Per Douglas Murray quella in atto negli ultimi anni è una vera e propria guerra all’Occidente. Non di quelle con gli eserciti che si scontrano bensì una guerra culturale, condotta implacabilmente contro tutte le radici della tradizione occidentale e contro tutto ciò di buono che essa ha prodotto.
È ormai chiaro a tutti che quest’epoca è definita soprattutto dal cambiamento di civiltà in corso. Un cambiamento che ha scosso le fondamenta della nostra società, proprio perché, nell’analisi di Murray, è in atto un attacco sistematico contro tutto ciò che esiste in essa. Contro tutto ciò che gli occidentali davano per scontato, fino a non molto tempo fa.
L’autore afferma che l’Occidente tutto si sia arreso troppo in fretta in questa guerra. Troppo spesso questa guerra è stata inquadrata in modo completamente sbagliato. Sono stati travisati gli obiettivi di chi vi prende parte e ne è stato sminuito il ruolo che avrà nelle vite delle generazioni future. Nel giro di pochi decenni, la tradizione occidentale è passata dall’essere celebrata al diventare imbarazzante e anacronistica, etichettata, infine, come un qualcosa di vergognoso.
Sottolinea Murray come non sia solo la parola «occidentale» a essere contestata dai critici ma anche tutto ciò che vi è collegato, persino il concetto di «civilizzazione» in sé. Come l’aveva espresso uno dei teorici del moderno “razzismoantirazzista”, Ibram X. Kendi: civilizzazione è spesso un cortese eufemismo per razzismo culturale.1
Murray non si dichiara contrario a un ripensamento della storia in generale, tuttavia afferma di non condividere l’atteggiamento dei critici della civiltà occidentale perché essi venerano qualsiasi cosa purché non appartenga all’Occidente. La cultura che ha regalato al mondo progressi scientifici e medici salvavita, e un mercato libero, che ha fatto uscire dalla povertà miliardi di persone in tutto il mondo e che ha offerto la più grande fioritura di pensiero, viene messa dappertutto in questione attraverso il filtro della più profonda ostilità e del più profondo semplicismo. Egli non tollera che la cultura di Michelangelo, Leonardo, Bernini e Bach venga dipinta come se non avesse nulla di importante da dire. Alle nuove generazioni viene offerta la storia dei fallimenti dell’Occidente senza dedicare un tempo lontanamente paragonabile alle sue glorie.
Viene attaccata la tradizione giudaico-cristiana ma anche quella del secolarismo e dell’Illuminismo e ciò, per l’autore, ha un effetto devastante sulle nuove generazioni, le quali non sembrano comprendere neppure i più basilari principi del libero pensiero e della libertà d’espressione.
Per screditare l’Occidente sembra necessario demonizzare in primo luogo le persone che continuano a rappresentare il gruppo razziale maggioritario, ovvero i bianchi. Nonostante la diminuzione, negli Stati Uniti, delle leggi apertamente razziste e del potere di chi si dichiara razzista in modo esplicito, le disparità nei risultati fra bianchi e neri si riducono con grande lentezza.
Si va diffondendo con sempre maggiore forza la Teoria critica della razza – Tcr, emersa nell’arco di alcuni decenni nei seminari, nelle ricerche e nelle pubblicazioni delle università. A differenza dei tradizionali diritti civili, che includono l’incrementalismo e il progresso passo dopo passo, la Tcr mette in discussione le fondamenta stesse dell’ordine liberale, compresa la teoria dell’uguaglianza, il ragionamento giuridico, il razionalismo illuminista e i principi neutrali del diritto costituzionale.
Douglas Murray dissente dalle argomentazioni dei promotori della Teoria critica della razza sia per la forma che per il contenuto. Egli ritiene che se si fondasse un movimento che cerca di demonizzare la «nerezza», quell’organizzazione finirebbe inevitabilmente per demonizzare le persone nere. Se si demonizza la «bianchezza» e l’essere bianchi, a un certo punto le persone bianche saranno demonizzate.
