• Bio
  • Contatti
  • Curriculum

Irma Loredana Galgano

Irma Loredana Galgano

Archivi tag: IlSaggiatore

È tempo di “Riscrivere l’economia europea”

02 martedì Feb 2021

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

economia, Europa, IlSaggiatore, JosephStiglitz, Occidente, recensione, Riscrivereleconomiaeuropea, saggio

Bassi livelli di crescita, aumento della disuguaglianza, crescente insicurezza economica per vasti settori: sono solo alcune delle conseguenze dei problemi che non potranno mai essere risolti con piccoli cambiamenti politici. Per migliorare i risultati dell’economia e creare un benessere condiviso occorre riscrivere le regole dell’economia europea, intese nel senso più ampio, che comprende anche le politiche di fondo per il governo dell’Unione europea.

Dopo aver analizzato a fondo i problemi dell’economia statunitense, Joseph Stiglitz, in collaborazione con Carter Dougherty e la Foundation For European Progressive Studies, indirizza la sua ricerca verso l’economia europea e i suoi difetti sistemici, dovuti a errori strutturali ma anche al fatto che, ormai, la visione dei fondatori risale a oltre sessanta anni fa. Servono nuove istituzioni e nuove regole di governo dell’economia e della politica, che a loro volta devono basarsi su nuove idee.

Stiglitz, come anche gli altri economisti che hanno condotto l’indagine, si rivela fin da subito consapevole di quanto possa essere in realtà complesso apportare cambiamenti radicali al quadro economico di base, pertanto si è preferito concentrare l’attenzione su ciò che è realmente possibile fare pur mantenendo pressoché invariati i vincoli attuali imposti dall’Unione a se stessa come ai singoli paesi membri.

Un aspetto peculiare dell’economia europea è il modello sociale, il cosiddetto welfare state. Quest’ultimo ha pagato, nei vari paesi europei, un prezzo altissimo all’austerità, proprio in una fase in cui l’Europa avrebbe dovuto invece rinnovarlo e incrementarlo per renderlo adeguato alle realtà economiche del Ventunesimo secolo.

Oggi i cittadini europei hanno, rispetto a prima della crisi del 2008, meno possibilità di lavorare, istruirsi, curarsi e andare in pensione, e in alcuni paesi queste possibilità sono scese a livelli decisamente inaccettabili.

Gli autori affermano che la gran parte dei risultati deludenti dell’Unione europea sia riconducibile al quadro di politica macroeconomica. E i risultati, particolarmente deludenti, dell’Eurozona dipendono in parte proprio dalla sua struttura.

L‘euro ha eliminato i principali meccanismi correttivi, amplificando così le conseguenze di eventi come la crisi finanziaria del 2008 e provocando la successiva crisi del debito sovrano.

L’economia europea ha evidenziato anche un altro problema, ancor più preoccupante: i benefici di quel poco di crescita che c’è stato sono andati in gran parte a chi stava già meglio di tutti gli altri.

Le regole e le regolamentazioni economiche europee risalgono agli anni Novanta, che era decisamente un momento di trionfalismo capitalista. Però sostenere che a far crollare i regimi autoritari, da Varsavia a Bucarest fino a Mosca, sia stata l’economia di mercato significa travisare la storia: quel crollo fu il risultato del fallimento di un sistema comunista profondamente sbagliato, spinto sull’orlo del precipizio dalla determinazione americana nella corsa al riarmo tecnologico e dall’anelito umano alla libertà.

Se l’Eurozona fosse stata creata pochi anni dopo, allorquando le economie dell’est asiatico furono investite da una serie di shock economici, i rischi di quella formula, per Stiglitz e colleghi, sarebbero stati molto più evidenti.

