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Il 31 gennaio 2017 esce con Mondadori La fine del terrorismo di Benedetta Berti, nella versione tradotta da Teresa Albanese. TED Senior Fellow e ricercatrice al Foreign Policy Research Institute e al Modern War Institute a West Point, Benedetta Berti ha trascorso gli ultimi dieci anni “sul campo”, in luoghi impervi e pericolosi a studiare la nascita e l’evoluzione dei gruppi armati ribelli, politici e/o terroristici allo scopo di capirne l’essenza. Questa la via da lei stessa indicata nel libro per riuscire a “superarli”. Una sconfitta che passa attraverso la conoscenza e l’analisi di fatti e dati, non mediante il caos ingenerato dalla paura.
Nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione infinite sono le “informazioni” che circolano su terrorismo e anti-terrorismo, notizie spesso falsate faziose o imprecise. Per questo e anche per altre motivazioni la Berti sostiene che sia necessario riportare tutto alla linearità di una conoscenza basata su dati certi, informazioni sicure e analisi che siano fedeli alla realtà dei fatti. Solo in questo modo si riuscirà a comprendere il fenomeno terroristico e forse anche a superarlo.
Ne abbiamo parlato nell’intervista che gentilmente ci ha concesso.
L’introduzione a La fine del terrorismo si apre al lettore con una citazione di Diego Gambetta. Parole forti, immagini tanto chiare quanto cruenti di ciò che mafia e Isis rappresentano o intendono rappresentare. A cosa “servono” o “possono servire” mafia e Isis per l’Italia e l’Occidente?
Più che a “servire” all’Italia o all’Occidente, credo che il punto fondamentale sia che, oggi come in passato, gruppi armati violenti di matrice religiosa, politica o criminale sfruttano e traggono vantaggio dalla loro reputazione violenta. Più questi gruppi vengono analizzati e descritti come brutali, irrazionali e misteriosi, più ci sembrano minacciosi. Quello che non possiamo capire o spiegare ci fa inevitabilmente paura, questo però è un circolo vizioso: la paura non ci aiuta a capire, né tantomeno a fare le scelte più giuste ed efficaci per la nostra società e sicurezza. Allora, credo che sia importante andare oltre. Oggi come ieri, per capire ISIS così come le organizzazioni criminali nostrane, dobbiamo andare oltre la reputazione e il velo di mistero e analizzare le logiche interne, organizzative, politiche ed economiche di questi gruppi.
La chiave di lettura da lei indicata per una maggiore comprensione delle «attuali tendenze nella violenza politica e nel terrorismo internazionale» è la comprensione in «termini semplici e razionali». Perché ritiene necessario seguire questa strada?
Perché, oggi più che mai, ci troviamo di fronte a un mondo caotico dove, tra sensazionalismo, informazioni disorientanti e decine di versioni contrastanti, diventa quasi impossibile capire che cosa stia davvero succedendo quando si parla di terrorismo e violenza politica. In questo contesto, credo sia importante cercare di spiegare le dinamiche globali legate alla violenza politica: dall’ascesa al declino dell’ISIS, alle nuove forme di terrorismo “autoctono” partendo da dati solidi e da un’accurata analisi del contesto storico, politico e geo-politico. Nel libro cerco di descrivere le complesse ragioni che hanno portato a una crescita del terrorismo a livello mondiale e anche di capire come i gruppi armati – come ISIS ma non solo – sono in grado di sfidare stati con maggiori risorse finanziarie e militari. Nel fare questo, mi propongo di spiegare la logica militare, politica ed economica di questi gruppi. Non per volerne giustificare le azioni, ma semplicemente perché capire la logica e la strategia della violenza politica odierna in modo semplice e razionale ci aiuta ad avere un dibattito pubblico basato sui fatti e non sulla paura; ci aiuta a trovare politiche più efficaci e a non essere manipolati.
Quali sono le immagini stereotipate relative ai gruppi armati che maggiormente influenzano l’opinione pubblica e l’operato dei governi?
