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Carnaio, Fandango, flussimigratori, GiulioCavalli, migrazioni, monocolooccidentale, recensione, romanzo
Cadaveri ripescati in mare. Ecco qual è l’immagine che Giulio Cavalli sceglie come overture del suo nuovo romanzo Carnaio, edito da Fandango Libri. Il fotogramma più cruento e drammatico di questa enorme e globale emergenza che sono diventate le migrazioni di popoli.
Perché alla fin fine, se passassimo al setaccio l’intero “problema”, non resterebbero che la morte e il dolore. Oppure entrambi.
Morte e dolore che finiscono, inevitabilmente, per alimentare dibattiti infiniti generati, si racconta, dal bisogno di solidarietà e umanità. Motivati, in realtà, per la gran parte, da ipocrisia o peggio opportunismo.
E non dimentica certo di parlare di tutto questo Giulio Cavalli in Carnaio. Racconta nel dettaglio tutta la grande ipocrisia che si può accumulare anche in un piccolo paese arroccato su delle aspre scogliere, abitato per la maggiore da pescatori o figli di pescatori, da sindaci figli di sindaci, da preti che non perdono occasione per fare la morale anche quando tutti sanno che facilmente si lasciano tentare dal gentil sesso, anche senza il gentile.
Carnaio sembra essere un romanzo corale, grazie soprattutto all’espediente narrativo adottato dall’autore di dare voce a più protagonisti. In questo modo lo stesso accadimento viene osservato e commentato da diversi punti di vista e il lettore può “ascoltare”, ovvero leggere, le differenti opinioni in merito, esattamente come accadrebbe e come accade per un fatto reale.
Il narrato di Cavalli è originato dalla sua fantasia di scrittore certo ma è egualmente molto realistico, cruento e “crudele”. Nel senso che descrive, immaginando una storia, esattamente quello che accade da anni, decenni e che ha trasformato, purtroppo, il Mare nostrum in un’immensa pozza di morte, ingiustizie, dolore, indifferenza e opportunismo.
Cavalli è politicamente attivo e, giornalisticamente parlando, molto prolifico. La sua opinione, categorica, in merito a quanto sta accadendo non è certo un mistero, eppure egli riesce, con la dote che è propria di chi è scrittore e non semplicemente perché tale si dichiara, che siano il racconto e la narrazione a parlare, non i pregiudizi e i preconcetti che possono scaturire da posizioni eccessivamente rigide.
Ovvio che il libro è scritto dall’autore, e sempre lui ha scelto cosa far dire ai protagonisti e cosa no, ma l’impostazione del narrato, pur nella sua causticità, lascia libero il lettore di formarsi una propria opinione. In questo caso in base alla propria coscienza. E alla propria umanità.
Nel testo si ritrovano tutti gli aspetti e gli sviluppi del fenomeno migratorio che campeggia nei titoli di giornali e telegiornali quasi sempre per notizie o eventi drammatici, disastrosi. Una crisi umanitaria derivata dalla degenerazione dell’umanità che ha scelto di votarsi e immolarsi verso la crescita economica a ogni costo. Inarrestabile. Anche laddove è palese ormai che a rimetterci sono la stessa umanità e il pianeta che la ospita.
Giulio Cavalli è un ottimo narratore, sa bene cosa raccontare e come farlo. La domanda da porsi è: quale sarà il messaggio che il lettore vorrà raccogliere?
Si sceglierà di aver letto un semplice romanzo oppure si ammetterà di aver letto la versione romanzata di una triste realtà? Si preferirà archiviare il libro come semplice narrativa oppure si ammetterà di avere tra le mani la versione letteraria del resoconto “storico” di una struggente attualità?
L’autore ha lasciato libero il lettore di fare le proprie scelte. Non poteva fare altrimenti del resto.
In Carnaio Giulio Cavalli mantiene intatta la sua grande capacità di scrittura. Uno stile coinvolgente che cattura il lettore fin dalle prime battute. Quasi un rapimento sensoriale per l’intera durata della lettura di quella che acquisisce a tutti gli effetti i connotati di una accuratissima pièce teatrale. Una scena costruita intorno a un fenomeno troppo carico di dolore e sofferenza per poter lasciare umanamente indifferente chi legge. Al pari di quando si apprendono simil eventi nei resoconti di cronaca. Peggio se nera. Sprazzi di solidarietà ed empatia che vanno o andrebbero poi tradotti in mutazioni radicali di comportamenti singoli e globali altrimenti si rischia la banale retorica. Ma questo è un altro discorso. Chi scrive concorda con l’autore nel lasciare piena libertà al lettore o allo spettatore, in base alla coscienza che ognuno ha o ritiene di avere.
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