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Irma Loredana Galgano

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È la lavorazione a fare il libro, non i singoli ‘ingredienti’: la ‘ricetta’ di Giovanni Ricciardi intervistato per “Gli occhi di Borges”

01 martedì Nov 2016

Posted by Irma Loredana Galgano in Interviste

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Fazi, GiovanniRicciardi, GliocchidiBorges, intervista, romanzo, thriller

Da pochi giorni in libreria Gli occhi di Borges (Fazi, 2016), la settima indagine per il commissario Ponzetti. Questa volta in quale meandro dell’animo umano spingerà il lettore l’indagine di Ponzetti?

Nel meandro della cosa più sottile e inconsistente che esista: la poesia. La storia è incentrata sulla vicenda del furto, dalla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, di una preziosa copia della prima raccolta poetica di Borges. Una vicenda che trae spunto da un fatto vero. Ma s’incentra anche sul tema degli oroscopi, dell’astrologia e di un’altra cosa estremamente sottile, che è la libertà umana e il pericolo del suo continuo condizionamento. Il secondo filone del romanzo parla di questo, attraverso il rapporto difficile e critico tra una madre e una figlia adolescente.

(Fonte trama: www.fazieditore.it)

La scena è ancora una volta Roma, la città eterna dalle infinite sfaccettature. In una città così è più facile trovare linfa per i suoi scritti? E se sì, perché?

Roma è sempre presente nei miei romanzi, con la sua bellezza, le infinite storie di uomini e cose che racchiude. Ma stavolta una parte del romanzo si svolge in Argentina, la terra promessa degli italiani nei primi decenni del Novecento, una patria dell’anima, un sogno incompiuto, come la canta Guccini in una famosa canzone.

Quanto di autobiografico c’è nella storia e nei pensieri espressi nei suoi libri?

Tutto e niente. Nei miei libri c’è la mia infanzia, il mio carattere, l’amore per i classici, il senso della giustizia, la sete di verità, le storie che ho vissuto e quelle che ho ascoltato in tanti anni. Ma la trama di un romanzo usa di queste cose come fa una cuoca con gli ingredienti di un piatto. Il sapore del piatto dipende dalla lavorazione, non solo dagli ingredienti.

Studi psicologici ipotizzano l’ambivalente piacere che procura la sofferenza altrui. Il costante aumento di consenso ottenuto dai libri gialli potrebbe essere legato in qualche misura a questo piacere?

Forse. Credo che ci sia anche il piacere di vedere che qualcuno, almeno nella finzione, riesce a mettere ordine nel disordine, a riportare la giustizia dove attecchisce l’ingiustizia, a far tornare i conti della vita, insomma. Nei miei gialli, che sono più psicologici e di ragionamento che d’azione e di sangue sparso ovunque, credo che questo pericolo non ci sia.

Leggi anche Chi è lo scrittore più bravo al mondo?

In effetti i suoi scritti sembrano disdegnare l’eccessivo spargimento di sangue e le immagini cruente, rimandando più alle storie del commissario Maigret narrate dal maestro Simenon. Cosa deve caratterizzare un buon giallo secondo lei?

La riuscita della trama, il non tradire il patto implicito col lettore che deve poter arrivare anch’egli alla conclusione a cui arriva l’investigatore attraverso gl’indizi seminati nella trama. Ma è molto importante anche l’ambientazione, la presenza di un tema forte: amore, morte, desiderio, speranza, illusione e disillusione. E poi l’umanità dei personaggi e la credibilità della storia.

Lei è un insegnante di greco e latino, in quotidiano contatto quindi con i grandi classici della letteratura. In cosa è carente e in cosa sovrabbonda la produzione contemporanea di libri rispetto al passato?

Secondo me è carente di grandi storie, di grandi trame, tende all’intimismo ma senza essere attenta alla lezione della leggerezza insegnata da Calvino. A parte qualche grande scrittore americano e qualche romanzo italiano particolarmente ispirato. Inoltre, mancano dei seri romanzi storici di respiro.

In base alla sua esperienza, lei si sente di confermare o smentire il disinteresse dei giovani verso la cultura in generale?

I giovani oggi hanno meno stimoli a leggere e un’enormità di stimoli legati alla cultura dell’immagine. Credo che il disinteresse verso la cultura non sia una cosa generalizzata. C’è bisogno di bravi maestri, che sappiano mediare cose di valore. Quando i ragazzi trovano delle guide attente, s’appassionano anche ai classici.

Da quale delle sue professioni (insegnante e scrittore) lei ha appreso di più?

Sicuramente da quella d’insegnante. Scrivere è una fortuna, non è propriamente una professione per me. La scuola mi dà ancora tanta vita, un po’ di questa vita si trasferisce anche nei miei libri.

Leggi anche la recensione a La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi

Giovanni Ricciardi: Professore di greco e latino in un liceo di Roma. Scrittore italiano. Autore della fortunata serie che vede come protagonista il commissario Ottavio Ponzetti.