Solo sul mercato africano esistono più di centocinquanta marche di creme, unguenti e altri gel sbiancanti, facilmente acquistabili, ma quasi sempre illegali e dannosi per la salute. Il problema non è solo medico e non riguarda solo l’Africa. Un’inchiesta di Le monde del 2008 già rivelava la tendenza diffusa da parte delle persone di colore di voler sbiancare la pelle. Un desiderio comune anche tra le cittadine francesi di origine africana. Fin dal 1500 l’opposizione simbolica tra il bianco e il nero assunse e sviluppò concetti legati anche alla tradizione classica, soprattutto cristiana, di bianchezza e oscurità. Il bianco è associato a purezza, verginità, virtù, bellezza. Il nero alla bruttezza fisica e spirituale, alla mostruosità, alla collera divina.
L’uso del sapone e di altri detergenti è, ovviamente, legato in primis a questioni di salute, igienico sanitarie, ma non è né esente né lontano da aspetti simbolici legati alla purificazione sociale. Un simbolismo quasi escatologico che si sovraccarica di aspettative al punto da arrivare ai dati odierni relativi ai tentativi di sbiancamento della pelle. Un tema che le aziende hanno sfruttato, per fini commerciali e di immagine.2
I segni distintivi, evidenti fin da subito, della Teoria critica della razza sono, secondo Murray: un’assoluta ossessione per la razza come strumento essenziale per capire il mondo e qualunque ingiustizia e la pretesa che i bianchi siano colpevoli in toto di avere dei pregiudizi, in particolare razziali, già dalla nascita e che il razzismo sia radicato così profondamente nella società a maggioranza bianca che le persone bianche in quelle società non si rendono nemmeno conto di vivere in contesti sociali razzisti.
Per Bell Hooks, tra i teorici della Tcr maggiormente criticati da Murray, impegnarsi per porre fine al razzismo nell’istruzione è l’unico cambiamento realizzabile a beneficio degli studenti neri e, in generale, di tutti gli studenti. Se i neri americani hanno dovuto, e devono ancora, lottare contro la discriminazione e la segregazione, di fatto i neri d’Italia, pur trovandosi in scuole libere e aperte a tutti, spesso sono stigmatizzati come stranieri, anche se nati e cresciuti qui. Altre volte sono etichettati come alunni con bisogni educativi speciali solo perché non parlano ancora la lingua italiana o sono traumatizzati per i trascorsi, per la fuga da paesi in guerra o povertà estrema.
Una delle situazioni più ricorrenti sottolineata da Hooks riguarda il fatto che la gran parte di coloro che si dichiarano antirazzisti, nel loro quotidiano, non frequentano persone nere o di colore (intesi come non bianchi). Non hanno grandi rapporti con loro. La loro cerchia si compone, alla fin fine, di persone bianche. Nella visione di Hooks, il “modello suprematista bianco” plasma le nostre vite in ogni momento, e questo succede sia negli Stati Uniti che in Italia. Necessita allora un lavoro di decolonizzazione e auto-decolonizzazione mentale.3
Ma l’autore si chiede cosa può fare l’Occidente con un tale elenco di peccati che gli vengono imputati. Come si può riparare agli sbagli senza colpire gli innocenti e premiare gli immeritevoli? È un enigma che aleggia su tutte le ingiustizie della storia e bisogna fare molta attenzione nel maneggiare questo “bisturi morale”.
Tutta la storia e la geografia sono un insieme di rivendicazioni e contro-rivendicazioni su chi è stato ingiusto con chi e su quale gruppo di persone è ancora in debito con un altro a causa di un’ingiustizia storica.
Si chiede inoltre Murray come sia potuto accadere che, in nome della grande apertura mentale, siamo diventati di vedute così ristrette, e come, in nome del progresso, abbiamo assorbito idee che si sono rivelate altamente regressive, generando così solo una gran confusione.
Negli ultimi anni, gli americani e gli altri popoli sono stati molto entusiasti di dimostrare che non sono ciò che sostengono quelli che li criticano. Queste persone provano a dimostrare di non essere razziste, omofobe, misogine e quant’altro, e sperano che si capisca che, nonostante la loro storia possa aver incluso il razzismo, non è stato in alcun modo l’unico elemento della loro storia.
Il libro
Douglas Murray, Guerra all’occidente, Guerini e Associati, Milano, 2023.
1I.X. Kendi, How to be an antiracist, One World, New York, 2019.
2F. Faloppa, Sbiancare un etiope. La costruzione di un immaginario razzista, Utet, De Agostini Libri, Milano, 2022.
3B. Hooks, Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, Meltemi, Milano, 2022.
Articolo pubblicato su Satisfiction.eu
Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Guerini e Associati per la disponibilità e il materiale.
Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com
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