Quei paesi non erano riusciti a evitare una crisi grave pur avendo rispettato alla lettera le stesse ricette macroeconomiche di contenimento del disavanzo, del debito e dell’inflazione confluite nei vincoli dell’Unione europea. Ma anche i precedenti successi di quei paesi per gli autori vanno interpretati come una smentita del credo ultracapitalista. Per anni, infatti, i loro altissimi tassi di crescita erano stati favoriti da un interventismo pubblico ben più sistematico di quello consentito dalle regole europee.

Molti europei guardavano con ammirazione all’aumento del Pil americano, ma trascuravano il ristagno, anzi il calo in termini reali, del reddito di larghe fette della popolazione statunitense, e ignoravano sia la precarietà dei redditi, sia la mediocrità dei servizi sanitari, che si rifletteva in un’aspettativa di vita inferiore a quella di tutti gli altri paesi sviluppati.

Con ogni probabilità, se le regole fossero state scritte dopo la crisi e la recessione, i loro estensori sarebbero stati ben più scettici sulla capacità dei mercati – soprattutto finanziari – di funzionare da soli.

Tutte le crisi prima o poi passano, ma, nel valutare un sistema economico, ciò che conta non è che la crisi sia finita o semplicemente superata, bensì il tempo impiegato per arrivare a una completa ripresa, le sofferenze inflitte ai cittadini, e la durata delle stesse, e la vulnerabilità del sistema a un’altra crisi.

In Europa le conseguenze della crisi finanziaria e della recessione sono state inutilmente gravi, lunghe e dolorose. Il divario tra la condizione attuale dell’economia e quella in cui si sarebbe trovata in assenza di crisi si misura ormai in trilioni di euro. E ancora oggi, oltre un decennio dopo lo scoppio della crisi, la crescita rimane incerta.

I problemi di fondo della struttura economica e del quadro delle politiche europee sono ancora gli stessi che hanno condotto alla crisi, e ciò rende l’Europa vulnerabile a una nuova crisi.

Le sfide da affrontare sono, in sintesi:

  • Scelte di politica economica (politica macroeconomica, politica monetaria, investimenti pubblici).
  • Regolamentazione dei mercati (riforme della corporate governance, dei mercati finanziari, della proprietà intellettuale, della concorrenza e del fisco).
  • Creazione di uno Stato sociale all’altezza del Ventunesimo secolo.
  • Definizione concordata di nuove regole globali che gestiscano meglio la globalizzazione, in modo da non aggravare i problemi di disuguaglianza.

L’Europa ha la tendenza a orientarsi verso i paesi maggiori eppure per Stiglitz, a volte, sono i paesi minori a creare modelli esportabili. Per esempio, il Portogallo ha dimostrato che la strada giusta è la crescita non l’austerità.

All’epoca in cui fu sottoscritto il Patto di Stabilità e Crescita, il mondo era appena uscito da una fase di inflazione galoppante. Ma oggi il problema non è più l’inflazione ma la disoccupazione. Per offrire lavoro a tutti occorre abbandonare l’austerità, correggere il disallineamento dei tassi di cambio in modo da renderli più equi ed efficienti e investire di più e con intelligenza.

Si può fare di meglio anche restando nell’ambito del Patto di Stabilità e crescita. Un paese può ad esempio rispettare il quadro di bilancio in pareggio (o il deficit entro il tre per cento) e contemporaneamente aumentare sia le tasse che le spese, in modo da stimolare l’economia. Ovvero impiegare il cosiddetto moltiplicatore di bilancio in pareggio. Va da sé però che bisogna scegliere con oculatezza le voci giuste, sia per le entrate che per le uscite.

Attualmente una delle economie ritenute più forti e stabili, all’intero dell’Unione, è quella tedesca. Tuttavia, ricordano gli autori, anche la Germania ha interesse ad abbandonare il proprio modello economico fondato sulle esportazioni se si guarda al medio periodo.