Ce ne sono molte; e avendo passato gli ultimi dieci anni “sul campo” studiando i gruppi armati (in Medio Oriente, America Centrale, Latina, Africa orientale e altrove) credo che uno dei problemi principali sia la tendenza a sottovalutare l’evoluzione dei gruppi armati moderni, oltre alla facilità con la quale si fa di tutta l’erba un fascio, senza soffermarsi su come diversi contesti producano distinte dinamiche di violenza politica. In particolare, sottovalutare questi gruppi non aiuta a capirli meglio, né tantomeno a contrastarli. Per esempio, tendiamo a non prestare sufficiente attenzione alle motivazioni economiche e ai modelli finanziari usati dai gruppi armati; questo però ci porta a trascurare una delle componenti fondamentali della loro strategia e, spesso, del loro successo. Nel libro, anche attraverso esempi e storie ottenute in anni di ricerca, racconto di come molte organizzazioni terroristiche abbiano sviluppato complessi modelli di business, impegnandosi in attività economiche lecite e illecite, sfruttando la globalizzazione per aumentare la loro ricchezza. Ancora più interessanti sono le dinamiche di “governance” e le “politiche sociali” di questi attori violenti; per non parlare poi delle attività di marketing e comunicazione.
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Quali sono i punti in comune e quali invece le divergenze tra la violenza politica di oggi e quella del passato?
Il libro parte dal semplice ma importante fatto che l’uso delle armi, della violenza e del terrorismo non sono tattiche nuove. Ci sono però numerose differenze tra gruppi terroristici “tradizionali” – come ad esempio le Brigate Rosse – e le principali organizzazioni violente attive negli ultimi due, tre decenni. Un punto fondamentale è che il contesto è cambiato: i gruppi armati non-statali, da organizzazioni terroristiche a milizie, sono sempre più spesso i protagonisti dei conflitti armati, che oggi avvengono prevalentemente a livello di guerre civili, interne e/o irregolari. Inoltre, nel libro guardo attentamente anche a come i processi di globalizzazione e di crisi degli stati abbiano offerto l’opportunità a molti gruppi armati di aumentare il loro potere, il loro status e le loro capacità di esercitare controllo sulla popolazione civile. Si può anche aggiungere che i gruppi armati moderni – sia di stampo politico che criminale – tendano ad essere più globali, più orientati ad agire attraverso complesse reti di alleati e partner, anche grazie all’accesso alle nuove tecnologie militari e di comunicazione. Negli anni dopo l’11 settembre, anche le dinamiche e le tattiche del terrorismo globale sono cambiate, e nel libro cerco di analizzare il come e il perché questo sia avvenuto.
È vero che un’organizzazione come l’Isis è riuscita ad affermarsi e a crescere sempre più perché si è sostituita e ha in parte sopperito alle carenze di governi corrotti e inefficienti?
Sicuramente sì. Quando guardiamo alla mappa della violenza politica a livello mondiale, troviamo senza dubbio un nesso tra stati deboli inefficienti e caratterizzati da violenza interna e l’ascesa di gruppi armati che si propongono come un’alternativa allo stato e al sistema politico. Dall’ISIS ai Talebani, un contesto di guerra insicurezza repressione corruzione ha creato terreno fertile per questi attori violenti. Inoltre, non c’è dubbio che, almeno nelle prime fasi della sua espansione, anche un gruppo repressivo e violento come ISIS ha dedicato energie nel cercare di guadagnarsi una parvenza di legittimità, utilizzando per esempio l’inefficacia dello stato e cercando di sopperire a queste carenze come ad esempio la manutenzione stradale, la distribuzione del pane, per citarne solo alcune, rafforzando così la pretesa di essere uno “stato” di nome e di fatto.
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Quale sarà il futuro della violenza politica e quale quello di chi cerca di combatterla?
Anche se è impossibile sapere che cosa ci aspetterà nel futuro, credo che un’analisi attenta della realtà ci possa aiutare a capire alcune delle sfide in materia di violenza politica in generale e terrorismo in particolare. Per esempio, tutto indica che il ginepraio che caratterizza la situazione mondiale: insicurezza, inefficienza dello Stato, corruzione e repressione continuerà ad aiutare gruppi insurrezionali a emergere, e che la diffusione di nuove tecnologie militari e di comunicazione contribuirà alla maggiore pericolosità di molti di questi gruppi. Questa analisi sembra suggerire anche che contrastare il terrorismo dovrà essere sempre di più un’attività complessa e integrativa, a livello militare e di forza pubblica, ma anche sociale politico economico e culturale.
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