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Irma Loredana Galgano

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“Per un modello di sviluppo alternativo. A quarant’anni dal Rapporto Brandt” a cura di Jacopo Perazzoli (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2019)

29 lunedì Giu 2020

Posted by Irma Loredana Galgano in Recensioni

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DomenicoRomano, FernandoDAniello, FondazioneGiangiacomoFeltrinelli, JacopoPerazzoli, JosephStiglitz, KishoreMahbubani, ordinemondiale, Perunmodellodisviluppoalternativo, recensione, saggio, WillyBrandt

Riscoprire il Rapporto Brandt, a distanza di quarant’anni dalla sua pubblicazione, può diventare molto utile per gli attuali attori politici come per la sfera pubblica in generale.

È questo lo scopo per cui Jacopo Perazzoli, ricercatore presso la Fondazione Feltrinelli e docente di Storia contemporanea all’Università degli studi di Milano, ha curato il volume Per un modello di sviluppo alternativo che raccoglie gli scritti di Fernando D’Aniello e Domenico Romano oltre alle parole dello stesso Willy Brandt.

Un libro che non vuole essere un mero esercizio agiografico né tantomeno un tentativo di ricercare elementi di attualità in quel documento. Il quarantesimo anniversario dalla pubblicazione deve essere, nelle intenzioni del curatore, un momento per comprendere che le grandi proposte possono essere realizzate se basate su solide analisi empiriche del quadro a cui si riferiscono. E che dette proposte possono avere un futuro concreto soltanto se la sfera politica se ne fa carico in maniera convinta. Ovvero il contrario esatto di ciò che è accaduto dopo la pubblicazione del Rapporto North-South, a Program for Survival, noto come Rapporto Brandt, nel febbraio del 1980 e del secondo memorandum del 1983, Common crisis. North-South: cooperation for world recovery.

Oggi, esattamente e forse ancora più di allora, persiste la necessità di trovare un nuovo modello di sviluppo globale capace di coniugare le esigenze dei paesi industrializzati, quelle dei paesi in via di sviluppo e di quelli poveri, anche di materie prime. Ovvero, come sintetizza Perazzoli, connettere prospettive differenti con l’obiettivo di individuare una crescita equilibrata.

Un dibattito che impegna economisti e studiosi, di oggi e di ieri. Joseph Stiglitz e Bruce Greenwald, convinti sostenitori della necessità di abbandonare, in economia, il neoclassicismo imperante e puntare su un modello di crescita economica basato sull’apprendimento, riprendono e sposano le teorie economiche di Kenneth Arrow.

Un maggiore innalzamento degli standard di vita potrebbe indurre una società dell’apprendimento molto più di quanto fanno e hanno finora fatto piccoli e isolati miglioramenti di efficienza economica o il sacrificio dei consumi correnti per intensificare il capitale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Buona parte della differenza tra i redditi pro capite di questi paesi e quelli dei paesi più avanzati è attribuibile a un gap di conoscenze. Adottare politiche in grado di trasformare le loro economie e le loro società in società dell’apprendimento li renderebbe in grado di colmare questo divario e ottenere una crescita dei redditi significativa. 1

Se un insegnamento può trarsi dal lungo lavoro della commissione presieduta da Willy Brandt, Perazzoli lo individua nella capacità di analizzare a fondo e senza pregiudizi lo stato dell’arte globale, rifuggendo dalla “pericolosa inclinazione ad individuare coloro che, a torto o ragione, possono essere ritenuti i responsabili delle complicate condizioni dell’oggi”.

La via da percorrere era ispirata dalla Ostpolitik, portata avanti dallo stesso Brandt durante il periodo in cui era stato cancelliere della Germania Federale (1969-1974), con la quale egli riteneva di aver dimostrato la possibilità di far emergere aree di interesse comune anche in presenza di irreversibili divergenze ideologiche. Se era stato possibile applicare questo principio al dialogo tra mondo capitalista e mondo comunista allora sarebbe stato possibile applicarlo anche alla negoziazione tra i vari paesi, sviluppati o meno che fossero.

James Bernard Quilligan, già policy advisor e press secretary della commissione, lavorando nel 2001 a un aggiornamento dei risultati prodotti, aveva individuato dodici capitoli su cui il gruppo Brandt si era espresso: lotta a fame e povertà, politiche per famiglia, donne, aiuti, debito, armamenti, energia e ambiente, tecnologica e diritto societario, commercio, monete e finanza, negoziazioni globali.

