Massimiliano Arena si augura che «i giovani di oggi facciano un po’ meno master, meno corsi di perfezionamento e di aggiornamento, e si buttino un po’ di più sulle strade del mondo, a fare esperienze di vita. A sentire odori, anche nauseabondi. Sporcarsi mani e piedi», perché lui crede nella propria professione. Lui vede nell’avvocato “l’angelo custode” del cliente, un suo alleato. Eppure, nell’immaginario collettivo e anche nella gran parte della realtà in cui anch’egli vive e lavora, il legale è, troppo spesso, uno scaccia-guai avido di denaro che non disdegna di difendere anche corrotti, assassini e malavitosi pur di vedersi accreditata la lauta parcella.
Ma chi sono davvero gli avvocati e, soprattutto, chi è Massimiliano Arena e cosa fa con lo sportello Avvocati di strada? Ne abbiamo parlato in un’intervista in occasione dell’uscita del suo libro, Io, avvocato di strada edito da Baldini+Castoldi.
Prima di entrare nel vivo del suo libro, se mi permette, vorrei chiedere la sua opinione riguardo la dichiarazione di Giuseppe Conte: «Sarò l’avvocato di tutti gli italiani». E subito su social e web si sono scatenati adducendo come motivazione più diffusa la non necessità di avere un avvocato. Ciò è dovuto forse anche al fatto che un supporto legale viene associato quasi sempre a qualcosa di negativo. Lei come commenta la dichiarazione del Presidente del Consiglio e la reazione del “popolo della Rete”?
Credo che il premier Conte volesse fare leva sulla sua biografia personale, per dimostrare continuità tra l’impegno forense e l’impegno politico. La nostra cultura ci impone di pensare al paziente dello psicologo come a un matto e al cliente di uno studio legale come ad una persona nei guai o, peggio, malavitosa. Nella cultura anglosassone l’avvocato è una sorta di angelo custode. L’avvocato negli Usa è un alleato del quotidiano, piuttosto che una risorsa da attivare in caso di urgenza e necessità.
Al di là di tutto non mi cambia nulla la dichiarazione del Premier, tanto meno la reazione del web. Andiamo alla sostanza delle cose, al saper fare, al saper essere.
Poi, beato il popolo che non ha bisogno di eroi, di avvocati e di giudici.
Nello specifico della sua esperienza personale invece lei si è quasi subito scontrato con un mondo diverso da quello immaginato. Dilaga un atteggiamento arrivista e opportunista tra i suoi colleghi. Com’è stato l’impatto con la realtà?
Devo ammettere che la esperienza come avvocato di strada ha salvato l’amore per questo lavoro e l’attaccamento ai valori e agli ideali da cui trae origine. È ovvio che ogni mestiere, arte e professione può essere contaminata da luoghi comuni e anche quella forense è una professione non immune da questo vizio.
Io me la tengo stretta e credo che sia una professione, o forse un’arte, nobile al pari di quella medica, nella misura in cui ripristina dignità e diritto, e di conseguenza migliora la salute dell’individuo e della comunità.
So di essere stato oggetto di derisione, di scherno da parte di tanti colleghi, i più anziani, o quelli che non hanno altro impegno se non quello dell’esercizio dell’invidia. Poi mi chiedo invidia di cosa, se il nostro studio legale, quello di avvocato di strada, pur essendo il più grande in Italia, è quello che paradossalmente fattura meno, cioè nulla.
La bellezza e i paradossi ci salveranno!
Il tempo trascorso in Bolivia, in Guinea Bissau, negli orfanotrofi, nelle comunità rurali e agricole l’hanno avvicinata alla vita vera, quella dura, spietata. E ha rappresentato l’input per una svolta nella sua di vita e nella carriera professionale. Si sente una persona migliore oggi?
Mi sento migliore rispetto a me stesso, mai rispetto agli altri. Tenere a bada l’Ego non è facile, è la sfida più grande. Anzi il mio messaggio è che se uno coi miei limiti ha fatto tutto ciò, allora è la prova provata che chiunque possa farlo, ed anche meglio.
Allo stesso tempo mi auguro che i giovani di oggi facciano un po’ meno master, meno corsi di perfezionamento e di aggiornamento, e si buttino un po’ di più sulle strade del mondo, a fare esperienze di vita. A sentire odori, anche nauseabondi. Sporcarsi mani e piedi. Riequilibrare il totale squilibrio tra il saper fare e il saper essere.
Quali sono state le difficoltà maggiori riscontrate nell’apertura dello sportello Avvocati di strada?