Man mano che le imprese cinesi impareranno a fabbricare, e non più acquistare, beni strumentali (soprattutto macchine industriali), questa vorace domanda si trasformerà in concorrenza per l’industria tedesca. Per cui, un maggior dinamismo della domanda interna e un’economia europea in buona salute possono aiutare la Germania ad attutire lo shock inevitabile che l’attende.

La politica monetaria è un altro grande strumento da cui partire per riscrivere l’economia europea.

L’Unione ha concepito la Bce per affrontare un problema del passato (l’inflazione) senza darle flessibilità sufficiente per affrontare i problemi del Ventunesimo secolo (occupazione e stagnazione).

La principale riforma della Bce dovrebbe prevedere l’estensione del suo mandato a un obiettivo di occupazione, basandosi su idee che potrebbero dare alla stessa e alle politiche monetarie europee quella flessibilità di cui c’è estremo bisogno:

  • Usare i margini di discrezionalità consentiti da Maastrich.
  • Fare riferimento all’inflazione di fondo.
  • Spostare l’attenzione sui rischi di inflazione troppo bassa e di deflazione.
  • Riorganizzare il programma di ricerca della Bce.
  • Definire obiettivi d’inflazione simmetrici, o addirittura sbilanciati verso la prevenzione della deflazione, poiché le fasi di alta disoccupazione sono associate a pressioni deflazionistiche.
  • Utilizzare vigilanza e regolamentazione bancaria per promuovere crescita e stabilità, incentivando gli investimenti produttivi e scoraggiando i rischi speculativi.
  • Gestire la vigilanza in modo da non accentuare la contrazione dell’economia.
  • Favorire il credito alle piccole imprese.
  • Accrescere il controllo del Parlamento europeo.
  • Accrescere l’efficacia di vigilanza del Consiglio europeo.
  • Accrescere la trasparenza.

(l’elenco è solo a titolo esemplificativo e non riporta in maniera esaustiva tutte le proposte discusse nel testo)

Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) del 2012 è apparso come il primo approccio verso un cambio di rotta delle direttive economiche europee. Attualmente ritenuto in grado di gestire la crisi di un paese minore ma molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario per affrontare una crisi bancaria in un paese maggiore. Oggi, chiedere assistenza sul Mes significa sottoporsi formalmente alla supervisione della troika per tutta la durata della crisi. Per ricevere assistenza i paesi devono accettare specifiche regole di bilancio e diverse modifiche alle proprie politiche.

Durante una videoconferemza organizzata dal think tank europeo Feps, Joseph Stiglitz ha parlato della necessità di prestiti e sovvenzioni da parte dell’Europa ai paesi membri, degli eurobond nel breve periodo, in quanto molti paesi hanno un livello di debito troppo alto per riuscire a reperire autonomamente le risorse necessarie, mentre per il lungo periodo auspica una maggiore tassazione comune dell’Unione europea (web tax, carbon tax, corporate tax).

E, all’interno del Feps Covid Response Papers nuomero dieci di ottobre 2020, Stiglitz parla in dettaglio della situazione attuale con commenti ai provvedimenti presi e quelli calendarizzati nonché dei vari scenari possibili.

Bibliografia di riferimento

Joseph E. Stiglitz, Riscrivere l’economia europea. Le regole del futuro dell’Unione, con Carter Dougherty e Foundation For European Progressive Studies, ilSaggiatore, Milano, 2020.

Titolo originale: Rewriting the rules of european economy.

Traduzione di Marco Cupellaro.

Joseph E. Stiglitz: capo economista e senior fellow del Roosevelt Institute, Premio Nobel per l’Economia 2001.