Le soluzioni a questi problemi, ricorda nel suo intervento Domenico Romano, sarebbero dovute arrivare tramite quattro tipi di intervento:

  • Riforme cooperative dell’ordine economico internazionale.
  • Un trasferimento di risorse economiche e tecnologiche molto intenso dal nord verso il sud, attraverso le multinazionali e tramite un aumento della quota Pil destinata agli aiuti allo sviluppo da parte dei paesi del nord.
  • Supporto al processo di disarmo e nuovi meccanismi di peace keeping internazionali, non tanto e non solo per ragioni etiche ma per liberare spazio per investire risorse nella crescita del sud del mondo.
  • Un programma energetico internazionale che tenesse stabili a un livello comunemente soddisfacente i prezzi e la fornitura di petrolio, in connessione con la ricerca di nuove fonti e forme di energia.

Il tutto sarebbe dovuto avvenire per il tramite di negoziazioni globali tra i protagonisti.

Romano sottolinea che, al di là delle singole soluzioni, l’aspetto centrale del Rapporto Brandt è individuabile in una coppia concettuale: interdipendenza e interesse comune.

L’interdipendenza creava lo spazio per l’interesse reciproco tra nord e sud. Il principale degli interessi comuni è “semplicemente” la sopravvivenza dell’umanità.


«È concreto il rischio che, nel 2000, gran parte della popolazione mondiale continui a vivere in condizioni di povertà. Non è escluso che allora il mondo risulti sovraffollato (e indubbiamente sarà iperurbanizzato), né che l’inedia di massa e i pericoli di distruzione aumentino inesorabilmente.»

Willy Brandt


Nell’attuale contesto economico dei paesi industrializzati, colpito anche da una disoccupazione elevata e vasti processi di trasformazione, è fuor di dubbio forte la volontà di voler proteggere l’economia nazionale a prezzo di uno squilibrio dell’economia internazionale. Ma Fernando D’Aniello ricorda che questo errore è stato commesso da Stati Uniti ed Europa già cinquant’anni or sono, allorquando “il mondo coloniale andò in bancarotta, il Nord America si rovinò, l’Europa fu avvolta dalle fiamme”.

Per Willy Brandt, un mutamento di carattere fondamentale non può essere frutto di carteggi bensì il risultato di ciò che, in un processo storico, prende forma o si abbozza nella mente degli uomini. Mutamenti e riforme non possono aver luogo a senso unico: devono essere favoriti da governi e popoli, sia delle nazioni industrializzate che di quelle emergenti. E, a tal proposito, egli riteneva doveroso invitare a collaborare in maniera più intensa la Repubblica Popolare Cinese, per dar modo anche ad altri di beneficiare della sua esperienza di massimo paese in via di sviluppo.

Solo tramite una vera democrazia globale, che riesca ad ascoltare e far partecipare anche le nazioni del Sud del mondo, quest’ultime accetteranno di sostenere la propria parte di responsabilità globale e non si sentiranno solo pedine su uno scacchiere.

Anche Kishore Mahbubani afferma sia giunto il momento, per l’Occidente tutto, di abbandonare molte delle sue politiche miopi e autodistruttive e perseguire una strategia completamente nuova nei confronti del Resto del Mondo. Una strategia che egli sintetizza con tre parole chiave e definisce appunto delle 3M: minimalista, multilaterale, machiavellica.

  • Il Resto del Mondo non ha bisogno di essere salvato dall’Occidente, né erudito nelle sue strutture di governo, né tantomeno convinto della sua superiorità morale. Certamente poi non ha bisogno di esserne bombardato. L’imperativo minimalista dovrà essere fare meno ma fare meglio.
  • Le istituzioni e i processi multilaterali forniscono la migliore piattaforma per ascoltare e comprendere le diverse posizioni a livello mondiale. Il Resto del Mondo conosce molto bene l’Occidente, ora questo deve imparare a fare altrettanto. Il miglior luogo, per Mahbubani, è l’Assemblea Generale dell’ONU, il solo forum dove tutti i 193 Paesi sovrani possono parlare liberamente.
  • Nel nuovo assetto mondiale la strategia servirà più della forza delle armi, per questo l’Occidente deve imparare da Machiavelli e sviluppare maggiore scaltrezza per proteggere i propri interessi a lungo termine. 2

Di solito, continuava Brandt nella relazione introduttiva al Rapporto, si pensa alla guerra in termini di conflitto militare se non di annichilimento. Ma sempre più si diffonde la consapevolezza che un pericolo non minore potrebbe essere costituito dal caos, frutto di fame diffusa, disastri economici, catastrofi ecologiche e terrorismo.