© 2016 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“La canzone del sangue” di Giovanni Ricciardi (Fazi, 2015)

22 sabato Ago 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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Tag

GiovanniRicciardi, Lacanzonedelsangue, recensione, romanzo, Sicilia, thriller

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A luglio la casa editrice Fazi ha pubblicato La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi, un altro capitolo delle indagini del commissario Ottavio Ponzetti.
La trama ruota intorno al mistero sulla paternità della famosa canzone siciliana Vitti na crozzaanche se il tutto alla fine sembra sfumare in una bolla di sapone, avendo il lettore inteso che deve, o meglio avrebbe dovuto, concentrare la sua attenzione su ben altra paternità.
Il ‘gioco’ che Ricciardi intrattiene con il lettore si rivela da subito un simpatico espediente. A tratti il testo sembra ‘interattivo’, con espliciti inviti a ‘partecipare’ alle indagini. E così l’autore si diverte a mescolare le carte tra realtà, finzione, teatro e televisione… rimandando continuamente a due grandi figli della terra che ‘ospita’ la storia narrata, la Sicilia. L’immagine del teatro pirandelliano con i suoi personaggi si alterna alle vicende del commissario più noto della televisione, frutto della penna di Camilleri.
Il giallo scritto da Giovanni Ricciardi non fa una grinza, per la storia e per la tecnica. Abilità ormai certificate dello scrittore-professore che non manca di ‘insegnarci’ qualche passo classico o di spiegarci l’origine o l’etimo di usanze e termini.
Quello che invece lascia il lettore molto turbato è il motivo recondito dell’aver voluto raccontare di Vitti na crozza.

« Chissà se quei vecchi incupiti e rugosi che se ne stavano in punta di piedi col cappello tra le mani erano scesi anche loro da bambini nelle viscere della solfara, a portare in superficie la ricchezza degli Arnone per un piatto di minestra.»

Le solfare siciliane, le miniere che risucchiavano ancora a metà del secolo scorso giovani e giovanissimi.
George Orwell diceva:

«Più di ogni altro, forse, il minatore può rappresentare il prototipo del lavoratore manuale, non solo perché il suo lavoro è così esageratamente orribile, ma anche perché è così virtualmente necessario e insieme così lontano dalla nostra esperienza, così invisibile, per modo di dire, che siamo capaci di dimenticarlo come dimentichiamo il sangue che ci scorre nelle vene».

Ricciardi focalizza l’attenzione del lettore sui minatori dimenticati e in particolare sull’epopea di un gruppo di siciliani senza lavoro che tentano di espatriare illegalmente in Francia alla ricerca di una vita migliore. Storia ripresa dal regista Pietro Germi nel film Il cammino della speranza.
Un film e una storia tristemente attuali.

«Scesi sottoterra e mi parve di trovarmi in un girone infernale: dalle rocce emanava un calore fortissimo, i minatori – che stavano scioperando da una settimana – erano seminudi o nudi del tutto. Stavano cantando Vitti na crozza. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell’aria. Con quella registrazione iniziammo il film.»

La canzone popolare Vitti na crozza viene indicata come un «canto tragico, un vero e proprio “contrasto” tra la vita e la morte» e per certi versi anche La canzone del sangue di Ricciardi lo è, nell’abilità propria dell’autore di restituirci l’immagine di un’umanità dimenticata, sfruttata, predestinata e non ci si vuol riferire solo ai minatori.
La vera protagonista del libro, Annamaria, pur entrando fugacemente nella scena la domina dall’inizio alla fine con la sua ‘vita sospesa’, il suo amore negato, rubato, e la sua passione che diventa la sua condanna.
Un libro quello di Ricciardi che narra del dualismo sociale, delle ingiustizie, dei soprusi e anche degli innumerevoli futili problemi quotidiani da cui il commissario Ponzetti cerca tenacemente di fuggire, rifugiandosi nel suo lavoro. Atteggiamento diffuso nella società attuale e, come il grande Pirandello ci ha insegnato, tutto ciò diventa paradossale e semiserio al punto che non si sa se ridere o piangere… esemplare il passaggio nel quale il vice di Ponzetti non trova posto per la vacanza con la propria famiglia e si fa ospitare dal commissario. Come quello del resto del ‘folle’ attaccamento di Galloni al suo cane cieco… riproposizioni in chiave moderna delle ‘maschere’ rappresentate nelle novelle prima ancora che sui palcoscenici dal grande drammaturgo agrigentino.
La canzone del sangue di Giovanni Ricciardi non delude gli appassionati del genere ma anche chi in un libro cerca se non proprio la denuncia almeno il racconto dei mali e dei soprusi della società.

:: La canzone del sangue, Giovanni Ricciardi (Fazi, 2015) a cura di Irma Loredana Galgano

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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