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Irma Loredana Galgano

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“Cos’è la natura. Chiedetelo ai poeti” di Davide Rondoni (Fazi, 2021)

06 lunedì Dic 2021

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Cosèlanatura, DavideRondoni, Fazi, recensione

Inquinamento, cambiamento climatico, surriscaldamento globale, erosione del suolo, acqua potabile, scioglimento dei ghiacciai… sono alcuni dei temi e, soprattutto, dei termini che ricorrono molto spesso nei dibattiti pubblici. Tutti riferiti al nostro pianeta e al concetto, spesso troppo astratto e generico, di natura. 

Ma cosa significano davvero tutti questi cambiamenti e problemi? Come si rapportano al nostro pianeta? E noi come ci rapportiamo con loro? E, soprattutto, cosa è veramente la natura?

Sembra di assistere quasi a una sfida nella quale ognuno cerca di appropriarsi del concetto giusto di “vivere secondo natura”. Anche laddove a farlo sono persone che esprimono idee e modi di vivere diametralmente opposti. È paradossale e anche surreale ma è esattamente quello che accade. 

Questo paradosso non è sfuggito a Davide Rondoni, il quale con Cos’è la natura. Chiedetelo ai poeti ha indicato una via per la giusta comprensione della natura nella saggezza dei poeti. 

Perché proprio i poeti? È la prima domanda che il lettore si pone nell’accingersi a leggere il testo. Poi, man mano che si va avanti con la lettura e con la riflessione, in parte indotta dal testo in parte a esso indiretta, si dispiega quell’immaginario fondato sul reale che domina il pensiero dei più grandi poeti della letteratura classica e contemporanea. Ed è a questo punto che si palesa dinanzi agli occhi del lettore quel mondo tanto indagato dai poeti, studiato, esplorato con i sensi e con le emozioni, con la mente e con il corpo. Un mondo che è appunto la natura.

Un mondo che però viene osservato attraverso gli occhi di ognuno, ogni poeta guarda il mondo e la natura attraverso i suoi e trasmette e trascrive le sensazioni e le emozioni, le riflessioni e le analisi che sono sempre e comunque personali, uniche e, per certi versi, irripetibili. 

Il lettore viene avvolto e quasi travolto da un turbine di sensazioni, di emozioni, sentimenti e passioni, i medesimi che devono aver animato per secoli il dibattito della e intorno alla poesia. Si palesa dinanzi ai suoi occhi uno scenario che a tratti rimanda a La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio (Alcyone, 1902-3), laddove i protagonisti della lirica dannunziana si fondono gradualmente con lo spirito stesso del bosco, generalizzando potremmo noi parlare di natura. Una metamorfosi che si aggiunge a quella della musicalità generata dalla forza evocatrice della parola poetica.

Ed ecco apparire con irruenza e positiva prepotenza tutta la forza della poesia che deve aver ispirato il lavoro di Rondoni.

Come si fa ad apprendere il personale modo di vedere il mondo dei poeti? È il secondo interrogativo che si pone il lettore. Per certi versi però più semplice del primo. In fondo per apprendere non serve fare altro che rubare ai poeti. Un po’ come quando si chiede a un chirurgo come si impara il suo lavoro e lui ti risponde che, fondamentalmente, imparare a fare il chirurgo equivale a rubare al tavolo operatorio, i segreti, i movimenti… l’arte e poi farla propria con l’esperienza. 

Non si può a questo punto non pensare alla poetica del fanciullino di Giovanni Pascoli, alla capacità di guardare il mondo con gli occhi innocenti di un bambino, gli unici capaci di immaginazione e poesia e fors’anche gli unici in grado di vedere la natura. 

Ciò che il lettore sembra scoprire, una volta ultimata la lettura di Cos’è la natura?, è a sua volta un paradosso: nell’era che si dichiara più attenta all’ecologia e all’ambiente, rispetto al passato, non si riescono a trovare i mezzi giusti per salvarlo questo ambiente e bisogna rivolgersi al passato, al periodo di tempo nel quale l’ambiente, il mondo e la natura non erano problemi ma risorse. Eppure è proprio in quel tempo che si annida l’antica saggezza dei poeti, i soli in grado di ascoltare il fruscio di un ramo d’albero, il cinguettio di un uccello solitario, lo scrosciare di un torrente di montagna e dare a tutto questo il giusto significato. 