Tutti aspetti con i quali sono quotidianamente costretti a confrontarsi non solo e non soltanto più i paesi meno o a-sviluppati bensì sempre più anche quelli maggiormente sviluppati.

Le tensioni continue che agitano le società occidentali sembrano inarrestabili a causa di guerre e terrorismo che incidono in maniera diretta e indiretta per il tramite di attentati o migrazioni, crisi finanziarie ed economiche e, non da ultimo per ordine di importanza, pandemie che attaccano l’intero sistema. Eppure, ancora una volta, sembra assistere a un atteggiamento che è l’opposto di quanto hanno voluto indicare Brandt, Kishmore o Stiglitz. I più forti o i meno colpiti che stentano ad andare incontro ai meno forti o più colpiti.

Basti citare, a titolo di esempio, cosa sta accadendo in Europa all’idea di attuare un Recovery Fund che dovrebbe aiutare le nazioni più colpite dal Covid-19 a uscire dalla crisi. Paesi come Austria e Olanda si sono mostrati contrari fin da subito a qualsiasi forma di condivisione del debito, mentre tale prospettiva sarebbe ben accolta dai paesi più colpiti, come Italia e Spagna. Da Francia e Germania invece è stata avanzata una proposta di concessioni di denaro a fondo perduto.

Quest’ultima posizione in particolare è stata caldeggiata anche dal Premio Nobel per l’Economia 2001 nonché docente alla Columbia University Joseph Stglitz il quale ha pubblicamente dichiarato di trovare preoccupante il fatto che ancora ci siano paesi in Europa che vogliono imporre condizioni all’assistenza, preferendo erogare prestiti piuttosto che ragionare in termini di trasferimenti o comunque di altre e differenti forme di aiuto.

Lo stesso Brandt nel Rapporto del 1980 sottolineava come la mera concessione di prestiti per lo sviluppo non farebbe che aumentare il carico di debiti delle nazioni del terzo mondo, qualora essi servano a crearvi industrie senza contemporaneamente assicurare i mezzi di rimborso.

Per la gran parte è esattamente quello che poi è successo. Un ulteriore aumento del debito non è certo auspicabile, e non solo per i cosiddetti paesi del terzo mondo. In generale per tutti i paesi del Sud, anche europeo.

Bibliografia di riferimento

Fernando D’Aniello, Domenico Romano, Jacopo Perazzoli (a cura di), Per un modello di sviluppo alternativo. A quarant’anni dal Rapporto Brandt, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2019.

1Joseph E. Stiglitz, Bruce C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, Torino, Einaudi, 2018.

2Kishore Mahbubani, Occidente e Oriente. Chi vince e chi perde, Milano, Bocconi Editore, 2019


Articolo disponibile anche qui


LEGGI ANCHE

Promuovere la crescita delle economie in via di sviluppo attraverso la conoscenza. L’analisi di Stiglitz e Greenwald in “Creare una società dell’apprendimento” (Einaudi, 2018) 

Chi perde e chi vince nella nuova epoca storica? “Occidente e Oriente” di Kishore Mahbubani (Bocconi Editore, 2019) 


 

© 2020, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

Chi perde e chi vince nella nuova epoca storica? “Occidente e Oriente” di Kishore Mahbubani (Bocconi Editore, 2019)

01 martedì Ott 2019

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BocconiEditore, KishoreMahbubani, OccidenteeOriente, recensione, saggio

Mai come adesso in Europa la prosperità è stata così alta e diffusa. Mai come adesso in Europa vi è stata tanta pace. Eppure, mai come adesso, vi è stato un sentimento così diffuso, profondo e cupo di pessimismo per il futuro. Mahbubani si è domandato il perché di tutto questo proprio ora che invece ci sarebbe bisogno di un protagonismo positivo dei valori migliori che il mondo occidentale ha saputo sviluppare.
Perché, invece, l’Occidente si sente perduto?
Per Mahbubani, all’inizio del XXI secolo la Storia ha svoltato, ma l’Occidente ancora si rifiuta di ammetterlo e di adattarsi a questa “nuova epoca storica”.

La quota occidentale dell’economia globale si riduce e continuerà a farlo. Inutile negarlo o fingere di non saperlo. Il processo è ormai inarrestabile, perché sempre più nuove società imparano ed emulano le best practices dell’Occidente.
Fino a tempi recenti, gran parte della crescita globale è venuta dalle economie del G7 ma, negli ultimi due decenni, la situazione si è invertita. Nel 2015 le economie del G7 hanno contribuito alla crescita globale per il 31,5%, mentre quelle degli E7 per il 36,3%.

