidentale, identificabile come dell’Antropocene, non solo non ha previsto vie di fuga o alternative a se stessa, ma continua ad avere una visione distorta del mondo. 

L’Ekyusi dei BaNande del Nord Kivu – Congo e lo Shabbath degli ebrei sono dei “traumi” che una cultura impone a se stessa, auto-sospensioni mediante le quali una cultura si costringe a “mettere tra parentesi” se stessa e le proprie pretese di dominio. Ciò che manca alla nostra società occidentale è esattamente l’idea del limite, del proprio limite. La nostra cultura, così piena di lumi forniti dalla scienza, è priva dell’illuminazione che proviene dalla pratica dell’auto-sospensione, dalla pratica del suo arresto. Questa brama, anche definita il male dell’Infinito, è la fonte dei problemi che affliggono la società moderna: sregolata, anomica, patogena. Le auto-sospensioni traumatiche introducono, nelle culture che le praticano, un forte senso del limite. Le obbligano a ritornare alla natura, fanno vedere loro la fine, fanno accettare l’arresto, fanno incorporare la morte. Ma non è una morte di desolazione, una desertificazione: la morte delle imprese culturali coincide con il riconoscimento dei diritti della natura.3

Nell’analisi della megacultura occidentale si nota il suo distaccamento dalla natura e la paura del suo arresto. Le chiusure o sospensioni ad essa ascrivibili sono periodi di riposo, ferie, vacanze, svago, divertimento… legate comunque all’aspetto economico della cultura occidentale. Invece ciò che viene auspicato è la ricerca di sospensioni o auto-sospensioni che non siano mere pause dalla routine, piuttosto ricerca e cura di se stessi e della natura.

Nella cultura dei nativi americani tutto è sacro, dal ramo dell’albero al sasso, all’acqua, alla Terra e ciò che in essa vive, ovvero tutto. Il rispetto verso se stessi, verso gli antenati, verso la vita passa inesorabilmente attraverso il rispetto per la Terra, per la Grande Madre, la Natura.

Lo scopo della meditazione zen è molto introspettivo: conoscersi di nuovo, riscoprire se stessi al netto degli schemi e delle convenzioni sociali.

L’azione della pratica della meditazione è riscontrabile su più piani:

  • Fisico
  • Emozionale
  • Psicologico

Studi e ricerche scientifiche hanno evidenziato effetti benefici oggettivi quali la diminuzione della frequenza del respiro e della pressione sanguigna, un aumento della funzionalità e flessibilità cognitiva, della stabilità emotiva, e un diffuso senso di benessere.4

Come si fa a sconfiggere la malinconia? Essere malinconici equivale a essere folli? Bisogna guarire il corpo o la mente? O entrambi?

Sono queste, o similari, le domande che deve essersi posto Robert Burton quattrocento anni or sono, allorquando iniziò la stesura del suo trattato sulla malinconia. Un’opera che è anche un mondo, che racchiude in sé cielo terra e inferi: dall’armonia delle sfere celesti sino agli abissi dell’inferno, il lettore viene indotto a osservare il caos che domina il mondo terreno. Ed è in questo caos che si insinua e s’impone la malinconia. La malinconia assume mille forme diverse, tante quante sono le persone. 

La cura per la malinconia è raggiungere il summum bonum che, secondo Epicuro e Seneca, è la tranquillità della mente e dell’animo. Per sconfiggere questo male, o malessere che sia, la disperazione deve essere volta in speranza di rigenerazione.5

Armilla Meccanica di Fabio Carta è un libro che racconta una storia di fantascienza ma offre innumerevoli spunti di riflessioni sulla realtà, sull’umanità, sul tempo e l’interiorità. Una space opera davvero interessante.

Il libro

Fabio Carta, Armilla Meccanica. Nel Cielo, vol. 1, Inspired Digital Publishing, 2021.

L’autore

Fabio Carta: laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico, appassionato di fantascienza e letteratura classica. Autore di diversi romanzi e racconti.


1Emmanuel Levinas, Il tempo e l’Altro, Mimesis Edizioni (Milano-Udine), 2021.

2Emmanuel Levinas, op.cit.

3M. Aime, A. Favole, F. Remotti, Il mondo che avrete. Virus, antropocene, rivoluzione, Utet, Milano, 2020.