Le riflessioni di Rondoni sulla natura e su ciò che è poi veramente naturale partono da una separazione, un amore finito, e dagli interrogativi che si formano nella sua mente quando cerca di capire quanto ciò che gli è accaduto sia veramente naturale. Una sorta di percorso della mente che egli compie con la voce dei grandi poeti contemporanei e del passato e che non mostra assolutamente la pretesa di dare delle risposte certe e sicure. Un’opera delicata e potente, come solo la poesia e la natura sanno essere. 


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L’Asia ha conquistato il mondo? Questo è davvero “Il secolo asiatico?”

03 mercoledì Apr 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Fazi, Ilsecoloasiatico, monocolooccidentale, Occidente, Oriente, ParagKhanna, recensione, saggio

Mentre l’Occidente tutto è stato impegnato nella lotta al terrorismo e nei vari tentativi di far tenere botta all’economia, fortemente provata dalla grande crisi, il continente asiatico ha continuato a crescere, svilupparsi, innovarsi al punto da diventare non solo il principale concorrente ma superare nettamente gli avversari. Ovvero Europa e Stati Uniti.
La «zona economica asiatica», quella parte di mondo compresa tra la penisola arabica e la Turchia a occidente e il Giappone e la Nuova Zelanda a oriente, frutta il «50% del Pil globale e due terzi della crescita economica globale». L’Asia produce ed esporta, oltre a importare e a consumare, «più beni di qualsiasi altra regione al mondo», e gli asiatici «commerciano e investono più tra di loro che con l’Europa o il Nord America».

In Asia si trovano molte delle economie, delle banche e imprese tecnologiche e industriali, nonché «la maggior parte degli eserciti più grandi al mondo». Ignorare tutto questo per decenni non ha prodotto uno svilimento della crescita e del progresso portato comunque avanti da tanti paesi del blocco asiatico. Ignorarlo tuttora, nella speranza che le ormai vetuste potenze occidentali ritrovino d’un tratto il loro vigore e splendore, quasi per magia, è un atteggiamento per certo controproducente. Parag Khanna avverte tutti di preparasi a «vedere il mondo dal punto di vista asiatico», perché l’asianizzazione del mondo nel ventunesimo secolo è orami una realtà, esattamente come lo è stata l’occidentalizzazione dello stesso nel secolo passato.

Esce in prima edizione a marzo 2019 con Fazi Editore Il secolo asiatico? di Parag Khanna, tradotto da Thomas Fazi dalla versione originale in inglese The future in Asian. Commerce, Conflict, and Culture in the 21th century. Un saggio molto articolato, lungo ben 522 pagine, tutte necessarie. Parallelamente a un’attenta analisi geo-politica ed economica, Khanna porta avanti nel testo anche un dettagliato resoconto storiografico di quanto accaduto e perché, utilissimo al lettore per meglio comprendere alcune dinamiche di cui poco si continua a parlare ancora adesso, purtroppo.

Esordisce l’autore ricordando le parole attribuite a Napoleone, allorquando il generale francese, due secoli or sono, avrebbe detto, parlando della Cina: lasciatela dormire, perché al suo risveglio il mondo tremerà. A svegliarsi non è stata solo la Cina ma l’intero continente asiatico e a tremare non è solo la Francia ma l’intero Occidente. Per farsene un’idea basta leggere i titoli, gli articoli e, soprattutto, i commenti alla firma degli accordi tra Italia e Cina, ratificati proprio in questi giorni. Il filo rosso che lega questa sorta di linea difensiva mediatica sembra essere la paura che l’Italia venga sopraffatta dalla dirompente economia cinese, che questo Paese asiatico possa sopraffare la nostra economia e rompere i legami con i vecchi e forti alleati di sempre. Il tutto proposto come un qualcosa che potrebbe accadere. In realtà la firma dei 29 punti dell’accordo siglati tra Italia e Cina non vanno a intaccare un bel nulla né a modificare niente del cambiamento che è già realtà e che tocca il nostro Paese come tutto l’Occidente in maniera trasversale.

