Avvicinarsi quanto più possibile al limite è, spesso, l’unico modo per compiere scelte diffcili, esistenziali. Decisioni che altrimenti non si avrebbe la giusta spinta per prenderle. E Giuliano Pesce ne L’inferno è vuoto spinge al massimo i suoi personaggi, “costringendoli” ad affrontare rocambolesche avventure che, proprio nel loro essere così esageratamente surreali, diventano punto d’appoggio per riflessioni intense sulla vita e anche sulla sua fine. Il dualismo esistenziale tra vita e morte raccontato con l’originalità che caratterizza gli scritti di Pesce e l’immancabile pungente ironia con la quale condisce il tutto e lo rende piacevole al lettore.
Gli abbiamo rivolto alcune domande sul nuovo romanzo, edito sempre da Marcos y Marcos, incuriositi anche dal confronto con il precedente.
Esce il nuovo romanzo, sempre per Marcos y Marcos, e questa volta sembra lei abbia voluto scrivere il libro al contrario. Mi spiego: in Io e Henry il lettore scopriva la scena topica solo alle ultime battute mentre adesso costituisce proprio l’incipit. Si tratta di una scelta legata alla storia oppure ci sono altre motivazioni?
Di sicuro non mi piace ripetermi. Ma non è certo una scelta progettata a tavolino. La scena di apertura, con il papa che si getta nel vuoto durante l’Angelus, mi ronzava in testa già da anni, suggerita da un amico, quasi per scherzo. Per iniziare a scrivere un romanzo, però, ho bisogno di avere in mente sia la scena iniziale che quella finale. A quel punto si tratta solo di raccontare – prima di tutto a me stesso – come si collegano quelle due immagini. È come se la storia fosse già lì da qualche parte, e io dovessi solo scriverla.
Anche ne L’inferno è vuoto il tema principale sembra essere legato all’esistenzialismo o sbaglio?
Direi che il romanzo è dominato dall’azione e dalla suspense, più che dalla filosofia. Che poi i personaggi si trovino a scontrarsi con temi come l’angoscia, il peccato, la colpa e il peso delle decisioni prese o subite, credo sia inevitabile, poiché sono calati in situazioni estreme, in cui non possono esimersi dal cercare di dare un senso alla propria esistenza. Penso per esempio al personaggio di Bara, un gangster che, nel momento del suo massimo dramma personale, si trova – suo malgrado, direi – a riflettere su come le esistenze di tutti gli uomini siano intrinsecamente collegate e apparentemente dominate da forze che ci appaiono, in fondo, del tutto incomprensibili:
«Se qualcuno è sopravvissuto a quella tempesta di fuoco, è giusto che sia così. La fortuna è più che un dio tra gli uomini. Perché tutti gli uomini sono solo il risultato della fortuna: la vita è una vincita alla lotteria degli spermatozoi. Tutti nascono unici, sorteggiati fra trecento milioni di girini bianchi. Nascono unici per ritrovarsi circondati da un mucchio di altre persone – tutte vincitrici – aggrovigliate tra loro, intrecciate come i fili dello stesso tappeto. Ma ognuno pensa per sé, tira in una direzione, vuole tracciare il proprio disegno. E allora tiri anche tu, senza sapere nemmeno quale senso abbia quell’ordito. Tu tiri, loro tirano; e all’improvviso è tutto finito. Come se non fosse mai successo.‘fanculo.»
In Io e Henry si percepiva molto del dualismo tra solitudine, fisica o mentale che sia, e condivisione, di vita ed esperienze. Reali o immaginarie che fossero. Ne L’inferno è vuoto invece tutto sembra consumarsi nella lotta infinita ed eterna tra vita e morte. Considerando anche che si parla di personaggi particolari con esistenze borderline, i protagonisti del suo romanzo sono persone che vogliono vivere o morire?
«Possibile che tutti i tuoi discorsi finiscano con la morte?» chiede Bara – uno dei personaggi del romanzo – al suo amico Beccamorto, che gli risponde: «Sembra che la vita funzioni così».