Articolo disponibile anche qui


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa de ilSaggiatore Editore per la disponibilità e il materiale

Disclosure: Per le immagini, tranne la copertina del libro, credits www.pixabay.com


LEGGI ANCHE

Promuovere la crescita delle economie in via di sviluppo attraverso la conoscenza. L’analisi di Stiglitz e Greenwald in “Creare una società dell’apprendimento” (Einaudi, 2018) 

“Lezioni per il futuro” di Ivan Krastev (Mondadori, 2020) 

La lotta per salvare la classe media è la nostra lotta? “Questa lotta è la nostra lotta” di Elizabeth Warren (Garzanti, 2020) 

L’Altra-Africa: come l’Afromodernità sta diventando una condizione globale 


© 2021, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Recensione a “Manifesto per la verità” di Giuliana Sgrena (ilSaggiatore, 2019)

24 giovedì Ott 2019

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

GiulianaSgrena, IlSaggiatore, Manifestoperlaverita, recensione, saggio

Esce con ilSaggiatore il nuovo libro di Giuliana Sgrena Manifesto per la verità, il quale in realtà più che un manifesto per la verità sembrerebbe un resoconto dettagliato dello stato malandato in cui versa l’informazione italiana, sintetizzabile con un’espressione utilizzata dalla stessa autrice: “il giornalismo sta morendo perché ci sono le fake news o le fake news proliferano perché il giornalismo sta morendo?”

Lei è una giornalista, evidente e prevedibile quindi che concentri la sua attenzione sull’informazione giornalistica, ma il problema delle fake news, della violenza di genere, delle molestie sessuali, nonché il fenomeno migratorio e, soprattutto, il modo in cui tutto ciò viene percepito, discusso e affrontato non è certamente risolvibile con la sola riforma o modifica dei massmedia. Necessita o necessiterebbe un cambio di paradigma culturale che deve partire dall’educazione, passare dall’istruzione, perseverare nell’informazione e abbracciare tutti i campi dell’essenza e della convivenza umana.

Il libro di Giuliana Sgrena sembra essere pervaso da un profondo senso di nostalgia che accompagna la narrazione e la determina, in qualche modo, orientandola verso un certo desiderio melanconico di ritorno al passato, a quando le cose andavano meglio, al periodo in cui le persone, gli italiani, si informavamo meglio perché leggevano i giornali cartacei e non si lasciavano fuorviare dalla cattiva informazione e dai fake in Rete.
Pur volendo dare per buona la teoria secondo la quale prima gli italiani erano meglio informati, non può essere certo un ritorno al passato la via per la soluzione dei problemi attuali. I problemi non nascono dal mezzo utilizzato per istruirsi, formarsi, informarsi bensì dal contenuto ed è quello che lascia molto desiderare, sia in Rete che in formato cartaceo.

I giornalisti, i direttori di giornale e gli editori che li pubblicano non hanno mai sviluppato la necessità di formarsi e specializzarsi, di impegnarsi per offrire al pubblico un servizio eccellente. Hanno sempre “rincorso” le notizie che vendevano più copie prima e ottengono più like oggi. Sono per la gran parte dei “generalisti”, incaricati di occuparsi di questo o quell’altro a seconda, prevalentemente, di ciò che desidera leggere o vedere il lettore oppure della linea che ha in mente l’editore. Tranne le pubblicazioni scientifiche e settoriali, sono persone poco qualificate a trattare di argomenti delicati. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Con le dovute eccezioni, certo.

L’informazione, al pari dell’istruzione, non dovrebbe mai avere partito, colore politico, fede religiosa, pregiudizio. Soprattutto quando riguarda il comparto pubblico. In Italia non è così. Non lo è mai stato. E l’informazione vera ha sempre scarseggiato. Oggi è stata quasi completamente sostituita dalla diffusione di opinioni, più o meno autorevoli, spacciate per informazione. Questa è la prima grande fake news che investe tutto il settore, digitale o cartaceo che sia.