La Belt and Road Initiative (Bri), definita come la nuova Via della Seta, è «il più grande piano coordinato di investimenti infrastrutturali della storia umana», l’equivalente di ciò che ha rappresentato per il XX secolo «la creazione delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale e del piano Marshal». Un qualcosa che è già realtà con o senza la ratifica degli accordi tra Italia e Cina. Si può pensare a esso in maniera positiva o negativa ma non si potrà mai negare che rappresenta un cambiamento epocale, iniziato nel maggio del 2017, quando «sessantotto paesi che comprendono i due terzi della popolazione e la metà del Pil mondiale si sono riuniti a Pechino».
Cambiamenti epocali, esattamente come quelli avvenuti nel secolo scorso e di cui mai nessuno ha dubitato o messo in dubbio l’utilità e le procedure. Eppure questi di oggi spaventano tanto. Perché? Il motivo è semplice: «la Bri è stata concepita e lanciata in Asia e sarà guidata dagli asiatici». E, soprattutto, gli occidentali non solo non sono riusciti a stopparla sul nascere ma non sembrano avere neanche idea di come riuscire a fermarla.

L’Asia ha da tempo ormai imparato a fare i conti con l’impatto della storia occidentale sul suo presente, «adesso tocca all’Occidente fare i conti con l’impatto dell’Asia sul proprio futuro».
Siamo alle prime fasi dell’asianizzazione del mondo, per cui molte incognite ancora sussistono. Si chiede l’autore come gestirà l’Asia tutte le trasformazioni geopolitiche, economiche, sociali e tecnologiche. Come risponderanno le potenze occidentali all’ascesa dell’Asia e, soprattutto, come si adegueranno gli asiatici a tali reazioni.
È una Storia che si sta ancora scrivendo ma che non basterà ignorare o criticare per essere arrestata. Ipotizzando lo si possa o lo si debba poi effettivamente fare.

Il secolo asiatico? di Parag Khanna è una lettura impegnativa ma fuori di dubbio utile necessaria illuminante. Un testo valido nella scrittura e nel contenuto. Un libro per certo consigliato.


Articolo originale qui


Disclosure: Fonte immagine di copertina, sinossi, biografia dell’autore e scheda libro www.fazieditore.it



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“Io odio internet” di Jarett Kobek (Fazi, 2018)

28 domenica Ott 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Fazi, IoodioInternet, JarettKobek, recensione

Internet è senza dubbio la vera rivoluzione della nostra epoca. Ha cambiato il mondo dell’informazione e della comunicazione ma, soprattutto, ha modificato la percezione della realtà. A margine dei suoi innumerevoli aspetti positivi, la Rete ha dato libero sfogo e accesso alla rabbia e all’odio repressi. Parole che sono insulti e che volano o meglio navigano alla velocità della luce e in una quantità davvero enorme.

Un linguaggio molto elementare, limitato e scurrile sembra essere il filo conduttore dei social network che troppo spesso, nonostante i richiami e i limiti imposti per regole interne o per legge, somigliano a una cloaca indistinta di hooligan non solo sportivi.

Viene da sé che il problema non è internet bensì le persone che lo utilizzano. Queste persone sono volgari, aggressive, rozze e violente, o potenzialmente tali, anche fuori la Rete. Solamente che questa funge da scudo e, al contempo, da cassa di risonanza. Ognuno si sente libero di esprimere la propria opinione, anche se è un insulto, esattamente come farebbe o fa al bar, allo stadio, sul divano di casa propria davanti alla tv e via discorrendo.

Jarett Kobek in Io odio Internet, edito da Fazi in prima edizione nel mese di ottobre 2018, ha immaginato quello che accade o accadrebbe a una persona semi-famosa e che ignora l’uso e le insidie della Rete nel momento in cui diviene, suo malgrado, bersaglio delle invettive e dell’odio online solo per aver espresso pubblicamente la sua opinione, decisamente impopolare.

Adeline è una fumettista ma, viste le allusioni razziste e sessiste dei suoi fumetti, preferisce restare nell’ombra e celarsi dietro uno pseudonimo. Quello che si scatenerà in Rete in seguito a un video girato a sua insaputa durante un incontro con degli studenti universitari dimostrerà quanto fondati fossero i suoi timori. Adeline non odia solamente internet ma tutta la tecnologia e le è rimasta lontana, finanche dalla televisione, fino al momento in cui gli hater online si avventano sulla sua figura proprio per aver espresso la sua opinione in merito alla tecnologia, al suo utilizzo e alla sua funzione nella società.