4A. Sardi, Cervello e Meditazione. Gli Effetti Psicofisici delle Tecniche di Meditazione, Neuroscienze, 27 agosto 2020, https://www.neuroscienze.net/cervello-e-meditazione/

5R. Burton, L’anatomia della malinconia, Giunti Editore S.p.A./Bompiani, Firenze/Milano, prima edizione settembre 2020.


Source: Si ringrazia l’autore per la disponibilità e il materiale.

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


Articolo pubblicato sul numero 64 della Rivista cartacea e digitale WritersMagazine Italia


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© 2023, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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ArmaInfero, FabioCarta, fantascientifico, fantascienza, fantasy, InspiredDigitalPublishing, recensione, romanzo

Gli appassionati di fantasy amano immergersi in queste interminabili saghe dalle quali spesso vengono tratti altrettanti “corposi” film. Se lo scopo di questo genere di letture è l’estraniarsi completamente dal mondo reale per immergersi in quello immaginato dallo scrittore per i suoi lettori, allora le migliaia di pagine che vanno a comporre queste opere letterarie possono anche sembrare una quantità equa, giusta. Se invece lo scopo di chi legge è trovare anche altro l’impresa può farsi oltremodo ardua.

Fabio Carta, che in apertura del libro mette nero su bianco la sua passione per Guerre Stellari, per Star Trek e per tutto ciò che riguarda il genere, resta pienamente fedele alla tradizione e scrive una trilogia, Arma Infero, di cui solo il primo libro conta quasi settecento pagine. L’opera di Carta somiglia molto a un distopico all’interno del quale l’autore è riuscito a inserire i frammenti dell’altra sua grande passione: la Storia. E questo è fuor di dubbio l’aspetto più originale del libro. Un mix di narrazioni fantastiche e storiche che oppongono e al contempo legano due mondi: quello terrestre e il pianeta Muareb.

Quello che invece non convince è il linguaggio scelto dall’autore. Troppo carico di espressioni lontane dall’uso quotidiano, ancora una volta ottenute dalla sintesi del vecchio (la Storia) con il nuovo (l’extra-terrestre). Per quanto riguarda il registro linguistico forse Carta ha marcato troppo la sua volontà di dare un carattere forte e deciso al suo testo, che appare in questo modo a tratti molto appesantito proprio dal linguaggio eccessivamente ricercato.
I personaggi sono ben delineati e il lettore impara fin da subito a riconoscerli e identificarli all’interno del narrato. Sulle eccessive descrizioni ambientali invece vale un discorso analogo a quello fatto per il linguaggio. Il voler definire con la scrittura ogni dettaglio anche minimo toglie un po’ di spazio alla fantasia del lettore e appesantisce la narrazione.

Si intravede nel racconto una denuncia per la distruzione protratta e inarrestabile cui viene sottoposto continuamente il pianeta Terra da parte dei suoi abitanti umani e questo è senz’altro un aspetto molto interessante che lega il romanzo all’attualità. Aspetto che però Carta preferisce lasciare a margine della vicenda narrata. D’altronde si sta parlando di un fantascientifico e non di un romanzo-denuncia. Altri autori contemporanei di questo genere narrativo o cinematografico però hanno scelto di spostare l’attenzione anche su questa tipologia di “denuncia” e il risultato è sembrato molto interessante. Si riportano a titolo di esempio i libri della trilogia Silo di Hugh Howey o le opere di James Cameron, in particolare Avatar. Nel primo caso l’autore, attraverso la narrazione degli eventi, denuncia in maniera velata ma decisa le scelte politiche ed economiche spietate e immotivate dei governi occidentali, in ispecie quello americano. Nel secondo invece il regista canadese porta gli spettatori, attraverso le azioni degli avatar, a conoscere il mondo meraviglioso degli autoctoni di Pandora, facilmente identificabili con i nativi o con gli indios. Un universo incontaminato che rischia l’estinzione a causa dell’avidità economica degli esponenti del mondo “civilizzato”.
Fabio Carta scegli un finale aperto, del resto doveva già avere in mente i sequel al momento in cui ha scritto il primo libro, Il mastro di forgia. Pratica molto comune tra gli autori di fantasy.

Un libro, Arma Infero. Il mastro di forgia di Fabio Carta che nel complesso non delude di certo gli appassionati del genere che potranno immergersi nell’immaginario mondo di Muareb, lasciarsi stregare dall’intreccio serrato di accadimenti, intrighi e misteri sempre in bilico tra passato, presente e futuro.


Articolo originale qui


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