In Manifesto per la verità Giuliana Sgrena ritorna anche sul finanziamento pubblico all’editoria e attacca gli esponenti del Movimento Cinque Stelle che invece sono contrari. Afferma che togliendo i finanziamenti pubblici si limita o si rischia di eliminare del tutto il pluralismo dell’informazione e nell’informazione.
In tutti gli anni in cui è rimasto in vigore il finanziamento pubblico all’editoria il pluralismo era garantito e l’informazione ottima? Cosa vuole intendere esattamente Sgrena quando parla di pluralismo?
Finora e tuttora si assiste alla presenza di giornali che si ispirano all’ideologia di sinistra o di destra e quelli più o meno cattolici e cristiani i quali, attraverso il lancio di fatti di cronaca o di politica nazionale e internazionale, cercano di diffondere il più possibile il proprio e rispettivo punto di vista. Beh, l’informazione è, o meglio dovrebbe essere, cosa ben diversa. Corretta, neutrale, imparziale. Sempre e comunque.

Nella prima parte del testo, Giuliana Sgrena si sofferma a lungo nella descrizione dell’assalto mediatico tristemente riservato alle vittime di aggressioni, violenze o molestie a scopo sessuale. Evidenzia la disparità di trattamento riservato da alcune testate e giornalisti agli aggressori e/o alle vittime a seconda della loro nazionalità di provenienza. Umanamente ed eticamente nessuno può contraddire le sue parole, allorquando accusa media e lettori di utilizzare il sistema dei due pesi e delle due misure. Ma il problema, che è culturale e non solo di informazione, non si risolve evitando che un giornalista o un direttore scrivano o pubblichino un determinato articolo e relativo titolo. Si potrebbe obiettare all’autrice che anche questo, paradossalmente, fa parte del pluralismo dell’informazione da lei stessa auspicato. Sembra assurdo ma è così. Articoli, titoli e giornali che seguono questo orientamento esistono perché hanno dei lettori, dei sostenitori.
Il punto allora non è il pluralismo dell’informazione ma la sua qualità.

I giornalisti inseguono le notizie che sanno per certo faranno “presa” sul loro target di lettori. Ecco perché è sulla formazione/apprendimento della popolazione che si deve compiere uno strutturale e profondo lavoro culturale ed educativo. Sull’istruzione, che deve formare persone colte, preparate. Socialmente e culturalmente evolute. Perché saranno loro stesse a fare la differenza. Non un giornale in più o in meno, laddove permangono tutti sempre e comunque di parte.


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

Il mondo parallelo delle guerre segrete in “Prigionieri dell’Islam” di Lilli Gruber 

“La mattina dopo” di Mario Calabresi (Mondadori, 2019)

Stampa di Palazzo e fake news. Fermare gli “Stregoni della notizia”. Intervista a Marcello Foa 

Guerra alle fake news o retorica e propaganda? 


 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

“Less is more. Sull’arte di non avere niente” di Salvatore La Porta (il Saggiatore, 2018)

09 mercoledì Mag 2018

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

IlSaggiatore, Lessismore, recensione, RinnovamentoCulturaleItaliano, saggio, SalvatoreLaPorta

La casa editrice ilSaggiatore pubblica quest’anno Less is more, il libro sull’arte di non avere niente che Salvatore La Porta ha non scritto, come sottolinea lui stesso nella conclusione. Per scrivere realmente un libro su questa grande arte l’autore avrebbe dovuto ‘tediare’ il lettore con un, per fortuna, lungo elenco di esempi, dati e citazioni. Avrebbe dovuto raccontare di questa arte praticata «principalmente da chi non ha alcuna visibilità»e, sparso in tutte le parti del mondo, «spende quel poco che possiede per seguire le proprie idee».

Avrebbe certamente potuto La Porta scrivere un testo del genere. Se lo avesse fatto però si sarebbe trattato soltanto della «ennesima trappola». Il lettore avrebbe avuto l’illusione di non avere più nulla da imparare riguardo questo argomento. Avrebbe perso «la coscienza della propria ignoranza», presupposto fondamentale affinché ci si faccia «ammaliare dal demone della ricerca».