Un attacco, diretto o indiretto che si voglia considerare, al mondo virtuale e i suoi più accaniti frequentatori viene trasformato e rimandatoal mittente sotto forma di pesante aggressione verbale e personale. Per riscattarsi, per tentare di farlo, Adeline cede all’uso dei social media. Costringendo se stessa in questo modo ad affrontare direttamente le conseguenze sia nel mondo virtuale che in quello reale, oramai anch’esso molto più virtuale di quanto si è disposti ad ammettere.

Lo stile narrativo di Jarett Kobek, tradotto in italiano dalla lingua inglese per l’editore Fazi da Enrica Budetti, è altalenante, confusionario, ironico e sarcastico. A tratti talmente esilarante e irriverente che sembra essere o diventare lo specchio perfetto della caotica società del ventunesimo secolo. La trama è intrigante ma la scarsa linearità del discorso rischierebbe di scoraggiare il lettore se non fosse per la grande capacità che l’autore dimostra nel mantenere il tutto sul fil di lama, senza eccessi né scivoloni, e raggiunge così anch’egli la felicità come Montale.

C’è nel libro di Kobek l’America di Steve Jobs e Mark Zuckerberg, di Miley Cyrus e Rihanna, dell’11 settembre e di emoticon e gif sui social. Un’epoca, quella dei social, nella quale tutti sembrano sapere tutto. Senza dubbi, né esitazioni, né tentennamenti soprattutto quando si tratta di esprimere la propria opinione o meglio il proprio giudizio su qualcuno.

Un libro, Io odio Internet di Jarett Kobek, che diverte il lettore. Profonde ilarità con le innumerevoli battute della protagonista, abile nell’esprimere lei stessa giudizi e pareri che sembrano vere e proprie sciabolate. Al contempo è un testo che invita alla riflessione, su quello che siamo e su quello che vogliamo essere. Sulla rabbia e sull’odio ma anche sulla formazione e l’educazione. Sui motivi per cui i social spopolano e su come, alla fin fine, tutto si riduce a un mero fattore di natura economica. In questo caso a beneficiarne sono i fondatori dei principali social e motori di ricerca che da tutto questo caos ricevono in cambio incassi da capogiro.


Articolo originale qui


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Neuromarketing e potere subipnotico dell’era digitale. “Il cervello aumentato l’uomo diminuito” di Miguel Benasayag (Erickson, 2016) 


 

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È la lavorazione a fare il libro, non i singoli ‘ingredienti’: la ‘ricetta’ di Giovanni Ricciardi intervistato per “Gli occhi di Borges”

01 martedì Nov 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Fazi, GiovanniRicciardi, GliocchidiBorges, intervista, romanzo, thriller

Da pochi giorni in libreria Gli occhi di Borges (Fazi, 2016), la settima indagine per il commissario Ponzetti. Questa volta in quale meandro dell’animo umano spingerà il lettore l’indagine di Ponzetti?

Nel meandro della cosa più sottile e inconsistente che esista: la poesia. La storia è incentrata sulla vicenda del furto, dalla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, di una preziosa copia della prima raccolta poetica di Borges. Una vicenda che trae spunto da un fatto vero. Ma s’incentra anche sul tema degli oroscopi, dell’astrologia e di un’altra cosa estremamente sottile, che è la libertà umana e il pericolo del suo continuo condizionamento. Il secondo filone del romanzo parla di questo, attraverso il rapporto difficile e critico tra una madre e una figlia adolescente.

(Fonte trama: www.fazieditore.it)

La scena è ancora una volta Roma, la città eterna dalle infinite sfaccettature. In una città così è più facile trovare linfa per i suoi scritti? E se sì, perché?

Roma è sempre presente nei miei romanzi, con la sua bellezza, le infinite storie di uomini e cose che racchiude. Ma stavolta una parte del romanzo si svolge in Argentina, la terra promessa degli italiani nei primi decenni del Novecento, una patria dell’anima, un sogno incompiuto, come la canta Guccini in una famosa canzone.

Quanto di autobiografico c’è nella storia e nei pensieri espressi nei suoi libri?