Sicuramente uno dei temi portanti del romanzo è la tensione tra la vita e la morte. I personaggi – che siano gangster, attori o uomini di Chiesa – si trovano costantemente in situazioni di pericolo. Parliamoci chiaro: una pistola puntata alla testa spingerebbe chiunque a fare un bilancio della propria esistenza, e mi intrigava molto l’idea di cogliere i personaggi in un momento di riflessione così estremo. E poi, dopotutto, chi è in grado di cogliere il dramma della fine se non un personaggio letterario? La vita di ognuno di loro – che si concluda con una morte violenta o meno – è destinata a esaurirsi sulla pagina.
Permane la sua volontà e capacità di raccontare aspetti e problemi contemporanei molto seri e attuali attraverso l’uso dell’ironia e dell’autoironia. Nonostante le avventure esilaranti che si avvicendano e si inerpicano nel giro di brevissimo tempo, riesce comunque a dare al lettore margini per riflessioni ponderate. Sono folgorazioni letterarie le sue oppure i suoi scritti rispecchiano un preciso piano di lavoro?
Ogni storia ha il suo modo di essere raccontata. L’inferno è vuoto ondeggia tra commedia e tragedia, e credo che riesca a porre il lettore nel giusto stato d’animo per affrontare le riflessioni a cui fai riferimento: ci si trova di fronte a temi universali, come sono la difficoltà di comprendere il senso della vita e della morte, ma li si osserva dal punto di vista personaggi molto particolari, che spesso stride con il senso comune. Credo che un buon romanzo debba sempre pungolare il lettore, e invitarlo a spingersi un po’ più in là, in luoghi che non pensava di poter raggiungere e che invece sono proprio lì, dietro la pagina.
Sembra esserci molto di autobiografico nel protagonista, aspirante scrittore, Fabio Acerbi e molto di lei scrittore in tutta la storia. Come si inserisce simbolicamente un papa in tutto questo?
Più che a me stesso, il personaggio di Fabio Acerbi – aspirante scrittore, alle dipendenze di un Grande Editore che dispone della sua vita come meglio crede – è ispirato ai tanti giovani che ho visto e vedo affacciarsi nel mondo del lavoro editoriale. Spesso, da fuori, si ha un’idea della Casa Editrice come luogo di cultura per eccellenza, in cui si passa la giornata a discutere di libri e di scrittura, un luogo in cui c’è ancora tanto spazio per il sogno e la fantasia. Ma non è così: le redazioni sono sempre più piccole e i ritmi di lavoro frenetici. E molti si trovano spiazzati.
Per quanto riguarda il papa, non credo che sia un simbolo attinente al mondo editoriale, che infatti occupa solo una piccola parte del romanzo. L’estremo gesto del pontefice si rifà semmai a quella tensione tra vita e morte, inferno e paradiso, salvezza e dannazione di cui abbiamo parlato prima.
Lei popola Roma di personaggi strambi e la anima di persone improbabili le cui rocambolesche vicende solo in apparenza sembrano inverosimili. Viene naturale chiedersi se davvero l’inferno è vuoto?
Non appena Fabio Acerbi mette piede a Roma, riceve una telefonata da un numero sconosciuto. «Chi sei?» chiede. «La tua guida», risponde una voce contraffatta. «Per questo lato dell’inferno».
La maggior parte dei personaggi del romanzo vive una vita immersa nella violenza, fisica o psicologica che sia. Quando si parla di gangster, prostitute e spacciatori, è facile immaginarci la loro esistenza come un oceano di dannazione. Ma, se si estende il discorso anche a personaggi più vicini a noi è impossibile non pensare al Mondo come, quantomeno, all’anticamera dell’inferno. Dappertutto ci sono persone – vecchi, donne e bambini – che vivono per la strada, o addirittura muoiono di fame e in guerre inutili, scatenate dall’avidità e dal disprezzo per la vita di altri uomini come loro, mentre la maggior parte di noi sta a guardare senza fare un bel niente.
In queste condizioni, chi può essere così arrogante da pensare di essere salvo?
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