Questo il motivo per cui l’autore non ha scritto il libro che avrebbe dovuto dando vita invece a un saggio che potrebbe essere definito esplorativo di un argomento per certi versi ancora troppo ostico per gran parte della collettività, convinta che la felicità vada inseguita nell’ultimo modello di smartphone o console per giochi, nell’autovettura più high tech si possa immagine o nella vacanza più glam possa essere concepita. La Porta si chiede però il perché del fatto che più le persone accumulino beni, averi, proprietà, legami, posizioni, impegni e quant’altro è più siano infelici, insoddisfatti, inappagati e stressati. È evidente a tutti allora che c’è in questo meccanismo una perversione di fondo che ingenera malessere proprio laddove promette il tanto agognato benessere.

Le persone continuano ad accumulare beni, averi e oggetti vari e ogni qual volta ultimano un acquisto vengono pervasi da una strana sensazione di vuoto, di incompletezza, come avessero dimenticato qualcosa, di comprare altro che, forse, li avrebbe fatti sentire più soddisfatti e così non si vede l’ora di ritornare al centro commerciale, che incarna alla perfezione questo meccanismo-mito del consumismo. Così nel tentativo di trovare finalmente quello che manca per terminare «il nostro ritratto», non ci rendiamo che, «come pittori inesperti che tornano continuamente su di un quadro, lo stiamo opprimendo di pennellate fino a renderlo inguardabile».

Solo che non si parla di un ‘semplice’ ritratto bensì della nostra stessa identità sempre più oppressa da tutto ciò che compriamo e accumuliamo. Al punto che in tanti, in troppi, arrivano a legare e far dipendere la propria autostima dal possedere o meno un determinato bene di consumo che può essere un paio di sneakers o uno smartphone.

Dalla mitologia greca ai poeti maledetti, dai miti della Letteratura americana alla cultura degli hippy, passando dal racconto di storie vere più o meno contemporanee Salvatore La Porta analizza l’arte di non avere niente, la ricerca e la rinuncia, i punti d’incontro e quelli di divergenza tra coloro che hanno coraggiosamente scelto di vivere fino in fondo il sogno della libertà: dai legami, dagli averi, dalle aspettative… ovvero dall’esoscheletro costruito, a strati sempre più spessi, e modellato su ogni persona dalla società, dai legami, dagli averi appunto. Da tutto quello definisce e inquadra ogni persona nella società facendogli però, al contempo, dimenticare se stesso.

Un saggio davvero interessante, Less is more di Salvatore La porta anche laddove qualche esempio addotto nel corso della narrazione è potuto sembrare quasi un azzardo al lettore. In realtà per comprendere appieno il senso del libro bisogna attendere di averlo letto per intero, compresa la conclusione che serve a chiarirne molti aspetti che sono potuti sembrare ambigui o confusi. Un libro scritto con un intento e uno scopo ben diverso da quello che il lettore ha immaginato leggendo capitolo dopo capitolo. Un fine più nobile di quello ipotizzato. Un saggio critico che vuol spronare chi legge insinuando dubbi legittimi che portano inevitabilmente a porsi degli interrogativi e stimolare la curiosità sempre positiva della conoscenza. Un libro che invita a «rimanere umani», a non piegarsi «alla schiavitù del possesso» che distrugge il nostro coraggio e «rende la nostra vita un’infelice menzogna».

Salvatore La Porta: È nato e vive a Catania. Autore di numerosi romanzi e racconti. Insegna Diritto d’Autore e Legislazione Editoriale all’Accademia delle Editorie.