Tre diverse tipologie di rivoluzioni silenziose hanno determinato e al contempo spiegano lo straordinario successo di molte società non occidentali. Mahbubani le descrive nel dettaglio.

La prima rivoluzione è politica. Per millenni, le società asiatiche sono state profondamente feudali. La ribellione contro ogni genere di mentalità feudale che ha preso impulso a partire dalla seconda metà del XX secolo è stata enormemente liberatoria per tutte le società asiatiche. Milioni di persone hanno smesso di essere spettatori passivi e si sono trasformati in agenti attivi del cambiamento, evidente nelle società che hanno accettato forme democratiche di governo (India, Giappone, Corea del Sud, Sri Lanka), ma anche in società non democratiche (Cina, Birmania, Bangladesh, Pakistan, Filippine), che lentamente e costantemente stanno progredendo. E diversi paesi africani e latino-americani guardano ai successi asiatici. Mahbubani ricorda l’iniziativa della Banca mondiale sullo scambio di conoscenza Sud-Sud, che ha incoraggiato lo scambio di lezioni politiche e di assistenza tecnica tra i paesi latino-americani e i loro “modelli” di riferimento asiatici. Oppure gli incentivi del CINDE (Agenzia di promozione degli investimenti del Costa Rica), sulla scia delle best practices di Singapore, all’impianto da parte di Intel di uno stabilimento nel Paese.
La seconda rivoluzione è psicologica. Gli abitanti del Resto del Mondo si stanno liberando dall’idea di essere passeggeri impotenti di una vita governata dal “fato”, per giungere alla convinzione di poter assumere il controllo delle proprie esistenze e produrre razionalmente risultati migliori.
La terza rivoluzione è avvenuta nel campo delle capacità di governo. Cinquanta anni fa, pochi governi asiatici credevano che una buona governance razionale potesse trasformare le loro società. Oggi questa è la convinzione prevalente, al punto che per l’autore siamo vicini al paradosso. Gli asiatici hanno appreso dall’Occidente le virtù della governance razionale, eppure mentre i livelli di fiducia asiatici stanno risalendo molti occidentali stanno perdendo la fiducia nei propri governi.

In buona sostanza, il Resto del Mondo ha compreso come poteva replicare il successo occidentale nella crescita economica, nella sanità, nell’istruzione… Ora, si domanda Mahbubani, come è stato possibile che l’Occidente non se ne sia accorto oppure non vi abbia dato importanza?

Nella fine della Guerra Fredda l’Occidente tutto ha voluto vedere il trionfo indiscusso della sua supremazia. Sbagliando. Innanzitutto, ricorda l’autore, perché la vittoria non è imputabile a una supremazia reale dell’Occidente ma al collasso dell’economia sovietica, ovvero di uno Stato che, mente il suo nemico “vincente” gongolava, si è pian piano ripreso fino a ritornare a occupare il posto che aveva come potenza a livello mondiale. La fine della Guerra Fredda non è stato altro che la svolta verso una nuova fase storica.
Un altro evento che, secondo Mahbubani, ha “distratto” l’Occidente è stato l’attentato dell’11 settembre 2001. Invece di una reazione ben meditata e appropriata, la hybris intellettuale predominante ha generato la disastrosa decisione di invadere l’Iraq. Nessuno, in Occidente, ha messo in luce che “l’evento più gravido di conseguenze storiche del 2001 non era l’11 settembre. Era l’entrata della Cina nella WTO “(World Trade Organization). L’ingresso di quasi un miliardo di lavoratori nel sistema mondiale degli scambi avrebbe per forza di cose avuto come risultato una massiccia “distruzione creativa” e la perdita di molti di posti di lavoro in Occidente.
Nell’agosto 2017, una relazione della Banca dei Regolamenti Internazionali confermava che l’ingresso di nuovi lavoratori provenienti dalla Cina e dall’Europa Orientale nel mercato del lavoro era la causa di “salari reali in declino e della contrazione della quota del lavoro nel reddito nazionale”.

Per Mahbubani queste sono tra le principali ragioni per cui si è arrivati all’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America e alla Brexit.
Le classi lavoratrici hanno percepito e subito direttamente ciò che le classi dirigenti e politiche non sono riuscite o non hanno voluto captare per tempo.
Perché, si chiede ancora l’autore, molti occidentali non hanno percezione alcuna della portata di questo epocale cambiamento che sta investendo il Resto del Mondo e travolgendo l’Occidente?
Una possibile ragione Mahbubani la ritrova nel fatto che gli occidentali sembrano essere diventati dipendenti dalle “news”, prestando attenzione solamente agli eventi e non ai trend.
Mahbubani fa l’esempio della Malaysia, un Paese “raccontato” dai media occidentali soprattutto o prevalentemente attraverso “news” tragiche (faide e scandali politici, attentati e disastri aerei, scandali finanziari e assassinii…). Il risultato è che “poche persone si rendono conto che, in termini di sviluppo umano, la Malaysia è uno dei Paesi di maggior successo nel mondo in via di sviluppo”. Il suo tasso di povertà è sceso dal 51,2% del 1958 all’1,7% del 2012. Per esempio.