Tutto e niente. Nei miei libri c’è la mia infanzia, il mio carattere, l’amore per i classici, il senso della giustizia, la sete di verità, le storie che ho vissuto e quelle che ho ascoltato in tanti anni. Ma la trama di un romanzo usa di queste cose come fa una cuoca con gli ingredienti di un piatto. Il sapore del piatto dipende dalla lavorazione, non solo dagli ingredienti.

Studi psicologici ipotizzano l’ambivalente piacere che procura la sofferenza altrui. Il costante aumento di consenso ottenuto dai libri gialli potrebbe essere legato in qualche misura a questo piacere?

Forse. Credo che ci sia anche il piacere di vedere che qualcuno, almeno nella finzione, riesce a mettere ordine nel disordine, a riportare la giustizia dove attecchisce l’ingiustizia, a far tornare i conti della vita, insomma. Nei miei gialli, che sono più psicologici e di ragionamento che d’azione e di sangue sparso ovunque, credo che questo pericolo non ci sia.

Leggi anche Chi è lo scrittore più bravo al mondo?

In effetti i suoi scritti sembrano disdegnare l’eccessivo spargimento di sangue e le immagini cruente, rimandando più alle storie del commissario Maigret narrate dal maestro Simenon. Cosa deve caratterizzare un buon giallo secondo lei?

La riuscita della trama, il non tradire il patto implicito col lettore che deve poter arrivare anch’egli alla conclusione a cui arriva l’investigatore attraverso gl’indizi seminati nella trama. Ma è molto importante anche l’ambientazione, la presenza di un tema forte: amore, morte, desiderio, speranza, illusione e disillusione. E poi l’umanità dei personaggi e la credibilità della storia.

Lei è un insegnante di greco e latino, in quotidiano contatto quindi con i grandi classici della letteratura. In cosa è carente e in cosa sovrabbonda la produzione contemporanea di libri rispetto al passato?

Secondo me è carente di grandi storie, di grandi trame, tende all’intimismo ma senza essere attenta alla lezione della leggerezza insegnata da Calvino. A parte qualche grande scrittore americano e qualche romanzo italiano particolarmente ispirato. Inoltre, mancano dei seri romanzi storici di respiro.

In base alla sua esperienza, lei si sente di confermare o smentire il disinteresse dei giovani verso la cultura in generale?

I giovani oggi hanno meno stimoli a leggere e un’enormità di stimoli legati alla cultura dell’immagine. Credo che il disinteresse verso la cultura non sia una cosa generalizzata. C’è bisogno di bravi maestri, che sappiano mediare cose di valore. Quando i ragazzi trovano delle guide attente, s’appassionano anche ai classici.

Da quale delle sue professioni (insegnante e scrittore) lei ha appreso di più?

Sicuramente da quella d’insegnante. Scrivere è una fortuna, non è propriamente una professione per me. La scuola mi dà ancora tanta vita, un po’ di questa vita si trasferisce anche nei miei libri.

Leggi anche la recensione a La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi

Giovanni Ricciardi: Professore di greco e latino in un liceo di Roma. Scrittore italiano. Autore della fortunata serie che vede come protagonista il commissario Ottavio Ponzetti.

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“Confusione” di Elizabeth Jane Howard

27 giovedì Ott 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Confusione, ElizabethJaneHoward, Fazi, recensione, romanzo, SagadeiCazalet

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Da settembre anche in Italia il terzo volume della Saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard. Confusione (Fazi, 2016) viene presentato ai lettori italiani nella versione, tradotta dall’originale in inglese, da Manuela Francescon.
Continuano le vicende dei componenti la famiglia Cazalet che affrontano, giorno dopo giorno, la vita con le sue mille sfaccettature. Grandi protagoniste sono delle donne, di questo come dei precedenti episodi. Donne in contrasto con la vecchia morale vittoriana e desiderose di affacciarsi all’era moderna, con i suoi nuovi costumi, la libertà e la voglia di crescere, non solo anagraficamente parlando. Su tutti incombe il pericolo reale e tangibile della guerra e all’unisono sognano la sua fine.

«Il momento in cui sarebbe iniziata una vita nuova, le famiglie si sarebbero ricongiunte, la democrazia avrebbe prevalso e le ingiustizie sociali sarebbero state sanate in blocco.»