Disclosure: Fonte trama libro www.ilsaggiatore.it


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

“Il collasso della modernizzazione: dal crollo del socialismo di caserma alla crisi dell’economia mondiale” di Robert Kurz (Mimesis, 2017 a cura di Samuele Cerea) 

“Rituali di resistenza. Teds, Mods, Skineads e Rastafariani. Subculture giovanili nella Gran Bretagna del dopoguerra” di Stuart Hall e Tony Jefferson, curatore Luca Benvenga (Novalogos, 2017) 

Il dossier “UNDER. Giovani mafie periferie” curato da Danilo Chirico e Marco Carta per illuminare il buio dei suburbi di vita (Giulio Persone Editore, 2017) 

“Monasteri del Terzo Millennio” di Maurizio Pallante (Edizioni Lindau, 2014) 


 

© 2018, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Società o barbarie. Il risveglio della politica tra responsabilità e valori

05 mercoledì Ago 2015

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

IlSaggiatore, Italia, italiani, PierfrancoPellizzetti, recensione, saggio, Societaobarbarie

“Società o barbarie. Il risveglio della politica tra responsabilità e valori” di Pierfranco Pellizzetti

Società o barbarie. Il risveglio della politica tra responsabilità e valori di Pierfranco Pellizzetti, edito nell’aprile di quest’anno da Il Saggiatore nella collana La Cultura, è un testo corposo, ben strutturato che sembra voler inquadrare il “problema della politica” con un’analisi ad ampio spettro spazio-temporale.

Pierfranco Pellizzetti, genovese di nascita, scrive per «Il Fatto Quotidiano», «MicroMega», «Critica Liberale» cercando di raccontare e al contempo motivare la sua ormai profonda consapevolezza, ovvero che la «politica quale l’abbiamo conosciuta è in profonda crisi».

Già nell’introduzione di Società o barbarie Pellizzetti dichiara qual è lo scopo del libro: «un invito a trasformare l’espressione denigratoria “antipolitica” nel suo contrario “altrapolitica”». Per l’autore gli ultimi quaranta anni sono stati il periodo in cui l’Economico ha marginalizzato il Politico e la corsa al benessere del singolo ha soppiantato ogni forma di solidarietà collettiva. Nel testo vengono analizzate le origini storiche, i risvolti socio-economici e le tecniche propagandistiche di questo “sistema” ormai in crisi. Conseguenze dirette di tutto ciò: le disuguaglianze, la recessione, la disoccupazione, la disgregazione sociale.

Il problema non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa e potrebbe essere valido per tutte le democrazie occidentali.

Nell’analisi condotta da Pellizzetti saltano all’occhio se non vere e proprie contraddizioni, piccole falle che lasciano perplessi. Per l’autore il declino è cominciato quando gli ex-sessantottini hanno deposto striscioni e baluardi e sono diventati parte integrante di questo sistema politico in crisi ma un attimo dopo cita le «cinque regole auree» che Richelieu eleggeva a fondamento dell’agire politico: «simula, dissimula, loda tutti, non dire mai la verità, non credere a nessuno» e leggendo ci si ritrova a pensare che o l’autore vede o vedeva nei sessantottini l’unica espressione possibile della “altrapolitica” oppure che ha preso un abbaglio e il “degrado politico” in realtà c’è sempre stato, considerando anche ciò che poi riferisce egli stesso riguardo l’evoluzione di questi “rivoluzionari mancati”, le illusioni e le disillusioni, le ribellioni di allora e la conformazione di oggi.

“Società o barbarie. Il risveglio della politica tra responsabilità e valori” di Pierfranco Pellizzetti

Gli interrogativi che il libro pone sono molteplici, primo fra tutti quello della scelta direzionale della politica che potrebbe essere orientata verso un discorso pubblico deliberativo che abbracci la «savia follia» propugnata da Erasmo oppure destinata alla dimensione di tecnologia del potere professata da Machiavelli. Si chiede poi Pellizzetti quali saranno le forme organizzative che dovranno assumere gli “attori del cambiamento” e come dovranno orientare gli sforzi volti alla comunicazione di idee, pensieri, speranze e valori nell’era del digitale, della “Rete”.