Kishore Mahbubani, come ambasciatore di Singapore alle Nazioni Unite, ha sperimentato in prima persona il grado di autocompiacimento degli occidentali per la loro intrinseca superiorità. I diplomatici occidentali dispensavano consigli all’88% della popolazione globale al di fuori dell’Occidente “con una condiscendenza appena velata”.
Ha ragione l’autore. Esiste questo atteggiamento, a volte inconscio altre meno, degli occidentali, siano essi politici, intellettuali, giornalisti o anche comuni cittadini, nei confronti di chi abita il Resto del Mondo. Un atteggiamento di superiorità, di chi posto di fronte all’altro, al diverso, sente quasi istintivo il bisogno di istruirlo, educarlo, indirizzarlo, civilizzarlo, forte proprio della sua posizione di superiorità culturale, intellettuale, politica ed economica. Vera o presunta tale.
Un modo di porsi che impedisce quasi di vedere che in realtà una sempre più ampia parte del Resto del Mondo ha guadagnato o sta guadagnando la corsia di sorpasso e si mostra sempre più determinata a non lasciarla.

Per Mahbubani è giunto il momento, per l’Occidente, di abbandonare molte delle sue politiche miopi e autodistruttive e perseguire una strategia completamente nuova nei confronti del Resto del Mondo. Una strategia che egli sintetizza con tre parole chiave e definisce appunto delle 3M: minimalista, multilaterale, machiavellica.
– Il Resto del Mondo non ha bisogno di essere salvato dall’Occidente, né erudito nelle sue strutture di governo, né tantomeno convinto della sua superiorità morale. Certamente poi non ha alcun bisogno di essere bombardato. L’imperativo minimalista dovrà essere fare meno e fare meglio.
– Le istituzioni e i processi multilaterali forniscono la migliore piattaforma per ascoltare e comprendere le diverse posizioni a livello mondiale. Il Resto del Mondo conosce molto bene l’Occidente, ora questo deve imparare a fare altrettanto. Il miglior luogo è, per Mahbubani, l’Assemblea Generale dell’ONU, il solo forum dove tutti i 193 Paesi sovrani possono parlare liberamente.
– Nel nuovo assetto mondiale la strategia servirà più della forza delle armi, per questo l’Occidente deve imparare da Machiavelli e sviluppare maggiore scaltrezza per proteggere i propri interessi a lungo termine.

Il saggio Occidente e Oriente. Chi perde e chi vince di Kishore Mahbubani non risparmia di certo le critiche agli occidentali ma, alla fin fine, può essere definito un interessante omaggio allo stesso Occidente. Al suo interno infatti contiene innumerevoli consigli affinché esso possa attuare i cambiamenti necessari per affrontare la nuova e rivoluzionaria epoca storica. Un omaggio al suo lodevole passato ma anche una necessità. Proseguendo su questa direzione infatti, per Mahbubani, l’Occidente rischia di diventare il principale fattore di turbolenza e di incertezza “nell’ora della più grande promessa per l’umanità”.
Non si può non convenire con Enrico Letta, che ha curato l’introduzione al libro, allorquando egli afferma che è una fortuna, per gli italiani, avere la possibilità di leggere questo libro. Vero. Verissimo. Occidente e Oriente di Kishore Mahbubani è per certo una lettura necessaria.


Source: Si ringrazia l’Ufficio Stampa della Bocconi Editore per la disponibilità e il materiale


Articolo originale qui


LEGGI ANCHE

Lo sbandamento dell’Occidente e “Il futuro contro” di Andrea Graziosi (Il Mulino, 2019) 

L’occidentalizzazione del mondo non significa che l?Occidente sta diventando il mondo. “Paesaggi migratori” di Iain Chambers (Meltemi, 2018) 

 

© 2019, Irma Loredana Galgano. Ai sensi della legge 633/41 è vietata la riproduzione totale e/o parziale dei testi contenuti in questo sito salvo ne vengano espressamente indicate la fonte irmaloredanagalgano.it) e l’autrice (Irma Loredana Galgano).

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