In primis la diffidenza degli altri avvocati. È ovvio che uno sportello di assistenza legale gratuita possa celare dietro le quinte il pericolo di procacciamento illegale della clientela. Per questa ragione io ho imposto che al mio sportello nessuno dei colleghi e delle colleghe possa ricevere il conferimento di un mandato. Noi possiamo solo dare orientamento e assistenza. Per il resto non ho visto grandissime resistenze anzi è stato un crescendo di riconoscimenti, di attestati, alla lunga anche da parte dell’ordine forense.
Si è mai ritrovato a pensare che, alla fin fine, non ne valeva la pena?
I poveri puzzano, si lamentano, raccontano bugie e ti prendono in giro. Lo fanno continuamente. Per molti di loro è un modello di vita e di comportamento. Tutto ciò mette a dura prova la resistenza di chi vuole aiutarli. Eppure, è proprio in questa resistenza che si misura l’attaccamento ai valori ideali che muovono verso la solidarietà. Il chiedersi se valga la pena è naturale. Me lo sono chiesto in Bolivia quando vedevo la gente che prendeva i pacchi dono e li andava a vendere al mercato. Me lo sono chiesto quando ho scoperto che chi chiede aiuto in realtà sta meglio di tanti altri. La missione dell’avvocato è quella di difendere tutti, noi non giudichiamo nessuno.
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Lei vive e lavora in una realtà, la città di Foggia, che vede un tessuto sociale minato da una diffusa prostituzione e un radicato caporalato. Uno sfruttamento presente in tantissime zone d’Italia, tra l’altro. Qual è la risposta delle istituzioni e della cittadinanza alla vostra attività professionale?
Le istituzioni ricorrono alla nostra associazione molto spesso, siamo il surrogato di uno Stato sociale traballante. Mettiamo spesso pezze a colori grazie anche alla rete del volontariato e dell’associazionismo locale, che è sdoganato da limiti di spesa pubblica. Conta solo il cuore, buttarlo oltre la ragione e darsi da fare. Nella nostra città noi e le nostre associazioni gemelle siamo molto ben voluti, la gente ci cerca, ci segnala i casi di emergenza e noi ci muoviamo dallo sportello sia in città che nelle campagne limitrofe, soprattutto nei periodi di raccolta del pomodoro dove i picchi di caporalato, di prostituzione e di schiavitù umana raggiungono livelli da gironi infernali.
Quale ritiene essere il disagio maggiore nella società odierna?
Il disagio maggiore della società moderna è una educazione perversa all’egoismo e al conflitto. Anche la comunicazione politica oramai è viziata da egoismo, individualismo e naturale propensione al conflitto. Chiunque giunge al potere si sente in diritto di distruggere tutto il resto e si atteggia a salvatore del mondo. Questo paese, le comunità che lo popolano e che lo animano, hanno bisogno di una pace sociale. Il più grande investimento che si possa fare in questo momento in questo paese non è sulle infrastrutture, o sulla detassazione. Noi dobbiamo investire in riconciliazione, dobbiamo fare la pace e sanare i conflitti e le ferite. Così come fu fatto magnificamente dai padri costituenti nel secondo dopoguerra. Ed infatti dal secondo dopoguerra nacque una generazione di cittadini che hanno scritto la storia del nostro paese e lo hanno portato al boom economico.
Molti di noi pensano che Nelson Mandela abbia vinto il premio Nobel per la Pace perché è stato in carcere per più di 25 anni. Falso. Nelson Mandela ha legittimato il suo premio Nobel nella misura in cui una volta giunto al potere, anziché vendicarsi contro i suoi aguzzini, li ha perdonati e ha aperto in ogni provincia i così detti tribunali della riconciliazione, dove bianchi e neri si sono scambiati il perdono di anni di segregazione razziale, di uccisioni, di rapimenti e stupri. Il Sudafrica è ripartito, affondando le proprie fondamenta sul perdono e sulla riconciliazione e ciò ha fatto di quel paese un paese moderno e proiettato al futuro.
Dove non è presente il volontariato come lo sportello Avvocati di strada chi si occupa di difendere gli interessi e i diritti degli ultimi?
Io sono per propensione naturale ottimista. Trovo modo di riscontrare questo mio ottimismo girando l’Italia. Vi sono eroi anonimi, i quali, senza alcuna organizzazione, si battono per i diritti degli ultimi. Sono loro la speranza che quella grande opera di investimento sulla riconciliazione dei conflitti e sul perdono sociale possa finalmente partire e salvare le sorti delle nostre comunità.
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