Il testo si apre al lettore con una citazione di Artur Schlesinger Jr. «Ci è stato spesso detto che la politica è potere, e naturalmente questo è vero. Più recentemente ci è stato detto che la politica nell’epoca dei mass media è immagine: ho paura che ci sia qualcosa di vero anche in questo. Ma in una democrazia la politica è qualcosa di più che la lotta per il potere e la manipolazione dell’immagine. È soprattutto ricerca dei rimedi. Nessuna somma di potere e pubbliche relazioni servirà se, alla fine della giornata, la politica non funziona».

Ormai è chiaro a tutti che la politica così com’è proprio non funziona e verrebbe da aggiungere che il suo ruolo più che di «ricerca di rimedi» dovrebbe essere quello di “impedimento di danni”, nel senso che chi amministra e chi governa dovrebbe fare in modo di evitare danni e conseguenze negative, non limitarsi a cercare solo i rimedi soprattutto perché per la gran parte di questi danni ne è stato anche l’artefice.

Il simbolico viaggio che Pellizzetti compie nella “politica” dell’Europa e del mondo ritorna spesso «tra i palazzi e i carruggi» della sua città, Genova, «un luogo che in queste pagine funge sovente da punto di osservazione specifico per ricavare considerazioni e valutazioni generali». Queste considerazioni e valutazioni sembrano essere ben condensate nella citazione di Pasquino, riportata a margine del libro: «Più di duemila anni dopo Aristotele, mezzo millennio dopo Machiavelli, il nostro rapporto con la politica è diventato simile a quello con una persona che abbiamo molto apprezzato e molto amato e che ci ha infine delusi», tuttavia rimane in chi legge un senso di incompiutezza che potrebbe essere generato dal fatto che l’autore tende un po’ troppo a “personificare” la Politica, indicandola come responsabile della situazione, della crisi, parla del suo ‘decadimento’ ma così facendo sembra renderla però troppo impersonale, in fondo questa non è un’entità indefinita bensì il frutto di azioni e scelte concrete. Sarebbe più corretto affermare che non è la Politica ad aver deluso ma i Politici, cioè le persone che hanno rivestito cariche pubbliche lavorando solo per il proprio tornaconto, che hanno sacrificato il benessere collettivo, l’ambiente, la salute, l’istruzione, l’informazione, l’educazione… barattandoli con denaro e potere. Non è la Politica a dover cambiare ma l’atteggiamento e il comportamento delle persone. La Politica come l’Economia non sono entità a sé, rappresentano e le ritroviamo in ogni quotidiana azione compiuta o scelta effettuata e non è possibile scinderle dall’agire di tutti e di ognuno. Anche scegliere di fare la spesa al mercato piuttosto che al supermercato è una scelta politica che influenza l’economia ed è di fondamentale importanza comprendere che l’altrapolitica propugnata da Pellizzetti in Società o barbarie non si potrà mai raggiungere continuando a scegliere amministratori e governanti come si sceglie una squadra di calcio.

http://www.sulromanzo.it/blog/societa-o-barbarie-il-risveglio-della-politica-tra-responsabilita-e-valori-di-pierfranco-pelliz

© 2015 – 2017, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Sostieni le Attività di Ricerca e Studio di Irma Loredana Galgano

Translate:

Articoli recenti

  • La Grande guerra africana: dallo Zaire al Congo
  • “Sbirri e culicaldi” di Stefano Talone (Ensemble, 2020)
  • Quanto incide la scuola su crescita ed economia?
  • È tempo di “Riscrivere l’economia europea”
  • Melancholica deliria multiformia: “L’anatomia della malinconia” di Robert Burton

Archivi

Categorie

  • Articoli
  • Interviste
  • Recensioni
  • Senza categoria

Meta

  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Proudly powered by WordPress

Questo sito utilizza i cookie per migliorarne l'esperienza d'uso. Continuando la navigazione l'utente ne accetta l'uso in conformità con le nostre linee guida.OKMaggiori informazioni sui cookie