 Il testo racconta di grandi cambiamenti, interiori ed esteriori e, rispetto ai titoli precedenti, si caratterizza e al contempo genera nel lettore una profonda confusione. Appare fin da subito evidente si tratta di un libro di passaggio, quasi un ponte che lega insieme i primi dagli ultimi due titoli della Saga. Il linguaggio è quello tipico della Howard. Una scrittura lenta ma incisiva, chiara ma profonda. Uno stile fluente reso ancor più attraente dal ritmo incalzante. Una lettura che è come un salto all’indietro nel tempo. Ci si ritrova più volte a pensare a quanto, in realtà, lo scritto della Howard somigli ai grandi capolavori di quegli scrittori che hanno fatto la storia della Letteratura. Tolstoj, Dostoevskij, Verga, De Roberto, le sorelle Bronte… per citarne alcuni.
Una scrittura che è anche un’arte nella sua capacità di trasformare, al pari di quanto facevano con colori e pennello Caravaggio e i Carracci, anche il più umile aspetto della vita in un’opera d’arte. Elizabeth Jane Howard è riuscita con la sua scrittura a rendere straordinaria la vita assolutamente ordinaria dei suoi personaggi e le loro altrimenti comunissime storie.

«Poi le venne in mente che forse non voler pensare a una cosa era brutto quanto non volerne parlare, e lei di certo non voleva seguire le orme della sua ipocrita famiglia che, così le pareva, stava facendo di tutto per continuare a vivere come se niente fosse successo.»

Elizabeth Jane Howard: Scrittrice britannica. Figlia di un ricco mercante di legname e di una ballerina di balletto russo. Ebbe un’infanzia infelice a causa della depressione della madre e delle molestie del padre. Da sempre amata dal pubblico, solo di recente ha ricevuto il plauso della critica. La Saga dei Cazalet è la sua opera di maggior successo.

Articolo originale qui

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“Sangue Blu” di Pieter Aspe (Fazi, 2014)

23 mercoledì Lug 2014

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Fazi, PieterAspe, recensione, romanzo, SangueBlu, thriller

SANGUE BLU – PIETER ASPE

Sangue bluContinuano le indagini del commissario Van In e continua la serie a lui dedicata da Pieter Aspe.
In Sangue Blu (Fazi, Giugno 2014), si ritrovano tutti immischiati nei torbidi intrighi di una famiglia un po’ sui generis. Una madre molto felina anche nel nome, Leona, quattro figli, con evidenti segni di disturbo fisico e mentale, e tre uomini che si contendono e si passano l’un l’altro il ruolo di padre. Il fatto che uno dei tre sia l’attuale sire non può che complicare il tutto.
Pieter Van In non si fa intimorire dalle macchinazioni o dai misteri: è il suo lavoro trovare il bandolo anche quando la matassa sembra ingarbugliata all’inverosimile… sarà sua moglie Hannelore a fargli quasi perdere il senno questa volta, costringendolo a collaborare prima e indagare poi col suo primo grande amore, l’uomo a cui ha donato la propria verginità, colui che renderà il commissario talmente geloso da rischiare di fargli perdere la partita.
Il libro è uscito in Italia nella versione tradotta da Alessandra Liberati e racconta di una Bruges silente e rumorosa al contempo, che vive come sospesa tra passato, presente e futuro. Solidamente ancorata alle tradizioni e ai segreti di un tempo andato non può non fare i conti con il correre delle lancette e i cambiamenti irreversibili che si ripercuotono nella mente e nella vita di chi, chiuso tra le mura di antiche certezze, pensa che tutto debba restare immutato e celato.
Un religioso penitente che si auto infligge delle torture per scontare i mali del mondo, si scoprirà poi che non ha mai fatto i conti con i propri. Un re e una nazione intera disposti a tutto pur di proteggere la sua incolumità e i suoi… segreti. Un ragazzo, Valentijn, che non conosce il significato della parola amore.

I libri di Pieter Aspe non deludono mai e Sangue Blu non fa eccezione. In essi trovi il mistero, la suspense, i delitti e le indagini che si cercano nei gialli ma c’è anche dell’altro, come il racconto dettagliato di una società sbagliata, la descrizione minuziosa di ciò che dietro di essa si nasconde e che in segreto la governa. In sostanza trovi ciò che un critico lettore cerca in un libro e ciò che un bravo scrittore sa di doverci mettere.

http://www.thrillercafe.it/sangue-blu-pieter-aspe/

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